di Mario Tozzi per la Stampa
I Campi Flegrei, il nostro supervulcano, si stanno rimettendo in moto? Come interpretare i segnali che provengono da quel distretto vulcanico che ha dato sempre segni di inquietudine, ma che gli italiani non considerano neppure attivo? Sotto attenzione c’ è soprattutto la Solfatara, forse il cratere vulcanico più famoso del mondo, dove fumarole e mofete hanno fatto da palcoscenico anche per film famosi (Totò, in «47, morto che parla», crede di trovarsi lì nell’ Aldilà). Le fumarole sono aumentate di temperatura e di portata, il terreno si è rigonfiato di 4-5 cm all’ anno dal 2005 (dati Cnr).
Insomma, sembra che il magma stia risalendo all’interno della camera magmatica posta a 3 km di profondità. Ma questa non sarebbe una novità: nel 1538 un vulcano nacque e crebbe sotto gli occhi della popolazione (il Monte Nuovo) e oggi fa parte dello scenario flegreo. Così come ne fanno parte le colonne del mercato romano del Serapeo, che recano il segno dell’ innalzamento e dell’ abbassamento del mare negli ultimi secoli. Per non parlare dell’ evacuazione di Pozzuoli negli Anni 80.
Uno scenario che abbiamo considerato, a torto, spento, tanto da costruire basi militari, abitazioni e perfino un ippodromo dentro i 29 crateri di quello che è il secondo supervulcano del mondo, dopo quello di Yellowstone. Molto più pericoloso, considerando che a Yellowstone c’ è un parco nazionale e pochissimi abitanti, mentre qui ci sono, forse, 600 mila persone a rischio. E considerando che l’ ultima eruzione devastante ha creato ex novo lo scenario della Campania, circa 39 mila anni fa.
Che previsione possiamo fare? In realtà nessuna o, meglio, non si può escludere quella di una possibile eruzione moderata, simile a quella del Monte Nuovo. E, visto il monitoraggio, si saprebbe per tempo: le eruzioni vulcaniche sono più prevedibili dei terremoti, anche se meno del meteo di domani. La domanda, però, è un’ altra: cosa dovrebbero fare i cittadini? Sono pronti a un’ evacuazione? E gli amministratori sanno del rischio?
Il vero problema dei Campi Flegrei, come del Vesuvio, è che l’ emergenza è già oggi, con un traffico da metropoli cinese e un agglomerato di costruzioni che ingombrano ogni via di fuga. E nessuna esercitazione fatta. Eppure sappiamo bene che, in caso di pericolo, non riesci a ragionare e dovresti solo muoverti a memoria, come si fa sulle navi esercitandosi al naufragio, senza che nessuno pensi che porti male. Come invece accade a Napoli (e altrove).
Come se non ci si volesse rendere conto che i Campi Flegrei sono uno dei vulcani più attivi del mondo e si preferisse preoccuparsi di un pozzo innocuo. Ma gli uomini sono fatti così: continuano a vivere nelle regioni pericolose del Pianeta, dimenticano i segnali della Terra e, soprattutto da noi, non pianificano diversamente la loro espansione su territori a rischio terremoti, frane, alluvioni o eruzioni, eppure in quelle aree gli italiani hanno costruito a dismisura.
All’inizio era la fame: piuttosto che morirne, si preferiva rischiare un’ eruzione ogni 20 anni e intanto coltivare quei terreni così fertili. Ma oggi? Per quale ragione si colonizzano i crateri ancora attivi dei Campi Flegrei? Sembra che il profitto possa essere l’unica risposta. Almeno fino a quando il nostro supervulcano darà un nuovo perentorio segno della sua esistenza in vita.