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La demenza senile

La demenza senile
In generale, le demenze sono malattie neurodegenerative dell’encefalo che insorgono solitamente in età avanzata provocando un progressivo declino delle facoltà cognitive di una persona. Esistono numerosi tipi di demenza: le quattro più comuni sono il morbo di Alzheimer, la demenza vascolare, la demenza con corpi di Lewy e la demenza frontotemporale. I dementi possono manifestare una vasta gamma di sintomi che variano in funzione della zona di cervello colpito.

Cos’è la demenza?

Demenza è il termine medico usato per indicare un gruppo di malattie neurodegenerative dell’encefalo, tipiche dell’età avanzata (ma non esclusive degli anziani), che comportano la riduzione graduale, e quasi sempre irreversibile, delle facoltà intellettive di una persona.

TIPI DI DEMENZA

I tipi di demenza sono numerosi. Ecco un elenco dei più importanti:

  • Morbo di Alzheimer
  • Demenza vascolare
  • Demenza con corpi di Lewy
  • Demenza frontotemporale
  • Demenza pugilistica
  • Demenza associata ad HIV
  • Malattia di Huntington
  • Degenerazione corticobasale
  • Malattia di Creutzfeldt-Jakob
  • Sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker

Alcune lesioni strutturali cerebrali (ad esempio: idrocefalo normoteso, ematoma subdurale), i disturbi metabolici (ipotiroidismo, carenza di vitamina B12) e da sostanze tossiche (piombo) causano un lento deterioramento delle funzioni cognitive che può, però, essere curato con uno specifico trattamento. Questa alterazione è talvolta detta demenza reversibile, ma alcuni esperti restringono il termine demenza esclusivamente a un deterioramento cognitivo irreversibile.

La depressione può mimare la demenza (precedentemente definita pseudodemenza); le 2 patologie spesso coesistono. Tuttavia, la depressione può essere il primo sintomo con cui si manifesta la demenza.

La compromissione della memoria associata all’età si riferisce alle variazioni cognitive che si verificano con l’invecchiamento. Gli anziani hanno una carenza relativa nelle capacità mnesiche, in particolare nella velocità di richiamo dell’informazione, soprattutto se il confronto viene fatto rispetto a quando erano giovani. Questi cambiamenti non influenzano il funzionamento quotidiano e quindi non indicano la demenza. Tuttavia, le prime manifestazioni della demenza sono molto simili.

Il deterioramento cognitivo lieve provoca una maggiore perdita di memoria rispetto alla compromissione della memoria associata all’età; a volte le altre funzioni cognitive e la memoria sono peggiori nei pazienti con questo disturbo rispetto ai controlli di pari età, ma il funzionamento quotidiano non è in genere interessato. Al contrario, la demenza altera il funzionamento quotidiano. Fino al 50% dei pazienti con deterioramento cognitivo lieve sviluppa una demenza entro 3 anni.

Qualsiasi patologia può aggravare i deficit cognitivi nei pazienti affetti da demenza. Il delirium si verifica spesso in pazienti con demenza.

I meccanismi prionici sembrano essere coinvolti nella maggior parte o in tutte le patologie neurodegenerative che si manifestano primariamente negli anziani. Una proteina cellulare normale sporadicamente (o attraverso una mutazione ereditaria) viene ripiegata in maniera anomala in una forma patogena o prione. Il prione agisce quindi come un modello, causando il ripiegamento alterato di altre proteine in modo simile. Questo processo si verifica nel corso degli anni e in molte parti del sistema nervoso centrale.

Molti di questi prioni diventano insolubili e, come l’amiloide, non possono essere facilmente eliminati dalla cellula. Evidenze suggeriscono meccanismi prionici o similari nella malattia di Alzheimer (fortemente), così come nel morbo di Parkinson, nella malattia di Huntington, nella demenza frontotemporale, e nella sclerosi laterale amiotrofica. Questi non sono prioni infettivi come quelli della malattia di Creutzfeldt-Jakob, ma possono essere trasmessi.

La demenza compromette globalmente lo stato cognitivo. L’esordio è graduale, sebbene i familiari possano notare improvvisamente dei deficit. Frequentemente, il primo segno di malattia é la perdita della memoria a breve termine. Inizialmente, i sintomi precoci possono essere indistinguibili da quelli della compromissione della memoria associata all’età o del decadimento cognitivo lieve, ma poi la progressione diventa evidente.

Sintomi di demenza precoci

La memoria a breve termine è alterata; l’apprendimento e la capacità di acquisire nuove informazioni diventano compiti difficili. Si sviluppano problemi di linguaggio (specialmente nella ricerca delle parole), instabilità dell’umore e cambiamenti della personalità. I pazienti possono presentare una progressiva difficoltà nell’effettuare in modo indipendente le attività della vita quotidiana (ricordare gli appuntamenti, ritrovare la strada o ricordare dove hanno messo le cose). Il pensiero astratto, l’insight e la capacità di giudizio sono compromessi. I pazienti possono reagire alla perdita dell’autosufficienza e della memoria con irritabilità, ostilità e agitazione.

L’autonomia funzionale può essere ulteriormente limitata dai seguenti aspetti:

Agnosia: ridotta capacità di identificare gli oggetti nonostante l’integrità delle funzioni sensoriali

Aprassia: ridotta capacità di eseguire compiti motori precedentemente appresi nonostante l’integrità delle funzioni motorie

Afasia: ridotta capacità di comprendere o utilizzare il linguaggio

Nonostante la demenza nelle fasi iniziali possa non compromettere la vita sociale, i familiari possono riferire comportamenti strani associati a labilità emotiva.

Sintomi di demenza intermedi

I pazienti divengono incapaci di apprendere e di ricordare nuove informazioni. La memoria per gli avvenimenti remoti risulta compromessa ma non del tutto persa. I pazienti possono necessitare di aiuto per lo svolgimento delle attività della vita quotidiana (lavarsi, alimentarsi, vestirsi, fare i propri bisogni).

Le modificazioni di personalità possono progredire. I soggetti possono diventare irritabili, ansiosi, inflessibili, facilmente irascibili o possono diventare più passivi, con un impoverimento affettivo, depressione, indecisione, mancanza di spontaneità o generale abbandono delle relazioni sociali.

Possono svilupparsi disturbi comportamentali: i malati possono vagare o diventare improvvisamente e inappropriatamente agitati, ostili, non collaboranti o fisicamente aggressivi.

Da questo stadio in poi, i pazienti perdono del tutto il senso del tempo e dello spazio, perché non possono utilizzare efficacemente i normali riferimenti ambientali e sociali. I pazienti spesso si perdono; possono non essere in grado di trovare la propria camera da letto o il bagno. Sono deambulanti ma ad aumentato rischio di cadute o di incidenti conseguenti a uno stato confusionale.

Alterazioni sensoriali o percettive possono culminare in psicosi con allucinazioni e deliri paranoidei e di persecuzione.

Il sonno è spesso disorganizzato.

Sintomi di demenza tardivi (gravi)

I pazienti non possono camminare, alimentarsi o svolgere qualsiasi altra attività della vita quotidiana; possono diventare incontinenti. La memoria a breve e quella a lungo termine sono completamente perse. I pazienti possono non essere in grado di deglutire. Sono a rischio di denutrizione, polmoniti (specialmente dovute ad aspirazione) e a ulcere da decubito. Poiché essi dipendono completamente dagli altri per l’assistenza, diventa spesso necessario il ricovero presso una struttura di lungodegenza. Con il tempo, i pazienti diventano muti.

Dal momento che tali pazienti non sono in grado di riferire alcun sintomo al medico e poiché gli anziani spesso, nel corso di infezioni, non hanno febbre o leucocitosi, il medico dovrà basarsi sull’esperienza e sull’intuito ogni qualvolta il paziente possa presentarsi particolarmente sofferente.

Nella fase terminale della demenza sopravvengono il coma e il decesso, generalmente da infezione.

Cause

Le cause di demenza non sono ancora state stabilite con certezza e in modo chiaro. Del resto, l’encefalo umano è una struttura altamente complessa e difficile da studiare.
L’unico dato certo, relativo ai fattori scatenanti, è che qualsiasi tipo di demenza è il risultato di due eventi: la morte delle cellule nervose cerebrali e/o un loro malfunzionamento a livello di comunicazione intercellulare (cioè tra cellula e cellula).

DEMENZA E AGGREGATI PROTEICI NEL CERVELLO

Diverse forme di demenze – tra cui il morbo di Alzheimer, la demenza con corpi di Lewy e la demenza frontotemporale – sono caratterizzate dalla presenza, all’esterno e/o all’interno dei neuroni cerebrali, di anomali aggregati proteici (detti anche inclusioni).
Alcune delle proteine coinvolte in queste anomale formazioni sono la cosiddetta proteina precursore della beta-amiloide (APP), la cosiddetta proteina tau e l’alfa-sinucleina.

  • APP forma le placche amiloide; queste si interpongono tra neurone e neurone e sono presenze tipiche del morbo di Alzheimer.
  • La proteina tau dà origine ai grovigli neurofibrillari e ad altre strutture simili; questi, a differenza delle placche amiloidi, si sviluppano all’interno dei neuroni (nel citoplasma) e possono rinvenirsi nei malati di Alzheimer, demenza frontotemporale e degenerazione corticobasale.
  • L’alfa-sinucleina, infine, genera degli agglomerati insolubili all’interno del citoplasma chiamati corpi di Lewy; quest’ultimi sono caratteristici della demenza con corpi di Lewy, ma si riscontrano anche nelle persone con morbo di Parkinson o atrofia multisistemica.

Nonostante i numerosi studi condotti, i ricercatori non hanno ancora chiarito il meccanismo preciso con cui gli aggregati proteici causano il progressivo deterioramento del tessuto cerebrale interessato. Sanno soltanto che:

  • L’esame post-mortem del tessuto cerebrale dei pazienti rivela la presenza di agglomerati anomali.
  • Nelle persone cerebralmente sane, APP, tau e alfa-sinucleina non formano agglomerati pericolosi o comunque, se li formano, questi si accrescono molto lentamente e interviene un meccanismo naturale di difesa che li elimina.
La presenza degli aggregati proteici non è la sola anomalia riscontrata tra i malati di demenza.
Secondo attendibili studi, infatti:

  • La demenza vascolare è legata a problemi cerebrovascolari, ovvero a disturbi che impediscono il normale afflusso di sangue nei tessuti del cervello. Del resto, il sangue porta con sé ossigeno e nutrienti, elementi fondamentali per la vita di qualsiasi cellula del corpo.
    Alcuni dei problemi cerebrovascolari più influenti sono: la cosiddetta malattia dei piccoli vasi sanguigni, l’aterosclerosi a livello cerebrale e l’ictus.
  • La malattia di Creutzfeldt-Jacob e la sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker sono connesse al mutamento di una proteina chiamata prione.
    Quando anche solo una molecola di prione muta, questa diventa un agente contaminante per tutte le altre, le quali subiscono le medesime alterazioni. Il tutto si conclude con il deterioramento progressivo delle cellule nervose cerebrali.
  • La malattia di Huntington (detta anche corea di Huntington) insorge a seguito di una mutazione ereditaria a carico del gene che produce la proteina huntingtina. Le persone portatrici di tale mutazione denunciano i primi segni di demenza attorno ai 30-40 anni e possono sopravvivere, prima della morte, per anche 15 anni.
  • La demenza pugilistica, nota anche come encefalopatia traumatica cronica, compare successivamente a ripetuti traumi alla testa. È tipica di coloro che un tempo praticavano boxe (ecco da dove deriva il nome), football americano, wrestling o rugby, ovvero tutti sport di contatto durante i quali è frequente ricevere colpi alla testa.
  • La demenza associata ad HIV è, come dice il nome, successiva all’infezione da virus dell’AIDS. Questa particolare malattia neurodegenerativa, che riguarda la materia bianca cerebrale, non insorge in tutti i malati di HIV, ma solo in alcuni. Gli studiosi stanno cercando di capire il perché di questo doppio comportamento.

FATTORI DI RISCHIO

I numerosi studi condotti sulle demenze hanno portato all’individuazione di alcuni fattori di rischio.

Un fattore di rischio (o fattore favorente) è una condizione particolare che predispone a un determinato disturbo o malattia, ma che non ne rappresenta propriamente la causa.
Fra i fattori favorenti le demenze, se ne possono riconoscere di modificabili e non modificabili.
Quelli modificabili sono l’ipercolesterolemia (cioè il colesterolo alto), l’aterosclerosi, il fumo di sigaretta, gli elevati livelli di omocisteina nel sangue, l’abuso di alcol e il diabete.
I fattori di rischio non modificabili, invece, sono l’età avanzata, la ricorrenza all’interno della stessa famiglia di una determinata forma di demenza, l’essere affetti da sindrome di Down e il declino cognitivo lieve.

Sintomi e Complicanze

I sintomi e i segni delle demenze variano a seconda della zona di encefalo soggetta a neurodegenerazione. Pertanto, il quadro sintomatologico manifestato da un demente può comprendere un numero elevato di disturbi cognitivi.
Nel complesso, le persone con demenze soffrono di:

  • Amnesie. La perdita di memoria è un problema tra i più comuni; rappresenta uno dei primi sintomi che insorgono nei malati di Alzheimer.
  • Deficit di concentrazione, pianificazione e ragionamento; lentezza di pensiero. Questi disturbi vengono notati prima dai parenti, i quali si accorgono che il malato non riesce a concentrarsi nemmeno nella lettura di testi molto semplici o a fare semplici calcoli matematici.
  • Difficoltà a prendere decisioni e ad eseguire semplici faccende quotidiane (per esempio usare la macchietta del caffè, il forno a microonde ecc).
  • Sbalzi d’umore, comportamenti anomali e cambiamenti di personalità. I pazienti tendono a passare facilmente dall’euforia alla depressione, a diventare irritabili e/o impulsivi, a farsi più agitati e ansiosi ecc.
  • Difficoltà di linguaggio. Queste comprendono l’incapacità di terminare le conversazioni e di chiamare gli oggetti con i nomi corretti, la tendenza a ripetere le frasi pronunciate da altri, l’uso di un vocabolario ridotto e di un numero limitato di frasi.
  • Problemi visivi. Tra questi, si ricordano le difficoltà a leggere, a quantificare la distanza degli oggetti e a determinare esattamente i colori. Inoltre, in demenze come il morbo di Alzheimer, insorge un disturbo curioso, per cui i pazienti, guardandosi allo specchio, non si riconoscono.
  • Confusione (o disorientamento) spazio-temporale. I dementi in questo stato faticano (o non riescono proprio) a realizzare dove si trovano, che giorno della settimana è o qual è la stagione in corso. Inoltre, sono spesso disorientati, per cui ignorano il motivo per cui si siano recati in un certo posto.
  • Riduzione o perdita delle capacità di giudizio. Ciò comporta, in molti malati di demenza, un calo dei freni inibitori, la tendenza ad agire in maniera errata o anomala (per esempio fanno spese inutili e/o assumono atteggiamenti inappropriati in pubblico), un certo disinteresse verso la propria igiene personale ecc.
  • Problemi di equilibrio e/o di movimento
  • Attacchi di agitazione e allucinazioni

EVOLUZIONE DELLE DEMENZE

Come si è detto, molte demenze hanno un andamento progressivo: cominciano con una lieve sintomatologia e, nel giro di un tempo più o meno lungo, portano a un marcato deterioramento delle capacità cognitive.
La morte per demenza sopraggiunge molto spesso per una complicazione legata alla demenza stessa. Per esempio, agli stadi finali, il morbo di Alzheimer determina delle gravi difficoltà di deglutizione, che a loro volta conducono allo sviluppo di ricorrenti polmoniti da inalazione e a gravi problemi di nutrizione.

DURATA DEL DECLINO

La durata del declino cognitivo è diversa da demenza a demenza.
Per esempio, il morbo di Alzheimer impiega di solito 7-10 anni per pregiudicare in maniera completa le facoltà cognitive; dopodiché causa la morte.
La demenza vascolare o quella frontotemporale, invece, agiscono differentemente da paziente a paziente: ci sono casi in cui la neurodegenerazione procede molto lentamente e casi in cui il deterioramento delle cellule nervose è molto rapido.

Farmaci

Eliminare o limitare i farmaci attivi sul sistema nervoso centrale spesso migliora la funzionalità. Devono essere evitati i farmaci sedativi e gli anticolinergici che tendono a peggiorare la demenza.

Gli inibitori delle colinesterasi, donepezil, rivastigmina e galantamina sono in qualche modo efficaci nel migliorare le funzioni cognitive nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer o demenza con corpi di Lewy e possono essere utili in altre forme di demenza. Questi farmaci inibiscono l’acetilcolinesterasi, incrementando i livelli cerebrali di acetilcolina.

La memantina, antagonista dei recettori N-metil-d-aspartato, può aiutare a rallentare la perdita della funzione cognitiva nei pazienti con forma di demenza moderata e grave e può essere sinergico in associazione con un inibitore della colinesterasi.

I farmaci per il controllo disturbi del comportamento (antipsicotici) sono stati utilizzati.

I pazienti con demenza e segni di depressione devono essere trattati con antidepressivi privi di attività anticolinergica, preferibilmente gli inibitori della ricaptazione della serotonina.

Assistenza della persona che assiste il paziente (caregiver)

I familiari più prossimi di un paziente affetto da demenza sono i più coinvolti nella gestione delle loro cure. Gli infermieri e gli assistenti sociali possono insegnare loro e alle altre persone che assistono il paziente come soddisfare al meglio le necessità del paziente; l’insegnamento deve essere continuo. Sono disponibili supporti di altro tipo (gruppi di sostegno, materiale educativo, siti Internet).

Le persone che assistono il paziente possono andare incontro a uno stress importante. Lo stress può essere causato dalla preoccupazione su come proteggere il paziente e dalla frustrazione, stanchezza, rabbia e risentimento nel dover prestare così tante cure a qualcuno. Le figure professionali devono osservare gli eventuali sintomi precoci di stress ed esaurimento psicofisico della persona che assiste il paziente e, qualora fosse necessario, indicare servizi di supporto (assistente sociale, nutrizionista, infermiere, assistente domiciliare).

Se un paziente con demenza presenta una lesione insolita, deve essere indagata la possibilità di condizioni di maltrattamento dell’anziano.

Problematiche di fine vita

Poiché la percezione di sé e la capacità di giudizio si riducono nel tempo, nei pazienti con demenza può essere necessario affidare la gestione finanziaria a un membro della famiglia, un tutore oppure un avvocato. Nelle fasi precoci della demenza, prima che il paziente diventi totalmente incapace, è necessario che vengano chiariti i desideri del paziente circa il tipo di cure a cui vorrà essere sottoposto e la gestione di aspetti legali (disposizioni testamentarie, disposizioni relative alle cure mediche). Quando questi documenti sono firmati, deve essere valutata la capacità decisionale del paziente e devono essere registrati i risultati della valutazione. Sarebbe opportuno che venissero prese in anticipo, prima cioè, che se ne verifichi la necessità, le decisioni circa l’uso di alimentazione artificiale e trattamento delle malattie acute.

Nella demenza avanzata potrebbero essere più adatte misure palliative rispetto ad interventi altamente aggressivi o cure ospedaliere.


Cheyava Falls: la roccia marziana con potenziali segni di vita

Cheyava Falls

Una roccia caratterizata da diverse venature ha catturato l’attenzione del team scientifico del rover Perseverance della NASA. Soprannominata “Cheyava Falls” dal team, la roccia a forma di punta di freccia contiene tratti interessanti che potrebbero riguardare la questione se Marte ospitasse forme di vita microscopiche in un lontano passato.

Cheyava Falls

Le caratteristiche di Cheyava Falls

L’analisi degli strumenti a bordo del rover indica che la roccia possiede qualità che rientrano nella definizione di un possibile indicatore di vita antica. La roccia mostra firme chimiche e strutture che potrebbero essere state formate dalla vita miliardi di anni fa, quando l’area esplorata dal rover conteneva acqua corrente.

Il team scientifico sta prendendo in considerazione altre spiegazioni per le caratteristiche osservate e saranno necessari futuri passaggi di ricerca per determinare se la vita antica sia una spiegazione valida.

La roccia, il 22esimo campione di carotaggio del rover, è stata raccolta il 21 luglio 2024, mentre il rover esplorava il margine settentrionale della valle della Neretva, un’antica valle fluviale larga 400 metri, scavata molto tempo fa dall’acqua che si riversava nel cratere Jezero.

Abbiamo progettato il percorso per Perseverance per garantire che vada in aree con il potenziale per campioni scientifici interessanti”, ha affermato Nicola Fox, amministratore associato, Science Mission Directorate presso la sede centrale della NASA a Washington: “Questo viaggio attraverso il letto del fiume Neretva Vallis ha dato i suoi frutti perché abbiamo trovato qualcosa che non avevamo mai visto prima, che darà ai nostri scienziati molto da studiare”.

Una roccia enigmatica

Le scansioni multiple di Cheyava Falls effettuate dallo strumento SHERLOC (Scanning Habitable Environments with Raman & Luminescence for Organics & Chemicals) del rover hanno rivelato che contiene composti organici. Sebbene tali molecole a base di carbonio siano considerate i mattoni della vita, possono anche essere formate da processi non biologici.

Cheyava Falls è la roccia più enigmatica, complessa e potenzialmente importante mai studiata da Perseverance“, ha affermato Ken Farley, scienziato del progetto Perseverance del Caltech di Pasadena: “Da un lato, abbiamo la nostra prima avvincente rilevazione di materiale organico, macchie colorate distintive indicative di reazioni chimiche che la vita microbica potrebbe utilizzare come fonte di energia e una chiara prova che l’acqua, necessaria alla vita, un tempo attraversava la roccia. D’altro canto, non siamo stati in grado di determinare esattamente come si è formata la roccia e in che misura le rocce vicine potrebbero aver riscaldato Cheyava Falls e contribuito a queste caratteristiche”.

Anche altri dettagli sulla roccia, che misura 1 metro per 0,6 metri e deve il nome a una cascata del Grand Canyon, hanno interessato il team.

Nella sua ricerca di segni di antica vita microbica, la missione Perseverance si è concentrata su rocce che potrebbero essere state create o modificate molto tempo fa dalla presenza di acqua. Ecco perché il team si è concentrato sulle Cheyava Falls.

Questo è il tipo di osservazione chiave per cui è stato costruito SHERLOC: cercare materia organica, poiché è una componente essenziale per la ricerca di forme di vita passate”, ha affermato il ricercatore principale di SHERLOC, Kevin Hand del Jet Propulsion Laboratory della NASA nella California meridionale, che gestisce la missione.

Per tutta la lunghezza della roccia ci sono grandi venature di solfato di calcio bianco. Tra queste venature ci sono bande di materiale il cui colore rossastro suggerisce la presenza di ematite, uno dei minerali che conferisce a Marte la sua caratteristica tonalità rugginosa.

Quando Perseverance ha esaminato più da vicino queste regioni rosse, ha trovato decine di macchie bianco sporco di forma irregolare, di dimensioni millimetriche, ciascuna circondata da materiale nero, simili a macchie di leopardo. Lo strumento PIXL (Planetary Instrument for X-ray Lithochemistry) di Perseverance ha determinato che questi aloni neri contengono sia ferro che fosfato.

Queste macchie sono una grande sorpresa“, ha detto David Flannery, astrobiologo e membro del team scientifico Perseverance della Queensland University of Technology in Australia: “Sulla Terra, questi tipi di caratteristiche nelle rocce sono spesso associati alla registrazione fossilizzata di microrganismi che vivono nel sottosuolo”.

Macchie di questo tipo su rocce sedimentarie terrestri possono verificarsi quando reazioni chimiche che coinvolgono l’ematite trasformano la roccia da rossa a bianca. Tali reazioni possono anche rilasciare ferro e fosfato, causando eventualmente la formazione di aloni neri. Reazioni di questo tipo possono essere una fonte di energia per i microrganismi, il che spiega l’associazione tra tali caratteristiche e microrganismi in un ambiente terrestre.

In uno scenario che il team scientifico di Perseverance sta prendendo in considerazione, le Cheyava falls si sono inizialmente depositate come fango con composti organici mescolati che alla fine si sono cementati nella roccia. Successivamente, un secondo episodio di flusso di fluido ha penetrato fessure nella roccia, consentendo depositi minerali che hanno creato le grandi venature di solfato di calcio bianco visibili oggi e che hanno dato origine alle macchie.

Conclusioni

Sebbene sia la materia organica che le macchie di leopardo siano di grande interesse, non sono gli unici aspetti della roccia di Cheyava Falls a confondere il team scientifico. Sono rimasti sorpresi nello scoprire che queste venature sono piene di cristalli millimetrici di olivina, un minerale che si forma dal magma. L’olivina potrebbe essere correlata a rocce che si sono formate più in alto sul bordo della valle del fiume e che potrebbero essere state prodotte dalla cristallizzazione del magma.

Se così fosse, il team ha un’altra domanda a cui rispondere: è possibile che l’olivina e il solfato siano stati introdotti nella roccia a temperature inabitabili, creando una reazione chimica abiotica che ha dato origine alle macchie di leopardo?

Abbiamo esaminato Cheyava Falls con laser e raggi X e l’abbiamo ripresa letteralmente giorno e notte da quasi ogni angolazione immaginabile“, ha spiegato Farley: “Scientificamente, Perseverance non ha più nulla da offrire. Per comprendere appieno cosa è realmente accaduto in quella valle fluviale marziana nel cratere Jezero miliardi di anni fa, vorremmo riportare sulla Terra il campione delle Cheyava falls, così da poterlo studiare con i potenti strumenti disponibili nei laboratori”.


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Olimpiadi: trionfo degli animali in oltre 10 sport

Olimpiadi: trionfo degli animali in oltre 10 sport

Immagina un mondo in cui gli animali competono nelle Olimpiadi, questo scenario fantastico ci permette di esplorare le incredibili capacità fisiche e adattative degli animali, mettendoli a confronto con le discipline sportive umane.

Gli animali, con le loro abilità uniche, potrebbero dominare molte delle competizioni olimpiche, superando di gran lunga le prestazioni umane, edi in questo articolo, esploreremo quali animali potrebbero eccellere in diverse discipline olimpiche, basandoci sulle loro caratteristiche naturali e comportamentali.

Olimpiadi

Le Olimpiadi moderne sono un evento globale che celebra l’eccellenza atletica umana, ciononostante se aprissimo le porte agli animali, scopriremmo che molte specie possiedono abilità straordinarie che le renderebbero campioni indiscussi in varie discipline: dalla velocità fulminea del ghepardo alla forza impressionante del gorilla, ogni animale ha qualcosa di unico da offrire.

Questo esercizio di immaginazione non solo ci diverte, ma ci aiuta anche a comprendere meglio la biodiversità e l’adattamento degli animali ai loro ambienti naturali.

Il trionfo degli animali alle olimpiadi

Di seguito analizzeremo diverse discipline olimpiche e identificheremo gli animali che potrebbero eccellere in ciascuna di esse, nondimeno esploreremo le loro caratteristiche fisiche, le loro strategie di sopravvivenza e come queste potrebbero tradursi in prestazioni sportive eccezionali. Preparati a scoprire un mondo in cui gli animali sono i veri protagonisti delle Olimpiadi!

Velocità e corsa

Quando si parla di velocità, il ghepardo è il primo animale che viene in mente, con questo felino che è il corridore più veloce del regno animale, capace di raggiungere velocità fino a 112 km/h in brevi scatti, inutile anche pensare di competere in delle eventuali Olimpiadi, in una gara di 100 metri, il ghepardo lascerebbe tutti gli altri concorrenti umani nella polvere, ciononostante la sua resistenza è limitata, quindi in una maratona, il ghepardo non sarebbe altrettanto competitivo.

Acinonyx jubatus - Wikipedia

Per le gare di lunga distanza, il pronghorn americano sarebbe un candidato ideale, questo animale può mantenere una velocità di 55 km/h per lunghe distanze, grazie alla sua straordinaria capacità di resistenza, quindi alle Olimpiadi in una maratona , il pronghorn potrebbe facilmente superare gli atleti umani, dimostrando che la resistenza è altrettanto importante quanto la velocità pura.

Pronghorn - Wikipedia

Salto in alto e in lungo

Nel salto in alto alle Olimpiadi, la rana arboricola australiana sarebbe un concorrente formidabile, questo piccolo anfibio può saltare fino a 50 volte la lunghezza del suo corpo, il che equivale a un essere umano che salta oltre 100 metri. La sua capacità di saltare così in alto è dovuta ai suoi potenti muscoli delle zampe posteriori e alla sua leggerezza.

Litoria Caerulea Allevamento- ANFIBI - Animali Esotici Milano

Per il salto in lungo invece il re e soprattutto campione indiscusso è il canguro rosso; questo marsupiale può saltare fino a 9 metri in un solo balzo, grazie alle sue potenti zampe posteriori e alla sua coda che funge da bilanciere, indi per cui in una competizione olimpica, il canguro rosso supererebbe facilmente qualsiasi atleta umano.

Roger, il canguro gigante che sembra un vero bodybuilder (FOTO) - greenMe

Nuoto

Nelle gare di nuoto alle Olimpiadi, il delfino tursiope sarebbe il re delle piscine, con questo mammifero marino che può nuotare a velocità di 40 km/h, utilizzando movimenti agili e potenti della coda, del resto la sua capacità di eseguire acrobazie e di cambiare direzione rapidamente lo renderebbe un concorrente imbattibile nelle gare di nuoto.

Tursiope: progetti di ricerca e conservazione | Acquario di Genova

Un altro nuotatore eccezionale è il pinguino imperatore, il quale sebbene non sia veloce come il delfino, è un maestro dell’efficienza energetica, capace di nuotare per lunghe distanze senza stancarsi, ecco perché in una gara di fondo alle Olimpiadi, il pinguino imperatore potrebbe mantenere un ritmo costante e superare molti altri concorrenti.

6 curiosità sul pinguino imperatore

Ginnastica artistica

Per la ginnastica artistica, il Gibbone sarebbe un concorrente spettacolare, infatti questo primate è noto per la sua agilità e la sua capacità di eseguire acrobazie aeree tra gli alberi. I gibboni possono oscillare da un ramo all’altro con una grazia e una precisione incredibili, eseguendo movimenti che lascerebbero a bocca aperta anche i giudici più esigenti.

Gibbon | Types, Diet, & Facts | Britannica

Sollevamento pesi

Nel sollevamento pesi, il gorilla è il campione indiscusso, non c’è nemmeno bisogno che vada alle Olimpiadi, questo primate infatti possiede una forza straordinaria, capace di sollevare oggetti che pesano fino a 10 volte il proprio peso corporeo. In una competizione olimpica, il gorilla supererebbe facilmente qualsiasi sollevatore di pesi umano, dimostrando che la forza bruta è una delle sue caratteristiche distintive.

How Does A Gorilla Get So Strong? | by Sam Westreich, PhD | Medium

Oltre al gorilla, un altro animale che eccelle nel sollevamento pesi è il coleottero rinoceronte, questo insetto può sollevare oggetti che pesano fino a 850 volte il proprio peso corporeo, ed in una competizione di sollevamento pesi, il coleottero rinoceronte dimostrerebbe che la forza non è solo una questione di dimensioni, ma anche di proporzioni.

Il Cervo volante e lo Scarabeo rinoceronte - Wild Peregrine

Lotta e judo

Per le discipline di lotta e judo, l’orso grizzly sarebbe un avversario temibile, questo grande carnivoro è noto per la sua forza e la sua abilità nel combattimento corpo a corpo, del resto gli orsi grizzly utilizzano le loro potenti zampe e artigli per dominare i loro avversari, rendendoli formidabili in qualsiasi competizione di lotta.

Che cosa ci fa un orso grizzly in compagnia di un branco di lupi? | National Geographic

Tiro con l’arco

Nel tiro con l’arco alle Olimpiadi, il camaleonte sarebbe un concorrente sorprendente, questo rettile è noto per la sua capacità di lanciare la lingua a velocità incredibili per catturare le prede, pertanto la precisione e la velocità del camaleonte nel colpire il bersaglio lo renderebbero un arciere eccezionale.

Scoperte in Madagascar 11 nuove specie di camaleonte - Giornale di Sicilia

Ciclismo

Nel ciclismo, il cavallo sarebbe un concorrente eccezionale, ma perché? I cavalli sono noti per la loro resistenza e velocità, e possono mantenere un ritmo sostenuto per lunghe distanze, in particolare, i cavalli da corsa come il purosangue inglese possono raggiungere velocità di oltre 70 km/h, ecco perché in una gara di ciclismo su strada, un cavallo potrebbe facilmente superare gli atleti umani, grazie alla sua combinazione di velocità e resistenza.

Alimentazione dei cavalli: cosa mangiano e perché preferire i wafer

Scherma

Per la scherma, il mantide religiosa sarebbe un avversario formidabile, questo insetto è noto per la sua velocità e precisione nel colpire le prede con le sue zampe anteriori, che funzionano come vere e proprie spade, per di più la mantide religiosa può colpire con una rapidità incredibile, rendendola un concorrente temibile in una competizione di scherma.

Mantide religiosa | NaturalMeteo |

Tiro a segno

Nel tiro a segno delle Olimpiadi, il falco pellegrino sarebbe il campione indiscusso, questo rapace è noto per la sua vista acuta e la sua capacità di colpire le prede con precisione millimetrica durante il volo, senza dimenticare che il falco pellegrino può raggiungere velocità di oltre 320 km/h in picchiata, utilizzando la sua vista eccezionale per individuare e colpire il bersaglio con precisione.

Falco peregrinus - Wikipedia

Equitazione

Per le competizioni di equitazione, il cavallo rimane il protagonista indiscusso, ciononostante se consideriamo altre specie –visto e considerato anche che andrà a cimentarsi nel ciclismo– l’elefante asiatico potrebbe essere un concorrente interessante. Gli elefanti sono noti per la loro intelligenza e la loro capacità di apprendere comandi complessi, perciò Ii una competizione di dressage, un elefante potrebbe eseguire movimenti eleganti e precisi, dimostrando che anche gli animali di grandi dimensioni possono essere agili e coordinati.

Elephas maximus - Wikipedia

Canottaggio

Nel canottaggio, l’ippopotamo sarebbe un concorrente sorprendente, sebbene non sia noto per la sua velocità sulla terraferma, l’ippopotamo è un eccellente nuotatore e può muoversi rapidamente nell’acqua. Gli ippopotami utilizzano le loro potenti zampe per spingersi attraverso l’acqua, e la loro massa corporea li rende stabili e difficili da capovolgere, perciò in una gara di canottaggio alle Olimpiadi, un ippopotamo potrebbe sfruttare la sua forza e la sua stabilità per superare gli avversari.

Ippopotamo: dove vive, cosa mangia e quanto è pericoloso | Ohga!

Ginnastica ritmica

Per la ginnastica ritmica, il ragno saltatore sarebbe un concorrente spettacolare; questo piccolo aracnide è noto per la sua agilità e la sua capacità di eseguire salti precisi e acrobatici, del resto i ragni saltatori utilizzano i loro fili di seta per creare reti complesse e per eseguire movimenti aerei che lascerebbero a bocca aperta i giudici di ginnastica ritmica.

La super vista dei baby ragni saltatori

Pallavolo

Nel pallavolo, il canguro rosso potrebbe essere un giocatore eccezionale, ma come nel caso del cavallo, non potrà esprimersi nella pallavolo, a sostituirlo in queste Olimpiadi ci penserà il gatto serval; noto per i suoi salti impressionanti e la sua agilità, sarebbe un concorrente formidabile in questa disciplina.

Il gatto serval, con le sue lunghe zampe posteriori, è capace di saltare fino a 3 metri di altezza per catturare prede volanti. Questa abilità naturale lo renderebbe un eccellente schiacciatore in una partita di pallavolo, infatti con un balzo potente, il serval potrebbe colpire la palla con precisione e forza, superando facilmente la rete e lasciando gli avversari senza parole.

Serval: la storia di una specie | zooplus Magazine per gatti

Immaginare delle Olimpiadi in cui gli animali competono ci offre una prospettiva affascinante sulle incredibili capacità del regno animale, ogni specie possiede abilità uniche che, se applicate alle discipline olimpiche, le renderebbero campioni indiscussi.

Dal ghepardo, il corridore più veloce, al gorilla, maestro del sollevamento pesi, gli animali dimostrano che la natura ha dotato ogni creatura di strumenti straordinari per sopravvivere e prosperare nei loro ambienti.

Questa esplorazione ci permette di apprezzare la biodiversità e l’adattamento degli animali, mettendo in luce come le loro caratteristiche fisiche e comportamentali potrebbero tradursi in prestazioni sportive eccezionali, da non dimenticare poi che ci ricorda l’importanza di proteggere questi incredibili esseri viventi e i loro habitat, affinché possano continuare a esistere e a stupirci con le loro abilità.

Le Olimpiadi degli animali non sono solo un esercizio di immaginazione, ma anche un modo per celebrare la diversità della vita sulla Terra, dove ogni animale, con le sue peculiarità, contribuisce a rendere il nostro pianeta un luogo straordinario. Speriamo che questa riflessione ci ispiri a guardare con occhi nuovi il mondo naturale e a riconoscere il valore intrinseco di ogni specie.

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Plutone: un oceano liquido sotto la sua superficie

Plutone: un oceano liquido sotto la sua superficie
Plutone: un oceano liquido sotto la sua superficie

Ricerche recenti hanno fornito informazioni più approfondite sull’oceano sotterraneo di Plutone, precedentemente ritenuto impossibile a causa delle temperature estremamente basse del pianeta nano.

L’oceano nascosto di Plutone

Nuovi calcoli di Alex Nguyen, uno ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra, Ambientali e Planetarie, stanno mettendo a fuoco l’esistenza di un vasto oceano di acqua liquida sotto la superficie ghiacciata di Plutone.

In un articolo pubblicato sulla rivista Icarus, Nguyen ha utilizzato modelli matematici e immagini della sonda spaziale New Horizons, passata vicino a Plutone nel 2015, per osservare più da vicino l’oceano che probabilmente ricopre il pianeta sotto uno spesso strato di azoto, metano e ghiaccio d’acqua.

Nguyen ha dichiarato: “Per decenni, la comunità scientifica planetaria ha ritenuto impossibile che Plutone potesse ospitare un oceano. La temperatura superficiale del pianeta nano è di circa -220°C, un freddo estremo che solidifica persino gas come azoto e metano. Sembrava impensabile che l’acqua potesse esistere in tali condizioni. Plutone è un corpo celeste di piccole dimensioni, e avrebbe dovuto disperdere quasi tutto il suo calore interno poco dopo la sua formazione. Pertanto, semplici calcoli hanno indicato che dovrebbe essere completamente ghiacciato fino al nucleo’.”

La zona Goldilocks: densità, fratture e un oceano nascosto
La zona Goldilocks: densità, fratture e un oceano nascosto

Plutone: prove recenti di acqua liquida

Negli ultimi anni, tuttavia, scienziati di spicco tra cui il Professor Bill McKinnon hanno raccolto prove che suggeriscono che Plutone probabilmente contiene un oceano di acqua liquida sotto il ghiaccio. Tale inferenza è derivata da diverse linee di prova, tra cui i criovulcani che espellono ghiaccio e vapore acqueo. Sebbene ci sia ancora un po’ di dibattito, secondo Nguyen ora è generalmente accettato che Plutone abbia un oceano.

Il nuovo studio ha consentito di sondare le profondità dell’oceano nascosto sotto la spessa crosta ghiacciata, pur non potendolo osservare direttamente a causa delle immense pressioni e temperature che regnano in quelle zone abissali.

Nguyen e McGovern hanno creato modelli matematici per spiegare le crepe e i rigonfiamenti nel ghiaccio che ricopre il bacino Sputnik Platina di Plutone, il sito di una collisione di meteoriti miliardi di anni fa. I loro calcoli hanno suggerito che l’oceano in questa zona esiste sotto uno strato di ghiaccio d’acqua spesso da 40 a 80 km, una coperta protettiva che probabilmente impedisce all’oceano interno di congelarsi completamente.

Essi hanno anche calcolato la probabile densità o salinità dell’oceano in base alle fratture nel ghiaccio soprastante, stimando che l’oceano di Plutone sia al massimo circa l’8% più denso dell’acqua di mare sulla Terra, o più o meno la stessa densità del Great Salt Lake dello Utah.

Plutone: un equilibrio perfetto tra ghiaccio e oceano

Come ha spiegato Nguyen, quel livello di densità spiegherebbe l’abbondanza di fratture osservate in superficie. Se l’oceano fosse significativamente meno denso, il guscio di ghiaccio collasserebbe, creando molte più fratture di quelle effettivamente osservate. Se l’oceano fosse molto più denso, ci sarebbero meno fratture.

I ricercatori hanno dichiarato: “Abbiamo individuato un range di valori ottimali, paragonabile alla ‘zona Goldilocks’: la densità e lo spessore del guscio rientrano in un intervallo estremamente preciso, consentendoci di spiegare le caratteristiche osservate”.

Le agenzie spaziali non hanno in programma di tornare su Plutone a breve, relegando molti dei suoi enigmi ad un futuro ancora lontano, dove nuove generazioni di scienziati potranno tentare di svelarli.

Che venga classificato come pianeta, pianeta nano o corpo celeste della fascia di Kuiper, Plutone rappresenta un laboratorio naturale unico per studiare i processi di formazione planetaria e l’evoluzione del Sistema Solare esterno. Come ha sottolineato Nguyen: “Dal mio punto di vista, Plutone è un pianeta a tutti gli effetti, indipendentemente dalla sua classificazione ufficiale”.


Mosche geneticamente modificate: 3 modi per eliminare i rifiuti

Mosche geneticamente modificate: 3 modi per eliminare i rifiuti

Con uno sviluppo rivoluzionario, gli scienziati australiani sono riusciti a realizzare delle mosche geneticamente modificate per consumare una maggiore quantità di rifiuti dell’umanità, un tipo di approccio certamento innovativo e che mira ad affrontare la crescente crisi globale della gestione dei rifiuti sfruttando le naturali capacità di eliminazione delle mosche, ma che allo stesso tempo fa un po’ storcere il naso.

La ricerca, condotta da un team di esperti in ingegneria genetica e scienze ambientali, rappresenta un significativo passo avanti verso soluzioni sostenibili di gestione dei rifiuti.

Fig. 2

Il progetto per realizzare mosche geneticamente modificate si concentra sulla mosca soldato nera (Hermetia illucens), una specie nota per il suo appetito vorace e la capacità di scomporre rapidamente la materia organica, pertanto presa lei come base e migliorando la composizione genetica di queste mosche, gli scienziati hanno aumentato la loro efficienza nel consumo dei rifiuti, riducendo così il volume dei rifiuti che finiscono nelle discariche e negli inceneritori.

La realizzazione di queste mosche geneticamente modificate non solo aiuta a gestire i rifiuti in modo più efficace, ma contribuisce anche a ridurre le emissioni di gas serra associate ai metodi tradizionali di smaltimento dei rifiuti.

Le implicazioni di questa ricerca sono di vasta portata. Con la crescita della popolazione urbana e l’aumento della produzione di rifiuti, soluzioni innovative come questa sono cruciali per lo sviluppo sostenibile. Le mosche geneticamente modificate potrebbero essere impiegate in vari contesti, dalle strutture di gestione dei rifiuti urbani agli ambienti agricoli, dove possono aiutare a compostare i rifiuti organici e produrre sottoprodotti preziosi come mangimi ricchi di proteine ​​per il bestiame.

Il processo di ingegneria genetica dietro le mosche geneticamente modificate

Il cuore di questo progetto innovativo risiede nella manipolazione genetica delle mosche soldato nere (Hermetia illucens), una specie di mosche già note per la loro capacità di decomporre rapidamente la materia organica, ma i ricercatori australiani hanno portato questa abilità a un livello superiore. Utilizzando tecniche avanzate di ingegneria genetica, il team ha modificato il DNA delle mosche per aumentare la loro efficienza nel consumare rifiuti organici e produrre composti preziosi.

Fig. 1

Il processo di ingegneria genetica inizia con l’identificazione dei geni responsabili delle capacità digestive delle mosche, una volta isolati questi geni, i ricercatori li modificano per potenziare le funzioni desiderate, per avere un’idea, possono inserire geni che aumentano la produzione di enzimi digestivi, permettendo alle larve delle mosche di decomporre una gamma più ampia di materiali organici. Inoltre, possono introdurre geni che consentono alle mosche di produrre composti utili come acidi grassi e enzimi industriali.

L’adozione di mosche geneticamente modificate per la gestione dei rifiuti offre numerosi vantaggi ambientali ed economici, in primo luogo, queste mosche possono ridurre significativamente il volume di rifiuti organici che finiscono nelle discariche, e questo è cruciale perché la decomposizione dei rifiuti organici nelle discariche produce metano, un potente gas serra, inoltre riducendo la quantità di rifiuti organici nelle discariche, possiamo diminuire le emissioni di metano e contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico.

In secondo luogo, le mosche soldato nere possono trasformare i rifiuti in risorse preziose, le larve delle mosche sono ricche di proteine e possono essere utilizzate come mangime per animali, riducendo la dipendenza da fonti di proteine tradizionali come la soia e il pesce, e questo non solo offre un’alternativa sostenibile, ma anche economicamente vantaggiosa per l’industria dell’allevamento.

Sfide e prospettive future

Nonostante i numerosi vantaggi, l’implementazione su larga scala di mosche geneticamente modificate presenta alcune sfide, una delle principali preoccupazioni riguarda la sicurezza ambientale, per l’appunto è essenziale garantire che queste mosche non possano sopravvivere al di fuori degli ambienti controllati, per evitare potenziali impatti negativi sugli ecosistemi naturali. I ricercatori stanno lavorando su modifiche genetiche che rendano le mosche incapaci di volare o di riprodursi al di fuori dei laboratori.

Hermetia illucens: un aiutante per il compost! — Saturi di Natura

Oltre a quanto precedentemente detto, è necessario affrontare le questioni etiche e regolatorie legate all’uso di organismi geneticamente modificati, è fondamentale che il pubblico e le autorità regolatorie siano informati e coinvolti nel processo decisionale per garantire un’adozione responsabile e trasparente di questa tecnologia.

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Come l’anidride carbonica si muove nell’atmosfera terrestre – Video

Aumento della CO2 10 volte più veloce degli ultimi 50.000 anni, anidride carbonica

Il video che trovi subito dopo questo paragrafo mostra le concentrazioni di anidride carbonica durante il movimento del gas nell’atmosfera terrestre da gennaio a marzo 2020, guidato dai venti e dalla circolazione atmosferica.

Osservare le emissioni di anidride carbonica

Grazie all’alta risoluzione del modello, è possibile ingrandire l’immagine e osservare le emissioni di anidride carbonica provenienti da centrali elettriche, incendi e città, che si diffondono poi nei continenti e negli oceani.

Global CO2 è una telecamera che ha orbitato attorno alla Terra da lontano:
Come decisori politici e scienziati, stiamo cercando di spiegare da dove proviene il carbonio e come influisce sul pianeta“, ha affermato la climatologa Lesley Ott del Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland: “Qui si vede come tutto sia interconnesso da questi diversi modelli meteorologici“.

In Cina, Stati Uniti e Asia meridionale, la maggior parte delle emissioni proviene da centrali elettriche, stabilimenti industriali, automobili e camion, ha affermato Ott. Nel frattempo, in Africa e Sud America, le emissioni derivavano in gran parte dagli incendi, in particolare quelli correlati alla gestione del territorio, alle bruciature agricole controllate e alla deforestazione, insieme alla combustione di petrolio e carbone. Gli incendi rilasciano anidride carbonica mentre bruciano.

Perché la mappa sembra pulsare?

Osserva il secondo video pubblicato subito dopo questo paragrafo. Ci sono due ragioni principali per la pulsazione: in primo luogo, gli incendi hanno un chiaro ciclo giorno-notte. Di solito divampano durante il giorno e si estinguono di notte.

In secondo luogo, stai osservando l’assorbimento e il rilascio di anidride carbonica durante la fotosintesi di alberi e piante. La terra e gli oceani della Terra assorbono circa il 50% di anidride carbonica; sono pozzi di carbonio naturali.

Le piante assorbono CO2 durante il giorno durante la fotosintesi e poi la rilasciano di notte attraverso la respirazione. Nota che gran parte della pulsazione si è verificata in regioni con molti alberi, come le foreste di latitudini medie o alte. E poiché i dati sono stati presi durante l’estate dell’emisfero australe, vedi più pulsazioni ai tropici e in Sud America, dove era la stagione di crescita attiva.

Parte di questa pulsazione proviene anche dallo strato limite planetario, ovvero i 900 metri più bassi dell’atmosfera, che si alza quando la superficie terrestre viene riscaldata dalla luce solare durante il giorno, per poi abbassarsi quando si raffredda di notte.

La mappa è stata creata dallo Scientific Visualization Studio della NASA utilizzando un modello chiamato GEOS, abbreviazione di Goddard Earth Observing System. GEOS è un modello meteorologico ad alta risoluzione, alimentato da supercomputer, utilizzato per simulare quello che sta accadendo nell’atmosfera, inclusi sistemi di tempeste, formazioni di nubi e altri eventi naturali.

GEOS estrae miliardi di punti dati da osservazioni a terra e strumenti satellitari, come il MODIS del satellite Terra e gli strumenti VIIRS del satellite Suomi-NPP. La sua risoluzione è oltre 100 volte maggiore di un tipico modello meteorologico.

Ott e altri climatologi hanno voluto sapere cosa avrebbe mostrato GEOS se fosse stato utilizzato per modellare il movimento e la densità dell’anidride carbonica nell’atmosfera globale.

Abbiamo avuto questa opportunità di dire: possiamo vedere come appare davvero l’anidride carbonica ad alta risoluzione?“, ha detto Ott: “Avevamo la sensazione che avremmo visto strutture a pennacchio e cose che non siamo mai stati in grado di vedere quando eseguiamo queste simulazioni a risoluzione più grossolana”.

Il suo istinto aveva ragione: “Solo vedere quanto fossero persistenti i pennacchi e l’interazione dei pennacchi con i sistemi meteorologici, è stato tremendo”.

Non possiamo affrontare il cambiamento climatico senza affrontare il fatto che stiamo emettendo enormi quantità di CO2, il che sta riscaldando l’atmosfera, ha affermato Ott.

L’anidride carbonica è un gas serra che intrappola il calore ed è la causa principale dell’aumento delle temperature sulla Terra. Man mano che la CO2 si accumula nell’atmosfera, riscalda il nostro pianeta. Questo è chiaro dai numeri.

Il 2023 è stato l’ anno più caldo mai registrato, secondo gli scienziati del Goddard Institute for Space Studies (GISS) della NASA a New York. La maggior parte dei 10 anni più caldi mai registrati si sono verificati nell’ultimo decennio.

Tutta questa anidride carbonica non è dannosa per la qualità dell’aria. Infatti, abbiamo bisogno di un po’ di anidride carbonica per mantenere il pianeta abbastanza caldo da permettere la vita, ma quando troppa CO2 viene immessa nell’atmosfera, la Terra si riscalda troppo e troppo velocemente.

Questo è quello che accade da almeno mezzo secolo. La concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata da circa 278 parti per milione nel 1750, l’inizio dell’era industriale, a 427 parti per milione nel maggio 2024.

Le attività umane hanno “inequivocabilmente causato il riscaldamento”, secondo l’ ultimo rapporto dell‘Intergovernmental Panel on Climate Change. Questo riscaldamento sta portando a tutti i tipi di cambiamenti al nostro clima, tra cui tempeste più intense, incendi, ondate di calore e innalzamento del livello del mare.

Conclusioni

L’anidride carbonica è presente ovunque nell’atmosfera e la sfida per AJ Christensen, senior visualization designer presso il Goddard Space Flight Center della NASA, è stata quella di mostrare le differenze di densità di questo gas invisibile.

Aumento della CO2 10 volte più veloce degli ultimi 50.000 anni, anidride carbonica

Non volevamo che la gente avesse l’impressione che non ci fosse anidride carbonica in queste regioni più rade“, ha detto Christensen: “Ma volevamo anche mettere in evidenza le regioni dense perché è la caratteristica interessante dei dati. Stavamo cercando di mostrare che c’è molta densità su New York e Pechino”.

Le visualizzazioni dei dati aiutano le persone a comprendere il funzionamento dei sistemi terrestri e possono aiutare gli scienziati a individuare schemi ricorrenti in enormi set di dati, ha affermato Ott.

La speranza è che se oggi comprendiamo davvero bene i gas serra, saremo in grado di costruire modelli che li prevedano meglio nei prossimi decenni o addirittura secoli“, ha concluso Ott.


Il metano viene eliminato dall’atmosfera grazie alla corteccia degli alberi

metano

Un team di scienziati ha scoperto che i microrganismi presenti nella corteccia degli alberi svolgono un ruolo fondamentale nell’eliminazione del metano dall’atmosfera. Il gas serra è un prodotto dell’agricoltura e della combustione di combustibili fossili ed è 28 volte più potente dell’anidride carbonica. Tuttavia, rimane nell’atmosfera per un periodo di tempo più breve.

metano

Il metano è responsabile di circa il 30% del riscaldamento globale

Il metano è responsabile di circa il 30% del riscaldamento globale fin dall’epoca preindustriale e attualmente le sue emissioni stanno aumentando al ritmo più rapido dagli anni ’80.

Il team che ha sviluppato lo studio dell’Università di Birmingham, pubblicato sulla rivista Nature e guidato dal Professor Vincent Gauci, ha studiato i livelli di assorbimento di metano nelle foreste tropicali di montagna dell’Amazzonia e di Panama; negli alberi di latifoglie temperate di Wytham Woods nell’Oxfordshire nel Regno Unito; e negli alberi di conifere boreali in Svezia.

Lo studio

Si è scoperto che i livelli di assorbimento di metano sono più elevati nelle foreste tropicali, probabilmente grazie alla capacità dei microrganismi di prosperare in condizioni calde e umide.

In precedenza, si è supposto che il suolo fosse l’unico pozzo terrestre di metano, con batteri nel suolo in grado di assorbire il gas e scomporlo per usarlo come fonte di energia, ma Gauci ha detto che la ricerca ha evidenziato: “Un nuovo modo straordinario in cui gli alberi forniscono un servizio climatico vitale”.

Il Global Methane Pledge, lanciato nel 2021 al summit sul clima Cop26, ha delineato l’obiettivo di ridurre le emissioni di metano del 30% entro la fine del decennio. Gauci ha affermato: “I nostri risultati hanno indicato che piantare più alberi e ridurre la deforestazione devono sicuramente essere parti importanti di qualsiasi approccio verso questo obiettivo”.

Piantare alberi è diventata una tattica fondamentale per combattere la crisi climatica, con il governo del Regno Unito che pianifica di spendere più di 500 milioni di sterline in alberi e boschi tra il 2020 e il 2025. Ma la ricerca ha mostrato che i paesi devono soppesare i vantaggi e gli svantaggi della piantagione di alberi, con la rigenerazione naturale delle foreste che si è dimostrata più conveniente in alcune circostanze.

Jacob Bukoski, uno scienziato del college of forestry dell’Oregon State University, e il suo team hanno analizzato i dati di migliaia di siti di riforestazione in 130 paesi per lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Climate Change. Hanno scoperto che la rigenerazione naturale sarebbe più conveniente in un periodo di 30 anni per il 46% delle aree studiate, mentre la piantumazione sarebbe più conveniente per il 54%.

In generale, possiamo lasciare che le foreste si rigenerino da sole, il che è lento ma poco costoso, oppure adottare un approccio più attivo e piantarle, il che accelera la crescita ma è più costoso“, ha affermato Bukoski: “Il nostro studio confronta questi due approcci nei paesaggi rimboschibili nei paesi a basso e medio reddito, identificando dove è probabile che la rigenerazione naturale o la piantagione di foreste abbia più senso”.

Si è scoperto che la rigenerazione naturale è più conveniente in aree quali il Messico occidentale, la regione andina, il cono meridionale del Sud America, l’Africa occidentale e centrale, l’India, la Cina meridionale, la Malesia e l’Indonesia.

Una combinazione di fattori ha migliorato la rigenerazione naturale in queste aree, ad esempio la presenza di condizioni ecologiche sufficienti per la ricrescita degli alberi, i costi di opportunità e di attuazione e i tassi di accumulo del carbonio.

Conclusioni

Gli scienziati hanno infine stabilito che usare una combinazione di entrambi gli approcci a livello globale sarebbe stato migliore del 44% rispetto alla sola rigenerazione naturale e del 39% rispetto alla sola piantagione: “Se il tuo obiettivo è sequestrare il metano il più rapidamente e il più economicamente possibile, l’opzione migliore è un mix di foreste che si rigenerano naturalmente e di foreste che vengono piantate“, ha affermato Bukoski.

Sebbene la riforestazione possa rivelarsi altamente efficace nel compensare le emissioni di metano, gli autori sottolineano che la riforestazione è un complemento, non un sostituto, della riduzione delle emissioni da combustibili fossili. L’intero potenziale di mitigazione della riforestazione in 30 anni equivarrebbe solo a meno di otto mesi di emissioni globali di metano.

Gli autori sostengono inoltre che, quando si decide dove e come riforestare i paesaggi, è necessario considerare molti altri fattori, oltre al metano, come l’impatto della riforestazione sulla biodiversità, la domanda di prodotti in legno e gli effetti biofisici non legati al carbonio, come la disponibilità di acqua.


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Draghi di Komodo: 5 curiosità sul loro morso

Draghi di Komodo

I draghi di Komodo, noti scientificamente come Varanus komodoensis, sono i più grandi lucertoloni viventi al mondo, famosi per la loro forza e ferocia, ciò detto recentemente, una scoperta sorprendente ha rivelato che i loro denti sono dotati di punte di ferro, un adattamento che li rende ancora più letali.

Questa scoperta non solo getta nuova luce sulle capacità predatori di questi rettili, ma solleva anche domande intriganti riguardo ai dinosauri carnivori come il Tyrannosaurus rex.

Che cos'è il drago di Komodo e quanto è pericoloso - Focus.it

I draghi di Komodo sono originari delle isole indonesiane di Komodo, Rinca, Flores, Gili Motang e Padar, mentre per quanto riguarda le caratteristiche fisiche, questi predatori possono raggiungere una lunghezza di oltre tre metri e pesare fino a 90 chilogrammi, e sono noti per la loro dieta carnivora, che include una vasta gamma di prede, dai piccoli mammiferi agli uccelli, fino ai grandi ungulati come i cervi e i bufali d’acqua.

Cosa dice la scoperta sui draghi di Komodo

La scoperta delle punte di ferro sui loro denti è stata fatta da un team di ricercatori del King’s College di Londra e dell’Imperial College di Londra.

Utilizzando tecniche avanzate di microscopia elettronica, i ricercatori hanno osservato che il ferro è concentrato in uno strato sottile sulla superficie dei denti seghettati dei draghi di Komodo, uno strato di ferro che non solo mantiene i denti affilati, ma li protegge anche dall’usura, permettendo ai draghi di Komodo di strappare la carne delle loro prede con facilità.

Questa scoperta ha implicazioni significative per la nostra comprensione dei comportamenti predatori dei rettili carnivori, sia moderni che estinti, infatti i denti seghettati e ricoperti di ferro dei draghi di Komodo sono simili a quelli di molti dinosauri carnivori, suggerendo che anche questi ultimi potrebbero aver avuto adattamenti simili per migliorare le loro capacità di caccia.

Sebbene non ci siano ancora prove definitive che i dinosauri avessero denti con punte di ferro, la scoperta di questa peculiarità nei draghi di Komodo apre nuove strade di ricerca per esplorare questa possibilità, tra l’altro la presenza di ferro nei denti dei draghi potrebbe fornire indizi preziosi su come questi rettili mantengano i loro denti affilati e funzionali per tutta la vita.

Questo adattamento potrebbe essere stato cruciale per la loro sopravvivenza e successo come predatori apicali nei loro habitat naturali.

Anatomia e funzione dei denti dei draghi di Komodo

I draghi di Komodo possiedono una dentatura unica che li rende predatori estremamente efficaci, i loro denti sono seghettati e curvati all’indietro, simili a quelli di molti dinosauri carnivori, una struttura che permette loro di afferrare e strappare la carne delle loro prede con grande efficienza, e la recente scoperta aggiunge un ulteriore livello di complessità alla loro anatomia dentale.

The teeth of megalania, Australia's extint even larger relative of the Komodo dragon show similar serrations to Komodos, but there is no sign of the pigmentation that would indicate iron tipping.

Per quanto riguarda la loro struttura, sono composti da una combinazione di dentina e smalto, con il ferro concentrato in uno strato sottile sulla superficie dei denti seghettati, strato di ferro che, come detto in precedenza, non solo mantiene i denti affilati, ma li protegge anche dall’usura, inoltre la sua presenza conferisce ai denti una colorazione arancione distintiva, visibile anche dopo la morte dell’animale.

La funzione principale, come ovvio, è quella di strappare la carne delle loro prede, con i denti seghettati che agiscono come lame, tagliando attraverso la carne con facilità. La presenza di punte di ferro aumenta ulteriormente l’efficacia di questo processo, permettendo ai draghi di Komodo di mantenere i loro denti affilati e funzionali per periodi di tempo più lunghi.

I denti dei draghi di Komodo presentano somiglianze sorprendenti con quelli di dinosauri come il Tyrannosaurus rex, entrambi i gruppi di animali possiedono denti seghettati, curvati all’indietro e progettati per strappare la carne delle loro prede, ecco perché la presenza di ferro nei denti dei draghi di Komodo solleva la possibilità che anche i dinosauri carnivori potessero avere adattamenti simili.

La scoperta delle punte di ferro nei denti dei draghi di Komodo apre nuove strade di ricerca per esplorare l’evoluzione dei denti nei rettili carnivori, gli scienziati potrebbero utilizzare tecniche avanzate di microscopia e analisi chimica per cercare tracce di ferro nei denti fossilizzati dei dinosauri.

Questo potrebbe fornire nuove informazioni sulle capacità predatori dei dinosauri e su come questi animali si siano adattati per diventare i predatori apicali dei loro ecosistemi.

Indonesia,isola di Komodo, troppi turisti e draghi in pericolo - VoceAlta

I draghi di Komodo sono predatori straordinari, dotati di adattamenti unici che li rendono estremamente efficaci nella caccia, e la scoperta delle punte di ferro sui loro denti aggiunge un nuovo livello di comprensione alla loro anatomia e alle loro capacità predatori.

Questa scoperta ha anche implicazioni significative per la nostra comprensione dell’evoluzione dei rettili carnivori, suggerendo che adattamenti simili potrebbero essere stati presenti anche nei dinosauri carnivori, e con ulteriori ricerche, potremmo scoprire ancora di più su come questi affascinanti animali si siano evoluti per diventare i predatori apicali dei loro habitat naturali.

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