Lo scorso autunno, destò profonda impressione un episodio, riportato in un recente articolo su BBC Earth, avvenuto nell’agosto del 2016, nella penisola di Yamal, in Siberia.
In breve, una ventina di persone furono ricoverate per un’infezione da antrace, tra questi un ragazzo perse la vita. Indagini svolte dalle autorità locali stabilirono che l’infezione era partita dalla carcassa di una renna infetta, morta 75 anni fa.
La carcassa della renna era rimasta per tutti questi anni sepolta nella tundra finché un’insolita ondata di caldo durante la scorsa estate provocò il disgelo del permafrost, facendo riemergere la carcassa e permettendo al germe patogeno di rianimarsi, contaminando il suolo e le acque, infiltrandosi nella catena alimentare.
Questa vicenda ha confermato le paure di molti esperti che, da tempo, segnalavano il rischio che il riscaldamento globale possa portare alla ricomparsa di virus e batteri scomparsi da secoli, se non da millenni, rimasti in animazione sospesa nel permafrost.
Da tempo sappiamo che alcuni batteri e diversi virus sono in grado di sopravvivere in condizione estreme, sospendendo, con vari sistemi, la propria animazione finché non si ripresentino condizioni favorevoli alla riproduzione. Il fatto è che siamo abituati a convivere e lottare con virus e batteri della nostra epoca ma come ci troveremmo se dovessimo ritrovarci ad avere a che fare con patogeni scomparsi da decenni o, peggio ancora, da secoli o millenni?
In alcuni luoghi di sepoltura siberiani è stato scoperto, tempo fa, un virus intatto dell’influenza spagnola del 1918, e si teme che la stessa cosa possa accadere anche con il vaiolo (di cui vi fu una grave epidemia in Siberia verso il 1890) e con la peste bubbonica.
L’allarme per questo genere di pericoli venne lanciato, per la prima volta, nel 2005 dalla NASA che in un lago in Alaska, appena sgelato dopo che era rimasto ghiacciato dal Pleistocene, circa 32 mila anni fa, scoprì microbi ancora attivi.
Ora, la preoccupazione è che alcuni funghi, virus e batteri che infettarono Neanderthal e Denisoviani, ormai estinti, potrebbero un giorno tornare a vedere la luce in queste terre del Nord, dove la temperatura sta salendo molto più rapidamente che nel resto del pianeta.
In ogni caso, non tutti i microbi “redivivi” sarebbero in grado di nuocere ancora. Quelli che destano maggiori preoccupazioni sono i virus giganti – che hanno dimostrato una particolare resistenza – e i batteri a spore, particolarmente ardui da debellare.
Secondo quanto riferisce l’agenzia Reuters, Un veicolo si è spinto, contromano, su un affollato marciapiede a Times Square, uccidendo una persone e ferendone almeno altre dieci.
Il veicolo, una berlina rossa di marca Honda, è stato bloccato e il conducente posto in stato di detenzione. La zona è stata isolata, secondo quanto riferisce il dipartimento di polizia di New York.
Un testimone ha riferito alla Reuters che almeno 10 – 12 persone hanno riportato lesioni.
Il veicolo, riferiscono i testimoni, ha volontariamente saltato il cordolo tra la 7° Avenue e la 45th Strada. L’area interessata è una zona di grande attrazione turistica.
Il conducente dell’auto, che è stata fermata dall’urto contro un paletto di contenimento, sarebbe un uomo di 26 anni del Bronx, la cui identità non è stata, per ora, rivelata, è ora sotto interrogatorio, dopo essere stato sottoposto a test per alcool e droghe. Secondo la CBS, la polizia non ritiene che si tratti di un attentato.
Secondo una nota rilasciata dalla Casa Bianca, il presidente Trump è al corrente degli avvenimenti e segue in tempo reale tutti gli sviluppi della vicenda.
Il governatore dello stato di New York Andrew Cuomo e il sindaco Bill de Blasio sono giunti sul posto.
Se siete golosi di Nutella e per qualche ragione prevedete di essere di passaggio a Chicago il 31 maggio, non potete perdervi l’inaugurazione del “Nutella Cafe” della Ferrero. Come molti di noi sanno, la Nutella, la famosa crema alla nocciola della Ferrero, è di una bontà paradisiaca e la sua fama è ormai ben consolidata anche all’estero, tanto che la Ferrero ha deciso di aprire un Nutella Cafe a Chicago, presso il Millennium Park Plaza. L’inaugurazione è prevista per mercoledì 31 maggio e si sa che i primi 400 clienti riceveranno “sorprese speciali”.
“Volevamo creare un mondo di Nutella per gli appassionati della nostra crema alle nocciole e credo che questo nuovo cafe riuscirà a trasmettere a tutti l’essenza del marchio, non solo nelle gustose preparazioni a base di Nutella che verranno servite ma proprio nell’immersione nel mondo Nutella per chi entrerà nel nostro negozio.” Ha dichiarato Noah Szporn, Responsabile Marketing Nutella Nord America.
Il menu del locale è già visualizzabile on line e, a giudicare dalle preparazioni in lista, è probabile che, dal 31 maggio in avanti, la linea degli abitanti di Chicago sarà seriamente minacciata. Tra i piatti proposti, una baguette grigliata, completamente spalmata di Nutella e cosparso di nocciole tostate; Macedonia fresca con Yogurt e Nutella e tante altre combinazioni compreso il caffè alla Nutella.
Insomma, il paradiso dei golosi. Certamente il posto giusto dove compiere un peccato di gola.
Circa due anni fa lessi su Il Sole 24 Ore un interessantissimo articolo del bravo Jacopo Giliberto, giornalista impegnato da sempre su tematiche che spaziano dall’energia all’ambiente, soprattutto nell’ambito del trattamento e ciclo dei rifiuti.
All’interno dell’articolo “a uno a uno vengono incendiati tutti gli impianti di riciclo!”, si faceva riferimento a strane, quanto singolari coincidenze, in merito ad alcuni incendi che colpivano depositi, discariche e siti di trattamento del ciclo dei rifiuti, ecco la sintesi:
Il 27 Luglio 2014, ad Albairate (MI) un incendio presso l’impianto di trattamento dei rifiuti organici destinato a trattare i rifiuti organici prodotti dall’expo 2015;
Il 2 giugno 2015 a Roma l’impianto TMB e compostaggio dell’AMA salario, viene danneggiato da un incendio doloso, generato nel settore del ciclo indifferenziato;
Il 2 giugno 2015 a Perugia viene colpito un deposito della società che gestisce il servizio di nettezza urbana della città, nell’area che gestisce il riciclo di materiale legnoso e derivati;
Il 5 giugno a Padova un incendio innescato da un guasto di un macchinario per la lavorazione dei rifiuti organici danneggia l’impianto comunale di compostaggio dei rifiuti;
Il 6 giugno a Parma viene colpito per la seconda volta l’impianto Iren, società che gestiva il trattamento dei rifiuti speciali industriali;
Il 30 agosto 2015 a Verona viene incendiato l’impianto di compostaggio rifiuti di Fertitalia.
Diversi gli interrogativi, su cosa, tra la sfortuna più nera e la sorte più maligna, fosse la giusta risposta! Ma si poneva, legittimamente, anche un’altro interrogativo: sono davvero situazioni fortuite e casuali, o potrebbero far comodo a qualcuno simili incendi? All’industria degli inceneritori? Alla criminalità organizzata da tempo impegnata nel business del ciclo dei rifiuti?
Tutti dubbi legittimi, gli stessi degli onesti cittadini costretti a subire periodicamente, e sulla propria pelle, queste attività dolose in danno proprio e dell’ambiente.
Il Sole 24Ore darà poi conto, nei mesi che vanno dal giugno al settembre 2015, di altri 30 eventi incendiari che colpirono altrettanti impianti di trattamento del ciclo dei rifiuti; sono invece 20 gli incendi rilevati nell’anno 2016, per passare ai 16 eventi registrati nei soli primi cinque mesi del 2017!
Pochi giorni fa, il 9 maggio, l’autore torna nuovamente sull’argomento, traendo spunto dal tragico evento consumatosi la mattina del 5 maggio nel comune di Pomezia, presso la sede della Eco-X S.r.l./Eco Sevizi per l’Ambiente S.r.l., società attiva nello stoccaccio e trattamento di rifiuti normali e speciali; lo fa nuovamente alla sua maniera, con un altro preziosissimo pezzo, dal titolo: “In due anni incendiate oltre cento discariche e aziende di rifiuti”!
Allora, da attento manager della security, ho fatto i compiti, cercando di capire come a livello safety e security possano ancora accadere simili incidenti in aziende critiche come quelle che trattano e immagazzinano rifiuti urbani e industriali, che dovrebbero essere super controllate dalle istituzioni pubbliche; curiosando in giro per la “rete”, applicando le basilari regole dell’OSInt studiate nei vari corsi universitari, digitando le parole Eco-X-rifiuti-incendio-Pomezia, beh, esce fuori un mondo, incredibilmente in chiaroscuro. E questo perché, ad oggi, non si capisce realmente bene (non avrà certo alcuna difficoltà in questo la procura veliterna titolare dell’indagine) chi siano i reali proprietari della società, e tutti i vari passaggi tra CdA, soci e amministratori vari.
Dai dati posseduti dalla regione Lazio, comunicati dalla stessa società titolare della concessione per l’impianto, si leggono cifre importanti, numeri che avrebbero dovuto far riflettere le istituzioni, ma su tutte, una: circa 90.000 tn di rifiuti annui trattati, tra ordinari e speciali! Possibile che nessuno prese nella debita considerazione “matematica” una simile cifra, rapportandola, peraltro, al territorio e alle carenti (accertate dalla stessa AG) misure di sicurezza aziendali esistenti?
Annualmente l’azienda depositava e lavorava materiali altamente pericolosi, tra rifiuti plastici, scarti di toner, pellicole fotografiche e rifiuti metallici; inoltre, smaltiva pneumatici auto, batterie e accumulatori, cartone, legno, etc, insomma tutta una filiera di rifiuti tossici e altamente infiammabili!
Una cosa sfugge alle istituzioni preposte in materia: queste aziende come si osserva dai fatti, rappresentano ormai dei veri e propri “poli logistici” dei rifiuti di ogni categoria; dovrebbero avere, quale funzione primaria, quella di assicurare il completo ciclo del rifiuto trattato in assoluta sicurezza (in ambito safety e security, con codificati piani di emergency) perché la gestione dei rifiuti deve essere costantemente svolta sempre nel rispetto dei basici criteri generali, oltre che normativi, per esempio:
va garantito il rispetto di tutte le norme vigenti in materia di tutela della salute umana e della sicurezza sul lavoro e dell’ambiente;
le operazioni non devono creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la fauna e la flora, o inconvenienti da rumori e odori né danneggiare il paesaggio;
lo stoccaggio dei rifiuti deve essere realizzato in modo da non modificare le caratteristiche del rifiuto stesso, compromettendone il recupero successivo;
deve essere rispettato il decoro urbano;
vanno previsti adeguati impianti e dispositivi antincendio conformi alle norme vigenti in materia;
efficaci impianti di illuminazione interna ed esterna nelle aree interessate dai rifiuti;
E fin qui nulla da eccepire sul piano strettamente procedurale, normativo, ma lasciatemi sottolineare un aspetto: il legislatore, come tutte le istituzioni territoriali preposte, ha sottovalutato un aspetto molto importante, fondamentale, legato esclusivamente alle procedure (normative, direttive, obblighi, etc) di security dei siti in questione, privilegiando in maniera esclusiva solamente l’aspetto safety, normativo e procedurale, ma obiettivamente con scarsi risultati, e sotto gli occhi di tutti!
Impianti, come si è letto, sottoposti il più delle volte ad attacchi di tipo criminogeno, vandalico, talvolta a rischio di attentati; atti criminosi che hanno come effetto ultimo il danno ambientale, oltre quello materiale, mettendo in pericolo la salute pubblica. Detto questo, beh possiamo certamente affermare che il problema della sicurezza dei siti, nel suo insieme esiste, è reale, dannatamente serio e incredibilmente sottostimato. Ma c’è di più: il disastro della Eco-X di Pomezia ha posto in evidenza anche un terzo ambito della sicurezza, che gli anglosassoni declinano come area Emergency!
E’ di fondamentale importanza ricordare sempre, che nelle dottrine della Scienza della Sicurezza, il sostantivo “sicurezza” viene declinato (sempre in maniera anglosassone) in tre specifiche aree: la safety, la securtity, l’emergency; e l’aspetto emergency è classificato come il riferimento a tutte quelle attività di sicurezza personali e sociali che devono essere messe in atto nel caso in cui il compito della security risulti insufficiente. Riguarda quindi la protezione e il contenimento del pericolo, ambiti protetti da strutture istituzionali che operano per prestare il pubblico soccorso: parliamo delle forze di polizia, dei vigili del fuoco, il soccorso sanitario e quello della protezione civile.
Leggendo i giornali di questi giorni abbiamo constatato, purtroppo, che nel disastro pometino si sono visti piani di soccorso improbabili, attuati nell’immediatezza del fatto e senza un preciso schema preordinato, con qualche pasticcio di troppo sul piano istituzionale! A livello aziendale, invece, si è materializzata, nella sua drammaticità, la grande inefficienza reattiva e di gestione dell’incidente da parte della proprietaria del sito, trovatasi impreparata nel fronteggiare l’emergenza creatasi, dolosa o incidentale che fosse.
Questo ennesimo disastro deve, giocoforza, far riflettere proprio la pubblica amministrazione, perché pone nuovamente in risalto, laddove fosse ancora una volta ri-necessario, che il “business” della gestione dei rifiuti rappresenta oggi più che mai un’attività che presenta rischi ben più elevati di quelli pensati nel passato; gestire in modo appropriato il ciclo dei rifiuti, ordinari, speciali o pericolosi che siano, richiede un attento controllo (safety e security) durante tutte le fasi di processo: dalla raccolta allo stoccaggio, dal riciclaggio allo smistamento finale. La presenza della criminalità organizzata nel settore del trasporto e riciclaggio dei rifiuti è ormai questione nota, in primis alla magistratura; una presenza che dimostra come queste attività imprenditoriali rappresentano il nuovo e colossale affare se gestite proprio da strutturati sodalizi del crimine organizzato dei cd “colletti bianchi”, e non più dalla “analfabeta manovalanza” pronta a tutto!
E’ proprio in funzione di tali organizzazioni criminali specializzate e settoriali, che le aziende operanti nel ciclo dei rifiuti vanno ripensate e normate diversamente. I rifiuti raccolti da privati o dall’industria, vengono trasportati nei centri di stoccaggio, dove vengono trattati secondo appropriate modalità; poi i rifiuti lavorati vengono portati nelle zone di deposito finale: possono essere cave dismesse, termovalorizzatori o aziende che provvedono ad ulteriori trattamenti industriali. Ebbene, tutti questi processi, se non tenuti sotto stretta osservazione, generano inevitabilmente situazioni di crisi, legate non solo al conferimento non compliance dei rifiuti, ma anche alla loro gestione secondo modalità illegali.
In questo contesto appare evidente come l’attivazione di un programma integrato di security rappresenta un’assoluta necessità, per difendere la salute pubblica da deliberati atti illeciti, contrastando contestualmente le collaterali attività criminose.
Da quanto detto si comprende bene, come le aree di conferimento e stoccaggio necessitano perciò di un maggiore e puntuale controllo; in primis il controllo perimetrale dei siti, con sistemi antintrusione, per passare poi agli accessi carrai perimetrali, mediante l’uso di tecnologie di controllo e identificazione dedicate, tracciando in tempo reale sia le maestranze che i mezzi di raccolta, in modo tale da essere sempre certi che i materiali conferiti siano compatibili con le caratteristiche tecnico-normative del sito ricettivo dei rifiuti.
Un sistema antintrusione perimetrale (passivo e attivo) va sempre ritenuto obbligatorio quale primo livello di security, e in funzione della criticità degli impianti di lavorazione; poi deve essere complementare e parallelo ad una attività di vigilanza ispettiva, ricorrendo alla professionalità di istituti di vigilanza privata (IVP) certificati. Va da se che la disponibilità di un servizio di presidio fisso, con guardia armata (GpG) ai varchi carrai, permette di effettuare controlli di sicurezza diretti e imparziali, sui mezzi, sulla natura dei rifiuti, e sulla congruità degli stessi dichiarata nei documenti di trasporto; è del tutto evidente che sarà richiesto agli IVP l’impiego di GpG formate in tema di gestione dei rifiuti, come oggi accade, per esempio, nell’espletamento dei servizi di sicurezza sussidiaria delegati dallo Stato agli IVP (porti, aeroporti, stazioni, etc).
L’installazione di sistemi di videosorveglianza ad alta risoluzione implementati da software di gestione e di analisi video, saranno assolutamente utili per monitorare la fase di scarico dei rifiuti nelle aree di stoccaggio, la tipologia dei rifiuti scaricati e l’orario di deposito, segnalando possibili criticità quali, ad esempio, i materiali e le sostanze pericolose; ma anche segnalazioni diverse, come un cambio di percorso non consentito da parte di un mezzo, o determinate attività anomale svolte dal personale, ma soprattutto utili alla AG nelle fasi di indagini, qualora vi fossero attività dai risvolti penalmente rilevanti; e non dimentichiamoci dell’utilità che rappresentano le immagini video in ambito safety, quale strumento di monitoraggio contro i focolai di incendio, o come sorveglianza dell’incolumità dei lavoratori durante le operazioni aziendali.
Abbiamo analizzato come la vastità dei siti di stoccaggio e riciclaggio, e la loro distribuzione sul territorio nazionale, renda necessario e non più procrastinabile, affrontare queste problematiche di sicurezza, generando moderne normative di security da applicare rigidamente nelle aziende del settore rifiuti; è dunque suonata, per le istituzioni, la campana dell’ultimo giro: non possono più rimandare la decisione di introdurre l’obbligo del security manager, figura oggi pressoché assente, professionista che governerà la protezione del trattamento dei dati aziendali, i processi di security, prevenzione e di intelligence aziendale, sempre in stretto contatto con le istituzioni pubbliche (enti locali, ministeri, PC, VV.F, FF.OO, AG).
Voglio ricordare che proprio su questa figura professionale, quale interfaccia di sicurezza tra le aziende e la PA, ebbene giace ormai da 3 anni in parlamento un atto a cui ben due ministri si rifiutano di rispondere, vista la complessità e la delicatezza dell’argomento; una professionalità necessaria per gestire i rapporti con le forze dell’ordine e la stessa autorità giudiziaria; una figura di collegamento per gestire le informazioni delicate e di interesse al comparto dell’intelligence nazionale.
Ma il disastro di Pomezia, ahimè, come ultima analisi, farà davvero scuola?
A cura di: Giovanni Villarosa,Senior Security Manager
Giovanni Villarosa è laureato in scienze della sicurezza e intelligence, senior security manager, con estensione al DM 269/2010, master STE-SDI in sistemi e tecnologie elettroniche per la sicurezza, difesa e intelligence.
Stephy Hirst, una donna australiana, qualche anno fa prese un cucciolo di gatto pensando che sarebbe stato un grande compagno per lei. non avrebbe mai immaginato quanto si sarebbe rivelata vera, in senso letterale, questa sua speranza.
Oggi Omar, è questo il nome del gatto, è titolare sul Guinnes dei primati, del record di gatto più lungo del mondo.
“Omar era minuscolo quando l’abbiamo trovato,” racconta Stephy, “ma poi ha appena iniziato a crescere, arrivando a 22 libbre di un anno”. Recentemente, Hirst ha deciso di misurare Omar e, a quanto pare, questo gatto è lungo un metro e venti centimetri e pesa 14 chili.
Dopo l’immagine del gattino è stata condivisa sull’account “Gatti” di Instagram, Omar è diventato famoso. Tuttavia, egli mantiene ancora la sua routine quotidiana, che comprende svegliarsi alle 5 del mattino, mangiare crocchette per la prima colazione, un po’ di riposo sul trampolino della piscina e godersi un po’ di carne di canguro per cena.
“Dorme su un divano tutto suo… Perché prende troppo spazio sul letto ed esige di essere coccolato continuamente.
Immaginate poter viaggiare e poter soggiornare in sistemazioni da sogno nei luoghi che andate a visitare, che so, ad esempio, una splendida villa su una spiaggia australiana, e questo solo in cambio di custodia e assistenza a deliziosi cuccioli. Una società denominata Trusted Housesitters ti permette di fare proprio questo per circa 100 dollari l’anno.
Il concetto è semplice e somiglia a tanti altri sistemi ormai sperimentati per viaggiare scambiando le case e cose simili. In sostanza, questa società collega tra loro persone che vogliono viaggiare e soggiornare nei luoghi dove vanno senza spendere molto. Queste persone possiedono animali domestici ma viaggiare con animali domestici al seguito non sempre è possibile e di chiudere i propri animali da compagnia in pensioni per animali queste persone non se la sentono per cui, iscritti a questo circuito, ogni volta che partono lasciano la propria casa a disposizione di altri viaggiatori iscritti al circuito disposti a custodirla e curargli il cane o il gatto in cambio di quest’uso.
Il circuito è provvisto di un sistema di reputazione per cui più la si possiede alta, maggiori sono le possibilità di ottenere un alloggio di alto, se non altissimo, livello. Per costruirsi una buona reputazione è possibile fornire un servizio di pet sitter presso la propria città ad altri utenti del circuito in cambio di buone recensioni, ottenendo il risultato di alzare il proprio punteggio e di costruirsi una reputazione solida di persona affidabile. Per migliorare ulteriormente il proprio punteggio è necessario pubblicare i propri documenti di identità e avere qualche recensione scritta oltre ai punteggi.
L’idea è simpatica e suggestiva, risulta che ci siano persone che hanno smesso di lavorare per dedicarsi a questo genere di attività e godersi le vacanze in dimore di altissimo livello in splendidi posto.
“La Madonna con Bambino e San Giovannino” è un dipinto esposto nella Sala di Ercole di Palazzo Vecchio a Firenze. L’opera viene attribuita a Jacopo del Sellaio (1442-1493), ma nella scheda del catalogo si legge che il dipinto è attribuibile piuttosto a Sebastiano Mainardi (1466-1513), pittore della scuola del Ghirlandaio attivo a Firenze alla fine del ‘400.
Nel dipinto si vedono in primo piano la Madonna che prega davanti al piccolo Gesù, sostenuto dal San Giovannino.Sullo sfondo, un personaggio con una mano sulla fronte, guarda verso un preciso punto nel cielo dove compare un oggetto scuro, color bronzo. Anche il cane che è con lui pare rivolto verso il medesimo oggetto. Inoltre in alto a sinistra appare un altro oggetto, la Stella della Natività, si può notare sotto la stella la presenza di tre fiammelle.
Molti ufologi hanno visto nell’oggetto, dalla forma apparentemente a disco, un’astronave aliena. Il dipinto viene spesso chiamato in causa per dimostrare come il fenomeno “UFO” sia in realtà osservato e riprodotto fin dall’antichità. Alcuni ufologi ritengono che l’uomo sia sottoposto a costante osservazione da parte di misteriose civiltà aliene che, secondo alcuni filoni ufologici, guidano il progresso umano; secondo altri, invece, lo controllano arrivando a compiere anche dei terribili esperimenti su alcuni esseri umani.
Ma l’oggetto raffigurato nel dipinto che tanto ha attirato l’attenzione del mondo ufologico è veramente quello che gli ufologi dicono che sia, cioè un disco volante? No, se si studia il dipinto con competenza artistica si arriva a conclusioni che nulla hanno a che fare con gli UFO e le presunte visite extraterrestri nel passato, che arrivano persino a supporre che Gesù non fosse altro che un ibrido umano alieno.
L’ oggetto, scambiato per una navicella spaziale proveniente da un mondo alieno, raffigura il cosiddetto “annuncio ai pastori”. Si tratta di un riferimento a quanto narrato nel vangelo di Luca dove leggiamo quanto segue:
“C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore…”.
Questo particolare è raffigurato in moltissime altre “Natività” del ‘400 e del ‘500.
In alcune opere è raffigurato l’angelo che esce da una nube. Nella “Madonna con Bambino e San Giovannino” di Palazzo Vecchio, invece, non compare nessun angelo, ma solo la nube luminosa, che ha un significato simbolico. La nube luminosa deriva dal racconto della Natività nell’apocrifo Protovangelo di Giacomo, in cui si legge:
“[19, 2] Si fermarono nel luogo dov’era la grotta, ed ecco una nuvola luminosa adombrava la grotta. E la levatrice esclamò: ‘Oggi è stata magnificata la mia anima, perché i miei occhi hanno visto un prodigio meraviglioso: che è nata la salvezza per Israele’. E subito la nuvola si dissipò dalla grotta e apparve una grande luce nella grotta, tanto che i nostri occhi non la potevano sopportare…” (I Vangeli Apocrifi, a cura di Marcello Craveri, Torino, 1969, p.21).
Anche le tre stelle che sotto la nube più grande della Natività, hanno un significato simbolico. Esse rappresentano la triplice verginità di Maria prima, durante e dopo il parto.
Anche da questo caso risulta, una volta di più, chiaro che molti, supposti, ufologi tendono a forzare le prove per dimostrare le proprie teorie. Qualunque esperto di arte sacra può smontare con poche parole questo ed altri esempi di presunte raffigurazioni di UFO nell’arte del passato.
I Campi Flegrei, il nostro supervulcano, si stanno rimettendo in moto? Come interpretare i segnali che provengono da quel distretto vulcanico che ha dato sempre segni di inquietudine, ma che gli italiani non considerano neppure attivo? Sotto attenzione c’ è soprattutto la Solfatara, forse il cratere vulcanico più famoso del mondo, dove fumarole e mofete hanno fatto da palcoscenico anche per film famosi (Totò, in «47, morto che parla», crede di trovarsi lì nell’ Aldilà). Le fumarole sono aumentate di temperatura e di portata, il terreno si è rigonfiato di 4-5 cm all’ anno dal 2005 (dati Cnr).
Insomma, sembra che il magma stia risalendo all’interno della camera magmatica posta a 3 km di profondità. Ma questa non sarebbe una novità: nel 1538 un vulcano nacque e crebbe sotto gli occhi della popolazione (il Monte Nuovo) e oggi fa parte dello scenario flegreo. Così come ne fanno parte le colonne del mercato romano del Serapeo, che recano il segno dell’ innalzamento e dell’ abbassamento del mare negli ultimi secoli. Per non parlare dell’ evacuazione di Pozzuoli negli Anni 80.
Uno scenario che abbiamo considerato, a torto, spento, tanto da costruire basi militari, abitazioni e perfino un ippodromo dentro i 29 crateri di quello che è il secondo supervulcano del mondo, dopo quello di Yellowstone. Molto più pericoloso, considerando che a Yellowstone c’ è un parco nazionale e pochissimi abitanti, mentre qui ci sono, forse, 600 mila persone a rischio. E considerando che l’ ultima eruzione devastante ha creato ex novo lo scenario della Campania, circa 39 mila anni fa.
Che previsione possiamo fare? In realtà nessuna o, meglio, non si può escludere quella di una possibile eruzione moderata, simile a quella del Monte Nuovo. E, visto il monitoraggio, si saprebbe per tempo: le eruzioni vulcaniche sono più prevedibili dei terremoti, anche se meno del meteo di domani. La domanda, però, è un’ altra: cosa dovrebbero fare i cittadini? Sono pronti a un’ evacuazione? E gli amministratori sanno del rischio?
Il vero problema dei Campi Flegrei, come del Vesuvio, è che l’ emergenza è già oggi, con un traffico da metropoli cinese e un agglomerato di costruzioni che ingombrano ogni via di fuga. E nessuna esercitazione fatta. Eppure sappiamo bene che, in caso di pericolo, non riesci a ragionare e dovresti solo muoverti a memoria, come si fa sulle navi esercitandosi al naufragio, senza che nessuno pensi che porti male. Come invece accade a Napoli (e altrove).
Nuovi dati dell’ Ingv saranno preziosi anche per una migliore caratterizzazione del rischio vulcanico. In particolare sapere se è una semplice esalazione di fluidi a spiegare il bradisismo oppure se è proprio il magma stesso che si muove verso l’ alto, preludendo a un’ eruzione. Eppure la perforazione-pilota, da cui derivano questi dati (anticipatrice di una più profonda in progetto per scandagliare la camera magmatica), è stata osteggiata da parte della popolazione nel timore di eruzioni indotte, terremoti e disastri.
Come se non ci si volesse rendere conto che i Campi Flegrei sono uno dei vulcani più attivi del mondo e si preferisse preoccuparsi di un pozzo innocuo. Ma gli uomini sono fatti così: continuano a vivere nelle regioni pericolose del Pianeta, dimenticano i segnali della Terra e, soprattutto da noi, non pianificano diversamente la loro espansione su territori a rischio terremoti, frane, alluvioni o eruzioni, eppure in quelle aree gli italiani hanno costruito a dismisura.
All’inizio era la fame: piuttosto che morirne, si preferiva rischiare un’ eruzione ogni 20 anni e intanto coltivare quei terreni così fertili. Ma oggi? Per quale ragione si colonizzano i crateri ancora attivi dei Campi Flegrei? Sembra che il profitto possa essere l’unica risposta. Almeno fino a quando il nostro supervulcano darà un nuovo perentorio segno della sua esistenza in vita.
Marte è il quarto pianeta del sistema solare; come la Terra, Venere e Mercurio è un pianeta roccioso e, secondo gli studiosi, c’è stato un tempo, un paio di miliardi di anni fa, in cui il suo ambiente e la sua atmosfera era simili a quelli della Terra. Viene chiamato il Pianeta rosso a causa del colore con cui appare all’osservazione telescopica, colore dovuto alle grandi quantità di ossido di ferro che lo ricoprono.
Possiede un’atmosfera rarefatta e temperature medie in superficie comprese tra −140 °C e 20 °C è il pianeta più simile alla Terra tra quelli del sistema solare. Le dimensioni sono: raggio equatoriale 3397 km, circa la metà di quello della Terra e la massa poco più di un decimo. L’ inclinazione dell’asse di rotazione e durata del giorno simili a quelle terrestri. La superficie presenta formazioni vulcaniche, valli, calotte polari e deserti sabbiosi. Sia in passato con l’osservazione telescopica che nel presente attraverso l’invio di sonde robot, su Marte sono state scoperte formazioni geologiche probabilmente dovute all’azione di scorrimento dell’acqua liquida. La superficie del pianeta appare butterata di crateri ben delineati a causa della scarsa azione di rimodellamento effettuata dalla lieve atmosfera marziana e, per la stessa ragione, è ben evidente anche la presenza di resti di meteoriti.
Su Marte sono presenti strutture geologiche eccezionali, il Monte Olimpo, il vulcano più grande del sistema solare, la Valle Marineris, un canyon di grande estensione.
Marte presenta delle variazioni di colore, un tempo imputate alla presenza di vegetazione stagionale, che cambiava di colore durante l’anno marzianò. Tuttavia, le osservazioni spettroscopiche dell’atmosfera avevano da tempo fatto abbandonare l’ipotesi che vi potessero essere mari, canali e fiumi o un’atmosfera sufficientemente densa. le ipotesi di un pianeta “vivo” fu definitivamente
smontata dalla missione Mariner 4 che, nel 1965, mostrò un pianeta desertico e arido, caratterizzato da tempeste di sabbia particolarmente violente. Gli scienziati, però, ritengono sia possibile che Marte ospiti ancora qualche forme di vita elementare, infatti, di recente, è stata confermata la presenza di ghiaccio, di residui di sali idrati, indice forse dell’effimera presenza di ruscelli di acqua salata, quindi dell’esistenza di acqua in forma liquida sulla superficie del pianeta.
Attorno a Marte orbitano due piccoli satelliti Fobos e Deimos di piccole dimensioni e dalla forma irregolare.
Le stranezze di Marte
I canali
Il 5 settembre 1877 si verificò un’opposizione perielica e in quell’anno l’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, utilizzò un telescopio di 22 cm per realizzare la prima mappa dettagliata di Marte la cui nomenclatura è ancora quella ufficiale. l’astronomo descrisse delle strutture che definì “Canali” (che in seguito si dimostrarono illusioni ottiche) in quanto la superficie del pianeta presentava diverse lunghe linee alle quali egli attribuì nomi di celebri fiumi terrestri.
La traduzione in inglese del termine “canali” usato da Schiaparelli, confuso con la parola inglese “canal”, ovvero canale artificiale, portò il mondo scientifico a ritenere che su Marte vi fossero canali artificiali. Influenzato da queste traduzioni l’astronomo statunitense Percival Lowell nel corso di una favorevole opposizione del 1894 e nelle successive osservò i canali e scrisse, in seguito, diversi libri su Marte e la vita sul pianeta, basate anche sull’origine artificiale dei canali, finendo per influenzare l’opinione pubblica. Anche gli astronomi Henri Joseph Perrotin e Louis Thollon si dedicarono all’osservazione dei canali marziani. Nacque l’immagine di un mondo morente dove la siccità costringeva la matura civiltà marziana a immense opere di canalizzazione per portare l’acqua dai poli verso le zone aride del pianeta. Si credette per decenni che Marte fosse un mondo coperto di flora, infatti osservando il mutamento stagionale delle dimensioni delle calotte polari si vedevano delle ampie zone scure sulla superficie del pianeta che venivano interpretate come una fitta vegetazione che si formava grazie allo scioglimento delle calotte polari.
La faccia di Marte
Cydonia Mensae è una regione di Marte situata alle coordinate 33° Nord e 13° Ovest. Il 25 luglio del 1976, nel corso della sua 35ª orbita, la sonda Viking 1 realizzò una fotografia conosciuta come il volto di Marte e ritenuta all’epoca da alcuni come una struttura artificiale. Il “volto” misura approssimativamente 3 km in lunghezza e 1,5 km in larghezza e si trova 10° a nord dell’equatore marziano. La NASA, pubblicò la prima foto sei giorni dopo. Altre immagini furono poi rese pubbliche, ed anche in esse era evidente l’effetto di luci ed ombre che riproduceva i tratti di un volto umano, da cui quest’area prende il nome. La foto raffigura uno dei molti altopiani disseminati nella regione marziana di Cydonia. L’altopiano assume le sembianze di un volto grazie ad una combinazione di angolo d’illuminazione, bassa risoluzione della foto, e tendenza della mente umana a riconoscere motivi familiari, specialmente volti. Infine, un’interruzione nella trasmissione dati inviati sulla Terra dalla sonda creò una macchia nera in corrispondenza dell’ipotetica narice. Altre sonde hanno scattato foto della zona con una risoluzione molto più alta, la zona in questione ricorda molto meno una faccia. Si diffusero diverse teorie in proposito e in poco tempo nacque la leggenda di un monumento sul suolo marziano, un monumento che ricordava un volto umano, il volto di un marziano che forse voleva comunicare con gli esseri umani del pianeta Terra.
Il 21 settembre 2006 l’ESA ha reso pubbliche nuove immagini ad altissima risoluzione della regione di Cydonia in cui compare l’area del volto, in esse un pixel copre una dimensione di soli 14 metri. Dalle immagini appare l’origine naturale della “faccia”. In conclusione, l’origine artificiale del volto di Cydonia, ripresa dalla sonda Viking appariva tale soltanto a causa di una interpretazione visiva di immagini spaziali a bassa risoluzione, si tratta di un fenomeno noto come pareidolia che è la tendenza del cervello umano a cercare rassomiglianze con oggetti familiari.
Le piramidi
Secondo alcuni ufologi e studiosi indipendenti, Cydonia nasconderebbe anche delle piramidi: ne sono state identificate sei, alcune a quattro e altre a cinque lati, insieme a una “una piccola fortezza triangolare”. La ‘costruzioni’ più imponente è alta circa 1600 metri. Richard Hoagland, un ex-collaboratore della NASA, iniziò insieme al suo gruppo una serie di studi molto dettagliati sulle singolari strutture evidenziando alcune relazioni tra le loro posizioni reciproche, le dimensioni e gli orientamenti. La complessità di queste relazioni, secondo lui, rendeva difficile attribuirle al caso: i costruttori, sempre secondo il ricercatore, avrebbero seguito regole geometriche, come fecero le antiche civiltà terrestri. Il complesso sarebbe una sorta di messaggio mandato dai marziani ai terrestri. Ma anche le presunte piramidi con una risoluzione migliore appaiono ciò che sono, delle collinette del tutto naturali…
Alberi marziani
Su Marte sembra ci siano addirittura degli alberi, una sonda statunitense avrebbe mandato una foto che dimostrerebbe la loro esistenza, un campo innevato dove sembrano innalzarsi delle gigantesche piante. Le dimensioni sarebbero colossali, dell’ordine delle centinaia di metri, la foto è stata addirittura presentata all’Astronomy pictures day della NASA. La realtà, come sempre, viene rivelata dagli strumenti sempre più sofisticati montati sulle attuali sonde che operano su Marte, in superficie e in orbita, in grado di inviarci immagini con un dettaglio di risoluzione impensabile fino a qualche anno fa.
Purtroppo, su Marte non c’è nessun albero, solo rivoli di sabbia che scorrono lungo le dune, dalla cresta verso la base. La visuale dall’alto fa perdere la prospettiva: la “base” degli “alberi” è la cresta di una duna, e la “chioma” è l’accumulo della sabbia a valle. Insomma anche gli alberi sono solo il frutto della fantasia del cervello umano che, troppo spesso, viene sfruttata da pseudo ricercatori per promuovere teorie che forse andavano bene a fine ottocento: Canali, monumenti, piramidi, facce e statue frutto solo di interpretazioni di foto a bassa risoluzione o causate da quello che la nostra mente ricostruisce, se su Marte ci fosse stata davvero una civiltà la NASA o il Governo americano non avrebbero avuto nessun interesse ad occultare le foto, anzi, avrebbero avuto tutto l’interesse a coinvolgere il pubblico per avere i finanziamenti necessari a portare al più presto l’uomo sulla superficie del pianeta rosso.
Sono molte le versioni della pasta all’amatriciana che si possono trovare sui vari libri di cucina o sui tanti siti internet dedicati all’arte culinaria. È molto diffusa l’idea che la pasta adatta al sugo all’amatriciana siano i bucatini ma anche i rigatoni hanno i loro estimatori. Premesso che il sugo alla amatriciana è buonissimo di suo e che può stare bene con qualsiasi tipo di pasta, la ricetta originale, quella tutelata dal comune di Amatrice con un marchio di origine, prevede l’uso di un tipo di uno spaghetto erto, capace di rimanere al dente dopo la cottura. Nello stesso modo, molti pensano che si possa utilizzare la pancetta affumicata mentre la ricetta prevede esclusivamente guanciale.
La ricetta originale nasce bianca, senza sugo, ed è oggi nota come la “gricia” ed era utilizzata come condimento spartano dai pastori sulle montagne, durante la transumanza. In questo articolo vi proporremo sia la versione bianca che quella rossa di questa ottima ricetta, famosa in tutto il mondo.
Amatriciana bianca (gricia)
Ingredienti (per 4 persone):
500 gr di spaghetti
125 gr di guanciale di Amatrice
un pezzo di strutto o, in alternativa, un cucchiaio di olio di oliva extravergine
un goccio di vino bianco secco
100 gr di pecorino di Amatrice grattugiato
sale qb
Preparazione:
Gricia o amatriciana bianca
Mettiamo in una padella lo strutto o, se si preferisce, l’olio d’oliva. Prendiamo il guanciale e tagliamolo in lunghe listarelle mettendolo poi a rosolare nella padella dove avremo preventivamente sciolto lo strutto o versato l’olio d’oliva. Aggiungiamo al tutto, il vino bianco e pepe nero a volontà e lasciamo rosolare a fuoco basso per il tempo necessario al guanciale per dorarsi.
È importante che il guanciale resti dorato e non si cuocia troppo.
A questo punto, mettiamo in padella gli spaghetti, che avremo cotto al dente, e, mentre mescoliamo per il composto, aggiungiamo generosamente il pecorino e altro pepe nero a piacere. e aggiungiamo abbondante pecorino amatriciano più delicato e meno salato del romano e pepe nero, macinato di fresco, a piacere.
Continuiamo ad amalgamare e, infine, serviamo in piatti fondi con un’ultima spolverata di pecorino.
Amatriciana Rossa:
Ingredienti (per 4 persone):
500 gr di spaghetti
125 gr di guanciale di Amatrice
un pezzo di strutto o, in alternativa, un cucchiaio di olio di oliva extravergine
un goccio di vino bianco secco
6 o 7 pomodori San Marzano o 400 gr di pomodori pelati
un pezzetto di peperoncino
100 gr di pecorino di Amatrice grattugiato
sale qb
Preparazione:
Amatriciana
Mettiamo in una padella lo strutto o, se si preferisce, l’olio d’oliva. Prendiamo il guanciale e tagliamolo in lunghe listarelle mettendolo poi a rosolare nella padella dove avremo preventivamente sciolto lo strutto o versato l’olio d’oliva. A questo punto, sfumiamo nel vino bianco e pepe nero a volontà e lasciamo rosolare a fuoco basso per il tempo necessario al guanciale per dorarsi. Quando il guanciale è dorato aggiungiamo i pomodori, se necessario, aggiungiamo un goccio d’acqua e aspettiamo circa 10′ che il sugo si addensi. A questo punto, aggiungiamo gli spaghetti, quelli commerciali che più si avvicinano allo spaghetto ideale per l’amatriciana sono i n. 12 della De Cecco, cotti rigorosamente al dente e mescoliamo. Quando il sugo si è ben diffuso sulla pasta aggiungiamo il pecorino grattugiato in abbondanza e continuiamo ad amalgamare.
Quando tutto è pronto, servire l’amatriciana in piatti fondi, con un’altra spolverata di pecorino, senza mischiare ulteriormente.
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