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Campo magnetico terrestre: scoperta la sua intensità 3,7 miliardi di anni fa

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Campo magnetico terrestre: scoperta la sua intensità 3,7 miliardi di anni fa
Campo magnetico terrestre: scoperta la sua intensità 3,7 miliardi di anni fa

Un’affascinante scoperta congiunta dell’Università di Oxford e del MIT ha portato alla luce dati sorprendenti sul campo magnetico terrestre. Attraverso un’analisi meticolosa di rocce provenienti dalla Groenlandia, i ricercatori sono riusciti a ricostruire il campo magnetico della Terra di ben 3,7 miliardi di anni fa.

La coautrice dello studio Athena Eyster si trova di fronte a un'ampia esposizione di formazione di ferro a bande, il deposito ricco di ferro da cui venivano estratti antichi segnali di campo magnetico. Credito: Claire Nichols
La coautrice dello studio Athena Eyster si trova di fronte a un’ampia esposizione di formazione di ferro a bande, il deposito ricco di ferro da cui venivano estratti antichi segnali di campo magnetico. Credito: Claire Nichols

Il campo magnetico terrestre

Il campo magnetico terrestre agisce come uno scudo protettivo, deviando le radiazioni nocive provenienti dal Sole e dallo Spazio. Senza questo scudo, la Terra sarebbe esposta a un bombardamento costante di radiazioni ad alta energia, con conseguenze devastanti per la vita.

La scoperta di un campo magnetico terrestre antico e potente suggerisce che la vita sulla Terra abbia potuto prosperare già in epoche molto remote. Inoltre, offre informazioni preziose sui processi geologici che hanno plasmato il nostro pianeta nel corso della sua lunga storia.

Lo studio apre nuove strade di ricerca per approfondire la nostra conoscenza del campo magnetico terrestre e del suo ruolo fondamentale nella protezione della vita. I ricercatori continueranno ad analizzare dati provenienti da diverse parti del mondo per ricostruire la storia con ancora maggiore precisione, offrendoci una finestra sul passato del nostro pianeta e sul suo futuro.

I campioni sono stati estratti lungo i transetti per confrontare la differenza tra le intrusioni ignee di 3,5 miliardi di anni e la roccia circostante che, secondo i ricercatori, detiene un record del campo magnetico di 3,7 miliardi di anni. Credito: Claire Nichols
I campioni sono stati estratti lungo i transetti per confrontare la differenza tra le intrusioni ignee di 3,5 miliardi di anni e la roccia circostante che, secondo i ricercatori, detiene un record del campo magnetico di 3,7 miliardi di anni. Credito: Claire Nichols

Campo magnetico terrestre: prove di un’intensità antica simile a quella odierna

Nel nuovo studio, i ricercatori hanno esaminato un’antica sequenza di rocce contenenti ferro provenienti da Isua, in Groenlandia. Le particelle di ferro agiscono effettivamente come minuscoli magneti in grado di registrare sia l’intensità che la direzione del campo magnetico quando il processo di cristallizzazione le blocca in posizione. I ricercatori hanno scoperto che le rocce risalenti a 3,7 miliardi di anni fa hanno catturato un’intensità del campo magnetico di almeno 15 microtesla paragonabile al campo magnetico moderno (30 microtesla).

Questi risultati forniscono la stima più antica derivata da interi campioni di roccia, una valutazione più accurata e affidabile rispetto a studi precedenti che utilizzavano singoli cristalli.

La ricercatrice capo, la professoressa Claire Nichols del Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Oxford, ha dichiarato: “Estrarre dati affidabili da rocce così antiche è stato estremamente impegnativo, ed è stato davvero emozionante vedere i segnali magnetici primari iniziare ad emergere quando abbiamo analizzato questi campioni in laboratorio.  Questo è un passo avanti davvero importante nel determinare il ruolo dell’antico campo magnetico quando la vita sulla Terra stava emergendo per la prima volta”.’

Mentre l’intensità del campo magnetico sembra essere rimasta relativamente costante, è noto che il vento solare è stato significativamente più forte in passato. Questo ha suggerito che la protezione della superficie terrestre dallo stesso è aumentata nel tempo, il che potrebbe aver permesso alla vita di spostarsi sui continenti e abbandonare la protezione degli oceani.

Un esempio della formazione di ferro fasciato vecchia di 3,7 miliardi di anni che si trova nella parte nord-orientale della cintura sopracrustale di Isua. Credito: Claire Nichols
Un esempio della formazione di ferro fasciato vecchia di 3,7 miliardi di anni che si trova nella parte nord-orientale della cintura sopracrustale di Isua. Credito: Claire Nichols

Campo magnetico terrestre: tracce di un’antica dinamo

Il campo magnetico terrestre è generato dalla miscelazione del ferro fuso nel nucleo esterno fluido, guidato dalle forze di galleggiamento mentre il nucleo interno si solidifica, e crea una dinamo. Durante la formazione iniziale della Terra, il solido nucleo interno non si era ancora formato, lasciando aperti interrogativi su come fosse sostenuto il campo magnetico primordiale. Questi nuovi risultati hanno suggerito che il meccanismo che ha guidato la prima dinamo della Terra è stato altrettanto efficiente del processo di solidificazione che genera oggi il campo magnetico terrestre.

Comprendere come l’intensità è variata nel tempo è anche fondamentale per determinare quando il nucleo interno e solido della Terra hanno iniziato a formarsi. Questo ci aiuterà a capire quanto rapidamente il calore sta fuggendo dalle profondità interne della Terra, il che è fondamentale per comprendere processi come la tettonica a placche.

Una sfida considerevole nel ricostruire il campo magnetico terrestre in epoche così remote risiede nel fatto che qualsiasi evento in grado di riscaldare le rocce può alterare i segnali magnetici in esse conservati. Le rocce della crosta terrestre, infatti, possiedono spesso storie geologiche lunghe e complesse che cancellano le precedenti informazioni relative al campo magnetico.

La cintura sopracrostale di Isua presenta una geologia unica, situata sulla sommità di una spessa crosta continentale che la protegge da un’intensa attività tettonica e deformazioni significative. Questo ha permesso ai ricercatori di costruire un insieme di prove inequivocabili a sostegno dell’esistenza di un campo magnetico terrestre 3,7 miliardi di anni fa.

I risultati ottenuti potrebbero anche fornire nuove informazioni sul ruolo del nostro campo magnetico nel modellare lo sviluppo dell’atmosfera terrestre come la conosciamo, in particolare per quanto riguarda la fuga atmosferica dei gas. Un fenomeno attualmente inspiegabile è la perdita del gas non reattivo xeno dalla nostra atmosfera avvenuta più di 2,5 miliardi di anni fa.

Lo xeno è relativamente pesante ed è quindi improbabile che sia semplicemente uscito dalla nostra atmosfera. Recentemente, gli scienziati hanno iniziato a studiare la possibilità che le particelle cariche in esso siano state rimosse dall’atmosfera dal campo magnetico.

Guardando al futuro, i ricercatori aspirano ad ampliare la nostra conoscenza del periodo precedente all’aumento dell’ossigeno nell’atmosfera terrestre, avvenuto circa 2,5 miliardi di anni fa. A tal fine, si propone di esaminare altre antiche sequenze rocciose situate in Canada, Australia e Sud Africa. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Geophysical Research.

Una comprensione più approfondita dell’antica intensità e variabilità del campo magnetico terrestre si rivelerà fondamentale per determinare se i campi magnetici planetari siano essenziali per l’esistenza della vita sulla superficie di un pianeta e per chiarire il loro ruolo nell’evoluzione atmosferica.

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Il fenomeno dei “ragni” su Marte: ecco come si sviluppa

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Ragni su marte
Il fenomeno dei "ragni" su Marte: ecco come si sviluppa

Il Mars Express dell’ESA ha catturato le tracce rivelatrici dei “ragni” su Marte, sparsi nella regione polare meridionale del Pianeta Rosso.

Ragni su Marte
Il fenomeno dei “ragni” su Marte: ecco come si sviluppa

I ragni su Marte

Piuttosto che essere veri e propri ragni, queste piccole caratteristiche scure si formano quando il Sole primaverile cade sugli strati di anidride carbonica depositati durante i bui mesi invernali. La luce solare fa sì che il ghiaccio di anidride carbonica sul fondo dello strato si trasformi in gas, che successivamente si accumula e rompe le lastre di ghiaccio sovrastanti.

Il gas si libera nella primavera marziana, trascinando materiale scuro verso la superficie e frantumando strati di ghiaccio spessi fino a un metro.

Il gas emergente, carico di polvere scura, fuoriesce attraverso le fessure del ghiaccio sotto forma di alte fontane o geyser, prima di ricadere e depositarsi in superficie.

Questo crea macchie scure di diametro compreso tra 45 me 1 km. Questo stesso processo crea caratteristici motivi “a forma di ragno” incisi sotto il ghiaccio, e quindi queste macchie scure sono un segno rivelatore che i ragni potrebbero essere in agguato sotto.

L’ExoMars Trace Gas Orbiter (TGO), ha ripreso le immagini a forma di viticcio dei ragni su Marte in modo particolarmente chiaro. La vista di Mars Express mostra le macchie scure sulla superficie formate dalla fuoriuscita di gas e materiale, mentre la prospettiva TGO cattura anche i canali simili a ragnatele scavati nel ghiaccio sottostante.

Ragni su marte
Il fenomeno dei “ragni” su Marte: ecco come si sviluppa

Le suddette macchie scure possono essere viste in tutta l’immagine di Mars Express, strisciando attraverso imponenti colline e ampi altipiani. La maggior parte dei ragni su Marte può essere vista come un insieme di piccole macchie nella regione oscura a sinistra, che si trova proprio alla periferia di una parte del Pianeta Rosso soprannominata Inca City.

Il motivo di questo nome non è un mistero, la rete lineare, quasi geometrica dei crinali ricorda le rovine Inca.

Più formalmente conosciuta come Angustus Labyrinthus, Inca City è stata scoperta nel 1972 dalla sonda Mariner 9 della NASA. Questa nuova visione di Inca City e dei suoi abitanti aracnidi nascosti è stata catturata dalla telecamera stereo ad alta risoluzione di Mars Express.

Inca City

Non siamo ancora sicuri di come si sia formata Inca City. Potrebbe essere che le dune di sabbia si siano trasformate in pietra nel tempo. Forse materiale come magma o sabbia sta filtrando attraverso strati fratturati di roccia marziana. Oppure le creste potrebbero essere “esker”, strutture tortuose legate ai ghiacciai.

Le “mura” di Città Inca sembrano tracciare parte di un grande cerchio, di 86 km di diametro. Gli scienziati sospettano quindi che la “città” si trova all’interno di un grande cratere formatosi quando una roccia proveniente dallo Spazio ha colluso sulla superficie del pianeta.

Ragni su Marte
Il fenomeno dei “ragni” su Marte: ecco come si sviluppa

Questo impatto probabilmente ha causato l’increspatura di faglie nella pianura circostante, che sono state successivamente riempite di lava in aumento e da allora si sono consumate nel tempo.

Verso la parte centrale dell’immagine il paesaggio cambia leggermente, con grandi volute tondeggianti e ovali che creano un effetto che ricorda il marmo. Si ritiene che questo effetto si verifichi quando i depositi stratificati vengono consumati nel tempo.

Verso nord il terreno diventa sempre più ricoperto di polvere liscia e chiara. Alcuni segni di ragni possono essere visti sparsi sugli altipiani, in agguato tra vari canyon e avvallamenti.

Conclusioni

Mars Express ha rivelato molto su Marte negli ultimi due decenni e oltre. L’orbiter continua a fotografare la superficie di Marte, a mapparne i minerali, a esplorare la composizione e la circolazione della sua atmosfera, a sondare il sottosuolo della crosta e a studiare l’ambiente marziano.

Ragni su Marte
Il fenomeno dei “ragni” su Marte: ecco come si sviluppa

L’HRSC della navicella spaziale ci ha mostrato di tutto, dalle creste e solchi scolpiti dal vento alle doline sui fianchi di colossali vulcani, ai crateri da impatto, alle faglie tettoniche, ai canali fluviali e alle antiche pozze di lava.

La missione è stata immensamente produttiva nel corso della sua vita, creando una comprensione molto più completa e accurata del Pianeta Rosso.

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Recupero dei metalli: un’opportunità economica, produttiva ed ambientale

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Recupero dei metalli: un’opportunità economica, produttiva ed ambientale

Lo smaltimento dei rottami e dei materiali utilizzati nei cantieri è un’attività indispensabile nel settore dell’edilizia. Gli scarti, nella maggior parte dei casi, finiscono in una discarica insieme ad altri rifiuti ritenuti ormai inservibili e inutilizzabili. BM Metalli ha trasformato quest’incombenza in una vera e propria risorsa per le imprese di costruzioni e altre attività industriali. I rottami che contengono dei metalli, infatti, vengono recuperati e reintegrati nel ciclo produttivo dopo un’accurata valutazione radiometrica.

Questi processi di analisi e classificazione dei componenti presenti nei materiali di scarto definiscono la nuova destinazione d’uso. Successivamente, i metalli vengono separati dai rottami, smistati e inviati al cliente finale nel formato desiderato. Con BM Metalli lo smaltimento degli scarti diventa un’operazione redditizia e sostenibile grazie alla considerevole esperienza acquisita nel campo della rivalorizzazione dei materiali metallici.

Potenzialità dei metalli recuperati e reintrodotti nel ciclo produttivo

I materiali di scarto possono contenere dei componenti in grado di soddisfare determinate esigenze industriali e commerciali. Queste parti metalliche destinate al riciclo vengono recuperate da BM Metalli tramite un apposito procedimento di smistamento e lavorazione. Il processo di rivalutazione coinvolge tutti i rottami prelevati dagli addetti tramite un container o un apposito mezzo. Le imprese, finalmente, possono smaltire e riutilizzare i materiali di scarto col supporto di un partner affidabile e competente. Le attività di raccolta, cernita e trattamento soddisfano anche una preziosa esigenza ecologica perché riducono il numero di rottami indirizzati verso la prima discarica disponibile. BM Metalli recupera tutti i componenti, ferrosi e non, che possono rientrare nel ciclo produttivo come nuove risorse più economiche e sostenibili.

I materiali metallici, provenienti da fonti diverse, vengono estratti prima di essere indirizzati verso una nuova destinazione d’uso. Il commercio dei rottami, inoltre, rappresenta anche una valida opportunità per le aziende e le realtà imprenditoriali che operano nei dintorni di Brescia. BM Metalli opera in questo territorio da varie generazioni grazie all’elevata specializzazione acquisita nella selezione e nella rivalutazione dei componenti ferrosi e non ferrosi. Questa realtà è divenuta il principale punto di riferimento per il recupero dei rottami metallici grazie all’elevata esperienza maturata in un settore che richiede competenza, credibilità e professionalità.

Vantaggi economici ed ambientali derivabili dal recupero dei metalli

La discarica non è l’unica opzione disponibile per i rottami giunti alla conclusione del proprio ciclo di vita. Dai materiali di scarto, infatti, si possono ricavare delle nuove risorse con l’ausilio di specialisti esperti e qualificati. Le imprese, inoltre, possono trarre numerosi vantaggi da questa gestione circolare, responsabile ed ecologica dei rifiuti aziendali. BM Metalli si occupa anche della riduzione volumetrica dei materiali di scarto identificati tramite una minuziosa e meticolosa cernita.

I rottami vengono valutati da un apposito team prima di essere indirizzati alle successive fasi di stoccaggio, lavorazione ed estrazione dei componenti metallici. Il risultato è un modello operativo efficiente e conforme alle normative che regolano la gestione dei rifiuti speciali non pericolosi. Non a caso, le certificazioni di qualità e le autorizzazioni rilasciate dalla Provincia di Brescia attestano il livello di professionalità maturata da BM Metalli in un settore di fondamentale importanza per l’ambiente e l’industria locale.

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Un viaggio attraverso l’eccellenza dei sistemi di fissaggio per auto

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Un viaggio attraverso l’eccellenza dei sistemi di fissaggio per auto

L’innovazione e la qualità rappresentano i fondamenti su cui si basa il successo dell’industria automobilistica. Tra le figure di spicco di questo settore, Agrati si distingue per la sua eccellenza nei sistemi di fissaggio, svolgendo un ruolo chiave nello sviluppo di veicoli sicuri, efficienti e all’avanguardia. Esaminiamo come Agrati ha ridefinito gli standard nel campo del fissaggio per l’automobile.

La storia di Agrati: eccellenza radicata nella tradizione

La storia di Agrati è un affascinante viaggio che inizia nel 1939, da una piccola officina artigianale fino a diventare un leader mondiale nella produzione di sistemi di fissaggio. Lungo il percorso, l’azienda si è contraddistinta per la sua costante ricerca dell’eccellenza, un impegno che ha consolidato la sua reputazione di qualità e affidabilità nel settore automobilistico. Questa narrazione rappresenta un esempio dell’evoluzione industriale, caratterizzata da importanti traguardi e innovazioni che hanno contribuito a plasmare il futuro dell’industria del fissaggio.

Innovazione nei sistemi di fissaggio: la chiave del successo di Agrati

L’innovazione è il fulcro della strategia di Agrati. Attraverso consistenti investimenti in ricerca e sviluppo, l’azienda ha introdotto tecnologie all’avanguardia e processi produttivi innovativi per assicurare che ogni vite, bullone o componente di fissaggio non solo risponda alle esigenze del settore automobilistico, ma le superi.

Agrati produce giornalmente oltre 5 milioni di viti di alta qualità per il settore automotive, garantendo eccellenza grazie a processi interni di produzione e collaborazioni con fornitori qualificati. La società eccelle nella realizzazione di viti con caratteristiche meccaniche personalizzate, inclusa la capacità di offrire prodotti ad altissima resistenza.

Agrati sviluppa viti speciali che soddisfano rigidi standard internazionali, grazie a un avanzato processo termico e vari rivestimenti per migliorare resistenza e attrito. Le viti con licenza, adatte a specifici materiali, rappresentano la capacità di Agrati di adattarsi alle esigenze dei produttori OEM e Tier1, assicurando montaggi ottimali attraverso tecnologie innovative e trattamenti termici all’avanguardia.

Oltre alla produzione di viti, Agrati si distingue per la fabbricazione di dadi di alta qualità per l’industria automobilistica, offrendo soluzioni flessibili che soddisfano le specifiche esigenze degli OEM e dei Tier1. Con una produzione mensile di circa 2 milioni di pezzi, l’azienda garantisce standard elevati in termini di qualità e sicurezza grazie a un’accurata gestione di tutte le fasi del processo. I dadi prodotti da Agrati si contraddistinguono per la loro modularità, facilità di sostituzione e versatilità d’uso, rendendoli adatti a svariate applicazioni come telai, interni, sistemi frenanti e motori.

La visione ecologica di Agrati

Agrati dimostra un forte impegno per la sostenibilità, con l’obiettivo di diventare Carbon Neutral entro il 2039. Questo obiettivo si traduce in un attento monitoraggio e miglioramento dei processi produttivi per ridurre le emissioni di carbonio e promuovere pratiche sostenibili tra i fornitori e i partner. L’azienda amplia il proprio coinvolgimento nelle comunità locali partecipando ad iniziative di volontariato e progetti sociali. Questa visione integrata riflette responsabilità non solo ambientale di Agrati, ma anche sociale, dimostrando il suo impegno a contribuire positivamente alla società.

Agrati e l’industria automobilistica: una collaborazione di successo

La collaborazione tra Agrati e i principali marchi automobilistici dimostra l’importanza fondamentale dei sistemi di fissaggio di eccellente qualità. Anche se sono componenti di dimensioni ridotte, essi giocano un ruolo cruciale nell’affidabilità strutturale, nella sicurezza e nelle performance dei veicoli, dimostrando che il successo nel settore automobilistico dipende anche dalla qualità del più piccolo dettaglio.

Esplorando nuove prospettive nel settore dell’automotive

Agrati si impegna costantemente a esplorare nuove frontiere nell’ambito dell’innovazione nel settore del fissaggio automobilistico. Tenendo conto delle mutevoli esigenze dell’industria automobilistica e affrontando le sfide legate alla sostenibilità, Agrati mantiene la propria leadership contribuendo a fare in modo che ciascun veicolo sia più sicuro, efficiente e rispettoso dell’ambiente grazie alla qualità impeccabile dei suoi sistemi di fissaggio.

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La stazione spaziale Tiangong è stata danneggiata da alcuni detriti

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Tiangong

Secondo i media statali, la Cina rafforzerà le procedure per i detriti spaziali dopo una parziale perdita di potenza sulla stazione spaziale Tiangong. Gli astronauti della missione Shenzhou 17 hanno condotto due incursioni spaziali fuori da Tiangong quest’inverno. L’ultima volta la passeggiata è avvenuta nel primo marzo 2024.

Tiangong

I media cinesi, vista la situazione, hanno provveduto a informare i cittadini di una lieve perdita di energia elettrica dopo che i pannelli solari dell’avamposto avevano subito un guasto a causa dell’impatto con alcuni detriti. La China Manned Space Agency (CMSA), in una conferenza stampa riportata dal media statale Xinhua, ha dichiarato che queste passeggiate spaziali sono state un successo.

Tiangong

L’agenzia ha previsto inoltre di fare di più in futuro per proteggersi dai problemi dei detriti spaziali in orbita. Xinhua, parafrasando il vicedirettore della CMSA Lin Xiqiang, ha affermato: “Il modulo principale della stazione spaziale Tianhe ha subito una parziale perdita di alimentazione a causa dell’impatto dei detriti spaziali sui cavi elettrici dell’ala solare”. L’agenzia Xinhua non ha specificato se questi “rifiuti spaziali” provenissero da micrometeoroidi o dall’attività umana nello spazio.

Una minaccia per Tiangong

Questi detriti, al di là della loro natura, hanno rappresentato ovviamente una minaccia per Tiangong e per la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Questi scarti orbitali generati dall’uomo stanno crescendo: il Comando di difesa aerospaziale nordamericano (NORAD) ha tracciato più di 43.000 oggetti spaziali complessivamente ad aprile 2024, secondo SpaceTrack.org.

Per quanto riguarda i satelliti attivi, secondo l’Union for Concerned Scientists ne sono stati contati 7.500 a maggio 2023, la maggior parte dei quali sono membri della gigantesca megacostellazione a banda larga Starlink di SpaceX.

Tiangong

I controllori della ISS, in collaborazione con il NORAD, hanno dovuto spostare la stazione spaziale lontano dai detriti più di 30 volte dal lancio dei suoi primi moduli nel 1998. Secondo il rapporto Xinhua, la stazione spaziale cinese ha “eseguito manovre in più occasioni per eludere l’impatto dei detriti spaziali”, mentre Lin ha discusso diverse misure che il CMSA sta adottando per prevenire problemi futuri. Il primo elemento di Tiangong, il modulo principale di Tianhe, lanciato nel 2021.

Tiangong

Il punto della situazione secondo Xinhua

Xinhua ha scritto senza rivelare alcun dettaglio: “La Cina ha migliorato la sua capacità di prevedere con precisione le orbite della stazione spaziale e di piccoli bersagli a bassa orbita, ha ottimizzato le procedure per avvisare ed evitare collisioni spaziali e ha ridotto il tasso di falsi allarmi del 30%, secondo Lin”.

 

Le prossime misure includono un maggiore controllo video della Tiangong utilizzando una telecamera ad alta definizione sul suo braccio robotico e l’incarico all’equipaggio dello Shenzhou 18 (il cui lancio è previsto giovedì 25 aprile) di inviare ulteriori rinforzi. Xinhua ha riferito inoltre che essi “avranno il compito di installare rinforzi di protezione dai detriti spaziali per tubazioni, cavi e apparecchiature critiche extraveicolari durante le loro attività extraveicolari”.

Tiangong

La NASA ha lavorato separatamente dalla Cina nelle questioni spaziali a causa di una direttiva del 2011 nota come emendamento Wolf, che ha vietato accordi bilaterali e coordinamento tra la NASA e gli enti governativi cinesi senza l’espressa autorizzazione del Congresso.

Ultimamente, l’agenzia spaziale statunitense e la Cina hanno formato coalizioni indipendenti per l’esplorazione lunare: quasi 40 nazioni hanno firmato gli accordi Artemis della NASA, con Svezia, Slovenia e Svizzera che si sono unite negli ultimi giorni. La Cina, in collaborazione con la Russia, ha annunciato mercoledì tre nuovi partner per la propria coalizione: il Nicaragua, l’Organizzazione per la cooperazione spaziale Asia-Pacifico e l’Unione araba per l’astronomia e le scienze spaziali.

Che cos’è Tiangong?

La Stazione Spaziale Tiangong è un progetto spaziale cinese che mira a creare una stazione spaziale permanente in orbita intorno alla Terra. Un nome che suonerebe bizzarro alle orecchie di noi occidentali, ma che in lingua originale ha un significato divino, significa infatti: “Palazzo Celeste” . La stazione spaziale è composta da moduli abitativi e laboratori scientifici ed è un importante punto di riferimento per la ricerca scientifica e l’esplorazione spaziale cinese.

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Gran parte della massa di un protone proviene dall’energia delle particelle da cui è composto

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Gran parte della massa di un protone proviene dall'energia delle particelle da cui è composto

La massa di un protone è maggiore della semplice somma delle sue parti. Alla fine, gli scienziati hanno capito che cosa rappresenta il peso di questa particella subatomica.

I protoni sono costituiti da particelle ancora più piccole conosciute come quark. Potrebbe sembrare ragionevole che semplicemente sommando le masse dei quark si ottenga la massa di un protone. Eppure non è così.

Quella somma è troppo piccola per spiegare la massa del protone. Nuovi calcoli dettagliati mostrano che solo il 9% del peso di un protone proviene dalla massa dei suoi quark. Il resto deriva da effetti complicati che si verificano all’interno della particella.

I quark ottengono le loro masse da un processo collegato al bosone di Higgs. Questa è una particella elementare rilevata per la prima volta nel 2012. Ma “le masse dei quark sono minuscole“, spiega il fisico teorico Keh-Fei Liu. Coautore del nuovo studio, lavora presso l’Università del Kentucky a Lexington. Quindi per i protoni, osserva, la spiegazione di Higgs non è all’altezza.

Invece, la maggior parte dei 938 milioni di elettron-volt del protone proviene da qualcosa noto come QCD. QCD è l’abbreviazione di cromodinamica quantistica (KWON-tum Kroh-moh-dy-NAM-iks). La QCD è una teoria che spiega la zangolatura delle particelle all’interno del protone. Gli scienziati studiano matematicamente le proprietà del protone usando la teoria. Ma fare calcoli usando la QCD è piuttosto difficile. Quindi semplificano le cose usando una tecnica chiamata QCD (lattice). Si tratta di dividere il tempo e lo spazio in una griglia. I quark possono esistere solo sui punti della griglia.

Sembra complicato? Lo è. Sono poche le persone a comprendere veramente questo concetto (quindi siamo in buona compagnia).

I ricercatori hanno descritto la loro nuova scoperta su Physical Review Letters.

Impressionante impresa

I fisici avevano usato già, in precedenza, questa tecnica per calcolare la massa del protone. Ma fino ad ora, non avevano separato le parti del protone che fornivano parte della sua massa, spiega André Walker-Loud, fisico teorico del Lawrence Berkeley National Laboratory in California. “È emozionante“, dice, “perché è un segno che … abbiamo davvero colpito questa nuova era,” un’era in cui il QCD del reticolo può essere utilizzato per comprendere meglio i nuclei degli atomi.

Liu e colleghi hanno scoperto che oltre alla massa proveniente dai quark, un altro 32% della massa dei protoni proviene dall’energia dei quark che si aggirano all’interno del protone (Questo perché energia e massa sono due facce della stessa medaglia: Albert Einstein lo ha dimostrato con la famosa equazione, E = mc2. E sta per energia, m è la massa e c è la velocità della luce).

Ora viene una cosa davvero strana: le particelle senza massa chiamate gluoni, che fanno da collante tra i quark, contribuiscono con un altro 36 percento della massa di un protone attraverso la loro energia.

Il restante 23 percento deriva dagli effetti che si verificano quando i quark e i gluoni interagiscono in modi complicati. Questi effetti sono il risultato della meccanica quantistica quello strano ramo della fisica che descrive cose l’immensamente piccolo.

I risultati dello studio non sono sorprendenti,” afferma Andreas Kronfeld, fisico teorico al Fermilab di Batavia, Illinois. Gli scienziati avevano a lungo sospettato che la massa del protone si cmponesse più o meno in questo modo. “Ma,” aggiunge, “le nuove scoperte sono rassicuranti. Questo tipo di calcolo sostituisce una convinzione con la conoscenza scientifica“.

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Bioluminescenza: esisteva già ben 540 milioni di anni fa

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Bioluminescenza: esisteva già ben 540 milioni di anni fa

Uno studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, ha portato alla luce prove dell’esistenza della bioluminescenza tra gli animali 540 milioni di anni fa, più che raddoppiando il record precedente. Oltre ad alterare il modo in cui immaginiamo gli oceani del mondo nell’era Ediacarana e successivamente, la scoperta potrebbe far luce sulle ragioni per cui la bioluminescenza si è evoluta ed è così ampiamente utilizzata oggi.

Bioluminescenza

La capacità di produrre luce è ampiamente utilizzata in molte specie di animali, funghi e organismi unicellulari, basti pensare che sono stati identificati più di 100 esempi di capacità che si evolve in modo indipendente, anziché essere ereditata da una specie ancestrale comune.

Alcuni organismi che non possono farlo da soli hanno reclutato altri in relazioni simbiotiche, ed i benefici a volte sono evidenti, come attirare i compagni o adescare la preda, nonostante ciò per produrre la luce è necessaria molta energia e i biologi spesso si chiedono come la ricompensa giustifichi tale spesa. La scoperta delle sue radici profonde tra gli Anthozoa potrebbe cambiare la situazione.

“Nessuno sa perché la bioluminescenza si sia evoluta per la prima volta negli animali”

ha affermato in una nota il dottor Andrea Quattrini dello Smithsonian Museum, il quale è anche il curatore dei coralli del museo e ha studiato il motivo per cui i coralli molli a volte brillano quando vengono disturbati, comportamento sconcertante per creature la cui vulnerabilità rende pericoloso attirare l’attenzione su di sé.

Insieme ai colleghi, Quattrini ha scoperto che la bioluminescenza è antecedente agli stessi coralli molli e può essere fatta risalire a prima della ramificazione delle gorgonie come gorgonie e penne marine, altri membri della classe degli ottocoralli.

“Volevamo capire i tempi dell’origine della bioluminescenza e gli ottocoralli sono uno dei gruppi di animali più antichi del pianeta conosciuti per la bioluminescenza”

ha affermato la dott.ssa Danielle DeLeo, la quale ha poi in seguito aggiunto:

“Quindi la domanda era: quando hanno sviluppato questa capacità?”

La bioluminescenza negli ottocoralli

Bioluminescenza

Non tutti gli ottocoralli sono bioluminescenti, ma molti lo sono, in particolare quelli che popolano le acque più profonde. Utilizzando un albero genealogico che rivela le relazioni reciproche di 185 ottocoralli, DeLeo, Quattrini e altri coautori dello studio, hanno cercato specie che oggi utilizzano la bioluminescenza per indagare sulla possibilità che lo facessero anche i loro antenati.

“Se sappiamo che queste specie di ottocoralli che vivono oggi sono bioluminescenti, possiamo usare le statistiche per dedurre se i loro antenati avevano un’alta probabilità di essere bioluminescenti o meno”

ha detto Quattrini, il quale ha poi in seguito aggiunto:

“Quanto più specie viventi hanno il tratto condiviso, maggiore è la probabilità che se torni indietro nel tempo, probabilmente anche quegli antenati avevano quella caratteristica.”

I risultati sono stati verificati utilizzando diversi approcci statistici, che hanno tutti prodotto lo stesso risultato: l’ottocorallo ancestrale, da cui proviene l’intera classe, era probabilmente bioluminescente. Il fatto che tutti gli ottocoralli utilizzino le stesse sostanze chimiche per produrre la luce indica che i moderni creatori di luci hanno ereditato il loro talento da questo evento.

Le prove genetiche e fossili collocano questo fenomeno a circa 540 milioni di anni fa, 273 milioni di anni prima dei crostacei ostracodi, precedentemente ritenuti il più antico esempio di bioluminescenza nel regno animale.

Presumibilmente, il tratto ha portato qualche vantaggio evolutivo, e continua a farlo anche oggi, anche se non è noto se i vantaggi siano gli stessi nel mondo moderno, molto diverso.

Un’ipotesi intrigante propone che la bioluminescenza originariamente apparisse come un modo per smaltire l’eccesso di ossigeno, con la luce come effetto collaterale che successivamente si rivelò utile. Sebbene non provata, gli autori considerano questa idea compatibile con ciò che hanno imparato e pensano che la bioluminescenza potrebbe essersi evoluta in una specie di acque relativamente poco profonde e aver consentito la diversificazione nelle profondità.

Bioluminescenza

Esistono circa 3.500 specie di ottocoralli conosciute –e quasi certamente molte altre ancora da scoprire– quindi il campione di 185 utilizzato per questo studio è piccolo, indi per cui bisognerebbe esaminare tantissimi esemplari per testare la luminescenza di tutti, ma il team sta lavorando su un test genetico che potrebbe risolvere il problema in laboratorio.

Poiché abitano le barriere coralline, i coralli molli di acque poco profonde e la maggior parte delle gorgonie sono tra le specie più vulnerabili ai cambiamenti climatici e molti devono affrontare minacce più locali come l’inquinamento e la pesca eccessiva.

Le acque più profonde sono probabilmente più sicure, ma minacciate dalla pesca a strascico, con gli autori che sperano che ciò che hanno imparato possa in qualche modo contribuire alla loro sopravvivenza, o forse semplicemente rendere le persone più desiderose di salvare queste fonti di bellezza.

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Volo in ritardo: quali sono gli obblighi delle compagnie aeree

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Volo in ritardo: quali sono gli obblighi delle compagnie aeree

Quando si parla di soluzioni di trasporto, al giorno d’oggi, si fa sempre più spesso riferimento agli spostamenti via aria. L’esigenza di celerità nel ricoprire lunghe distanze rende, infatti, l’aereo l’opzione più adeguata a poter raggiungere le proprie destinazioni, sia sul territorio italiano che internazionale, in tempi estremamente più brevi rispetto a quelli proposti da qualsiasi altra soluzione disponibile. L’avvento dei voli low cost, inoltre, ha reso questo servizio accessibile anche al pubblico di massa. Chiaramente, un paradigma in crescita così esponenziale, comprendente mezzi utilizzati in modo particolarmente profuso, può presentare dei disservizi che, di fatto, si rivelano all’ordine del giorno.

Nonostante siano stati stabiliti regolamenti e normative per garantire i diritti dei passeggeri in caso di ritardi dei voli, emerge spesso una disparità tra quanto previsto dalla legge e l’effettiva assistenza fornita dalle compagnie aeree, specialmente nel contesto delle compagnie low cost. Non di rado, i passeggeri si trovano a fare i conti con difficoltà nell’ottenere assistenza immediata, informazioni chiare (a titolo di esempio forniamo quelle dell’agenzia RimborsamiTu relativamente al vettore WizzAir) e rimborsi adeguati in caso di ritardi prolungati o cancellazioni dei voli. Questo divario tra quanto prescritto dalla normativa e la pratica reale può generare frustrazione e disagio per i viaggiatori, che si ritrovano a lottare per i propri diritti anche in situazioni in cui la responsabilità della compagnia aerea è chiara.

Insomma, determinati inconvenienti possono accadere per le motivazioni più disparate. Al di là delle fattispecie in questione e delle loro cause scatenanti, però, è importante puntualizzare in merito all’esistenza di una serie di prescrizioni che le compagnie sono tenute a rispettare nell’ambito della tutela del consumatore. Tra i disservizi più comuni, comunque, troviamo il ritardo dei voli e la loro cancellazione. In questi casi, esistono delle procedure e dei diritti che i passeggeri possono esercitare allo scopo di ottenere un rimborso o delle agevolazioni. Nelle prossime righe andremo a scoprire tutto ciò che c’è da sapere al riguardo.

Volo in ritardo: tutto ciò che c’è da sapere sulle dinamiche più diffuse per il disservizio

Come già precedentemente accennato, i disservizi nell’ambito del trasporto aereo risultano essere all’ordine del giorno. È proprio per questo motivo che, più spesso di quanto si possa pensare, capita di recarsi in aeroporto – anche in anticipo sulla tabella di marcia – salvo, poi, scoprire che il volo è stato rimandato di qualche ora. La normativa definisce chiaramente i lassi temporali per i quali il consumatore ha diritto a forme di risarcimento totali o parziali, anche in relazione al tipo di tratta.

Per esempio, per rotte fino a 3500 km e tempi di attesa che oscillano tra le due e le quattro ore, al passeggero spettano di diritto pasti e bevande gratuite, oltre a poter avere accesso ai servizi digitali di bordo quando presenti. Per quanto riguarda i voli che subiscono ritardi superiori alle cinque ore, invece, il discorso cambia diametralmente. In questi casi, infatti, il passeggero ha diritto a recedere dalla prenotazione, con la compagnia obbligata per legge a sostenere le spese di rimborso nella loro totalità, oppure a fornire una soluzione alternativa per assicurare al passeggero di arrivare a destinazione, la compagnia dovrà, inoltre, farsi carico degli spostamenti presso l’aeroporto di partenza.

Nel caso in cui il volo dovesse tardare di un giorno e si fosse impossibilitati a partire con un aereo alternativo, dovendo rinviare l’arrivo a destinazione, il passeggero avrà il diritto di richiedere al vettore il soggiorno in hotel a spese della compagnia, con trasferimento assicurato fino alla struttura ricettiva e, inoltre, la partenza sul primo volo utile del giorno successivo.

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Asia: il 2023 sotto l’assedio del riscaldamento globale

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Asia: il 2023 sotto l'assedio del riscaldamento globale

Nel cuore dell’Asia, il cambiamento climatico non è un avvenire lontano, ma una realtà tangibile e devastante, infatti il rapporto 2023 dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) dipinge un quadro inquietante: l’Asia è il continente più colpito da disastri climatici, meteorologici e legati all’acqua, con rischi in costante aumento.

Asia

A tal proposito, ci son diversi esperti che hanno esplorato le sfide che il continente asiatico sta affrontando a causa del cambiamento climatico e le misure che possono essere adottate per mitigare gli effetti devastanti, e di seguito andremo a vederle insieme.

Come detto, l’Asia si scalda a ritmi allarmanti, superando la media globale, generando un impatto regionale importante, anche perché questo surriscaldamento è testimoniato dai record di temperatura stabiliti in molti paesi asiatici nel corso dell’ultimo anno, che hanno visto ondate di caldo senza precedenti estendersi dalla Cina al Sud-Est asiatico, colpendo milioni di persone.

Le temperature estreme non sono solo un disagio; sono una minaccia diretta alla vita umana, alla biodiversità e alle infrastrutture vitali.

Il riscaldamento globale, alimentato dalle emissioni di gas serra, intensifica i disastri naturali, e l’aumento delle temperature oceaniche e il conseguente scioglimento dei ghiacciai contribuiscono a un circolo vizioso che porta a tempeste più violente e inondazioni più frequenti, ed al riguardo la scienza è chiara: le attività umane stanno alterando il clima a un ritmo senza precedenti, e l’Asia ne sta subendo le conseguenze in modo acuto.

Come detto nella premessa, il 2023 ha visto l’Asia teatro di 79 disastri legati all’acqua, e tra questi, la tempesta ciclonica Mocha si è distinta per la sua potenza, causando la morte di 156 persone, indi per cui questi eventi sono un campanello d’allarme che non possiamo ignorare e, di seguito, analizzeremo in dettaglio come questi disastri si sono sviluppati e quali sono state le risposte a livello locale e internazionale.

Come l’Asia affronta i cambiamenti climatici

Asia

I sistemi di allerta precoce sono una componente cruciale nella lotta contro i disastri naturali, la loro importanza è stata messa in evidenza dalla tempesta ciclonica Mocha, durante la quale migliaia di vite sono state salvate grazie a questi sistemi. L’obiettivo delle Nazioni Unite è ambizioso ma vitale: entro il 2027, ogni persona sul pianeta dovrebbe avere accesso a allerte tempestive in caso di eventi meteorologici catastrofici.

Ovviamente, bisogna anche intervenire sul piano internazionale, indi per cui la solidarietà internazionale e il sostegno finanziario sono fondamentali per aiutare i paesi in via di sviluppo a costruire resilienza contro il cambiamento climatico, l’Asia, in particolare, necessita di risorse per combattere i disastri prevedibili e il peggioramento degli impatti dei cambiamenti climatici.

Il rapporto dell’OMM sullo stato del clima in Asia nel 2023 è un monito che non possiamo ignorare, ci indica che è tempo di agire, di unire le forze a livello globale per combattere il cambiamento climatico e proteggere le generazioni future.

“Il cambiamento climatico ha esacerbato la frequenza e la gravità di tali eventi, influenzando profondamente le società, le economie e, soprattutto, le vite umane e l’ambiente in cui viviamo”,

ha affermato il segretario generale dell’OMM Andrea Celeste Saulo in un comunicato stampa, aggiungendo:

 “Le conclusioni del rapporto fanno riflettere”.

Tuttavia, non dobbiamo arrenderci, ed ecco alcune riflessioni finali:

  • consapevolezza e educazione: la consapevolezza del cambiamento climatico deve essere diffusa a tutti i livelli della società, e l’educazione sulle cause e gli effetti del riscaldamento globale è fondamentale per mobilitare azioni concrete;
  • collaborazione globale: il cambiamento climatico non conosce confini, e la cooperazione internazionale è essenziale per affrontare questa sfida, con gli accordi come l’Accordo di Parigi che devono essere rispettati e rafforzati;

Asia

  • investimenti in ricerca e innovazione: la scienza e la tecnologia possono guidare soluzioni innovative, investire in ricerca climatica, energie rinnovabili e tecnologie sostenibili è cruciale;
  • adattamento e resilienza: le comunità asiatiche devono adattarsi ai cambiamenti climatici e costruire resilienza, questo include infrastrutture resistenti, piani di evacuazione e sistemi di allerta precoce;
  • responsabilità delle aziende e dei governi: le aziende e i governi devono assumersi la responsabilità delle loro azioni, ridurre le emissioni di gas serra e promuovere pratiche sostenibili sono imperativi.

In conclusione, il cambiamento climatico è una sfida urgente che richiede azioni immediate, ognuno di noi ha un ruolo da svolgere nel proteggere il nostro pianeta e le generazioni future. Non possiamo permetterci di fallire.

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Il Sole ha prodotto 4 brillamenti quasi contemporaneamente – Video

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Brillamenti solari, tempesta solare, Carrington

Il Sole ha emesso ben quattro brillamenti solari in un’armonia quasi perfetta. Si tratta di un fenomeno abbastanza raro e il Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA è riuscito a catturare l’evento con la telecamera.

Brillamenti solari, tempesta solare, Carrington

Il fenomeno dei brillamenti solari

I brillamenti solari sono esplosioni dalla superficie del Sole che emettono intense esplosioni di radiazioni elettromagnetiche. Si verificano quando l’energia magnetica si accumula nell’atmosfera solare e viene rapidamente rilasciata.

Le quattro eruzioni provenivano da quattro regioni, tre macchie solari e un filamento magnetico, separate da centinaia di migliaia di chilometri e collegate da anelli magnetici quasi invisibili nell’atmosfera esterna del sole, nota come corona.

Brillamento solare, siamo preparati ad affrontare un evento a livello Carrington? Tempesta solare

Questo tipo di esplosioni sono chiamate “brillamenti solari simpatetici“. Sono costituite da coppie di esplosioni che si verificano quasi all’unisono in diverse regioni del disco solare. L’evento del 23 aprile 2024 non consisteva in una semplice coppia ma in un quartetto, il che lo ha reso “super simpatetici“.

I brillamenti solari simpatetici

I brillamenti solari simpatetici vengono innescati quando le instabilità viaggiano rapidamente da una regione all’altra lungo i circuiti magnetici che le uniscono. Pertanto, gran parte della porzione del sole rivolta verso la Terra è stata coinvolta nella sinfonia solare del 23 aprile 2024.

Dovremo aspettare e vedere se parte del materiale espulso dall’eruzione supersimpatetica avrà un impatto sulla Terra, poiché esiste la possibilità di un’espulsione di massa coronale (CME) sia diretta verso il nostro pianeta.

Le CME sono enormi espulsioni di plasma e campi magnetici dal sole. Quando sono dirette verso la Terra, possono devastare le reti elettriche, le reti di telecomunicazione e i satelliti in orbita ed esporre gli astronauti a pericolose dosi di radiazioni.

Al contrario, le CME sono un gradito visitatore per gli skywatcher di tutto il mondo poiché possono innescare splendide aurore visibili a latitudini oltre la loro gamma polare “normale“.

Diverse CME eruttate dal Sole negli ultimi giorni potrebbero essere dirette verso di noi. Se anche solo uno di essi sfiorasse il campo magnetico terrestre, potrebbe scatenarsi una tempesta geomagnetica di classe minore G1. Le date di impatto più probabili sono il 25 e il 26 aprile 2024.

Gli effetti negativi dei brillamenti solari sulla tecnologia terrestre. Tempesta solare

L’esplosione dei quattro brillamenti solari potrebbe essere un segno che ci stiamo avvicinando al massimo solare, il picco dell’attività durante il ciclo di 11 anni del Sole, poiché si ritiene che i brillamenti solari simpatici aumentino con un aumento dell’attività solare appunto.

Forse abbiamo già raggiunto il massimo solare e stiamo entrando nella fase di decadimento del ciclo, poiché uno studio del 2022 pubblicato su Astrophysics and Space Science ha indicato che i brillamenti solari si verificano prevalentemente nella fase di decadimento del ciclo solare.

In ogni caso, gli scienziati non sapranno quando si sarà verificato il massimo solare fino a sette mesi dopo la sua fine a causa di come viene calcolato il massimo.

Conclusioni

I brillamenti solari tendono ad avere origine da regioni della superficie solare che contengono macchie solari: porzioni più scure e più fredde della superficie solare dove i campi magnetici sono particolarmente forti. Pertanto, il numero di macchie solari può indicare la probabilità di un’eruzione solare.

Secondo la NOAA , esistono cinque classi di brillamenti solari. La loro designazione dipende dall’intensità dei raggi X emessi. Ogni lettera di classe rappresenta un aumento di 10 volte della produzione di energia, simile alla scala Richter che misura la forza dei terremoti.

Brillamento solare di classe X, problemi alle comunicazioni in corso

Secondo la NASA , i brillamenti di classe X sono i brillamenti solari più potenti. Poi ci sono i brillamenti di classe M che sono 10 volte più piccoli dei brillamenti di classe X, poi i brillamenti di classe C, di classe B e infine i brillamenti di classe A che sono troppo deboli per influenzare in modo significativo la Terra.

Quelli di classe X possono rompere questo schema di classificazione a nove punti con punteggi più alti, poiché non esiste classe più potente della classe X. Sempre secondo la NASA, un brillamento solare nel 2003 è stato così potente da sovraccaricare i sensori che lo misuravano. I sensori hanno segnalato un bagliore X28 prima di spegnersi.

Fortunatamente, i brillamenti di classe X si verificano in media circa 10 volte all’anno, e i brillamenti potenti come quello registrato nel 2003 sono ancora meno probabili.

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