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I cani ci capiscono, ma non fanno distinzione tra parole simili

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Chi possiede un cane è solito comunicare con lui e parlargli proprio come si comunica con un essere umano, perché è considerato parte della famiglia. Si Potrebbe pensare che i nostri fedeli amici capiscano ogni singola parola che gli diciamo, ma in realtà non è proprio così. Infatti secondo una nuova ricerca i cani non fanno differenza tra parole di comando conosciute e parole che suonano simili.

Nonostante le loro capacità uditive di interpretare i suoni del parlato degli umani, i nostri quadrupedi non sentono le sottili differenze tra le frasi pronunciate dai loro padroni. Le parole sono costituite da suoni vocali che, se modificati, alterano l’intero significato, ad esempio, “cane” può trasformarsi in “scavare“.

Una ricerca sull’intelligenza dei cani

I ricercatori della Eötvös Loránd University di Budapest, hanno misurato l’attività cerebrale dei cani di famiglia utilizzando una tecnica chiamata elettroencefalografia, un metodo di monitoraggio elettrofisiologico per registrare l’attività elettrica del cervello, con elettrodi posizionati sopra la testa.

I ricercatori facevano sentire ai cani parole registrate di istruzioni che conoscevano, come “seduto“, parole simili, ma senza senso tipo “sut“, e poi, parole senza significato molto diverse, come ad esempio “bep“.

Differenza tra cani che conoscono le istruzioni e cani che non le conoscono

Gli esperti hanno scoperto che i cani, che non erano stati specificamente addestrati per l’esperimento, potevano distinguere rapidamente e chiaramente la differenza tra le parole di istruzione conosciute e le parole senza senso molto diverse.

L’attività cerebrale è diversa quando ascoltano le istruzioni che conoscono, e le parole senza senso molto diverse, il che significa che i cani riconoscono queste parole“, ha detto l’autore principale dello studio, Lilla Magyari.

Tuttavia, gli animali non hanno prestato attenzione alle piccole differenze tra parole note e parole senza senso dal suono simile. Invece, i soggetti dello studio sui cani li hanno elaborati come la stessa parola.

I cani ascoltano effettivamente il linguaggio umano

I cani sono rinomati per la loro capacità uditiva e la loro capacità di sentire bene parole e suoni,  e sono in grado di differenziare i suoni del linguaggio, ha spiegato Magyari che ha inoltre affermato: “Ma sembra che non prestino davvero attenzione a tutti i suoni del discorso e ulteriori ricerche potrebbero spiegare perché”.

Secondo la studiosa i cani potrebbero semplicemente non rendersi conto che tutti i dettagli, i suoni del discorso, sono davvero importanti nel linguaggio umano. Se si pensa a un cane “normale“, è in grado di imparare solo poche istruzioni nella sua vita.

La particolarità dei cani di Famiglia

Anche se i nostri compagni canini potrebbero non riconoscere tutte le sfumature, Magyari ha affermato che lo studio ha anche confermato che i cani ascoltano effettivamente il linguaggio umano, come suggerito da studi precedenti, e non rispondono solo a esseri umani familiari o al linguaggio del corpo.

Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Royal Society Open Science“, dimostra davvero che i cani possono differenziare le parole che conoscono dalle parole senza senso. Inoltre si è osservato che i cani di famiglia hanno registrato l’attività cerebrale anche quando ascoltano le parole di istruzione pronunciate da una voce sconosciuta, pronunciata attraverso un altoparlante.

fonte: https://edition.cnn.com/2020/12/08/europe/dog-brain-activity-intl-scli-scn/index.html

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La teoria di Darwin spiega perché alcuni insetti non riescono più a volare

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Perché molti insetti hanno perso la capacità di volare? A rispondere a tale domanda ci pensò al suo tempo Charles Darwin. Di base, la maggior parte degli insetti può volare. Eppure, decine di specie hanno perso questa abilità, almeno quelli abitanti su alcune isole. Su diverse isole comprese tra Antartide e Australia, molti insetti si sono adeguati a un nuovo stile di vita: camminare o strisciare per terra. Lo fanno molte specie, tra cui mosche e falene. La ricercatrice Rachel Leihy della Monash University School of Biological Sciences ha spiegato: “Naturalmente, Charles Darwin sapeva di questo fenomeno riguardante la perdita della capacità di volo negli insetti”. 

Lo studio di Charles Darwin sulla perdita d’ali di alcuni insetti

Rachel Leihy, menzionando Darwin circa l’incapacità di volare di alcuni insetti ha spiegato: “Lui e il famoso botanico Joseph Hooker ebbero una discussione sostanziale sul motivo per cui ciò accade. La posizione di Darwin era ingannevolmente semplice. Se voli, vieni spinto in mare. Gli insetti rimasti sulla terra per produrre la generazione successiva sono quelli più riluttanti a volare, e alla fine l’evoluzione fa il resto. Voilà”. Da quando però Hooker espresse i suoi dubbi, anche altri scienziati hanno fatto lo stesso. In breve, hanno semplicemente detto che le idee di Darwin erano sbagliate. 

Il discorso è complesso 

Eppure la maggior parte delle nuove teorie da parte degli studiosi ignorano il luogo che è l’epitome della perdita del volo, ovvero, le isole sub-antartiche. Tali isole fanno parte dei luoghi più gelidi e ventosi della Terra. Rachel Leihy ha spiegato: “Se Darwin avesse davvero sbagliato, il vento non spiegherebbe in alcun modo perché così tanti insetti hanno perso la capacità di volare su queste isole”. Consapevoli di una moltitudine di nuovi dati aggiornati ed esaustivi riguardanti gli insetti delle isole sub-antartiche e artiche, i ricercatori della Monash University hanno tenuto conto di qualsiasi tesi scientifica circa la perdita della capacità di volo degli insetti, compresa la teoria del vento di Charles Darwin. 

Darwin aveva ragione

Anche quanto riportato sulla rivista accademica Proceedings of the Royal Society B, dà ragione alla teoria di Charles Darwin circa i luoghi ventosi. Nessuna delle solite idee (come quella proposta da Joseph Hooker) spiega il motivo della perdita della capacita di volo in alcune specie di insetti sub-antartici, ma la teoria di Darwin sì. Sebbene in una forma leggermente varia, in linea con le idee moderne su come si evolva effettivamente la perdita di tale abilità. Il clima ventoso obbliga gli insetti a un dispendio di energia maggiore, con più difficoltà nel volo. 

Energie indirizzate alla riproduzione

Charles Darwin ci fa capire come gli insetti abitanti in questi luoghi “difficili” smettono di investire le loro capacità nel volo, così come nel dispendio di energie in alcune parti del corpo (ali e muscoli delle ali) indirizzando la maggior parte di esse nella riproduzione. Rachel Leihy, autrice principale dell’articolo pubblicato sulla rivista, ha affermato: “È straordinario che dopo 160 anni le idee di Darwin continuino a fornire informazioni sull’ecologia”. Il professor Steven Chowen, facente parte anche lui della School of Biological Sciences, ha aggiunto che la regione antartica è un laboratorio straordinario in cui studiare, lavorare e sperimentare per risolvere alcuni dei misteri più duraturi del mondo. 

Informazioni su Charles Darwin

Naturalista britannico, Charles Darwin è conosciuto per aver ideato la teoria dell’evoluzione della specie ad opera della selezione naturale. Nacque il 12 febbraio 1809 a Shrewsbury, rampollo di una ricca famiglia borghese. Fin dalla giovane età mostrò un interesse particolare per la natura, collezionando minerali e insetti. Da ricordare i suoi studi scientifici verso i mari del sud sull’imbarcazione Beagle. Nel corso di tali spedizioni, Darwin ebbe modo di scoprire fossili di animali estinti e di studiare animali e piante esotiche. Tra le sue ricerche più importanti quello sulla fauna delle isole Galàpagos e sulle caratteristiche fisiche e abitudini alimentari delle testuggini viventi su isole diverse. 

FONTI:

https://phys.org/news/2020-12-charles-darwin-insects-ability.html

http://www.ovovideo.com/charles-darwin/

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L’esilio di Dante

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Intorno al 1300 i Guelfi che governavano la città di Firenze con un moderato regime di popolo si divisero in due fazioni fortemente ostili, guidate da due delle famiglie più prestigiose della città: i Cerchi ed i Donati, entrambi abitanti nel rione di Porta San Piero.
A capo della famiglia Cerchi, vi era Vieri, che guidava una casa di mercanti ricchissimi, non di origini nobiliari ma molto potente in città. Corso Donati era invece il leader dell’altro schieramento e rappresentava una casa di nobili origini, meno ricchi dei rivali ma con una sinistra fama di professionisti della guerra.
Dante Alighieri, in quel tempo impegnato in politica appoggiava i Cerchi che abbandonando la Parte Guelfa, un organismo tutto magnatizio, si avvicinarono alle aspettative popolane confidando in questo modo di aumentare il proprio potere. Altre famiglie come quelle degli Abati e dei Cavalcanti sostenevano la causa dei Cerchi.
Non deve stupire che i magnati pur essendo esclusi dagli Ordinamenti di giustizia dalla principali istituzioni politiche della città, avessero una profonda influenza sugli assetti politici di Firenze. Questo potere derivava dal numero, dalla ricchezza, dalle clientele e soprattutto dalla forza militare che queste famiglie di magnati, nobili o meno che fossero, erano in grado di mettere in campo.
L’avvicinamento al popolo dei Cerchi, a partire dalla fine del 1299 fece si che i priorati fossero in maggioranza graditi alla fazione dei Bianchi. Questa situazione fece crescere enormemente la tensione in città ed a calendimaggio, una festa primaverile che cade intorno al 1 maggio, due bande di giovani, Bianchi e Neri, si scontrano. Uno dei giovani Cerchi viene ferito al naso e la famiglia giura vendetta.
Presto vennero a galla tutte le contraddizioni irrisolte della politica fiorentina e l’odio tra le due famiglie travalicò la sfera di una crisi interna magnatizia. I Cerchi ottennero l’appoggio dei ghibellini espropriati da qualunque posizione politica nel regime di popolo fiorentino e anche dei sostenitori dell’ala più radicale dei guelfi, rappresentata a suo tempo dall’esiliato Giano della Bella.
Il grande sponsor della causa guelfa era il Papato, all’epoca rappresentato da Bonifacio VIII, contrario ad una spaccatura del partito ma intenzionato in caso di rottura, ad appoggiare i Donati con cui aveva rapporti finanziari proficui e consolidati. Per cercare di comporre la crisi fiorentina il Papa inviò un suo emissario nella città toscana, il cardinale Matteo d’Acquasparta.
Il legato apostolico arrivò in città a giugno, ma se ne ripartì ben presto perché le fazioni non gli conferirono alcuna delega per prendere decisioni. Proprio nel momento del suo arrivo erano stati eletti i sei Priori che avrebbero avuto il compito delicatissimo di governare la città durante una delle sue crisi più gravi. Si trattava di un priorato abbastanza equilibrato con due componenti Neri, due Bianchi (uno di questi era Dante Alighieri) e due di cui non conosciamo l’esatta collocazione politica.
Il 23 giugno, vigilia della festa del Santo Patrono della città, i consoli delle Arti furono aggrediti e bastonati da alcuni magnati. I Priori indignati procedettero ad esiliare una serie di rappresentanti di entrambe le fazioni, mentre apparentemente i Bianchi accettarono la decisione della massima istituzione fiorentina, i Donati inizialmente si opposero, cercando addirittura l’appoggio armato di Lucca.
La fermezza del Priorato indusse alla fine i Donati ad accettare l’esilio non osando intraprendere da soli una guerra. Appena espulsi dalla città con una decisione certamente di parte i Priori consentirono ai Bianchi di rientrare a Firenze. Fallita la missione del cardinale d’Acquasparta che lasciò Firenze nel mese di settembre, si concluse anche il mandato bimestrale del priorato che annoverava Dante tra i suoi componenti.
Nel frattempo Corso Donati a Roma sollecitava il Papa ad intervenire per porre fine all’egemonia bianca su Firenze, facendo paventare al Pontefice un ritorno sulla scena politica della fazione ghibellina. Il 13 settembre 1301 una riunione plenaria di tutti i consigli fiorentini cercò di fare il punto della grave crisi in cui versava la città. Si sapeva che papa Bonifacio VIII era sempre più tentato di utilizzare l’esercito di Carlo di Valois, fratello del re di Francia, sceso in Italia per combattere gli Aragonesi in Sicilia contro la recalcitrante Firenze.
Alla fine nel mese di novembre il Valois entrò a Firenze con una visita di cortesia che mascherava la determinazione di riportare l’ordine papalino in città. Vi era entrato in pompa magna, con cavalli e fanti di picche, con l’intento ufficiale di riportare la pace tra le fazioni in lotta, e giurando solennemente di non arrecare danno alla città e alle sue istituzioni per nessuna ragione.
In realtà ben presto il Valois mostrò il suo vero volto, fece nominare come Podestà , Cante Gabrielli da Gubbio, uomo fedele alla Chiesa ed ai disegni politici di Bonifacio VIII (9 novembre 1301) ed iniziò a promulgare leggi sempre più dure. Con la compiacenza del Valois, i Neri iniziarono a rientrare alla spicciolata a Firenze, macchiandosi di saccheggi, omicidi ed atti di violenza.
Nell’ottobre 1302 il potere era ormai interamente in mano ai neri che si erano insediati in tutti gli uffici governativi con l’appoggio del papa e del Valois. Al 30 giugno 1302, termine della sua podesteria, Cante Gabrielli si era reso responsabile di 170 condanne a morte e dell’esilio di circa seicento cittadini della fazione dei bianchi. Uno di questi era Dante Alighieri.
Fonti:

  • alcune voci di Wikipedia
  • Dante, di A. Barbero
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Quanto è buio l’universo

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Sembra che il nostro universo sia permeato da un bagliore che non può essere spiegato dalle fonti conosciute come le stelle, le galassie o la polvere interstellare. Lo ha scoperto un team di ricercatori che ha analizzato le immagini scattate dal veicolo spaziale New Horizons della NASA.
Il veicolo spaziale New Horizons è una missione nata per studiare il pianeta nano Plutone le sue lune e i misteriosi e lontani oggetti che popolano la fascia di Kuiper, una regione del sistema solare che si estende da circa 30 UA, oltre l’orbita di Nettuno, fino a circa 50 UA dal Sole. Questa zona cela ciò che resta della formazione del Sistema Solare e potrebbe aiutarci a svelare molti misteri, compresa l’origine della vita.
New Horizons è stato il primo veicolo spaziale a raggiungere Plutone, che è considerato una reliquia della formazione del Sistema Solare. La sonda ha viaggiato per più di nove anni prima di raggiungere il suo obiettivo per poi inoltrarsi in una regione del Sistema Solare poco conosciuta, popolata da quelli che come Plutone appartengono alla categoria dei “pianeti nani”.
Secondo un rapporto della CBC , l’astronomo Tod Lauer, che collabora con il National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory (NOIRLab) della National Science Foundation, ha studiato le immagini ottenute dal veicolo spaziale New Horizons, cercando specificamente campi visivi che non includessero stelle e galassie per cercare di capire quanto fosse buio lo spazio.
Il rapporto ha citato l’intervista di Laurer con il conduttore di Quirks & Quarks Bob McDonald, dove ha l’astronomo raccontato che il team ha trovato un po ‘più di luce di quanta pensavano ci fosse o dovrebbe esserci.
Secondo l’astronomo, c’è un bagliore molto debole che è più di quanto possano spiegare da fonti conosciute come stelle, galassie o polvere interstellare.
“Questa è una piccola componente dell’universo che abbiamo scoperto”, ha affermato Laurer.
Lo studio di Lauer e dei suoi colleghi elimina così sistematicamente tutte le fonti di luce che potrebbero esserci per cercare di stabilire da dove sia la fonte del debole bagliore.
Dopo il fly-by con Plutone avvenuto nel 2015, la sonda  ha proseguito il suo viaggio verso le profondità del Sistema Solare. Il 1° gennaio 2019, la New Horizons ha sorvolato Ultima Thule, l’obiettivo più distante mai visitato da un veicolo costruito dall’uomo.
Le immagini hanno mostrato, nel punto più vicino, l’insolita forma del KBO. Lunga circa 35 chilometri, Ultima Thule è costituita da un lobo grande e piatto (soprannominato “Ultima”) collegato a un lobo più piccolo e rotondo (soprannominato “Thule”). La strana forma è stata la più grande sorpresa del flyby.
A marzo 2019, New Horizons si trovava a circa 6,6 miliardi di chilometri dalla Terra, e si muoveva nelle profondità nella fascia di Kuiper a quasi 53.000 chilometri l’ora. La missione New Horizons è estesa fino al 2021 per esplorare altri oggetti della Cintura di Kuiper.
Mentre il sistema solare interno è pieno di particelle di polvere che riflettono la luce del Sole, la New Horizons sta attualmente navigando in un luogo che è al di là dell’inquinamento luminoso causato dalla luce solare che rimbalza su polvere e detriti. Quindi dovrebbe essere in grado di vedere molto chiaramente l’oscurità dello spazio. Sebbene il team di scienziati abbia eliminato tutte le possibili fonti, non ha ancora alcuna buona spiegazione su quale potrebbe essere la fonte di luce residua. Una possibilità sono le stelle canaglia nello spazio intergalattico che sono troppo scure per essere viste come punti di luce, ha ipotizzato Lauer,
Lauer ha aggiunto che ci sono alcune speculazioni selvagge, inclusa una che ha a che fare con le interazioni tra particelle esotiche ancora ipotetiche di “materia oscura”.
Fonte: https://www.firstpost.com/tech/science/visuals-from-new-horizons-capture-faint-glow-of-visible-light-permeating-the-universe-9088791.html

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Competizioni con la sigaretta elettronica: il fenomeno del cloud chasing

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Quando lo statunitense Herbert A. Gilbert depositò il primo brevetto di una sigaretta elettronica nel lontano 1965, probabilmente non immaginava che attorno a quello strumento sarebbe potuto nascere un vero e proprio sport estremo.
Stiamo parlando del cloud chasing, una disciplina in cui i vaper si sfidano tra loro in pirotecniche evoluzioni con le proprie e-cig. La competizione ruota attorno alle forme e alle dimensioni delle nubi di vapore prodotte dai dispositivi, opportunamente settati per una produzione oltremodo abbondante.
Non bisogna immaginarsi la nuvoletta che esce solitamente dalle pod mod, piuttosto una vera e propria ciminiera di vapore denso e persistente che pervade l’aria. Ovviamente per farlo, i vaper che partecipano al contest devono possedere appositi hardware e allenarsi tantissimo per poter effettuare trick sempre nuovi e di grande impatto visivo.

Cosa serve per praticare il cloud chasing?

Le esibizioni dei vaper che praticano il cloud chasing ruotano principalmente intorno ad anelli di vapore fatti girare, volare e intersecare tra loro e impressionanti nubi sbuffate da bocca e naso. Le sigarette elettroniche per effettuare queste evoluzioni sono corredate di apposite componenti, tra cui:

  • Un atomizzatore rigenerabile
  • Un bocchino con foro molto ampio
  • Una box mod molto potente

L’atomizzatore da cloud presenta dei tratti caratteristici tipici della categoria, come la larghezza abbondante del deck, in cui si possono installare anche due o più resistenze. La camera di vaporizzazione deve essere molto spaziosa, in modo da dissipare le alte temperature che vengono a crearsi al suo interno, ed essere dotata di regolazione dell’aria.
Il bocchino, in gergo “drip tip”, deve essere di diametro interno largo, in modo da evitare la formazione di condensa, far passare una quantità esorbitante di vapore ed evitare di surriscaldarsi eccessivamente.
La box mod, ovvero il corpo dell’e-cig in cui si va ad alloggiare l’atomizzatore, deve essere in grado di erogare una potenza molto alta, così da azionare le resistenze in maniera efficiente. Nella maggior parte dei casi, infatti, vengono impiegati dispositivi dual battery.
Naturalmente, affinché la produzione di vapore sia quella desiderata, è necessario utilizzare delle coil appropriate e degli e-liquid di una certa densità.

Resistenze sub-ohm e liquidi svapo da cloud

Per poter creare delle nubi così corpose e persistenti, il vaper ha bisogno di settare il proprio dispositivo con resistenze elettriche di valore molto basso, che si approssima allo zero. Minore è questo numero, maggiore sarà la quantità di vapore sprigionato (ad esempio 0,2 Ohm).
Le coil necessarie a questo scopo sono fatte a mano e consistono in bobine di filo resistivo avvolto attorno ad una punta di diametro abbondante, solitamente oltre i 3mm. Una volta installate le resistenze prodotte nel deck dell’atomizzatore, viene inserito al loro interno del cotone da vape, che funge da veicolo per portare il liquido alle spire metalliche.
Fatto ciò, bisogna bagnare abbondantemente il cotone con i liquidi svapo scelti per l’occasione, anch’essi con precise caratteristiche. Gli e-juice da cloud chasing si possono acquistare già pronti oppure possono essere miscelati in maniera fai da te, ma per farlo è necessario utilizzare specifiche ricette.
I liquidi per le competizioni infatti, devono contenere una percentuale molto alta di glicerina vegetale (VG) e una minore di glicole propilenico (PG), in modo da favorire la vaporosità della miscela.
Una volta composta una base neutra di questo genere, ad esempio una 80 VG / 20 PG, si possono addizionare al mix delle fragranze concentrate, come ad esempio i nuovi aromi TNT Vape, per renderlo più piacevole al gusto.

Consigli utili per svapare in cloud chasing

Per addentrarsi nello svapo in cloud, è bene avere già un’ottima dimestichezza con la sigaretta elettronica e saper rigenerare la resistenza in maniera ottimale. Questo perché ci sono tutta una serie di passaggi intermedi da compiere prima di poter praticare questo “sport” in modo sicuro.
Praticare il cloud chasing comporta dei rischi, poiché si ha a che fare con dei veri e propri sistemi elettrici che vanno saputi gestire in modo consapevole.
Ecco alcuni elementi a cui bisogna prestare particolare attenzione:

  • Le batterie utilizzate devono essere di buona fattura e non essere logore.
  • La box mod deve essere in grado di supportare il valore delle coil installate.
  • Le mod meccaniche sono le più performanti per il cloud, ma per poterle utilizzare bisogna conoscere i fondamenti del circuito elettrico e le leggi di Ohm.
  • Se gestite in modo errato, le batterie possono esplodere, soprattutto nelle e-cig modificate per massimizzare la produzione del vapore.

Le sigarette elettroniche per le esibizioni non sono dunque assimilabili a quelle classiche utilizzate per smettere di fumare, ma dei veri e propri dispositivi per uso esclusivamente professionale.

Considerazioni finali

Come si racconta in un articolo di Sigmagazine sul cloud chasing, dietro questa disciplina si cela il lifestyle dei cloud chaser. Possedere l’ultimo atom o tubo meccanico uscito sul mercato è spesso una priorità per questi ragazzi, talvolta visti dall’esterno come esibizionisti.
La realtà dei fatti è che si tratta semplicemente di persone che amano lo svapo a tal punto da farne un vero e proprio stile di vita, una vocazione artistica a cui dedicare anima e corpo, giorno dopo giorno.
Le gare di cloud chasing, sono senza dubbio molto affascinanti dal punto di vista dello spettacolo, ma per potervi partecipare è fondamentale essere già esperti nell’utilizzo della sigaretta elettronica rigenerabile.
Il rischio di farsi male è assimilabile in tutto e per tutto agli sport estremi in cui si ha a che fare con dispositivi che possono esplodere o prendere fuoco, perciò è assolutamente raccomandato ai principianti di evitare qualsiasi tentativo.
La sigaretta elettronica rimane pur sempre uno strumento per la lotta al fumo di tabacco e il suo utilizzo in modalità differenti deve essere limitato a coloro che possiedono le nozioni adeguate per farlo.

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La Via Lattea da oggi ai prossimi 400.000 anni in time-lapse – video

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Come sarà il cielo notturno tra centinaia di migliaia di anni? Ci apparirà completamente diverso e i ricercatori hanno capito che aspetto avrà.
Nessuno di noi ha mai osservato 40.000 stelle cadenti nel cielo contemporaneamente ma, se volessimo osservarle, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ci mette a disposizione due possibilità: la prima è quella di osservare il cielo notturno per centinaia di migliaia di anni mentre il Sistema Solare si nuove tra le stelle della Via Lattea, oppure guardare la simulazione in un time-lapse della durata di 30 secondi di un panorama simile, messo a disposizione dall‘osservatorio spaziale Gaia dell’ESA.
Nella simulazione, 40.000 stelle, tutte poste entro 325 anni luce dal Sole, sfrecciano nello spazio, lasciando dietro di sé lunghe scie. Ogni punto di luce rappresenta un oggetto reale nella Via Lattea e ogni scia  identifica il movimento che la stella compie all’interno della nostra galassia in 400.000 anni. Le scie più luminose e veloci si trovano più vicino al nostro sistema solare, mentre quelle più lente e deboli si trovano molto più lontano.

Secondo i ricercatori dell’ESA, la simulazione mostra uno schema particolare: alla fine dell’animazione, la maggior parte delle stelle sembra raggrupparsi sul lato destro dello schermo, mentre la parte sinistra rimane relativamente vuota. Questo non per l’effetto di un buco nero o di qualche forza sconosciuta, semplicemente perché anche il nostro Sole si muove costantemente, facendo apparire le stelle in transito raggruppate nella direzione opposta.
I dati che hanno reso possibile la realizzazione di questo mosaico di lucciole cosmiche provengono dal terzo rilascio di dati ufficiale del satellite Gaia (EDR3), che è diventato disponibile al pubblico il 3 dicembre 2020. Il nuovo dump di dati contiene informazioni dettagliate su oltre 1,8 miliardi di oggetti celesti, incluso la posizione precisa, la velocità e le traiettorie orbitali di oltre 330.000 stelle entro un raggio di 325 anni luce dalla Terra, secondo un comunicato stampa dell’ESA. (Le 40.000 stelle rappresentate nella simulazione sono state scelte a caso).
Gaia è una missione del programma scientifico dell’ESA che ha il compito di realizzare una mappa tridimensionale della nostra galassia, rivelandone la composizione, la formazione e l’evoluzione.
Il lancio è stato effettuato il 19 dicembre 2013 con il vettore Soyuz-Fregat, l’orbita occupata dal satellite è quella intorno al punto di Lagrange L2.
Gaia è realizzata totalmente dall’ESA e consiste di due telescopi con campi di vista diversi e piano focale in comune, una serie di specchi e più di cento CCD che corrispondono a circa un miliardo di pixel.
La missione scansionerà la volta celeste misurando i moti di rotazione e di precessione del satellite: ogni regione del cielo viene osservata circa settanta volte durante la vita operativa del satellite. I dati verranno processati dal Data Processing and Analysis Consortium (DPAC), il consorzio di istituti di ricerca europei creato dagli scienziati europei in risposta a un Announcement of Opportunity dell’ESA.
Gaia sta raccogliendo dati astrometrici di oltre un miliardo di stelle con una precisione duecento volte maggiore dell’osservatorio Hipparcos e informazioni astrofisiche sulla luminosità nelle diverse bande spettrali che permetteranno lo studio dettagliato della nostra galassia. Il secondo rilascio di dati, che è avvenuto nel 2018, ha aiutato gli astronomi a assemblare la mappa più dettagliata dell’universo mai vista. La nuova, terza versione aggiunge circa 100 milioni di nuovi oggetti a quel tesoro, hanno detto i ricercatori dell’ESA.
Fonte: https://www.livescience.com/gaia-map-40000-stars.html

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Promuovere il proprio marchio con un portachiavi: consigli e vantaggi

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I portachiavi personalizzabili sono gadget che possono essere sfruttati con successo dalle aziende che desiderano farsi conoscere e promuovere il proprio marchio. Pensati e realizzati per poter durare a lungo nel tempo, i portachiavi si prestano a diverse lavorazioni che garantiscono il massimo della personalizzazione. Per esempio l’incisione laser, che è un trattamento a cui si ricorre di frequente per modificare gli accessori pubblicitari: si tratta di una tecnica di marcatura che assicura una finitura elegante in modo particolare per i portachiavi in metallo. In alternativa si può ricorrere alla stampa a resina, che permette di realizzare loghi con tanti colori differenti e molto ben protetti. Questa lavorazione, poi, conferisce ai portachiavi un effetto tridimensionale, reso possibile dalla presenza di uno strato di resina ad hoc, che contribuisce ad amplificare il senso di profondità.
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Perché scegliere i portachiavi personalizzati

In qualità di gadget promozionali, i portachiavi personalizzati sono destinati a durare nel tempo e a essere utilizzati a lungo da parte di coloro che li ricevono. La versatilità è uno dei punti di forza di questi oggetti, che possono avere forme tradizionali – quadrata, rettangolare, e così via – ma anche irregolari. Oltre alla stampa a resina e all’incisione laser, un’altra delle tecniche a cui si può fare riferimento per la produzione di questi portachiavi va individuata nella stampa a colori, che in genere viene sfruttata quando si ha a che fare con loghi semplici e un numero limitato di colori.

Le proposte di Gift Campaign

Se si è alla ricerca di portachiavi personalizzabili di alta qualità anche dal punto di vista estetico, la migliore azienda su cui si possa fare affidamento è Gift Campaign, specializzata in articoli promozionali e gadget aziendali. Si tratta di una realtà che vanta quasi 20 anni di esperienza in questo campo, essendo specializzata nella vendita di gadget personalizzati. Il team di Gift Campaign è sempre all’opera per selezionare i migliori articoli promozionali tra quelli messi a disposizione dai grossisti; offre, inoltre, un servizio di assistenza clienti ottimo e pronto a fornire tutte le informazioni desiderate.

Le campagne pubblicitarie basate sui portachiavi promozionali

Ma in che modo si può strutturare una campagna pubblicitaria fondata su questo tipo di gadget? In generale, quando si punta su una campagna di comunicazione tramite un oggetto è molto importante essere bravi nello sfruttare tutti i potenziali utilizzi dell’oggetto in questione. Nel caso di un portachiavi, per esempio, si ha a che fare con un accessorio senza tempo, molto comodo e che costa poco: ecco perché si tratta di una soluzione ideale, e può essere offerto non solo ai dipendenti, ma anche ai fornitori e ai clienti. Ognuno di noi usa i portachiavi tutti i giorni, anche più volte al giorno: di conseguenza il messaggio che si intende comunicare è destinato a essere trasmesso a un pubblico molto ampio.

Una questione di visibilità

I portachiavi pubblicitari assicurano risultati eccellenti dal punto di vista della visibilità, e proprio per questo motivo riscuotono un notevole apprezzamento da parte delle aziende. Qualunque promozione è destinata ad avere successo se è basata sulla diffusione dei portachiavi. Questi accessori hanno il pregio di poter essere usati sempre e ovunque, in qualunque momento dell’anno e in qualunque occasione. È come se si potesse contare su biglietti da visita portatili grazie a cui qualsiasi azienda si può far conoscere. Ogni volta che una persona prende in mano o usa il portachiavi contribuisce a mostrare il logo del marchio: a questo punto è facile capire perché questi oggetti siano così apprezzati dai professionisti del marketing.

Tante soluzioni differenti

Un altro aspetto che vale la pena di mettere in evidenza quando si parla dei portachiavi promozionali è la varietà di soluzioni a disposizione. Essi, infatti, possono essere progettati e realizzati in stili e colori differenti, per esempio per riprendere le tonalità cromatiche del logo aziendale o per andare incontro alle caratteristiche peculiari di un determinato evento. Con il passare del tempo il portachiavi ha ottenuto una buona dose di popolarità, e ancora adesso viene usato dalla maggior parte delle persone.
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Il successo dei portachiavi

Chiunque si innamora di un portachiavi promozionale, soprattutto se è stato creato con colori brillanti e con finiture di qualità, perché è pratico da usare ed è leggero: insomma, è facile da trasportare e lo si può tenere con sé in qualunque momento. il fatto che la produzione di un portachiavi presupponga un costo limitato, poi, è un ulteriore beneficio che non si può trascurare: insomma, è il regalo ideale per un evento commerciale, per una fiera o per qualsiasi altro tipo di appuntamento di carattere promozionale. In questo modo i clienti diventano in prima persona gli ambasciatori di un marchio, il che contribuirà a dare una spinta decisiva al business che si ha intenzione di promuovere.

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Starship, ancora un rinvio

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SpaceX, dopo un’attesa durata parecchie ore, ha avviato il conto alla rovescia per il primo lancio ad alta quota della Starship SN8, ma il computer di lancio ha interrotto la procedura a T -1,3 secondi per una non meglio precisata anomalia, probabilmente ai motori Raptor. Non è chiaro se l’anomalia si sia verificata su uno o tutti i tre motori Raptor montati su questa versione del prototipo di Starship o se un sensore ha rilevato qualche problema altrove nel razzo attivando automaticamente l’interruzione.
Se questo problema potrà essere diagnosticato e risolto subito, SpaceX potrebbe tentare oggi un nuovo lancio, più o meno negli stessi orari di ieri. La finestra di lancio sarà aperta va dalle 15.00 alle 24.00 ora italiana.
Quello odierno è il primo tentativo di SpaceX di far volare l’astronave ad alta quota: il programma prevede un lancio che porterà il velivolo fino a 12,5 km di quota. I test precedenti hanno visto l’astronave salire fino a circa 150 metri ma il prototipo non era completo di flap, cono e altre caratteristiche necessarie per controllare il volo del veicolo nella rarefatta atmosfera superiore.
A causa del nuovo profilo di volo, molto cose potrebbero andare storte con questo test. Dopo essere risalito alla sua altitudine massima, il veicolo eseguirà una manovra di rientro per atterrare sulle sue zampe come già fanno con successo i booster Falcon 9 di SpaceX. La Starship prenderà un assetto di discesa con un angolo di attacco di 70°. Quindi, vicino alla superficie, i tre motori raptor si riaccenderanno e il veicolo proverà ad effettuare l’atterraggio verticale.
Secondo Elon Musk, c’è circa una possibilità su tre che il veicolo atterri in sicurezza. Ci sono molte incognite riguardo a questo volo, e invece di testarle con ulteriori simulazioni, la compagnia ha scelto di andare avanti e provare il volo vero.
SpaceX può permettersi di farlo perché ha già quasi completato la costruzione del prototipo SN9; SN10 indietro di un paio di settimane e parti di molti altri veicoli sono in lavorazione. Con ogni veicolo, le saldature diventano più lisce e i processi di produzione più precisi. Le lezioni apprese da SN8 serviranno per la costruzione dei prototipi futuri.
Per raggiungere l’orbita, la Starship dovrà essere lanciata da un razzo chiamato Super Heavy. SpaceX ha iniziato a costruire una versione prototipo anche di questo razzo. Se SN8 o SN9 voleranno con successo, è possibile che SpaceX possa tentare un volo orbitale alla fine del prossimo anno. Entro un paio d’anni, Starship potrebbe iniziare a lanciare carichi utili molto grandi nello spazio, con possibili voli umani entro la metà del 2020.
Ma questo riguarda ciò che sarà. Oggi, o più tardi in questa settimana, si tratta di testare il prototipo, con i suoi nuovi motori Raptor, i grandi serbatoi di carburante in acciaio inossidabile, i flap e il complesso software di volo scritto per controllare l’assetto durante il volo del grande veicolo attraverso l’atmosfera.
Oggi si tratta di dare il nostro primo sguardo al futuro del volo spaziale.

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Studiare la storia della Terra per migliorare la ricerca della vita sugli esopianeti

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Il NASA Astrobiology Program cerca di dare una risposta alle domande sull’evoluzione e sull’origini della vita sulla Terra e sull’esistenza della vita al di fuori del nostro sistema solare.
UC Riverside è a capo di uno degli otto nuovi team di ricerca del programma della NASA e con le altre squadre costituisce il programma dell’ Interdisciplinary Consortia for Astrobiology Research della NASA.
Il team guidato dall’UCR vuole rispondere alla domanda fondamentale su come rilevare gli esopianeti che potrebbero ospitare la vita e mantenerla a lungo. Per questo occorre sviluppare la capacità di eseguire ricerche per scoprire i gas “biologici” presenti nelle atmosfere di pianeti distanti molti anni luce dalla Terra.
Come ha detto il biogeochimico dell’UCR e capo del progetto Timothy Lyons: “Per raggiungere questo obiettivo, la nostra ricerca si concentra sui molti e diversi capitoli della storia della Terra – o Terre alterative – che coprono miliardi di anni e offrono modelli critici per l’esame di esopianeti ben oltre il nostro sistema solare”.
Gli esopianeti sono distanti molti anni luce dalla Terra e forse non avremo mai la possibilità di visitarli in nessun modo. Nel prossimo futuro, ha aggiunto Lyons, gli scienziati disporranno di strumenti capaci di analizzare la composizione delle atmosfere degli esopianeti alla ricerca di gas come l’ossigeno e il metano che potrebbero essere rilasciati da forme di vita.
La Terra ha subito notevoli e drammatici cambiamenti negli ultimi 4,5 miliardi di anni, con importanti transizioni che si verificano nella tettonica delle placche, nel clima, nella chimica degli oceani, nella struttura dei nostri ecosistemi e nella composizione dell’atmosfera.
Lyons ha aggiunto: “Questi cambiamenti rappresentano un’opportunità. I diversi periodi della storia evolutiva della Terra forniscono scorci di molti mondi in gran parte alieni, alcuni dei quali potrebbero essere analoghi di stati planetari abitabili che sono molto diversi dalle condizioni sulla Terra attuale”.
Per il team di Lyon le nuove frontiere della ricerca includono studi sui primi 500 milioni di anni della Terra, nonché previsioni sul nostro pianeta e su come sarà la vita miliardi di anni nel futuro.
Lo studio dei gas biologici nel passato della Terra consentirà al team di progettare telescopi e perfezionare modelli interpretativi per osservare potenziali tracce di vita nelle atmosfere degli esopianeti lontani, ha osservato il biogeochimico della Georgia Tech Christopher Reinhard.
Una volta che i ricercatori hanno compreso come la Terra e la sua stella, il Sole, sono cambiate mantenendo gli oceani liquidi brulicanti di vita per miliardi di anni, il team può prevedere come altri sistemi planetari potrebbero aver sviluppato e mantenuto la vita e capire meglio come e dove cercarla.
Come ha spiegato l’astrobiologo Edward Schwiesterman: “Una tale missione sulla Terra primordiale deve includere un’ampia interdisciplinarietà all’interno del team, una sinergia di impatto all’interno e attraverso le reti di coordinamento della ricerca, o RCN, del programma di astrologia della NASA e un impegno per i risultati che aiuteranno a guidare la scienza della NASA per decenni verso vieni”.
Il successo di questa missione ha bisogno di competenze biologiche, chimiche, geologiche, oceanografiche e astronomiche. Il biogeochimico della Yale University Noah Planavsky ha detto: “il nostro team porta tutto questo in dote”. Di conseguenza, le diverse competenze all’interno del team vedono la presenza di astronomi, planetologi, geologi, geofisici, oceanografi, biogeochimici e geobiologi.
Il team raccoglierà campioni di antiche roccia e sedimenti moderni da tutto il mondo e utilizzerà i dati ottenuti per sviluppare modelli computazionali per gli oceani e le atmosfere antiche e future della Terra.
“I modelli consentiranno al team di valutare se diversi periodi della storia della Terra siano stati caratterizzati da gas che sarebbero stati rilevabili da una prospettiva distante come prodotti della vita, proprio come l’ossigeno imprime la vita sul nostro pianeta oggi”, ha affermato l’esoplanetologo Stephanie Olson della Purdue University Earth.
Questo lavoro impone una visione multiforme della Terra come un sistema complesso che è variato notevolmente nel tempo. Eppure, nonostante tutti i cambiamenti, la Terra è rimasta abitabile per miliardi di anni, con oceani di acqua liquida ricchi di vita.
Il modo in cui la Terra è diventata ed è rimasta abitabile e se la sua vita potrebbe essere rilevabile oggi o in passato da un osservatore distante sono le domande che alla fine definiranno e perfezioneranno la ricerca della vita sugli esopianeti.
“In breve”, ha detto Lyons, “l’entusiasmante obiettivo del nostro team è quello di fornire una nuova e più olistica visione della storia evolutiva della Terra al fine di indirizzare la ricerca specifica della NASA per la vita su mondi lontani”.
Le reti di coordinamento per la ricerca o RCN sono il nuovo volto dell’astrobiologia alla NASA, dopo 20 anni di entusiasmanti ricerche sotto l’egida del NASA Astrobiology Institute, che in precedenza aveva supportato il team guidato dall’UCR.
Il finanziamento di 4,6 milioni di dollari della NASA avrà una durata di cinque anni e includerà membri del team del Georgia Tech, Yale University, Purdue University, UCLA, NASA Ames Research Center e collaboratori da tutto il mondo.
Fonte: https://phys.org/news/2020-12-earth-history-life-exoplanets.html

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Un Gioviano caldo nella spirale della morte

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WASP-12b è uno dei mondi alieni più bizzarri che conosciamo. Questo esopianeta è quello che viene definito un “Gioviano caldo” un pianeta gassoso simile al gigante del Sistema Solare per massa e dimensioni che orbita molto vicino alla sua stella ospite WASP-12.
La stella  WASP-12 è una nana gialla poco più grande del Sole, distante dal Sistema Solare circa 1410 anni luce.
Il gigantesco WASP-12b ha un periodo orbitale di poco più di un giorno terrestre, il gigante gassoso orbita cosi vicino alla sua stella che rilascia nello spazio circostante parte della sua atmosfera.
L’arroventato gigante gassoso tuttavia, non morirà di morte lenta a causa della perdita della sua massa. Recenti e approfondite osservazioni hanno scoperto che percorre un’orbita in notevole decadimento. E, secondo una nuova ricerca, quell’orbita sta decadendo più velocemente di quanto inizialmente si ritenesse.
I calcoli precedenti ponevano la fine di WASP-12 tra circa 3,25 milioni di anni, mentre i nuovi calcoli hanno rivisto questa stima portandola a “soli” 2,9 milioni di anni.
Secondo i modelli di formazione planetaria oggi disponibili, esopianeti come WASP-12b, cioè i “Gioviani caldi” non dovrebbero esistere. I modelli dicono che i giganti gassosi non possono formarsi cosi vicini alla stella ospite, la gravità, le radiazioni e gli intensi venti stellari dovrebbero impedire al pianeta di aggregare cosi tanto gas. Il problema è che questi giganti gassosi esistono e ne sono stati rilevati diverse centinaia.
Non abbiamo idea di come questi giganti gassosi si formino, ma fortunatamente questi esopianeti esotici che orbitano particolarmente vicino alla loro stella ospite sono tra i più studiati. Le ricerche su questi bizzarri mondi ci diranno molto sulle interazioni mareali tra un pianeta e una stella.
WASP-12b è tra i Gioviani caldi più vicini alla sua stella ed è un ottimo esempio per studiare le interazioni mareali. La sua scoperta risale al 2008, e in tutto questo tempo gli astronomi hanno potuto raccogliere un set di dati relativamente corposo; e la sua orbita stretta ci da un’altro vantaggio, possiamo osservare molti transiti. Quando l’esopianeta passa tra noi e la stella, fa sì che la luce di quest’ultima si attenui leggermente.
Nel 2017 gli astronomi hanno notato qualcosa di strano sui transiti di WASP-12b. Si stavano verificando con una leggera variazione temporale rispetto a quanto avrebbero dovuto verificarsi, sulla base delle precedenti misurazioni del periodo orbitale.
Quella leggera variazione temporale potrebbe essere stata il risultato di una mutazione dell’orbita dell’esopianeta, quindi un team di astronomi guidato da Samuel Yee dell‘Università di Princeton ha deciso di esaminare attentamente non solo i transiti, ma anche le occultazioni, cioè quando l’esopianeta passa dietro la sua stella. Se WASP-12b stava mutando la sua orbita, le occultazioni dovrebbero essere leggermente ritardate.
Un transito causa una debole attenuazione della luce della stella; un’occultazione causa un oscuramento ancora più debole. Questo perché l’esopianeta, riflettendo il calore e la luce della stella, aumenta la luminosità complessiva del sistema quando non è occultato dalla stella.
WASP-12b è otticamente molto scuro; assorbe il 94 percento di tutta la luce che lo colpisce, rendendolo più nero dell’asfalto .
Gli astronomi ritengono che ciò sia dovuto al fatto che l’esopianeta è così caldo; a 2.600 gradi Celsius sul lato diurno, le molecole di idrogeno vengono scomposte in idrogeno atomico, facendo sì che la sua atmosfera si comporti più come quella di una stella di piccola massa. Ma poiché è così caldo, emette molta energia nella banda degli infrarossi.
La squadra di Yee ha usato il Telescopio Spaziale Spitzer per cercare di osservare le occultazioni. Sebbene abbiano osservato la stella, WASP 12, per 16 periodi orbitali, sono riusciti a trovare solo quattro deboli occultazioni nei dati e questo è stato sufficiente.
Queste occultazioni potrebbero essere abbinate ai transiti e i ricercatori hanno scoperto che le occultazioni si stavano verificando più rapidamente, in linea con un decadimento orbitale di 29 millisecondi all’anno. A quel ritmo, la durata della vita del pianeta era, calcolano gli astronomi, di circa 3,25 milioni di anni.
Ora, un nuovo team di ricercatori guidato da Jake Turner della Cornell University ha cercato i segni del decadimento orbitale in un diverso set di dati ottenuti dalle osservazioni effettuate dal telescopio della NASA per la caccia ai pianeti TESS, specificamente progettato per osservare transiti e occultazioni.
TESS ha studiato la regione del cielo che comprendeva WASP-12 dal 24 dicembre 2019 al 20 gennaio 2020. In questi dati, il team ha trovato 21 transiti. Le occultazioni erano troppo superficiali per essere rilevate individualmente, ma il team è stato in grado di modellarle per trovare una soluzione migliore ai i dati TESS.
I tempi di transito e occultazione sono stati combinati con i dati precedenti per un’analisi temporale. Turner e il suo team sono stati in grado di confermare il decadimento dell’orbita di WASP-12b. E sta decadendo un po ‘più velocemente di quanto si riteneva in precedenza, a una velocità di 32,53 millisecondi all’anno, per una durata totale di 2,9 milioni di anni.
Sembra un tempo molto lungo, ma su scale temporali cosmiche è praticamente un lampo. Il calcolo ha ridotto drasticamente la durata della vita dell’esopianeta rispetto ai 10 milioni di anni stimati che occorrerebbero per giungere alla sua fine a causa dello stripping atmosferico.
Studiare WASP-12b ci può insegnare molto. E sebbene sia l’unico esopianeta per il quale abbiamo prove solide del decadimento orbitale, ci sono altri esopianeti “Gioviani caldi” che dovrebbero mostrare tassi paragonabili di decadimento orbitale.
“Quindi, dati aggiuntivi potrebbero rivelare se [questi esopianeti] mostrano effettivamente un decadimento delle maree finora non rilevato o se le previsioni teoriche devono essere migliorate”, hanno scritto Turner e il suo team .
“Le osservazioni temporali di sistemi aggiuntivi sono garantite perché ci aiutano a comprendere la formazione, l’evoluzione e il destino finale dei Gioviani caldi”.
Fonte: https://www.sciencealert.com/one-of-the-hottest-blackest-planets-in-the-galaxy-is-headed-for-a-fiery-death

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