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Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, i primi “Re Cattolici” di Spagna

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Il 23 ottobre del 1469, a Valladolid, si celebrò uno dei matrimoni più famosi della storia per gli interessi politico-economico in gioco: quello tra i due eredi delle due più importanti corone di Spagna: Isabella di Castiglia (1451-1504) e Ferdinando di Aragona (1452-1516). Questo avvenimento sancì l’unione personale tra i due regni, che tuttavia si fonderanno soltanto nel 1516 con Carlo V d’Asburgo (1500-1558).

Isabella e Ferdinando sono i primi monarchi a ricevere l’appellativo onorifico di “maestà cattoliche”, tuttora riservato ai re di Spagna. Il titolo “Re cattolici” gli venne attribuito da Papa Alessandro VI, in riconoscimento del loro impegno nel difendere la fede cattolica all’interno dei propri regni.

Il loro regno congiunto vedrà una serie di eventi epocali: la riconquista di Granada (1492)i viaggi di Cristoforo Colombo, la riaffermazione dell’Inquisizione spagnola e l’espulsione di ebrei e musulmani che non si convertiranno alla fede cattolica. È in questo periodo che vengono poste le prime basi di una lunga dominazione spagnola in Europa e nel nuovo mondo.

La questione del matrimonio

Isabella era figlia di Giovanni II di Castiglia e di Isabella di Portogallo, nonché sorella del re di Castiglia Enrico IV. La ragazza nel 1469 aveva 18 anni e godeva di consistenti diritti sul trono di Castiglia. Ferdinando, di un anno più giovane, era figlio di Giovanni II di Aragona, ed erede al trono di Aragona.

Il riconoscimento di Isabella come erede al trono era stato fortemente voluto da una delle due fazioni della potente nobiltà castigliana, appoggiata dal primo ministro del re, il marchese di Villena, che attraverso questo matrimonio sperava di rafforzare la propria posizione.

La fazione rivale appoggiava invece la successione di Giovanna, figlia di Enrico IV, ma di legittimità incerta, che nel 1475 avrebbe sposato lo zio Alfonso V, re di Portogallo. La prima persona a non accettare questo matrimonio tuttavia era stato lo stesso Enrico IV, che nel 1469 diseredò Isabella in favore di sua figlia Giovanna, di cui giurò pubblicamente la legittimità, e che proclamò ufficialmente erede al trono. Quando nel 1474 Enrico IV morì, la Castiglia era più divisa che mai: da una parte c’erano i sostenitori di Isabella, supportati dal regno di Aragona, dall’altra quelli di Giovanna, supportati dal Portogallo.

La situazione sfociò in un guerra civile (1475-1479). I diritti di Isabella vennero definitivamente sanciti e riconosciuti nel 1479, con il Trattato di Alcaçovas. Nello stesso anno, dopo la morte di suo padre, Ferdinando saliva al trono di Aragona.

La Corona di Aragona

La Corona di Aragona esercitava il proprio dominio su importanti città mercantili sulla costa, come Barcellona e Valencia che erano popolate da una nobiltà impegnata commercialmente, in particolare a Catalogna.

L’espansione catalana era rivolta verso il Mediterraneo arrivando fino al Regno di Napoli. A metà del XV secolo la Corona di Aragona stava attraversando un certo declino da un punto di vista economico.

La corona di Castiglia

La corona di Castiglia era sicuramente la più estesa tra le due, i territori sotto il suo dominio erano frutto di una lunga espansione verso sud ai danni dei possedimenti musulmani (la cosiddetta reconquista). Quando salì al trono, nel 1454, il re Enrico IV (1425-1474) si ritrovò stati saldamente controllati dalla nobiltà, la cui economia si reggeva sul possedimento terriero.

La Spagna dei Re Cattolici

Nel 1479, per la prima volta nella storia, la corona di Castiglia e quella di Aragona erano politicamente unite, ma non per questo fuse tra loro. Entrambe le Corone, continuarono a mantenere una forte autonomia istituzionale almeno fino al XVIII secolo.

Nel 1480 i Re Cattolici tornarono ad occuparsi dell’ultima presenza musulmana nella penisola iberica: il prosperoso Emirato di Granada, che nel 1492 venne definitivamente conquistato ed annesso alla Corona di Castiglia. La fine della presenza musulmana in Spagna valse a Ferdinando ed Isabella il titolo onorifico di “Re Cattolici“, conferito da papa Innocenzo VIII e poi confermato da Alessandro VI.

Gli obiettivi espansionistici della corona si rivolsero in seguito verso il Nordafrica, con la conquista delle Canarie e la costruzione di una serie di fortezze presso Tripoli, Oran, Bugia e Mazalquivir. Contemporaneamente, sperando di aprire nuove rotte commerciali in occidente, i re Cattolici finanziarono il viaggio di Cristoforo Colombo nel 1492.    

Politica e religione

I re cattolici tentarono di centralizzare il proprio potere politico riducendo il potere delle cortes, ripristinando il tribunale dell’Inquisizione spagnola con inquisitori scelti dalla corona (1478), e riformando il clero. Per affermare la propria identità cattolica, i monarchi si impegnarono all’evangelizzazione dei propri nuovi territori in particolare Granada, le Canarie e le Americhe. Decretarono inoltre l’espulsione degli ebrei (1492) e dei musulmani (1502) che rifiutavano la conversione al cristianesimo.

Per contrastare l’influenza francese in Italia, si allearono con gli Asburgo, con il papa, con Venezia, Genova, Milano e con l’Inghilterra, nella Lega Santa (1495). Attraverso una serie di campagne in Italia, il controllo della corona di Aragona sul Regno di Napoli venne rinforzato.

Una Spagna davvero unita?

Vennero decretati i diritti e le competenze di Ferdinando ed Isabella, e la sostanziale equivalenza politica dei due regni, tutto attraverso il concordato di Segovia (1475). Alla morte di Isabella (1504), Ferdinando ottenne la reggenza di Castiglia in nome dell’erede al trono, sua figlia Giovanna di Castiglia (1479-1555), detta la Pazza.

Allontanato in occasione del matrimonio di lei con Filippo il Bello, Ferdinando tornò a governare la Castiglia alla morte di costui nel 1507, per conto del nipote Carlo I, in seguito l’imperatore Carlo V (1500-1558).

Dopo la morte di Isabella, Ferdinando riuscì ad annettere ai propri domini anche il regno di Navarra situato all’estremo nordest della penisola iberica, sposando in seconde nozze Germana de Foix (1505).

Alla morte di Ferdinando, suo nipote Carlo V eredita un complesso agglomerato di territori che per secoli sarebbe stato soggetto alla monarchia: i regni di Castiglia e di Aragona (comprese la Catalogna, Valencia e le Isole Baleari), la Navarra fino ai Pirenei, e le Canarie. Inoltre c’erano i possedimenti in Italia (Napoli, Sicilia e Sardegna), nelle Americhe e nel Nordafrica.

Tutti questi complessi domini, tuttavia, restavano soggetti alle proprie leggi: per molto tempo ancora non ci fu una vera e propria fusione, cosa che avvenne solo con Carlo V, che unì tutto nella sua persona.

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La fine ultima del Sistema Solare

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Sebbene il mondo ci sembri immutabile e solido, nulla in questo universo durerà in eterno. Si calcola che tra circa 5 miliardi di anni il Sole non sarà più in grado di sostenere le reazioni di fusione nucleare, a quel punto, espellerà una parte della sua massa prima che il suo nucleo collassi in una nana bianca.
Quando arriverà a questa fase della sua evoluzione, ciò che resterà del Sole perderà lentamente il suo calore fino a diventare, dopo mille miliardi di anni, una nana oscura e fredda.
Quella nana oscura sarà probabilmente l’ultimo relitto solitario del Sistema Solare che conosciamo, mentre i pianeti, secondo nuove simulazioni, impiegheranno “solo” 100 miliardi di anni per sfuggire al Sole e perdersi nella galassia. Il risultato delle simulazioni è una parziale risposta che astronomi e fisici cercano da oltre un secolo nel tentativo di svelare il destino ultimo del Sistema Solare.
Nel loro nuovo articolo gli astronomi Jon Zink dell’Università della California, Los Angeles, Konstantin Batygin del Caltech e Fred Adams dell’Università del Michigan hanno scritto:
“La comprensione della stabilità dinamica a lungo termine del sistema solare costituisce una delle più vecchie attività dell’astrofisica, risalente allo stesso Newton, che ipotizzò che le interazioni reciproche tra i pianeti avrebbero alla fine portato il sistema all’instabilità”.
Capire quale sarà il destino del Sistema Solare è più  complicato di quanto possa sembrare. Maggiore è il numero di corpi che interagiscono tra loro in un sistema dinamico, più complicato è il sistema e più difficile sarà fare previsioni. Questo è chiamato problema N-corpi. A causa di questa complessità, è impossibile fare previsioni sulle orbite dei corpi del Sistema Solare oltre determinate scale temporali. Dopo circa 5-10 milioni di anni, la certezza previsionale viene meno.
Se gli scienziati riusciranno a stabilire il futuro del Sistema Solare, impareranno qualcosa sull’evoluzione dell’universo su scale temporali centinaia di volte più estese dell’età attuale, che è pari a circa 13,8 miliardi di anni. Nel 1999, gli astronomi predissero che il Sistema Solare sarebbe andato in pezzi dopo almeno 10 ^ 18 anni (un miliardo di miliardi di anni). Calcolarono inoltre il tempo necessario alle risonanze orbitali tra Giove e Saturno di scalzare Urano.
Secondo il team di Zink, tuttavia, questo calcolo non tenne conto di alcune importanti influenze che potrebbero anticipare la fine del Sistema Solare. Entro circa 5 miliardi di anni il Sole diventerà in una gigante rossa, e vaporizzerà Mercurio, Venere e forse anche la Terra. Quindi espellerà quasi metà della sua massa; la nana bianca restante avrà solo il 54 percento dell’attuale massa del Sole.
La perdita di massa allenterà la presa gravitazionale del Sole sul pianeta Marte e sui giganti di ghiaccio, Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Ma non è finita, il Sistema Solare, che orbita attorno al centro della Via Lattea in 220 milioni di anni, sarà influenzato ogni 23 milioni di anni da stelle che si avvicineranno abbastanza da perturbare le orbite dei pianeti. Come hanno scritto i ricercatori:
“Tenendo conto della perdita di massa stellare e dell’inflazione delle orbite dei pianeti esterni, questi incontri diventeranno più influenti. Dato abbastanza tempo, alcuni di questi flyby si avvicineranno abbastanza da dissociare  o destabilizzare  i pianeti rimanenti”.
Aggiungendo queste influenze ai calcoli, il team ha eseguito 10 simulazioni del problema dei corpi N applicandole ai pianeti esterni (tralasciando Marte per risparmiare sui costi di calcolo, poiché la sua influenza dovrebbe essere trascurabile), utilizzando il potente Shared Hoffman2 Cluster.  Le simulazioni sono state suddivise in due fasi: dalla fine della perdita di massa del Sole e dalla fase successiva alla perdita di massa.
Sebbene 10 simulazioni non sono un campione statistico forte, il team ha scoperto che a ogni simulazione si verificava uno scenario simile. Quando il Sole evolverà in una nana bianca, i pianeti esterni avranno un’orbita più ampia, pur restando stabili. Giove e Saturno però entreranno in risonanza 5:2 – per ogni 5 orbite completate da Giove, Saturno ne completerà 2. Questa risonanza venne proposta dallo stesso Isaac Newton. Le orbite allargate, così come le caratteristiche della risonanza tra i pianeti, renderanno il sistema suscettibile alle perturbazioni delle stelle di passaggio.

Dopo 30 miliardi di anni, le perturbazioni stellari muteranno le orbite stabili in orbite caotiche, scalzando il pianeta dal Sistema Solare. Tutti i pianeti tranne uno sfuggiranno alle loro orbite, diventando pianeti canaglia.
L’ultimo pianeta orbiterà per altri 50 miliardi di anni, ma il suo destino sarà segnato. Anche l’ultimo superstite planetario verrà scagliato nello spazio interstellare dall’influenza gravitazionale delle stelle di passaggio. Dopo 100 miliardi di anni del Sistema Solare rimarrà una nana bianca solitaria.
Questo è un lasso di tempo molto più breve di quello proposto nel 1999. E, fanno notare i ricercatori, il risultato è subordinato alle attuali osservazioni dell’ambiente galattico locale e alle stime dei passaggi ravvicinati delle stelle, entrambe le quali potrebbero cambiare portando a un diverso scenario.

Fonte: https://www.sciencealert.com/our-solar-system-is-going-to-totally-disintegrate-sooner-than-we-thought

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Lampi di platino sulla costante di Hubble

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Un team di ricercatori ha studiato diverse proprietà fondamentali di una nuova tipologia di gamma ray burst (Grb)  chiamati “Platinum sample”. La ricerca include alcuni casi di Grb associati alle kilonove analizzati per la prima volta.

I cacciatori di gamma ray burst (Grb), guidati da Maria Giovanna Dainotti dell’Istituto nazionale di Astrofisica (INAF), dopo aver scoperto un campione d’oro, hanno scoperto il cosiddetto “piano fondamentale“: una relazione a tre parametri sulla quale si posizionano Grb di diversa natura ma con una caratteristica comune, appartenere alla classe “dorata”. I ricercatori, dopo aver trovato l’oro hanno trovato anche il platino: un nuovo campione di Grb, di simile natura e durata, ma con curve di luce caratterizzate da una lunga fase di plateau senza improvvisi flares. Questo campione, assieme alle kilonove, ha consentito di cesellare al meglio il legame fra i parametri fisici che determinano il piano fondamentale, come mezzo per discriminare varie categorie di Grb, e utilizzarle come strumenti cosmologici per misurare l’espansione dell’universo.
I Grb sono i corpi celesti più energetici dell’universo, in pochi secondi rilasciano l’energia prodotta dal Sole nell’arco di tutta la sua vita. L’articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2020 su The Astrophysical Journal, la prima autrice è Maria Giovanna Dainotti, assistant professor dell’Osservatorio astronomico presso la Jagiellonian University, a Cracovia, ricercatrice senior dell’Interdisciplinary Theoretical & Mathematical Science Program a Riken, in Giappone, e affiliated research scientist del Science space istitute a Boulder, in Colorado.
Il lavoro che abbiamo pubblicato” spiega la Dainotti in un’intervista su Media Inafè il risultato di più di 12 anni di studi, cominciati al termine del mio dottorato, quando ho iniziato a interessarmi alla correlazione fra gli osservabili di questi misteriosi e potentissimi oggetti astrofisici. Anno dopo anno – e in questo articolo, in collaborazione con i giovani ricercatori Giuseppe Sarracino e Aleksander Lenart, e i colleghi professori Salvatore Capozziello, Shigeiro Nagataki e Nissim Fraja – siamo riusciti ad aggiungere tutti i tasselli necessari a comporre la nostra relazione a tre parametri – che abbiamo chiamato piano fondamentale dei Grb
Gli astronomi sono in grado di misurare direttamente solo le distanze dagli oggetti che sono vicini alla Terra e devono invece calcolare le distanze dagli oggetti più lontani. Tutti gli oggetti utilizzati per ricavare le misure di distanze cosmologiche hanno luminosità note e sono detti “candele standard”. Una volta nota la luminosità assoluta della candela standard, la distanza dell’oggetto può essere dedotta in base alla misura della sua luminosità. Le supernovae di tipo Ia, ad esempio, vengono osservate fino a 11 miliardi di anni luce. L’uso dei GRB come nuovo tipo di candele standard permetterà agli astronomi di guardare più lontano e comprendere l’universo, ampliando i modelli che ne svelano l’evoluzione.
Nonostante decenni di studi, non è ancora disponibile un modello completo in grado di spiegare i meccanismi fisici e le proprietà di questi oggetti. Sono state proposte molte spiegazioni per i GRB, l’esplosione di una stella estremamente massiccia (i GRB di lunga durata) o la fusione di due oggetti compatti (i GRB di breve durata).
Le Kilonovae (KNe) sono oggetti legati ai GRB della durata inferiore ai due secondi. Questi GRB derivano da esplosioni dovute alla fusione di due stelle di neutroni. Il rilevamento dell’emissione di raggi X in un punto coincidente con il transitorio KN può fornire il collegamento osservazionale mancante tra GRB brevi e onde gravitazionali prodotte dalle fusioni di stelle di neutroni. La prima rilevazione di KN associata alle onde gravitazionali e il GRB corto 170817 ha inaugurato una nuova era di osservazioni e di indagini teoriche. Il pezzo mancante di questa lunga storia è la connessione tra KNe e le correlazioni osservazionali GRB che Dainotti e il suo team ora forniscono.
Seppur osservati con lo stesso satellite, in questo caso l’Osservatorio rapido di Neil Gehrels della NASA, i GRB mostrano caratteristiche che variano notevolmente anche di diversi ordini di grandezza, sia nell’emissione immediata (l’evento principale nei raggi gamma), che per nella fase di afterglow estesa (che segue l’emissione immediata e si vede su una vasta gamma di lunghezze d’onda). Nello studio, il punto chiave è la caccia alle caratteristiche che rimangono invarianti secondo le classi peculiari dei GRB.
Il team ha trovato una correlazione tra le seguenti tre variabili che identifica un piano: la durata della fase di plateau dei raggi X, la sua luminosità, e la luminosità della caratteristica dei raggi gamma di picco prompt. Le distanze dei GRB dal piano di una data classe hanno permesso agli autori di determinare se i GRB appartengono a quella particolare classe, mostrando diverse caratteristiche relative a questa correlazione 3-D. il team della Dainotti mostra anche che, sebbene gli eventi GRBs-KNe siano un sottocampione della classe più grande di GRB di breve durata, essi mostrano alcune peculiarità osservazionali: infatti, essi si trovano tutti al di sotto del piano fondamentale.
In questa analisi, i pregiudizi di selezione e gli effetti evolutivi sono stati presi in considerazione e hanno dimostrato che il piano fondamentale individuato dalle kilonovae è affidabile ed è indipendente dagli effetti di selezione; quindi, sarà possibile applicare in futuro questo piano come strumento cosmologico. Infatti, il piano GRBs-KNe ha la più piccola distanza osservata dal suo piano, chiamata dispersione intrinseca. Qui questa dispersione è del 29% più piccola di un’analisi precedente che proveniva da un comunicato stampa della NASA nel 2016. Questo risultato è stato raggiunto senza assumere alcun criterio di osservazione, come era stato fatto in studi precedenti eseguiti da alcuni degli autori di questa ricerca. Questo nuovo risultato è quindi un passo avanti rispetto alle analisi precedenti.
Tutti i KN-SGRB  cadono al di sotto del piano di montaggio migliore. Inoltre, i GRB associati al piano KNe hanno ancora una distanza molto piccola dal rispettivo piano delle kilonovae quando si tiene conto dell’evoluzione. Più piccola è la distanza dal piano, più utile è l’utilizzo del piano come strumento cosmologico. Un grande vantaggio dell’uso dei GRB associati alle kilonovae è che gli eventi GRB-KNe hanno un processo di emissione fisica più chiaro rispetto ad altre classi di GRB osservazionali.
I risultati ottenuti indicano che questi GRB “speciali” prendono posto nel “piano fondamentale” con una dispersione molto inferiore rispetto agli studi svolti in precedenza, tanto da poter essere utilizzati come candele standard per stimare i parametri cosmologici e misurare con una precisione maggiore l’espansione dell’universo.
Fonte: https://gaetaniumberto.wordpress.com/2020/11/26/kilonovae-saranno-le-nuove-candele-standard/
Fonte: https://www.media.inaf.it/2020/11/27/grb-kilonove-platinum-sample/

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Le migliori offerte di giochi da tavolo per i bambini che amano la scienza

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Trivial Pursuit

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Stone Age: L’ Inizio del Viaggio

I tempi dell'”età della pietra” furono davvero duri. Nei loro ruoli di cacciatori, collezionisti, agricoltori e produttori di utensili, i nostri antenati lavoravano con le gambe e la schiena che tendevano contro gli aratri di legno nella terra rocciosa. Naturalmente, il progresso non si è fermato con l’aratro di legno. Le persone hanno sempre cercato strumenti migliori e impianti più produttivi per rendere il loro lavoro più efficace.
In Stone Age, i giocatori vivono in questo periodo, proprio come facevano i nostri antenati. Raccolgono legna, rompono pietre e lavano il loro oro dal fiume. Commerciano liberamente, espandono il loro villaggio e così raggiungono nuovi livelli di civiltà. Con un equilibrio di fortuna e pianificazione, i giocatori competono per il cibo in questo periodo preistorico.
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Cluedo

Il classico gioco investigativo! Cluedo, o Clue , è un gioco di logica e mistero che è stato uno dei preferiti della famiglia da generazioni, sin dalla sua uscita nel 1949. Lo scopo del gioco è risolvere l’omicidio del Dr. Black. Man mano che dai suggerimenti sul sospetto di omicidio, sull’arma e sulla posizione, eliminerai le possibilità e ti avvicinerai alla verità….

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C’è stato un omicidio in un maniero e sono arrivati ​​fino a sei personaggi vestiti con colori vivaci indagare. Possono dedurre chi è l’assassino, dove è avvenuto il crimine e cosa è stato usato come arma del delitto? Invece di competere per risolvere prima l’omicidio, tu ei tuoi colleghi investigatori (investigatori psichici, non meno) lavorerete insieme per risolvere il caso. E soprattutto, i sensitivi non sono soli …
Uno di voi interpreterà il fantasma della vittima, che è tornato per aiutare a risolvere il proprio omicidio. Questo spettro silenzioso guiderà i giocatori sotto forma di visioni criptiche. Il fantasma può rimanere in giro solo per sette ore (sette round di gioco), quindi dovrai risolvere il crimine in tempo.
Allora, com’è una visita a questo misterioso maniero? Ecco i miei pensieri …

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Ricercatori olandesi scoprono un possibile nuovo organo nella gola umana

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È difficile immaginare che ci sia una parte del corpo umano passata inosservata ai medici, dopo secoli di ricerca medica. Ma questo è esattamente ciò che crede un gruppo di scienziati olandesi. Questi ricercatori hanno detto di aver scoperto un paio di ghiandole precedentemente trascurate, nascoste nei nostri crani, dove si incontrano la cavità nasale e la gola.

La scoperta delle Ghiandole tubariche

I ricercatori si sono imbattuti per la prima volta in una nuova parte del corpo, a cui propongono dare il nome di ghiandole tubariche. E‘ accaduto durante una scansione progettata per cercare escrescenze tumorali. Gli scienziati hanno infatti esaminato le scansioni della testa e del collo di 100 individui che stavano si stavano curando per il cancro alla prostata e hanno sezionato due cadaveri: un maschio e una femmina.

La scoperta è stata elettrizzante anche se all’inizio eravamo un po’ scettici“, ha detto l’autore principale dello studio Matthijs H. Valstar, chirurgo del dipartimento di oncologia e chirurgia della testa e del collo presso il Netherlands Cancer Institute.

Pensavamo che non fosse possibile scoprirlo nel 2020“, ha detto Valstar continuando: “Bisogna che sia replicato e dovrebbe essere fatto con diverse serie di pazienti. È importante avere la conferma dei nuovi risultati medici“.

Nuove ghiandole scoperte con scansione avanzata

Queste “nuove” ghiandole non possono essere viste con metodi convenzionali di imaging medico come ultrasuoni, scansioni TC (topografia computerizzata) o MRI (risonanza magnetica), a detta gli autori dello studio.

L’entità sconosciuta è stata identificata solo quando i medici utilizzavano un nuovo tipo di scansione avanzato chiamato PSMA PET/CT che è stato utilizzato per rilevare la diffusione del cancro alla prostata. PSMA PET è un’abbreviazione per l’imaging dell’antigene di membrana specifico della prostata mediante tomografia a emissione di positroni.

Molte scoperte avvengono accidentalmente

Le ghiandole salivari si mostrano chiaramente in questo tipo di imaging altamente sensibile. “Le persone hanno tre serie di grandi ghiandole salivari, ma non lì“, ha detto l’autore dello studio Wouter Vogel, un radioterapista presso il Netherlands Cancer Institute, che ha aggiunto: “Per quanto ne sappiamo, le uniche ghiandole salivari o mucose nel rinofaringe sono microscopicamente piccole e fino a 1000 sono distribuite uniformemente in tutta la mucosa. Quindi, si può immaginare la nostra sorpresa quando le abbiamo trovate“.

“Molte grandi scoperte scientifiche avvengono come una sorpresa, una scoperta accidentale. Questi ricercatori sono stati sintonizzati sui dati ed erano abbastanza esperti dal punto di vista anatomico da notare l’insolita luminosità in una regione che non si pensava contenesse ghiandole salivari“, ha detto Joy Reidenberg, professore di anatomia presso la Icahn School of Medicine del Monte Sinai a New York City.  “Come disse una volta il famoso biologo francese, Louis Pasteur: “il caso favorisce la mente preparata“, ha aggiunto Reidenberg.

Nuovo organo?

E’ una questione di dibattito se le ghiandole tubariche fossero un organo completamente nuovo o potessero essere considerate parte del sistema di organi delle ghiandole salivari. “Questi risultati supportano l’identificazione delle ghiandole tubariche come una nuova entità anatomica e funzionale“, si legge nello studio, pubblicato sulla rivista “Radiotherapy and Oncology“.

Le ghiandole potrebbero essere state scoperte di recente, ma è difficile escludere che queste possano rappresentare gruppi di ghiandole salivari minori, secondo la dottoressa Valerie Fitzhugh, dottoressa di patologia presso la Rutgers New Jersey Medical School e la Rutgers Robert Wood Johnson Medical School.

Poiché lo studio si è concentrato su un piccolo numero di pazienti che erano per lo più maschi e utilizzavano test specifici piuttosto che standard, l’esame di più donne e pazienti più sani consentirebbe dati migliori. “Nel complesso, c’è ancora molto da imparare sul corpo umano“, ha detto Fitzhugh sottolineando che: “La tecnologia ci sta permettendo di fare queste scoperte. Questa potrebbe essere la prima di alcune eccitanti scoperte all’interno del corpo“.

La scoperta ha avuto implicazioni cliniche

Indipendentemente da come vengono descritte le ghiandole, gli autori hanno affermato che la loro scoperta ha avuto implicazioni cliniche, specialmente per i pazienti con cancro della testa e del collo, compresi i tumori alla gola o alla lingua. La radioterapia può danneggiare le ghiandole salivari, che possono portare a secchezza delle fauci e difficoltà a deglutire, parlare e mangiare.

Per la maggior parte dei pazienti, dovrebbe essere tecnicamente possibile evitare di fornire radiazioni a questa posizione appena scoperta del sistema delle ghiandole salivari, nello stesso modo in cui cerchiamo di risparmiare ghiandole conosciute“, ha detto Vogel che ha concluso così: “Il nostro prossimo passo è scoprire come possiamo risparmiare al meglio queste nuove ghiandole e in quali pazienti. Se riusciamo a farlo, i pazienti potrebbero sperimentare meno effetti collaterali a beneficio della loro qualità di vita complessiva dopo il trattamento“.

Fonte: https://www.cnn.com/2020/10/21/health/new-organ-throat-scn-wellness/index.html

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La battaglia di Salamina

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La storia sarebbe stata diversa se la battaglia di Salamina combattuta tra la lega delle città stato della Grecia e l‘impero di Persia, governato dal re Serse, non avesse visto la disfatta di quest’ultimo.

Evento fondamentale dal punto di vista storico

Molti commentatori indicano essa, come il punto di svolta di tutta la storia europea, che favorì la nascita e lo sviluppo di una civiltà basata sulla cultura greca, e non un vassallo degli imperatori orientali.
Essa venne combattuta il 23 settembre del 480 A.C. nello stretto tra la terraferma e l’isola di Salamina, di fronte al Pireo, porto di Atene e rappresentò l’atto finale della seconda invasione persiana iniziata nella primavera di quell’anno con l’attraversamento dell’Ellesponto (lo stretto dei Dardanelli) da parte delle truppe di Serse, le quali contavano circa 180 mila uomini.
Lungo la costa l’esercito persiano era assistito dalla flotta che trasportava i rifornimenti.

Gli eventi che precedettero la battaglia

Le città stato greche erano divise sulle strategie da utilizzare per fronteggiare il nemico comune; alla fine si decise di schierare un esercito di otto mila uomini al comando del re Leonida di Sparta al passo delle Termopili situato vicino la costa lungo lo stretto di Euripo.
Inoltre, i greci inviarono la flotta a presidiare lo stretto braccio di mare di fronte a Capo Artemisio, punto di passaggio obbligato per i persiani per non interrompere il flusso dei rifornimenti al loro esercito.
I persiani non furono fermati sul mare e vinsero la battaglia delle Termopili; essi invasero la Focide e nell’Attica e risparmiarono l’oracolo di Delfi e la Doride, solo a seguito di un atto di sottomissione. La stessa Atene, la quale era stata abbandonata dai suoi cittadini, fu saccheggiata e i monumenti dell‘Acropoli furono distrutti.
I generali greci a questo punto avrebbero voluto attestarsi su una linea difensiva presso l’istmo di Corinto per evitare la disfatta definitiva; solo Temistocle, comandante delle navi ateniesi avrebbe voluto continuare ad attaccare le navi persiane sulla base dell’argomentazione che solo una strategia di attacco avrebbe potuto essere efficace per  per controbattere la superiorità numerica dei persiani.
Alla fine prevalse il suo punto di vista e convinse tutti che l’area di mare tra il golfo di Saronico e la baia di Eleusi sarebbe stata quella più adatta per affrontare i persiani.
Le navi greche mossero da Capo Artemisio verso l‘isola di Salamina.
I persiani tennero un consiglio di guerra nel quale Artemisia, regina di Alicarnasso, tentò di convincere Serse, che non sarebbe stato utile accettare il rischio di una battaglia navale nelle acque ristrette di Salamina; il suo tentativo fallì e sia Serse che Mardonio, suo consigliere, decisero per la battaglia .
La flotta greca contava secondo le varie fonti storiche 310 triremi, quella persiana, al contrario, poteva contare su 1200 navi.

Lo svolgimento della battaglia

All’inizio della battaglia la flotta greca ripiegò verso le acque di Capo Artemisio e prese posizione all’ingresso dello stretto, che separa l’isola di Salamina dalla terraferma, poco lontano dal Pireo e dalla baia di Falero, che a quell’epoca era il porto di Atene.
La flotta persiana era nella baia di Falero, quando l’esercito conquistò Atene.
I piani originari di Serse prevedevano che i suoi uomini facessero una sortita all’isola di Citera, per attirare l’esercito spartano nel sud del Peloponneso.
Temistocle ricorse ad uno stratagemma per sabotare la strategia dei nemici; servendosi di una spia, fece arrivare alle orecchie di Serse, la notizia, secondo la quale i Greci stavano per darsi alla fuga.
Serse cadde nel tranello e dispose il il distacco di 200 – 300 navi lungo le coste meridionali di Salamina con il compito di tagliare la ritirata alle forze nemiche, rinunciando ai suoi piani originari
Questo ridusse ulteriormente la superiorità numerica della flotta persiana già ridotta per il fatto che il campo di battaglia scelto da Temistocle non avrebbe consentito ai persiani di impegnare contemporaneamente tutta la loro flotta.
Le navi utilizzate erano triremi, lunghe 35/40 metri, larghe soltanto 6-7 mt e con un pescaggio ridottissimo, dotate appunto di tre ordini di rematori, capaci di spingerle a forte velocità (6-7 nodi circa, fino a 10 nel momento dell’attacco), la prora era rinforzata da un rostro in legno ricoperto di bronzo che serviva a speronare e ad affondare le navi avversarie.
I greci utilizzarono la tattica, che consisteva nel cercare di annullare la superiorità numerica del nemico affrontandolo in uno spazio ridotto che non gli permettesse di dispiegare tutta la sua forza e la battaglia fu vinta grazie a una maggiore mobilità della flotta comandata da Temistocle.
Quest’ultimo conosceva perfettamente i luoghi dello scontro e sapeva che, ogni giorno alla stessa ora si alzava un vento regolare, il quale avrebbe dato molto fastidio ai vascelli di Serse alti di prora e di coperta; le navi greche basse non avrebbero avuto nessun problema.
Le previsioni di Temistocle si avverarono puntualmente e le navi di Serse furono mosse dal vento e si ostacolarono l’un l’altra finendo di presentarsi alla battaglia in linea di fila; a questo punto gli opliti e gli arcieri greci decimarono le forze avversarie.
Presto l’angusto campo di battaglia fu talmente ingombro di triremi che i marinai di Serse non poterono mettere in atto le loro manovre e far pesare la superiorità numerica, così la maggior parte delle loro navi fu speronata e affondata oppure abbordata dalla fanteria pesante greca.
Lo scontro volse presto in favore dei greci e il  braccio di mare in breve tempo fu invaso dai rottami ;  i soldati di Serse, che cercavano scampo aggrappandosi ad esso  vennero in gran parte trucidati dagli ateniesi, ansiosi di vendicare la distruzione della loro città; in ogni caso i soldati persiani sarebbero stati destinati ad annegare sotto il peso delle armature.
Verso sera Serse, che si era fatto erigere sulla terraferma un trono per seguire lo scontro , prese atto della disfatta della sua flotta.

Le conseguenze della battaglia

La disfatta dei Persiani rappresentò la salvezza della Grecia perché Serse, dopo avere riunito la flotta superstite, decise di proseguire la guerra sul fronte terrestre, non avendo più alcuna fiducia negli ammiragli.
Serse ritornò a Babilonia e lasciò il comando al generale Mardonio, che dispose il suo esercito in Tessaglia, per passare l’inverno, che stava arrivando
La battaglia di Salamina non causò la fine della guerra ma fu decisiva per indirizzarne le sorti, dal momento che la distruzione della componente fenicia delle flotta persiana la indebolì enormemente.
Mardonio fu sconfitto nella battaglia di Platea nel 479 A.C. . Sul fronte navale l’anno seguente alla battaglia di Salamina a Micale,  i Greci dettero il colpo di grazia ai resti della flotta persiana nelle acque di uno dei promontori dell’Asia Minore.

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Una nuova fisica nelle radiazioni di fondo dell’universo?

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Lo spaziotempo è pervaso da un bagliore estremamente debole, una reliquia che risale all’alba dell’universo. Questa reliquia è il fondo cosmico a microonde (CMB), la prima luce che ha iniziato il suo viaggio quando 380 mila anni dopo il Big Bang l’universo si è espanso e raffreddato a sufficienza da consentire a ioni ed elettroni di combinarsi in atomi neutri.
Ma ora gli scienziati hanno scoperto qualcosa di peculiari nella radiazione cosmica di fondo. Una nuova tecnica di misurazione ha rivelato indizi sulla luce, qualcosa che potrebbe essere un segno della violazione della simmetria di parità, suggerendo una fisica oltre il Modello Standard.
Secondo il modello standard della fisica, se dovessimo osservare l’universo come se fosse un riflesso speculare di se stesso, le leggi della fisica non dovrebbero cambiare. Le interazioni subatomiche dovrebbero avvenire nell’universo speculare esattamente come avvengono nell’universo reale. Questa è chiamata “simmetria di parità”.
Per quanto osservato finora, c’è solo un’interazione fondamentale che rompe la simmetria di parità; l’interazione debole tra le particelle subatomiche responsabile del decadimento radioattivo. Trovare un altro punto in cui la simmetria di parità si rompe potrebbe portarci verso una nuova fisica, oltre il modello standard.
Due fisici, Yuto Minami del High Energy Accelerator Research Organisation in Giappone e Eiichiro Komatsu del Max Planck Institute for Astrophysics in Germania e Kavli Institute for the Physics and Mathematics of the Universe in Giappone, credono di aver trovato indizi nell’angolo di polarizzazione della radiazione cosmica di fondo (CBM).
La polarizzazione si verifica quando la luce viene diffusa, provocando la propagazione delle sue onde con un certo orientamento. Superfici riflettenti come il vetro e l’acqua polarizzano la luce. Anche gli occhiali da sole polarizzati, progettati per bloccare determinati orientamenti attenuano la quantità di luce che raggiunge i nostri occhi.
Anche l’acqua e le particelle nell’atmosfera possono diffondere e polarizzare la luce; un arcobaleno ne è un esempio eccellente. L’Universo primordiale, per circa 380.000 anni, era così caldo e denso che gli atomi non potevano esistere. Protoni ed elettroni esistevano sotto forma di plasma ionizzato e l’universo era opaco, come una densa nebbia.
Appena l’universo si è raffreddato abbastanza da consentire a protoni ed elettroni di combinarsi in un gas neutro, i fotoni hanno iniziato a viaggiare liberamente. Quando il plasma ionizzato è passato allo stato di gas neutro, i fotoni hanno disperso gli elettroni, causando la polarizzazione del CMB. La polarizzazione del CMB può dirci molto sull’Universo. Soprattutto se è ruotato di un angolo.
Questo angolo, descritto come β, potrebbe indicare un’interazione CMB con la materia oscura o l’energia oscura, le misteriose forze che sembrano dominare l’universo, ma che non siamo in grado di rilevare direttamente.
“Se la materia oscura o l’energia oscura interagiscono con la luce del fondo cosmico a microonde in un modo che viola la simmetria di parità, possiamo trovare la sua firma nei dati di polarizzazione”, ha spiegato Minami.
Il problema con l’identificazione di β con una certa precisione è nella tecnologia che utilizziamo per rilevare la polarizzazione del CMB. Il satellite Planck dell’Agenzia spaziale europea, che ha rilasciato le sue osservazioni più aggiornate della CMB nel 2018, è dotato di rilevatori sensibili alla polarizzazione.

Ma a meno di conoscere esattamente come questi rilevatori sono orientati rispetto al cielo, è impossibile dire se ciò che si osserva è effettivamente β, o una rotazione nel rivelatore che assomiglia a β. La tecnica sviluppata dl team si basa sullo studio di una diversa fonte di luce polarizzata e sul confronto tra le due fonti per estrarre il falso segnale.

 
“Abbiamo sviluppato un nuovo metodo per determinare la rotazione artificiale utilizzando la luce polarizzata emessa dalla polvere nella nostra Via Lattea”, ha spiegato Minami“Con questo metodo, abbiamo ottenuto una precisione doppia rispetto a quella del lavoro precedente e siamo finalmente in grado di misurare β”.
Le sorgenti di radiazioni della Via Lattea provengono da molto più vicina della radiazione cosmica di fondo, quindi non sono influenzate dalla materia oscura o dall’energia oscura. Qualsiasi rotazione nella polarizzazione dovrebbe, quindi, essere solo il risultato di una rotazione nel rivelatore.
Il CMB è influenzato sia da β che dalla rotazione del rivelatore, quindi se si sottrae la rotazione artificiale osservata nelle sorgenti della Via Lattea dalle osservazioni CMB, dovrebbe rimanere solo con il segnale β.
Usando questa tecnica, il team ha determinato che β è diverso da zero, con una certezza del 99,2%. Sembra un valore piuttosto alto, ma non è ancora abbastanza per rivendicare una scoperta di una nuova fisica. Per questo, è richiesto un livello di confidenza del 99,99995%.
Ma la scoperta dimostra certamente che vale la pena studiare più da vicino il CMB.
“È chiaro che non abbiamo ancora trovato prove definitive di una nuova fisica; è necessaria una maggiore significatività statistica per confermare questo segnale”, ha spiegato l’astrofisico Eiichiro Komatsu del Kavli Institute for the Physics and Mathematics of the Universe.
Gli scienziati si dicono entusiasti del nuovo metodo che ha consentito di effettuare la misurazione definita “impossibile” che potrebbe portare verso una nuova fisica oltre il Modello Standard.
Fonte: https://www.sciencealert.com/a-twist-in-the-background-radiation-of-the-universe-hints-at-new-physics?

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Caccia a manufatti alieni sulla Luna

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Avi Loeb, presidente del dipartimento di astronomia di Harvard, ritiene possibile che la Luna nasconda indizi sulla vita extraterrestre.
“Sarebbe allettante trovare microfossili di forme di vita aliena sulla luna. Ancora più eccitante sarebbe trovare tracce di apparecchiature tecnologiche abbandonate sulla superficie lunare un miliardo di anni fa, sarebbe come trovare una lettera di una civiltà aliena che dice: Noi esistiamo”, sostiene Loeb.
Un articolo che Loeb ha scritto con Manasvi Lingam suggerisce d cercare manufatti alieni sulla superficie della Luna. La ricerca sarebbe potenzialmente in grado di fornire elementi utili sulla vita extraterrestre.
“L’assenza di un’atmosfera lunare”, scrive Loeb in “La luna come rete da pesca per la vita extraterrestre”, “garantisce che questi oggetti raggiungano la superficie lunare senza bruciare. Inoltre, l’inattività geologica della Luna implica che eventuali manufatti alieni depositati sulla sua superficie saranno preservati e non persi nelle viscere del nostro satellite. Fungendo da cassetta delle lettere naturale, la superficie lunare ha raccolto tutti gli oggetti che l’hanno colpita durante gli ultimi miliardi di anni. La maggior parte di questa posta proviene dal sistema solare”.
Alcuni oggetti possono però provenire dall’esterno del sistema solare, dallo spazio interstellare. Nel 2017 è stato rilevato il primo di questi oggetti, ‘Oumuamua, un asteroide lungo circa 400 metri e dal comportamento particolare, che ha fatto pensare a una possibile origine artificiale. Tre abbi prima, una meteora di un metro proveniente dall’esterno del sistema solare si è disintegrata attraversando l’atmosfera terrestre. La meteora, larga circa un metro, è stata rilevata l’8 gennaio 2014, a un’altitudine di 18,7 chilometri su un punto vicino all’isola Manus della Papua Nuova Guinea nel Pacifico meridionale. L’elevata velocità pari a circa 216.000 km / h e la sua traiettoria, secondo Loeb suggerivano che provenisse dall’esterno del sistema solare.
Con la scoperta del primo oggetto interstellare avvenuto nel 2017 è ora possibile, per la prima volta, calcolare la quantità di materiale interstellare caduto sulla superficie della Luna nel corso della sua storia. Sulla Terra, i microfossili più antichi, con prove inequivocabili di cellule viventi risalgono a circa 3,4 miliardi di anni fa, scoperti nella formazione Strelley Pool nell’Australia occidentale, forse prefigurano scoperte simili sulla superficie del nostro satellite naturale.
La Terra potrebbe rivelarsi un analogo a ciò che è nascosto sulla Luna. Il 19 agosto, The Galaxy ha riferito che il raro ferro-60 è stato scoperto in Antartide. Gli oggetti dello spazio esterno che vanno dalla polvere alle meteore che cadono regolarmente sulla Terra, ma sono generalmente fatti degli stessi materiali del nostro pianeta, poiché tutto nel sistema solare, incluso il Sole stesso, è costituito dagli stessi blocchi di costruzione risalenti a miliardi di anni fa. Poiché il ferro-60 non è tra quei materiali, deve essere arrivato dallo spazio interstellare espulso da eventi di supernovae.
In un altro articolo scritto conlo studente di astrofisica  Amir Siraj, Loeb ha mostrato che un telescopio di due metri installato su un satellite in orbita attorno alla Luna potrebbe osservare impatti di oggetti interstellari mentre si schiantano su di essa. Successivamente si potrebbero  estrarre eventuali “biomarcatori” analizzando campioni di superficie lunare.
“Identificare i biomarcatori dai detriti di materiale che hanno avuto origine nella zona abitabile intorno ad altre stelle”, osserva Loeb, “ci offrirebbe informazioni sulla natura della vita extraterrestre. La domanda fondamentale è se la vita extraterrestre assomiglia alle strutture biochimiche che troviamo sulla Terra. Le somiglianze potrebbero implicare che esiste un percorso chimico unico ovunque per la vita o che la vita è stata trasferita in qualche modo tra i sistemi stellari”.
In ogni caso, conclude Loeb, uno studio sulla Luna riduce la necessità di inviare veicoli spaziali in missioni estremamente lunghe per visitare altri sistemi stellari.
Fonte: https://dailygalaxy.com/2019/09/message-in-a-bottle-moons-surface-may-harbor-traces-of-alien-organisms-technology/

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Scoperta una galassia sopravvissuta a un buco nero… per ora!

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I buchi neri sono dei corpi celesti con un campo gravitazionale così forte, da inghiottire al suo interno materia, radiazioni elettromagnetiche e persino la luce, e talmente “famelici” da far sparire tutto ciò che li circonda mettendo definitivamente fine alla vita della galassia che li ospita. Un evento davvero violento e intenso, da cui prende vita un oggetto caratterizzato da una gigantesca quantità di energia, tra i più luminosi dell’universo, ossia la quasar, mentre la materia viene interamente risucchiata nel buco nero.

Oggi però i ricercatori hanno scoperto l’esistenza di una galassia capace di sopravvivere alla “voracità” del buco nero, continuando a generare stelle, addirittura 100 l’anno, più o meno della dimensione del nostro Sole. Questa affascinante scoperta è stata possibile per i ricercatori dell’Università del Kansas, grazie all’utilizzo di SOFIA (Stratospheric Observatoryfor Infrared Astronomy), ovvero un telescopio di proprietà della NASA, e i risultati dello studio sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal.

“Tutto ciò mostra che la crescita di buchi neri attivi non ferma istantaneamente la nascita di nuove stelle, e ciò va contro ogni previsione scientifica”, ha detto Allison Kirkpatrick, Assistente Professoressa all’Università del Kansas, nonché coautrice dello studio: “Quanto scoperto ci obbliga ora a ripensare le nostre teorie sull’evoluzione delle galassie”.

SOFIA, un progetto della NASA e del German Aerospace Center, è stata utilizzata per studiare una galassia lontana da noi circa 5.25 miliardi di anni luce e ribattezzata CQ4479, una specie di quasar scoperta dalla professoressa Kirkpatrick che l’ha chiamata “quasar fredda”: qui il buco nero sta ancora divorando materiale della galassia che lo ospita, ma l’intensa energia della quasar non ha distrutto tutto il gas freddo, e quindi le stelle possono continuare a formarsi e la galassia a vivere. Si tratta di una scoperta affascinante e inaspettata, perché per la prima volta che gli scienziati hanno avuto modo di vedere così bene una quasar fredda, misurare direttamente la crescita del buco nero, la nascita delle stelle e quanto gas freddo rimane a fare da carburante alla galassia.

“Se questa crescita a due continua”, ha dichiarato Kevin Cooke, ricercatore a capo dello studio in esame, “ sia il buco nero che le stelle che lo circondano, triplicheranno la loro massa prima che la galassia giunga alla fine della sua esistenza”.

Osservare una quasar è davvero un’impresa impossibile a volte, poiché sono tra gli oggetti più distanti e più luminosi dell’universo, tanto da mettere in ombra tutto ciò che li circonda. Nascono quando un buco nero particolarmente attivo, consuma enormi quantità di materiale dalla galassia che lo circonda, creando forze gravitazionali eccezionali. Il materiale man mano che gira sempre più velocemente verso il centro del buco nero, si scalda e splende sempre di più: una quasar produce infatti talmente tanta energia da oscurare ciò che la circonda, non permettendo di vedere la galassia che la ospita.

Stando alle teorie correnti, questa energia si scalda ed espelle il gas freddo necessario a creare le stelle, fermando così la nascita della stella e sferrando un colpo mortale alla crescita della galassia. Grazie a SOFIA invece, gli scienziati hanno scoperto che c’è un tempo relativamente breve in cui la nascita della stella nella galassia possa continuare, mentre il “banchetto” del buco nero va avanti rafforzando sempre di più le forze della quasar.

SOFIA è stata utilizzata, non tanto per osservare le neonate stelle, quanto per rintracciare la luce a infrarossi che si irradia dalla polvere incandescente a causa del loro processo di formazione; grazie ai dati raccolti gli scienziati hanno potuto fare una stima del numero di stelle formatesi negli ultimi 100 milioni di anni.

“SOFIA ci permette di vedere dentro questa piccola finestra di tempo in cui i due processi possono coesistere” ha detto Cooke, “E’ l’unico telescopio capace di studiare la nascita delle stelle in questa galassia, senza essere accecato dalla gigantesca lumionosità della quasar”.

La breve finestra di coesistenza tra buco nero e crescita di una stella, rappresenta la fase iniziale della morte di una galassia, quando quest’ultima non si è ancora arresa agli effetti devastanti della quasar. Si ha bisogno di continuare questi studi con SOFIA affinchè possiamo imparare se molte altre galassie attraversano un processo simile prima di giungere a fine vita, ed è quanto gli scienziati auspicano di scoprire con il lancio, nel 2021, del Telescopio Spaziale James Webb.

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Vita aliena: la Terra come modello standard universale

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Secondo l’astrofisico Martin Rees, entro la fine del XXI secolo, dovremmo essere in grado di comprendere se viviamo o meno in un multiverso e quante varietà di leggi mostra ognuno degli universi che lo compongono. La risposta a questa domanda, spiega Rees, “determinerà come dovremmo interpretare l’universo ‘biofriendly’ in cui viviamo (condividendolo con gli alieni con cui un giorno potremmo entrare in contatto)”.
L’intero universo osservabile risponde alle stesse leggi fondamentali della fisica. Se cosi non fosse, i costituenti fondamentali della materia si comporterebbero in maniera anarchica e non riusciremmo a fare nessun progresso nella comprensione del cosmo e delle sue leggi regolatrici, sarebbe il caos. Secondo Rees tutto ciò che osserviamo potrebbe non essere l’unica realtà fisica esistente oggi; alcuni cosmologi ipotizzano che il “nostro” Big Bang non sia stato l’unico, e la realtà fisica sia così complessa da occupare un intero “multiverso“.
Molti astronomi, anche quelli più conservatori, conclude Rees, sono fiduciosi che il volume dello spazio-tempo entro la portata dei nostri strumenti, quello che gli astronomi chiamano tradizionalmente “universo” sia solo una piccola frazione del tutto scaturito dal Big Bang. Ci aspetteremmo molte più galassie poste oltre l’orizzonte osservabile, ormai fuori dalla nostra visuale ognuna delle quali (insieme a tutte le intelligenze che ospita) si evolverà come la nostra.
Seguendo le leggi della fisica, Charles Cockell suggerisce che la vita sulla Terra potrebbe essere un modello per la vita nell’universo, un modello standard di costanti fondamentali per la vita. Cockell, astrobiologo presso l’Università di Edimburgo e direttore del Centre for Astrobiology del Regno Unito, autore di The Equations of Life: How Physics Shapes Evolution, vede il tema della formazione della vita attraverso la lente di un osservatore che sta cercando di capire come la vita presente sulla Terra possa essere utilizzata come banco prova per capire la vita in altri luoghi dell’universo.
Non importa quanto diverse siano le condizioni che regolano la vita su mondi lontani, tutti presumibilmente rispondono alle stesse leggi della fisica, dalla meccanica quantistica alla termodinamica alla legge di gravità. E la vita, come dice Cockell, è semplicemente materia vivente, “materiale in grado di riprodursi ed evolvere”. Se la biologia esistesse altrove nell’universo, la troveremmo sorprendentemente familiare non solo in apparenza, ma anche nei meccanismi più intimi che probabilmente sarebbero basati sul carbonio. Ci sono equazioni e regole che non sono limitate ai sistemi viventi ma sono alla base del modo in cui opera la vita. Queste equazioni sono coerenti, per quanto ne sappiamo, ovunque nell’universo. Per capire come potrebbe essere la vita altrove, è fondamentale avere una conoscenza approfondita di come funziona la vita asulla Terra.
La storia dell’evoluzione e i passaggi DNA, RNA, ATP, il ciclo di Krebs – la trafila di Biologia 101 – probabilmente si ripresenterebbe, qui o in mondi lontani, scrive George Johnson: Le singole cellule si unirebbero insieme, cercando i vantaggi della vita metazoica, finché si svilupperebbe qualcosa di simile a quello che si è sviluppato sul nostro pianeta. Le leggi della biologia imitano le leggi fisiche e sono le stesse ovunque: la gravità è onnipresente, non è un’esclusiva del nostro sistema solare. Le restrizioni sono ovunque: le molecole organiche, sulla Terra o altrove, si disintegrano alle alte temperature e si disattivano a quelle basse. Alcuni ingredienti, quasi ovunque, sono indispensabili per la vita: il carbonio ad esempio è l’elemento ottimale per assemblare la vita perché in grado di formare catene; l’acqua è invece il solvente ideale.
Consideriamo “la vita come la conosciamo“,  probabilmente ci sono molti mondi molto simili al nostro, le condizioni in altre parti dell’universo invece possono essere molto diverse. Tuttavia, fintanto che le equazioni funzionano correttamente, la vita può avere un numero infinito di variazioni, ognuna diversa, ma ognuna simile a causa delle equazioni che sono alla base dell’universo fisico.
“Le leggi della fisica incanalano le creature viventi in forme limitate. Riducono la portata dell’evoluzione. La vita aliena può avere molte somiglianze con la vita sulla Terra”.
“Osserva l’oceano”, dice Cockell. in un liquido predominano “creature con corpi snelli e aerodinamici” e, per ovvie ragioni, “si muovono velocemente attraverso l’acqua”. Questo è vero da centinaia di milioni di anni, ovviamente; i delfini, gli squali, l’ittiosauro, mammiferi, pesci e dinosauri estinti, hanno tutti un aspetto ragionevolmente comparabile. “Le cose finiscono per sembrare le stesse, anche se sono lignaggi completamente diversi”, spiega Cockell.
Sulla Terra, la maggior parte degli animali possiede appendici o arti per muoversi; nel cielo, siano essi pterodattili o piccioni, “si osservano le leggi che governano l’aerodinamica”. Anche le farfalle, anche se squisitamente dettagliate seguono le stesse leggi. “Un’ala troppo piccola e una farfalla non può decollare”, afferma Cockell. I dettagli, ammette, possono essere “infiniti”, ma “la fisica limita la forma”.
Gli atomi si combinano per formare strutture sempre più complesse che comprendono sistemi viventi progettati per catturare energia dall’ambiente e creare copie di se stessi. I sistemi viventi, per continuare a farlo nel corso della storia della vita, si adattano ai cambiamenti nell’ambiente, in definitiva evolvono.
Fonte: https://dailygalaxy.com/2019/02/from-the-x-files-physics-of-evolved-extraterrestrial-life/

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