mercoledì, Gennaio 15, 2025
Home Blog

Un congelamento improvviso spazzò via l’Homo erectus in Europa

0
Un congelamento improvviso spazzò via l'Homo erectus in Europa
Un congelamento improvviso spazzò via l'Homo erectus in Europa

I primi esseri umani d’Europa, una popolazione della specie umana arcaica Homo Erectus, furono probabilmente spazzati via da un “evento di congelamento estremo” circa 1,1 milioni di anni fa.

L’evento di diminuzione della temperatura, precedentemente sconosciuto, coincide con ciò che si sa sull’abitazione umana del continente, suggeriscono i ricercatori. Fossili e strumenti di pietra mostrano che l’Homo Erectus era arrivato in Europa dall’Asia tra 1,8 milioni e 1,4 milioni di anni fa, ma sembra che si sia estinto in tutta Europa circa 1,1 milioni di anni fa.

La prova successiva di esseri umani arcaici in Europa risale a circa 900.000 anni fa, forse dopo che una specie successiva e più robusta, Homo antecessor, arrivò lì dall’Africa o dall’Asia.

“C’è un apparente divario di 200.000 anni”, ha detto l’autore senior dello studio Chronis Tzedakis, paleoclimatologo dell’University College di Londra. Questo divario si verifica contemporaneamente alla nuova fase di congelamento, il che suggerisce che il freddo ha guidato o spazzato via qualsiasi essere umano arcaico.

Prove oceaniche

I ricercatori hanno trovato prove del congelamento nei nuclei di sedimenti marini campionati dal fondo dell’oceano al largo della costa del Portogallo. La loro analisi degli isotopi elementari nei resti di plancton marino sia dalla superficie dell’oceano che dal fondo dell’oceano, insieme a un’analisi dei granelli di polline dalla vegetazione terrestre, ha mostrato un brusco congelamento circa 1,15 milioni di anni fa.

Tzedakis ha dichiarato che la temperatura dell’acqua vicino a Lisbona – che ora è in media di circa 70 gradi Fahrenheit (21 gradi Celsius) – è scesa a circa 43F (6C), mentre la massa continentale dell’Europa ha subito una fase fredda simile, che potrebbe aver causato il suo ghiaccio settentrionale che poi successivamente è avanzato verso sud.

I ricercatori hanno anche determinato che c’era stato un afflusso sostenuto di acqua fredda a partire da circa 1,13 milioni di anni fa, che hanno interpretato come acqua di fusione dalla disintegrazione delle calotte glaciali europee mentre il continente si riscaldava.

Il nostro pianeta ha attraversato numerose fasi fredde e calde e le linee temporali convenzionali suggeriscono che un’era glaciale ha raggiunto il picco circa 900.000 anni fa, sostiene Tzedakis. Sebbene ci siano stati suggerimenti di un periodo freddo ancora precedente circa 1,1 milioni di anni fa, non c’erano prove concrete di ciò prima d’ora, ha detto.

La ragione principale del congelamento sembra essere stata astronomica: l’influenza gravitazionale di Giove significava che l’orbita terrestre in quel momento era approssimativamente circolare attorno al Sole – una circostanza associata ad altre fasi di congelamento nel clima del nostro pianeta.

Il periodo è stato anche contrassegnato da un calo significativo del livello del gas serra di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre, ma non è noto se questa sia stata la causa del congelamento o una sua conseguenza.

Freddo intenso

La nuova ricerca fornisce anche una ricostruzione dettagliata, condotta dal coautore dello studio Axel Timmermann, uno scienziato del clima presso l’Institute for Basic Science in Corea del Sud, rivelando che il congelamento estremo avrebbe reso l’Europa troppo fredda per gli esseri umani arcaici.

Il freddo avrebbe reso più difficile per loro trovare cibo, poiché sarebbero sopravvissuti meno piante e gli animali che li mangiavano. Inoltre, gli stessi umani arcaici non erano adatti al freddo.

Gli autori hanno scritto che il peggioramento dell’ambiente “avrebbe sfidato piccole bande di cacciatori-raccoglitori, aggravato dalla probabilità che i primi ominini non avessero un sufficiente isolamento del grasso e i mezzi per accendere il fuoco, vestiti efficaci o rifugi, portando a una resilienza della popolazione molto inferiore”.

Il paleoantropologo Michael Petraglia, direttore dell’Australian Center for Human Evolution presso la Griffith University di Brisbane, ha affermato che il nuovo studio “aveva senso”.

“Le prove ambientali, fossili e archeologiche sono in buon accordo per l’abbandono regionale e forse anche per l’estinzione delle prime popolazioni umane”, ha detto in una e-mail.

Petraglia non è stato coinvolto nella ricerca, ma ha notato la sua rilevanza per lo studio moderno del cambiamento climatico.

“Questa è una storia di come la variabilità climatica abbia avuto effetti profondi sulle popolazioni di ominidi in passato, con implicazioni per tutta l’umanità di oggi che deve affrontare eventi meteorologici estremi e cambiamenti negli ecosistemi”, ha concluso.

Fonte: Science

Il mistero del mosasauro fantasma: una scoperta messa in discussione

0
Il mistero del mosasauro fantasma: una scoperta messa in discussione

Un nuovo studio getta ombre sulla scoperta di una nuova specie di mosasauro, mettendo in discussione l’autenticità di un fossile che aveva fatto scalpore nel mondo scientifico.

Il mistero del mosasauro fantasma: una scoperta messa in discussione

Mosasauro misterioso: un falso fossile minaccia di riscrivere la storia dei rettili marini

Nel 2021, la scoperta di una mascella parziale e di quattro denti affilati in Marocco aveva portato alla descrizione di una nuova specie di mosasauro, il Xenodens calminechari. La sua caratteristica più distintiva erano i denti piccoli, corti e simili a lame, disposti in modo da formare una sorta di sega. Questa peculiarità anatomica, unica nel suo genere tra i rettili marini, aveva affascinato i paleontologi di tutto il mondo.

Un recente studio ha sollevato seri dubbi sull’autenticità di questo fossile. Un team di ricercatori, guidati da Henry Sharpe dell’Università di Alberta, ha individuato una serie di incongruenze anatomiche che suggeriscono che la mascella potrebbe essere stata manipolata o addirittura creata ex novo.

Cosa non quadra? Due dei denti del mosasauro sono incastrati in un unico alveolo dentale, una caratteristica mai osservata in nessun altro mosasauro. Normalmente, ogni dente ha il proprio alveolo. Gli alveoli dentali del Xenodens sono formati da osso prodotto dai denti stessi, un’altra anomalia che contrasta con la struttura dei mosasauri conosciuti.

Queste discrepanze hanno portato i ricercatori a sospettare che il fossile sia un falso, assemblato artificialmente per creare una nuova e spettacolare specie. Se si confermasse che il  mosasauro è un falso, le implicazioni sarebbero significative per la paleontologia. Non solo si perderebbe una scoperta importante, ma si solleverebbero interrogativi sulla validità di altre scoperte paleontologiche. Inoltre, questo caso sottolinea l’importanza di una rigorosa analisi critica dei fossili, soprattutto quando si tratta di descrivere nuove specie.

I ricercatori hanno chiesto che il fossile venga sottoposto a una tomografia computerizzata (TC) per verificare la sua autenticità. Questa tecnica di imaging non invasiva permetterà di esaminare la struttura interna della mascella e di individuare eventuali segni di manipolazione: “Se questo fossile è davvero un falso, dovrebbe essere dimostrato dalla letteratura pubblicata che si tratta di un falso”, ha affermato Henry Sharpe.

I mosasauri erano dei veri e propri ‘cambia-denti’ naturali”, ha spiegato Henry Sharpe: “Sostituivano continuamente i loro denti per tutta la vita. Ogni volta che un dente cadeva, lasciava una cavità piuttosto grande, che veniva poi riempita dal dente successivo. Questo meccanismo assicurava che i denti fossero sempre saldamente ancorati alla mascella“.

Nel caso del mosasauro in questione, c’è qualcosa che non torna. Due dei denti presentano una sovrapposizione anomala, una sorta di “strato extra” che ricopre parzialmente la loro superficie. Questa caratteristica è del tutto inusuale nei mosasauri: “Normalmente, i denti dei mosasauri crescono allineati alla mascella,” ha precisato: “Questa sovrapposizione è un segnale molto forte che qualcosa non va”.

Dubbi sull’autenticità di una nuova specie di mosasauro

Perché questa sovrapposizione è così importante? Semplicemente perché è un indizio molto forte di una possibile manipolazione del mosasauro. È come se qualcuno avesse cercato di “aggiustare” i denti, sovrapponendoli artificialmente. Questo tipo di intervento è tipico delle falsificazioni, dove si cerca di creare un fossile più completo o più attraente. In sostanza, questa anomalia dentale, unita ad altre incongruenze già evidenziate nel fossile, rafforza l’ipotesi che il Xenodens calminechari potrebbe essere un falso.

Inoltre, due dei denti presentano una anomalia inusuale: una sorta di ‘strato extra’ che li ricopre parzialmente, chiamato ‘sovrapposizione mediale’. Questa caratteristica è del tutto inattesa nei mosasauri, dove i denti si sviluppano in modo preciso e allineato alla mascella. Secondo Mark Powers, dottorando all’Università di Alberta, questa sovrapposizione è un chiaro segnale di una possibile manipolazione del fossile. È come se qualcuno avesse cercato di ‘aggiustare’ i denti, sovrapponendoli artificialmente. Va inoltre considerato che il fossile non è stato rinvenuto da esperti paleontologi, ma in una miniera nota per la presenza di fossili alterati, il che aumenta ulteriormente i sospetti.

Sharpe e il suo team speravano di sottoporre il fossile a una TAC per chiarire i dubbi sull’autenticità. Tuttavia, i tentativi di contattare Nick Longrich, autore principale dello studio originale, sono stati infruttuosi. Longrich avrebbe chiesto a Sharpe se stesse scrivendo un articolo e, in caso affermativo, qual era l’angolazione. Questa reazione ha allarmato il ricercatore, che ha sottolineato l’importanza di condividere le informazioni su un olotipo, l’esemplare di riferimento di una nuova specie: “È totalmente immorale che lui lo richieda“, ha affermato lo studioso, evidenziando come questo comportamento possa ostacolare la ricerca scientifica e la verifica delle scoperte.

Paulina Jiménez-Huidobro, paleontologa dell’Università di Bonn, non coinvolta nelle ricerche, conferma le perplessità sollevate dal nuovo studio. Secondo l’esperta, la dentatura del fossile presenta anomalie sia nella forma che nell’inserimento nei rispettivi alveoli. La presenza di più denti all’interno di un singolo alveolo è un chiaro indicatore che: “Quei denti non appartengono a quella mascella”.

Conclusioni

La mancanza di una normativa specifica per la tutela dei fossili in Marocco rappresenta un ostacolo significativo per le ricerche paleontologiche nel paese. Come ha sottolineato Wahiba Bel Haouz, ricercatrice marocchina, questa lacuna legislativa favorisce la diffusione di reperti falsificati. La possibilità di sottoporre il fossile di Xenodens a una tomografia computerizzata, uno strumento fondamentale per verificarne l’autenticità, è purtroppo limitata da questa situazione: “È un peccato che non possiamo utilizzare questa tecnologia per chiarire i nostri dubbi”, ha concluso Bel Haouz.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista The Anatomical Record.

Starship ferma ai box: nuovo lancio posticipato di 48 ore

0
Starship ferma ai box: nuovo lancio posticipato di 48 ore

Elon Musk e SpaceX hanno annunciato un rinvio di 48 ore per il settimo lancio di prova del loro ambizioso razzo Starship. La notizia è stata diffusa tramite X (ex Twitter), ma la società non ha fornito dettagli specifici sui motivi del posticipo.

Starship ferma ai box: nuovo lancio posticipato di 48 ore

SpaceX rimanda il lancio di Starship: un nuovo tentativo mercoledì 15 gennaio 2025

Le possibili cause del rinvio sono molteplici. Potrebbe trattarsi di condizioni meteorologiche avverse che non garantiscono la sicurezza del lancio, oppure di un problema tecnico rilevato durante i controlli pre-volo. Non è escluso che SpaceX stia semplicemente prendendo ulteriore tempo per affinare alcuni aspetti del sistema prima di tentare il lancio.

Nonostante il ritardo, l’entusiasmo per questo storico lancio rimane alto. SpaceX ha confermato che il nuovo tentativo di far volare la Starship è previsto per mercoledì 15 gennaio. Questo potente razzo, alto ben 120 metri, è destinato a rivoluzionare l’esplorazione spaziale.

Starship è il razzo più potente mai costruito dall’uomo, capace di generare una spinta di 17 milioni di libbre al decollo. Sviluppato da SpaceX con l’obiettivo di rendere i viaggi spaziali più accessibili e convenienti,  è destinato a svolgere un ruolo chiave nelle future missioni spaziali. La NASA, ad esempio, ha già espresso il suo interesse a utilizzare Starship per portare astronauti sulla Luna e su Marte.

Durante il lancio, il razzo, composto dal primo stadio Super Heavy e dalla navicella spaziale Starship, si alzerà in volo verso il cielo. Gli ingegneri di SpaceX monitoreranno attentamente ogni fase del volo, raccogliendo dati preziosi per migliorare le future missioni. Questa missione rappresenta un passo fondamentale verso il futuro dell’esplorazione spaziale. Questo razzo potrebbe un giorno permetterci di colonizzare Marte, di costruire basi lunari e di esplorare gli angoli più remoti del nostro sistema solare.

Un passo avanti verso il futuro dell’esplorazione spaziale

Il razzo, un colosso spaziale capace di generare una spinta di 17 milioni di libbre, ha compiuto il suo primo volo nel 2023. Sviluppato da SpaceX, questo sistema di lancio è destinato a diventare lo strumento principale per le future missioni spaziali, tra cui le missioni Artemis della NASA sulla Luna. La NASA, infatti, ha già siglato un accordo con SpaceX per utilizzare Starship per il trasporto di equipaggi e carichi utili verso il nostro satellite naturale e, in futuro, verso Marte.

Il prossimo volo di prova di Starship vedrà il debutto di nuove tecnologie e sistemi di bordo. Inoltre, la missione sarà caratterizzata dal rilascio di 10 satelliti simulati, progettati per validare le procedure di separazione del carico utile e le capacità di manovra del razzo in orbita.

I test di volo hanno lo scopo di validare le procedure di lancio, atterraggio e recupero del veicolo. Il successo della manovra di cattura del booster durante il quinto test ha rappresentato una significativa dimostrazione delle capacità del sistema di rientro e recupero. Sebbene non sia stata ripetuta nel sesto test, questa manovra rientra nei piani di volo per il settimo lancio.

Dopo sei voli di prova nel 2023 e 2024, SpaceX punta a intensificare significativamente i lanci. L’azienda ha infatti richiesto l’autorizzazione per effettuare fino a 25 missioni nel prossimo anno, un chiaro segnale della volontà di accelerare lo sviluppo e la messa in servizio di questo ambizioso sistema di lancio.

L’obiettivo è quello di incrementare il tasso di produzione e di lancio del sistema, al fine di validare le tecnologie e i processi operativi necessari per un utilizzo commerciale su larga scala e di raggiungere una cadenza di 25 missioni annue. Questa ambiziosa programmazione ci fa presagire un futuro ricco di sorprese e di progressi nel campo dell’esplorazione spaziale.

Se vuoi seguire in diretta il lancio di Starship, ti consigliamo di consultare il sito web di SpaceX o i suoi canali social. In genere, l’azienda trasmette in diretta tutti i suoi lanci, offrendo agli spettatori la possibilità di assistere a questo evento storico da casa.

Conclusioni

Il recente annuncio di SpaceX di posticipare il settimo lancio di prova ha suscitato un misto di curiosità e attesa nel mondo aerospaziale. La decisione di rimandare il decollo di 48 ore, pur non essendo stata motivata in dettaglio dall’azienda, sottolinea l’importanza che SpaceX attribuisce alla sicurezza e alla perfezione di ogni singolo lancio.

il rinvio del lancio di Starship, pur essendo un piccolo intoppo nel percorso, dimostra l’impegno di SpaceX per l’eccellenza e la sicurezza. Ogni ritardo rappresenta un’opportunità per migliorare il sistema e avvicinarsi sempre di più all’obiettivo finale: rendere i viaggi spaziali una realtà accessibile a tutti.

Paraparticelle “impossibili”: La fisica scrive un nuovo capitolo su una 3^ opzione

0
Particelle "impossibili": La fisica scrive un nuovo capitolo su una 3^ opzione

Un gruppo di ricercatori ha proposto l’esistenza di un nuovo tipo di paraparticelle, che non rientra nelle categorie tradizionali di fermioni e bosoni. Questa scoperta potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione della materia e delle forze fondamentali.

Paraparticelle "impossibili": La fisica scrive un nuovo capitolo su una 3^ opzione

Paraparticelle: una nuova frontiera della fisica quantistica

La fisica quantistica, quella disciplina che studia il comportamento della materia a livello atomico e subatomico, ci ha abituati a sorprese. Da decenni, sappiamo che le particelle elementari possono essere classificate in due grandi famiglie: i fermioni e i bosoni. I primi, come elettroni e quark, obbediscono al principio di esclusione di Pauli, che vieta a due fermioni identici di occupare lo stesso stato quantico. I secondi, come i fotoni, non hanno tale restrizione e possono occupare lo stesso stato.

Un recente studio condotto dai fisici della Rice University ha aperto nuove prospettive in questo campo. I ricercatori hanno dimostrato, attraverso calcoli teorici, la possibile esistenza di un terzo tipo di particella, denominata “paraparticella“. Queste particelle, pur non violando le leggi fondamentali della fisica, presentano caratteristiche intermedie tra fermioni e bosoni, offrendo così una nuova sfumatura alla nostra comprensione della materia.

Le paraparticelle sono caratterizzate da una statistica intermedia, che non corrisponde né a quella di Fermi-Dirac (per i fermioni) né a quella di Bose-Einstein (per i bosoni). Questa peculiarità si manifesta nel modo in cui le paraparticelle possono occupare gli stati quantistici. A differenza dei fermioni, più paraparticelle possono occupare lo stesso stato, ma con alcune restrizioni che dipendono dal tipo di parastatistica considerato.

È importante sottolineare che al momento l’esistenza delle paraparticelle è puramente teorica. Non sono state ancora osservate sperimentalmente, e la loro realizzazione in laboratorio rappresenta una sfida complessa. Nonostante ciò, lo studio delle paraparticelle rappresenta un campo di ricerca estremamente attivo e promettente, che potrebbe portare a scoperte rivoluzionarie nel campo della fisica.

La scoperta delle paraparticelle ha suscitato grande interesse nella comunità scientifica. Attualmente, diversi gruppi di ricerca stanno lavorando allo sviluppo di sistemi sperimentali in grado di creare e manipolare queste particelle esotiche. Le potenziali applicazioni delle paraparticelle sono molteplici, dalla realizzazione di qubit topologici per i computer quantistici allo sviluppo di nuovi materiali con proprietà uniche. Inoltre, lo studio delle paraparticelle potrebbe fornire importanti indizi sulla natura della materia oscura e sulle interazioni fondamentali.

Gli anyon

Immaginiamo di avere delle monete speciali che, anziché avere due facce (testa o croce), possono assumere un’infinità di posizioni intermedie. Queste monete sarebbero l’equivalente quantistico degli anyon: particelle che sfidano le nostre intuizioni classiche e si comportano in modo del tutto inatteso.

Gli anyon, pur essendo un concetto interessante, non rappresentano una nuova particella fondamentale nel senso tradizionale. Sono piuttosto un espediente matematico che ci aiuta a comprendere meglio i fenomeni quantistici in sistemi bidimensionali. Sono come un puzzle che ci permette di esplorare le leggi della fisica da una prospettiva diversa.

La parastatistica rappresenta un’estensione delle statistiche di Fermi-Dirac e Bose-Einstein. Sebbene non ci siano prove sperimentali dell’esistenza di paraparticelle nel nostro Universo, lo studio di questi oggetti matematici ci permette di esplorare le possibili generalizzazioni delle teorie quantistiche e di identificare nuove simmetrie.

Nonostante i numerosi tentativi, la parastatistica non è riuscita a fornire una descrizione della natura che fosse più accurata o completa di quella basata sulle statistiche di Fermi-Dirac e Bose-Einstein. Le teorie sviluppate nell’ambito della parastatistica, pur interessanti dal punto di vista matematico, non hanno portato a nuove predizioni sperimentali che le distinguessero dai modelli convenzionali.

Introducendo una seconda quantizzazione, Wang e Hazzard hanno dimostrato che le correlazioni a molti corpi possono indurre comportamenti quasi-particellari con statistiche frazionarie anche in sistemi tridimensionali. Questa scoperta apre nuove prospettive per lo studio dei sistemi fortemente correlati e delle loro proprietà emergenti.

Conclusioni

La parastatistica è come un’isola deserta che gli scienziati stanno esplorando. Non sappiamo ancora se troveremo tesori nascosti o se l’isola sarà completamente disabitata. L’esplorazione di questo territorio sconosciuto è tuttavia fondamentale per ampliare i nostri orizzonti e comprendere meglio il mondo che ci circonda. Come ha concluso Wang: “Anche se non troviamo subito ciò che cerchiamo, il viaggio in sé è già una scoperta”.

La ricerca è stata pubblicata su Nature.

Swippitt, da 0 a 100 in 3 secondi: la rivoluzione della ricarica

0
Swippitt, da 0 a 100 in 3 secondi: la rivoluzione della ricarica

Nell’era digitale, dove siamo incollati ai nostri smartphone, l’ansia da batteria scarica è diventata una costante. Ma al CES 2025 è arrivata una ventata di novità che potrebbe cambiare radicalmente le nostre abitudini: Swippitt. Questo innovativo dispositivo promette di ricaricare il tuo smartphone in pochi secondi, eliminando di fatto il problema della batteria a corto di energia.

Swippitt, da 0 a 100 in 3 secondi: la rivoluzione della ricarica

Swippitt: la rivoluzione della ricarica istantanea

Immagina di avere un tostapane che, invece di tostare il pane, sostituisce la batteria scarica del tuo telefono con una nuova. Questo è essenzialmente ciò che fa Swippitt. Il sistema si compone di due elementi chiave: l’Hub e la custodia, chiamata Link. Quest’ultima, che si applica al tuo smartphone, contiene una batteria integrata. Quando inserisci il telefono nell’Hub, avviene una sostituzione istantanea: la batteria scarica viene rimossa e sostituita con una completamente carica, pronta a offrirti ore di autonomia aggiuntiva.

Il processo è sorprendentemente rapido, richiedendo solo pochi secondi. Questa velocità è possibile grazie a un meccanismo interno che permette di sostituire le batterie in modo efficiente e sicuro. All’interno dell’Hub sono presenti diverse batterie di riserva, che vengono caricate automaticamente quando una batteria scarica viene inserita.

Quali sono i vantaggi di Swippitt? Innanzitutto, la velocità di ricarica è imbattibile. Dici addio alle lunghe attese per ricaricare completamente il tuo smartphone. Inoltre, avere sempre una batteria di riserva a portata di mano ti garantisce la massima tranquillità, evitando di rimanere senza energia nei momenti cruciali. L’app dedicata ti permette di personalizzare l’esperienza, controllando lo stato delle batterie e impostando la percentuale di carica desiderata.

Ovviamente, come ogni innovazione, anche Swippitt presenta alcuni aspetti da considerare. La custodia, con la batteria integrata, rende lo smartphone leggermente più spesso, e il costo del dispositivo e delle batterie di ricambio potrebbe essere un deterrente per alcuni utenti. Inoltre, la dipendenza da un ecosistema proprietario limita la flessibilità.

Il nuovo dispositivo rappresenta un passo avanti significativo nel campo della ricarica dei device mobili. Tuttavia, per diventare una soluzione mainstream, sarà necessario affrontare alcune sfide, come la riduzione dei costi e l’aumento della compatibilità con diversi modelli di smartphone. Nonostante ciò, il concetto alla base è interessante e apre la strada a nuove possibilità nel futuro della ricarica.

Confronto qualità-prezzo

Questa comodità ha un prezzo: l’Hub viene venduto a 450 dollari e la custodia a 120 dollari. Nonostante le interessanti promozioni di lancio, come lo sconto del 30% e lo sconto aggiuntivo per il CES, il costo totale rimane elevato. Investire in Swippitt significa fare un salto di qualità nella gestione della batteria del proprio smartphone, ma è un investimento che non tutti saranno disposti a sostenere.

Approfittando degli sconti attuali, è possibile acquistare l’Hub e la custodia a un prezzo più accessibile. Tuttavia, anche con le promozioni, il costo rimane elevato, posizionando Swippitt come un prodotto premium destinato a un pubblico esigente e disposto a investire nella tecnologia più avanzata.

Il costo è indubbiamente elevato, ma è importante considerare i vantaggi che offre. La possibilità di ricaricare il proprio smartphone in pochi secondi, senza interruzioni e con la massima comodità, ha un valore inestimabile per molti utenti. Inoltre, la qualità costruttiva e le funzionalità avanzate dell’Hub e della custodia giustificano in parte il prezzo. Tuttavia, è innegabile che si tratta di un prodotto di nicchia, destinato a un pubblico disposto a spendere per la tecnologia più innovativa.

Per avere un quadro completo, è necessario confrontare il prezzo di Swippitt con quello di altre soluzioni presenti sul mercato, come i power bank tradizionali o i sistemi di ricarica wireless. Il dispositivo offre una serie di vantaggi unici, come la velocità di ricarica e la comodità d’uso, che potrebbero giustificare la spesa. Tuttavia, è fondamentale valutare le proprie esigenze e il proprio budget prima di prendere una decisione.

Conclusioni

Swippitt rappresenta un’innovazione interessante, ma solleva alcune domande. Acquistare cinque batterie di ricambio è un investimento non indifferente. Inoltre, le cover degli smartphone moderni sono progettate per essere difficili da rimuovere, e l’aggiunta di una custodia specifica potrebbe rendere il telefono meno maneggevole. Tuttavia, l’idea di riportare in auge le batterie intercambiabili è affascinante, soprattutto in un’epoca in cui i telefoni sono sempre più integrati.

L’investimento iniziale è elevato e la necessità di utilizzare una custodia specifica potrebbe limitare la scelta dell’utente. Inoltre, la rimozione frequente della batteria potrebbe potenzialmente danneggiare il telefono. Nonostante questi aspetti negativi, l’idea di avere una batteria sempre carica è allettante e potrebbe conquistare un pubblico di nicchia.

Mentre i power bank sono più economici e versatili, Swippitt offre una velocità di ricarica ineguagliabile e una maggiore comodità. Il costo più elevato e la necessità di una custodia specifica potrebbero tuttavia far pendere l’ago della bilancia verso soluzioni più tradizionali.

La realtà non esiste se non la si guarda. E il tempo non ha direzione

0
La realtà non esiste se non la si guarda. E il tempo non ha direzione
La realtà non esiste se non la si guarda. E il tempo non ha direzione

La fisica quantistica è un mondo strano. Studia le particelle subatomiche, che sono gli elementi costitutivi essenziali della realtà.

Le leggi quantistiche tendono a contraddire il buon senso. A quel livello, una cosa può essere due cose diverse contemporaneamente ed essere in due posti diversi allo stesso tempo. Due particelle possono essere entangled e, quando una cambia il suo stato, anche l’altra lo farà immediatamente, anche se si trovano alle estremità opposte dell’universo, apparentemente agendo più velocemente della velocità della luce.

Le particelle possono anche attraversare oggetti solidi, che normalmente dovrebbero essere barriere impenetrabili, come un fantasma che passa attraverso un muro. E ora gli scienziati hanno dimostrato che, ciò che sta accadendo a una particella ora, non è governato da ciò che le è successo in passato, ma da quale stato si trova in futuro, il che significa in effetti che, a livello subatomico, il tempo può andare indietro.

Per confonderti ulteriormente, tutto questo dovrebbe accadere proprio ora nelle particelle subatomiche che compongono il tuo corpo.

Se tutto questo sembra del tutto incomprensibile e suona decisamente assurdo, sei in buona compagnia. Einstein lo chiamò “azione spettrale a distanza” e Niels Bohr, un pioniere della teoria quantistica una volta disse: “se la meccanica quantistica non ti ha profondamente scioccato, non l’hai ancora capita”.

In questo ultimo esperimento, condotto da scienziati dell’Australian National University, il ricercatore Andrew Truscott ha affermato in un comunicato stampa di aver dimostrato che “la realtà non esiste se non la si guarda”.

Gli scienziati hanno dimostrato molto tempo fa che una particella di luce, chiamata fotone, può essere sia un’onda che una particella utilizzando il cosiddetto esperimento della doppia fenditura. Ha mostrato che quando la luce viene irradiata da due fenditure in uno schermo, un fotone è in grado di passare attraverso una di esse come una particella ed entrambe come un’onda.

New.com.au spiega,

“I fotoni sono strani. Puoi vedere tu stesso l’effetto quando fai luce attraverso due fessure strette. La luce si comporta sia come una particella, passando attraverso ciascuna fessura e proiettando luce diretta sulla parete dietro di essa, sia come un’onda, generando uno schema di interferenza che risulta in più di due strisce di luce”.

La fisica quantistica postula che la ragione di ciò è che una particella manca di proprietà fisiche definite ed è definita solo dalle probabilità che si trovi in ​​stati diversi. Si potrebbe dire che esiste in uno stato sospeso, una sorta di super-animazione fino a quando non viene effettivamente osservata, a quel punto assume la forma di una particella o di un’onda, pur mantenendo le proprietà di entrambe.

Questo è stato scoperto quando gli scienziati che hanno condotto gli esperimenti sulla doppia fenditura hanno notato che quando si osserva un’onda/particella di fotoni, questa collassava, quindi non era possibile vederla in entrambi gli stati contemporaneamente. Pertanto, non è possibile misurare contemporaneamente sia la posizione di una particella che la sua quantità di moto.

Tuttavia, un recente esperimento, riportato su Digital Journal, si è catturata per la prima volta l’immagine di un fotone sia come onda che come particella.

La prima immagine in assoluto della luce che si comporta sia come una particella che come un’onda.

Come dice News com.au, i problemi che ancora lasciano perplessi gli scienziati sono: “Cosa fa sì che un fotone decida quando essere l’uno o l’altro?”

Gli scienziati australiani hanno organizzato un esperimento simile a quello della doppia fenditura per cercare di stimare quando le particelle hanno assunto una forma particellare o d’onda. Ma invece di usare la luce, hanno applicato atomi di elio, “più pesanti” dei fotoni di luce, nel senso che i fotoni non hanno massa, mentre gli atomi sì. Questo è stato significativo.

“Le previsioni della fisica quantistica sull’interferenza sembrano abbastanza strane se applicate alla luce, che sembra più un’onda, ma aver fatto l’esperimento con gli atomi, che sono cose complicate che hanno massa e interagiscono con campi elettrici e così via, si aggiunge alla stranezza”, ha affermato il dottorando Roman Khakimov, coinvolto nell’esperimento.

Tuttavia, si aspettavano che l’atomo si comportasse proprio come la luce, il che significa che avrebbe assunto sia la forma di una particella che/o un’onda. Questa volta hanno sparato gli atomi a due forme simili a griglie create dai laser, sebbene l’effetto fosse simile a una grata solida.

Tuttavia, la seconda griglia è stata posizionata solo dopo che l’atomo è passato attraverso la prima. E la seconda griglia non è stata applicata ogni volta, solo casualmente, per vedere come le particelle reagivano diversamente.

Quello che hanno scoperto è che, quando c’erano due griglie in posizione, l’atomo lo attraversava su molti percorsi sotto forma d’onda, ma, quando la seconda griglia veniva rimossa, si comportava come una particella e percorreva solo un percorso.

Quindi, quale forma avrebbe preso dopo aver attraversato la prima griglia dipendeva dal fatto che la seconda griglia fosse stata messa in atto dopo. Pertanto, se continuasse come particella o si trasformasse in un’onda non era deciso fino a quando non si era già verificato un evento futuro.

Il tempo è andato indietro. Causa ed effetto sembrano essere invertiti. Il futuro ha causato il passato. La freccia del tempo sembrava funzionare al contrario.

Il punto decisivo in cui è stata decisa la sua forma è stato quando l’evento quantistico è stato osservato e misurato. Prima di allora, qualunque cosa accadesse esisteva in uno stato sospeso, l’atomo non aveva ancora “deciso” cosa fare.

Il professor Truscott ha detto che l’esperimento ha dimostrato che “Un evento futuro fa sì che il fotone decida il suo passato.”

Ci sono anche buone prove che i processi quantistici avvengono all’interno del nostro cervello e all’interno delle nostre cellule del corpo, come riportato dal Guardian l’anno scorso.

Bitcoin al bivio: accumulare o stare alla finestra?

0
Bitcoin al bivio: accumulare o stare alla finestra?
Il mercato delle criptovalute, guidato dai colossi Bitcoin ed Ethereum, ha attraversato un periodo di intensa volatilità. L'analisi del rapporto MVRV a 30 giorni, un indicatore che misura la redditività degli investimenti a breve termine, ha evidenziato una situazione critica. Sia per Bitcoin che per Ethereum, il rapporto MVRV è risultato negativo, segnalando che gli investitori che avevano acquistato queste criptovalute nelle ultime settimane stavano subendo perdite

Il mercato delle criptovalute, guidato principalmente da Bitcoin ed Ethereum, ha vissuto un periodo di intensa volatilità nelle ultime settimane.

Il rapporto MVRV a 30 giorni, un indicatore chiave per valutare la redditività degli investimenti a breve termine, è risultato negativo sia per BTC che per ETH, segnalando che i detentori a breve termine stanno subendo perdite.

Bitcoin al bivio: accumulare o stare alla finestra?
Il mercato delle criptovalute, guidato dai colossi Bitcoin ed Ethereum, ha attraversato un periodo di intensa volatilità. L’analisi del rapporto MVRV a 30 giorni, un indicatore che misura la redditività degli investimenti a breve termine, ha evidenziato una situazione critica. Sia per Bitcoin che per Ethereum, il rapporto MVRV è risultato negativo, segnalando che gli investitori che avevano acquistato queste criptovalute nelle ultime settimane stavano subendo perdite

Il ruolo del MVRV negativo

Un MVRV negativo indica che il prezzo di mercato di un asset è inferiore al suo valore realizzato medio. In altre parole, i detentori a breve termine hanno acquistato le loro criptovalute a un prezzo superiore a quello attuale, registrando così una perdita. Questo dato è particolarmente significativo in quanto suggerisce che la pressione a vendere da parte di questi investitori potrebbe diminuire, aprendo potenzialmente la strada a una ripresa del mercato.

Nonostante questo quadro generale negativo, alcuni indicatori tecnici offrono spunti interessanti. L’aumento dell’età media delle monete, sia per Bitcoin che per Ethereum, suggerisce un maggiore accumulo da parte degli investitori a lungo termine. Questo fenomeno, combinato con la diminuzione della pressione a vendere da parte dei detentori a breve termine, potrebbe indicare una potenziale inversione di tendenza.

È importante sottolineare che il mercato delle criptovalute è intrinsecamente volatile e soggetto a numerosi fattori esterni. Le regolamentazioni governative, l’adozione da parte delle istituzioni finanziarie e le innovazioni tecnologiche continueranno a influenzare l’andamento dei prezzi.

Il recente calo del mercato delle criptovalute è stato innescato da una combinazione di fattori, tra cui il MVRV negativo, il rafforzamento del dollaro e un sentiment generale di pessimismo. Nonostante le difficoltà attuali, alcuni segnali tecnici suggeriscono che le condizioni potrebbero migliorare nel prossimo futuro. Gli investitori tuttavia dovrebbero mantenere un approccio cauto e diversificare il proprio portafoglio.

Il vecchio adagio ‘quando tutti dicono che è troppo caro, spesso è il momento di comprare‘ può essere vero, ma solo in determinate circostanze. Anche l’analisi tecnica e il sentiment del mercato giocano un ruolo fondamentale. In questo caso, nonostante il recente calo dei prezzi, il sentiment sia per Bitcoin che per Ethereum è rimasto prevalentemente ribassista, con molti investitori che si aspettano ulteriori correzioni.

Bitcoin: buy the dip o stand by?

Un altro segnale preoccupante è arrivato dal rapporto MVRV a 30 giorni, che si è rivelato negativo sia per Bitcoin che per Ethereum. Questo indica che gli investitori che avevano acquistato queste criptovalute nel breve periodo stavano subendo perdite. Al contrario, l’età media delle monete a 180 giorni è aumentata, suggerendo un accumulo da parte degli investitori a lungo termine.

Questo ha indicato che il momento era propizio per acquistare a prezzi più bassi. L’aumento dell’accumulo e le perdite degli investitori a breve termine indicavano una possibile inversione di tendenza al rialzo.

L’interesse aperto ha mostrato una tendenza al rialzo da inizio novembre fino a raggiungere un picco di 13,7 miliardi di dollari a metà dicembre. Da quel momento si è registrata tuttavia una correzione, portando l’OI a scendere a 11,72 miliardi di dollari.

Conclusioni

La contrazione dell’interesse aperto, unitamente ad altri indicatori tecnici, suggerisce che gli operatori stanno diventando meno convinti di un’ulteriore ripresa dei prezzi nel breve termine. Sarà fondamentale monitorare l’evoluzione di questi indicatori per identificare potenziali segnali di inversione di tendenza.

Le informazioni contenute in questo articolo hanno scopo puramente informativo e non costituiscono un consiglio finanziario. Prima di prendere qualsiasi decisione di investimento, è consigliabile consultare un professionista del settore.

Metanfetamina, cos’è?

0
Metanfetamina, cos'è?
Metanfetamina, cos'è?

[tta_listen_btn]

La metanfetamina è nota anche come “crystal meth“: come spiegare cos’è e come funziona?

In una delle scene memorabili del film “l’avvocato del diavolo” Kevin (Keanu Reeves) chiede a Milton (Al Pacino): “Che mi dici dell’amore?” e Milton risponde: ” Sopravvalutato. Biochimicamente non è diverso da una grande scorpacciata di cioccolata”.

Ecco, secondo gli scienziati, abbiamo sopravvalutato anche la cioccolata!

Metanfetamina: le origini

La 2-feniletilamina infatti, il potenziatore dell’umore che si trova anche nel cioccolato, viene distrutta dagli enzimi del fegato prima che arrivi al cervello.

Quindi non esiste un surrogato dell’amore, o almeno così si dice, poiché esistono alcuni farmaci che producono effetti simili per migliorare l’umore: si tratta della metanfetamina cristallina pura, che possiede una struttura strettamente correlata alla feniletilamina.

la metanfetamina cristallina pura fu prodotta per la prima volta nel 1919 e una sua stretta parente, la più nota anfetamina, nel 1887.

Smith, Kline e French commercializzarono un inalatore nasale contenente anfetamina (“Benzedrina“) per la congestione nasale nel 1932: si scoprì presto, però, che  rilasciava rapidamente molecole di neuro trasmettitori stimolanti come la dopamina, che faceva sentire i consumatori più lucidi, più forti e più energici.

Metanfetamina Effetti

La metanfetamina è uno stimolante potente e altamente coinvolgente che colpisce il sistema nervoso centrale. Conosciuto anche come meth, blu, ghiaccio e cristallo, assume la forma di una polvere cristallina bianca, inodore e dal sapore amaro che si dissolve facilmente in acqua o alcol.

Come l’anfetamina, la metanfetamina provoca una maggiore attività e loquacità, diminuzione dell’appetito e un piacevole senso di benessere o euforia

Tuttavia, la metanfetamina differisce dall’anfetamina in quanto, a dosi comparabili, quantità molto maggiori del farmaco entrano nel cervello, rendendolo uno stimolante più potente. Ha anche effetti più duraturi e più dannosi sul sistema nervoso centrale

Queste caratteristiche lo rendono un farmaco con un alto potenziale di abuso diffuso.

La metanfetamina è classificata come stimolante ed è legalmente disponibile solo attraverso una prescrizione non ripetibile. 

Dal punto di vista medico può essere indicata per il trattamento del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e come componente a breve termine dei trattamenti dimagranti, ma questi usi sono limitati e viene prescritta raramente.

Inoltre, le dosi prescrivibili sono di gran lunga inferiori a quelle tipicamente uilizzate nell’abuso.

A differenza della cocaina, della morfina (facilmente trasformabile in eroina) e del khat , che sono di origine vegetale, la metanfetamina è una droga sintetica

Molecole simili sono state trovate in una o due piante, ma non ci sono prove che contengano effettivamente anfetamine o metanfetamine. 

Mentre i farmaci a base vegetale sono ampiamente contrabbandati più o meno ovunque, la metanfetamina può essere prodotta localmente con ricette scaricabili da Internet, usando sostanze chimiche che possono essere facilmente acquistate in rete.

L’anfetamina e la metanfetamina hanno una struttura leggermente diversa dalla feniletilamina (PEA) presente in natura, quindi resistono all’enzima epatico che decompone le ammine, come la feniletilamina, negli alimenti.

Il nostro organismo non possiede enzimi per metabolizzare le anfetamine.

Uso e abuso dell’anfetamina

Durante la seconda guerra mondiale, la metanfetamina fu utilizzata sia dai  tedeschi e giapponesi che da americani e britannici: veniva somministrata ai piloti delle navi e agli equipaggi dei bombardieri per stare all’erta nelle missioni notturne. 

In Germania, l’anfetamina era conosciuta come Pervitin (è ancora chiamata così nella Repubblica Ceca).

Anche i civili usavano le anfetamine. L’autore Graham Greene usò Benzedrine nel 1938 per completare il suo romanzo “The Confidential Agent” in sei settimane; Si dice che Jack Kerouac abbia prodotto “On the Road” scrivendo freneticamente a macchina per tre settimane mentre era sotto anfetamina.

A causa della spinta energetica che danno, anche gli sportivi hanno usato le anfetamine molto prima di passare agli steroidi: Tom Simpson, il primo ciclista britannico a indossare la maglia gialla al Tour de France, morì a causa di una combinazione di calore, alcol e metanfetamina nel Tour de France del 1967. 

Tuttavia, il loro uso continua, con la droga citata in numerosi scandali antidoping.

Il primo grande abuso di anfetamine si è verificato subito dopo la seconda guerra mondiale in Giappone. 

Dopo il 1951, sono diventate un farmaco con obbligo di prescrizione quasi ovunque, ampiamente raccomandate come pick-me-up e note come “pillole di pep“. 

I camionisti e gli studenti usavano le anfetamine per rimanere svegli e concentrarsi. 

Un effetto collaterale dell’anfetamina è la perdita di appetito, quindi nel dopoguerra sono state ampiamente prescritte anche come farmaci per combattere l’obesità.

A causa delle sue caratteristiche “più veloci”, la metanfetamina iniziò a diffondersi nei primi anni ’60 e esattamente nel 1967 fu associata alla marijuana e a farmaci psichedelici come l’LSD.

Negli anni ’80, in Estremo Oriente fu scoperto come creare grandi cristalli di metanfetamina cloridrato noti come “crystal meth“.

Da allora il crystal meth si è diffuso ovunque.

In Thailandia, si chiama Ya ba (“droga della follia“).

Sebbene gli oppioidi siano la principale causa di morte per droga negli Stati Uniti, la metanfetamina è un problema particolare negli stati occidentali e sud-occidentali. In un certo senso è diventata un’epidemia dimenticata.

Le molecole di metanfetamina possono esistere in due forme che interagiscono in modo diverso con i recettori del corpo umano.

Lo stimolante che viene chiamato”Speed” è la d-metanfetamina; l’altro, l-metanfetamina, contiene gli stessi atomi collegati nella stessa sequenza, disposti in modo diverso nello spazio e non ha assolutamente proprietà stimolanti.

I regolamenti olimpici, tuttavia, vietano solo l’uso della “metanfetamina“. Non distinguono tra queste due forme. Molti la conosceranno il crystal meth solo dal suo uso nella serie americana, Breaking Bad. Ma alcuni temono che potrebbe iniziare ad avere un certo successo.

Intelligenze artificiali aliene e vita

0
Intelligenze aliene artificiali e vita
Intelligenze aliene artificiali e vita

L’universo potrebbe essere disseminato di intelligenze aliene artificiali, infatti, secondo diversi scienziati e filosofi, se una specie intelligente con capacità tecnologiche, di qualsiasi tipo essa sia, avesse abbastanza tempo a disposizione e una giusta motivazione,  probabilmente tenderà a trascendere la propria natura e a farsi sostituire dalle macchine o ad integrarsi con esse.

Questo accade spesso nei romanzi e nei film di fantascienza, ma potrebbe succedere realmente?

Sulla Terra, circa 4 miliardi di anni fa, sono emersi dalla materia inanimata i primi esseri viventi che infine si sono evoluti nella vita complessa che ha portato alla comparsa dell’uomo e della sua intelligenza. Tuttavia, il nostro impatto sulla biosfera, vista la distruzione che apportiamo, potrebbe provocare, per i più pessimisti, la nostra estinzione a breve scadenza.

Oppure, secondo altri, potremmo non essere nemmeno a metà della nostra fase evolutiva e, in un futuro non troppo lontano, potremmo decidere di abbandonare, del tutto o in parte, la nostra matrice biologica per integrarci con le intelligenze artificiali di nostra creazione e la nostra evoluzione postumana potrebbe durare miliardi di anni.

Se l’evoluzione darwiniana si fosse sviluppata su una stella più vecchia del Sole, la vita avrebbe potuto avere un vantaggio di un miliardo di anni durante i quali un’intelligenza organica simile alla nostra sarebbe durata solo un battito di ciglia prima che le macchine imparassero a riprodursi prendendo il sopravvento.

Queste intelligenze aliene artificiali potrebbero presentarsi come una singola intelligenza integrata simile a un alveare e anche se un’intelligenza del genere trasmettesse dei segnali difficilmente la nostra specie sarebbe capace di interpretarli.

Nel 2017 l’astrobiologa Nathalie Cabrol, direttrice del Carl Sagan Center del SETI Institute, ha tenuto un seminario intitolato “Decoding Alien Intelligence”, organizzato intorno un suo precedente documento del 2016, “Alien Mindscapes” che ha sfidato il SETI ad affrontare la tendenza a sostenere supposizioni o aspettative su ciò che potremmo trovare nella ricerca degli alieni.

Il lavoro della Cabrol suggerisce che potrebbe mancare qualcosa: la “ricerca di ET intelligenti” di solito finisce per essere una “ricerca di altre versioni di noi stessi“.

Secondo Cabrol la ricerca di altre versioni dell’essere umano ha senso finché si tratta di un punto di partenza, in fin dei conti, il nostro è l’unico tipo di vita che conosciamo. Una strategia di esplorazione di questo tipo è ulteriormente confermata dal fatto evidente che gli elementi alla base della vita “così come la conosciamo” sono comuni nell’universo, di conseguenza dovrebbero essere abbondanti i luoghi in grado di favorirne lo sviluppo.

La missione Kepler e i dati ottenuti dai telescopi terrestri indicano che potrebbero esistere fino a 40 miliardi di pianeti simili alla Terra nella nostra galassia, un quarto dei quali in orbita attorno a stelle simili al Sole. Altri modelli suggeriscono che potrebbero esistere fino a 700 trilioni di pianeti in tutto il cosmo osservabile, e la stragrande maggioranza sarebbe molto più antica della Terra. 

Nella Via Lattea, potrebbero esistere almeno 100 milioni di pianeti dove la vita complessa potrebbe essersi sviluppata. Tuttavia “vita complessa” non significa necessariamente esseri viventi tecnologicamente avanzati.

Come suggerisce Cabrol, il percorso evolutivo che ha favorito lo sviluppo della vita complessa sul nostro pianeta, suggerisce che la vita avanzata come la nostra può essere molto rara nell’universo, talmente rara da non essere avanzata e sincronizzata temporalmente con la nostra civiltà.

Tuttavia, questo non significa che altri tipi di intelligenze aliene artificiali avanzate siano altrettanto rare. Limitare la nostra ricerca a qualcosa che conosciamo e possiamo capire non lascia spazio a un fondamento epistemologico e scientifico per esplorare ipotesi alternative. Per trovare alieni intelligenti, dobbiamo andare oltre la prospettiva profondamente radicata sulla Terra e rivalutare quei concetti che sono dati per scontati.

Cabrol suggerisce di tentare di accedere a concetti e archetipi sconosciuti che non fanno parte della nostra eredità evolutiva attraverso l’immaginazione. Questo è ciò che la fantascienza tenta quando prova a raffigurare mondi e intelligenze aliene artificiali. Non sorprende che questo processo si traduca in versioni più o meno complesse di noi stessi. Per descrivere un diverso tipo di vita, dobbiamo uscire dal nostro normale modo di pensare.

Eliminare i pregiudizi sulle intelligenze aliene artificiali

Graham Mackintosh, consulente della NASA, afferma che gli extraterrestri potrebbero essere in grado di fare cose che non possiamo nemmeno immaginare, utilizzando tecnologie talmente lontane dalla nostra da non riuscire a pensare nemmeno a un modo di trovarle. Mackintosh ha proposto che l’intelligenza artificiale potrebbe essere in grado di trovare queste tecnologie al nostro posto. 

Il SETI Institute, in collaborazione con NASA, Intel, IBM e altri enti, ha organizzato un programma di ricerca e sviluppo accelerato chiamato Frontier Development Lab, con l’obiettivo di applicare l’intelligenza artificiale all’esplorazione dello spazio. 

Oltre ad avere un notevole potenziale nel rilevamento degli asteroidi per la difesa planetaria e nella meteorologia spaziale, l’IA potrebbe avere un ruolo chiave nella comprensione di eventuali messaggi provenienti da civiltà aliene o da intelligenze aliene artificiali.

Nonostante nell’universo esistano un grande numero di pianeti potenzialmente abitabili, non significa che siano effettivamente abitati. A sostenerlo è Paul Davies, professore e cosmologo dell’Arizona State University. Poiché nessuno sa come la vita sia emersa dalla materia inanimata, è impossibile stimare le probabilità che si sviluppi altrove.

Nelle sue forme più avanzate, afferma Davies, la vita può esistere in forme al di là della materia così come la conosciamo. Queste forme di vita potrebbero non avere dimensioni o forma fisse o confini ben definiti e potrebbe fare cose che non riusciamo a capire o essere.

Materia e informazione, si chiede Davies, sono tutto ciò che esiste? Cinquecento anni fa, osserva, “il concetto stesso di un dispositivo che manipola informazioni sarebbe stato incomprensibile. Potrebbe esserci un livello ancora più alto, ancora al di fuori di tutta l’esperienza umana, che organizza gli elettroni”?

Se così fosse, questo “terzo livello” non si manifesterebbe mai attraverso osservazioni fatte a livello informativo, tanto meno a livello di materia. Dovremmo essere aperti alla possibilità che intelligenze aliene artificiali vecchie di un miliardo di anni possano operare su livelli incomprensibili per la mente umana.

Secondo l’astrofisico Martin Rees forse un giorno troveremo le prove dell’esistenza di esseri extraterrestri e di intelligenze aliene artificiali o, anche se questo è meno probabile, troveremo una “mente cosmica“.

L’altra possibilità è raggelante: la nostra specie potrebbe essere l’unica ad aver sviluppato un certo grado di intelligenza. 

Da una parte il fallimento della ricerca deluderebbe chiunque, non solo i ricercatori, ma dall’altra si aprirebbero delle prospettive uniche per l’umanità. Il sistema solare è ancora relativamente giovane e se l’umanità eviterà l’autodistruzione potrebbe entrare in un’era postumana che oggi possiamo solo immaginare, e a fatica.

In questo modo la nostra intelligenza potrebbe diffondersi nell’intera galassia, evolvendo in una complessità che andrà ben oltre ciò che oggi possiamo anche solo concepire, unendosi, infine, alla miriade di altre intelligenze artificiali che in oltre 13 miliardi di anni potrebbero avere sostituito i loro creatori biologici. 

Un nucleo di ghiaccio svela 1,2 milioni di anni di storia climatica

0
Un nucleo di ghiaccio svela 1,2 milioni di anni di storia climatica

In un’impresa scientifica senza precedenti, un team internazionale di ricercatori è riuscito a perforare la calotta glaciale antartica e a recuperare un nucleo di ghiaccio lungo oltre 2.800 metri.

Questo straordinario campione, che si estende per una profondità tale da raggiungere il substrato roccioso, rappresenta una vera e propria “macchina del tempo” che ci riporta indietro di 1,2 milioni di anni.

Un nucleo di ghiaccio svela 1,2 milioni di anni di storia climatica
Un nucleo di ghiaccio svela 1,2 milioni di anni di storia climatica

Un viaggio nel passato grazie a un enorme nucleo di ghiaccio

Il nucleo di ghiaccio, estratto da Little Dome C, uno dei luoghi più remoti e inospitali della Terra, contiene un archivio dettagliato delle condizioni climatiche del nostro pianeta. Le bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio offrono un’istantanea diretta della composizione dell’atmosfera passata, consentendo agli scienziati di ricostruire le concentrazioni di gas serra come anidride carbonica e metano.

Analizzando questi dati preziosi, i ricercatori potranno comprendere meglio come il clima della Terra ha reagito ai cambiamenti nei fattori di forzatura climatica, come la radiazione solare, l’attività vulcanica e le variazioni orbitali. In questo modo, sarà possibile gettare nuova luce sulle complesse interazioni tra i gas serra e la temperatura globale, un aspetto fondamentale per prevedere gli effetti dei cambiamenti climatici futuri.

Uno degli obiettivi principali della ricerca è quello di svelare il mistero legato al cambiamento improvviso della cronologia delle ere glaciali avvenuto circa un milione di anni fa. Questo evento, secondo alcune teorie, avrebbe quasi causato l’estinzione dei nostri antichi antenati. Il nucleo di ghiaccio potrebbe fornire indizi cruciali per comprendere le cause di questo sconvolgimento climatico e le sue conseguenze sulla vita sulla Terra.

L’estrazione del nucleo di ghiaccio è stata un’impresa titanica, che ha richiesto anni di pianificazione e una logistica complessa. I ricercatori hanno dovuto affrontare condizioni climatiche estreme e sfide tecniche notevoli per portare a termine questa missione. Il successo di questo progetto è il risultato di una collaborazione internazionale che ha coinvolto scienziati di diversi paesi.

La scoperta di questo nucleo di ghiaccio rappresenta una svolta epocale per le scienze del clima. I dati raccolti saranno fondamentali per affinare i modelli climatici e migliorare le previsioni sui cambiamenti climatici futuri. Inoltre, questa ricerca sottolinea l’importanza di investire nella ricerca scientifica per affrontare le grandi sfide del nostro tempo, come la crisi climatica.

il progetto Beyond EPICA svela i segreti del clima antartico

Durante la recente campagna estiva antartica, il progetto Beyond EPICA, finanziato dalla Commissione Europea, ha concluso con successo la perforazione di una carota di ghiaccio che potrebbe riscrivere la nostra comprensione dei cambiamenti climatici del passato.

Il progetto, che si basa sul successo del precedente EPICA, mira a recuperare ghiaccio antartico risalente a oltre 1,5 milioni di anni fa. Questo nuovo nucleo di ghiaccio rappresenta una vera e propria capsula del tempo, contenendo informazioni preziose sulle temperature passate, la composizione dell’atmosfera e i cicli glaciali.

Studi precedenti sul nucleo di ghiaccio EPICA avevano rivelato un ciclo climatico di 100.000 anni, con alternanza di periodi glaciali e interglaciali. Tuttavia, i sedimenti marini suggerivano l’esistenza di cicli glaciali più brevi, di circa 41.000 anni, in un passato più remoto. Il progetto Beyond EPICA si è posto l’obiettivo di chiarire questo enigma e comprendere i meccanismi che hanno governato i cambiamenti climatici su scala millenaria.

La ricerca del sito di perforazione ideale è stata lunga e complessa. I ricercatori hanno utilizzato sofisticate tecnologie radar per individuare le zone con il ghiaccio più antico e in condizioni ottimali. Come ha spiegato Frank Wilhelms, ricercatore principale, era necessario trovare un sito “Goldilocks“: non troppo profondo da aver perso gli strati più antichi a causa dello scioglimento, ma abbastanza profondo da fornire un registro climatico dettagliato.

La scelta è ricaduta su Little Dome C, un altopiano antartico caratterizzato da condizioni estreme. Qui, i ricercatori hanno dovuto affrontare temperature gelide e venti impetuosi per estrarre il prezioso nucleo di ghiaccio. Ogni metro di ghiaccio rappresenta migliaia di anni di storia climatica, e l’analisi dei gas intrappolati al suo interno fornirà indizi cruciali sui cambiamenti atmosferici del passato.

I dati raccolti grazie al progetto Beyond EPICA avranno un impatto significativo sulla nostra comprensione dei cambiamenti climatici e ci aiuteranno a prevedere gli scenari futuri. Grazie a questa straordinaria impresa scientifica, siamo un passo più vicini a svelare i segreti del nostro pianeta e a proteggerlo per le generazioni future.

Le carote di ghiaccio estratte dall’Antartide rappresentano veri e propri archivi climatici. Al loro interno, gli strati di neve compattata nel corso dei millenni hanno intrappolato minuscole bolle d’aria e particelle che riflettono le condizioni atmosferiche dell’epoca. Analizzando questi campioni, gli scienziati possono ricostruire con precisione l’evoluzione della temperatura e della composizione dell’atmosfera terrestre nel passato. Questo viaggio nel tempo è fondamentale per comprendere i meccanismi che regolano il clima e per prevedere gli impatti dei cambiamenti climatici futuri.

Il nucleo di ghiaccio estratto in Antartide rappresenta una vera e propria miniera di informazioni sul clima del passato. Le prime analisi, condotte sul campo, hanno fornito un assaggio delle potenzialità di questa scoperta. Tuttavia, lo studio più approfondito avverrà nei laboratori europei, dove le fette di carotaggio verranno analizzate con estrema precisione. Gli scienziati misureranno le concentrazioni di gas e particelle intrappolate nel ghiaccio, svelando così i segreti del clima di milioni di anni fa.

Questo lavoro richiederà anni di ricerca e consentirà di comprendere meglio i meccanismi che governano il cambiamento climatico. Parallelamente, la comunità scientifica è già al lavoro per individuare e estrarre carote di ghiaccio ancora più antiche, ma questa impresa richiede tecnologie all’avanguardia e una pianificazione accurata.

Conclusioni

Il progetto Beyond EPICA non si ferma qui. Mentre le analisi sulle prime carote di ghiaccio sono in corso, la comunità scientifica internazionale è già al lavoro per individuare nuovi siti in Antartide dove poter recuperare registrazioni climatiche ancora più antiche. Come ha sottolineato Barbante: “Dobbiamo trovare altri posti in Antartide dove possiamo recuperare registrazioni climatiche continue simili a quelle che stiamo studiando“.

Questa impresa richiederà lo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate e una pianificazione meticolosa. La ricerca sul clima antartico è un percorso lungo e complesso, ma i risultati che otterremo saranno fondamentali per comprendere il nostro pianeta e affrontare le sfide del futuro.