L’esilio di Dante

Nel 1300 i Guelfi che governano Firenze con un moderato "regime di popolo" si dividono in due fazioni, i Bianchi ed i Neri. Al termine di una lotta politica senza esclusione di colpi i primi saranno sconfitti e centinaia di essi esiliati a vita

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Intorno al 1300 i Guelfi che governavano la città di Firenze con un moderato regime di popolo si divisero in due fazioni fortemente ostili, guidate da due delle famiglie più prestigiose della città: i Cerchi ed i Donati, entrambi abitanti nel rione di Porta San Piero.
A capo della famiglia Cerchi, vi era Vieri, che guidava una casa di mercanti ricchissimi, non di origini nobiliari ma molto potente in città. Corso Donati era invece il leader dell’altro schieramento e rappresentava una casa di nobili origini, meno ricchi dei rivali ma con una sinistra fama di professionisti della guerra.
Dante Alighieri, in quel tempo impegnato in politica appoggiava i Cerchi che abbandonando la Parte Guelfa, un organismo tutto magnatizio, si avvicinarono alle aspettative popolane confidando in questo modo di aumentare il proprio potere. Altre famiglie come quelle degli Abati e dei Cavalcanti sostenevano la causa dei Cerchi.
Non deve stupire che i magnati pur essendo esclusi dagli Ordinamenti di giustizia dalla principali istituzioni politiche della città, avessero una profonda influenza sugli assetti politici di Firenze. Questo potere derivava dal numero, dalla ricchezza, dalle clientele e soprattutto dalla forza militare che queste famiglie di magnati, nobili o meno che fossero, erano in grado di mettere in campo.
L’avvicinamento al popolo dei Cerchi, a partire dalla fine del 1299 fece si che i priorati fossero in maggioranza graditi alla fazione dei Bianchi. Questa situazione fece crescere enormemente la tensione in città ed a calendimaggio, una festa primaverile che cade intorno al 1 maggio, due bande di giovani, Bianchi e Neri, si scontrano. Uno dei giovani Cerchi viene ferito al naso e la famiglia giura vendetta.
Presto vennero a galla tutte le contraddizioni irrisolte della politica fiorentina e l’odio tra le due famiglie travalicò la sfera di una crisi interna magnatizia. I Cerchi ottennero l’appoggio dei ghibellini espropriati da qualunque posizione politica nel regime di popolo fiorentino e anche dei sostenitori dell’ala più radicale dei guelfi, rappresentata a suo tempo dall’esiliato Giano della Bella.
Il grande sponsor della causa guelfa era il Papato, all’epoca rappresentato da Bonifacio VIII, contrario ad una spaccatura del partito ma intenzionato in caso di rottura, ad appoggiare i Donati con cui aveva rapporti finanziari proficui e consolidati. Per cercare di comporre la crisi fiorentina il Papa inviò un suo emissario nella città toscana, il cardinale Matteo d’Acquasparta.
Il legato apostolico arrivò in città a giugno, ma se ne ripartì ben presto perché le fazioni non gli conferirono alcuna delega per prendere decisioni. Proprio nel momento del suo arrivo erano stati eletti i sei Priori che avrebbero avuto il compito delicatissimo di governare la città durante una delle sue crisi più gravi. Si trattava di un priorato abbastanza equilibrato con due componenti Neri, due Bianchi (uno di questi era Dante Alighieri) e due di cui non conosciamo l’esatta collocazione politica.
Il 23 giugno, vigilia della festa del Santo Patrono della città, i consoli delle Arti furono aggrediti e bastonati da alcuni magnati. I Priori indignati procedettero ad esiliare una serie di rappresentanti di entrambe le fazioni, mentre apparentemente i Bianchi accettarono la decisione della massima istituzione fiorentina, i Donati inizialmente si opposero, cercando addirittura l’appoggio armato di Lucca.
La fermezza del Priorato indusse alla fine i Donati ad accettare l’esilio non osando intraprendere da soli una guerra. Appena espulsi dalla città con una decisione certamente di parte i Priori consentirono ai Bianchi di rientrare a Firenze. Fallita la missione del cardinale d’Acquasparta che lasciò Firenze nel mese di settembre, si concluse anche il mandato bimestrale del priorato che annoverava Dante tra i suoi componenti.
Nel frattempo Corso Donati a Roma sollecitava il Papa ad intervenire per porre fine all’egemonia bianca su Firenze, facendo paventare al Pontefice un ritorno sulla scena politica della fazione ghibellina. Il 13 settembre 1301 una riunione plenaria di tutti i consigli fiorentini cercò di fare il punto della grave crisi in cui versava la città. Si sapeva che papa Bonifacio VIII era sempre più tentato di utilizzare l’esercito di Carlo di Valois, fratello del re di Francia, sceso in Italia per combattere gli Aragonesi in Sicilia contro la recalcitrante Firenze.
Alla fine nel mese di novembre il Valois entrò a Firenze con una visita di cortesia che mascherava la determinazione di riportare l’ordine papalino in città. Vi era entrato in pompa magna, con cavalli e fanti di picche, con l’intento ufficiale di riportare la pace tra le fazioni in lotta, e giurando solennemente di non arrecare danno alla città e alle sue istituzioni per nessuna ragione.
In realtà ben presto il Valois mostrò il suo vero volto, fece nominare come Podestà , Cante Gabrielli da Gubbio, uomo fedele alla Chiesa ed ai disegni politici di Bonifacio VIII (9 novembre 1301) ed iniziò a promulgare leggi sempre più dure. Con la compiacenza del Valois, i Neri iniziarono a rientrare alla spicciolata a Firenze, macchiandosi di saccheggi, omicidi ed atti di violenza.
Nell’ottobre 1302 il potere era ormai interamente in mano ai neri che si erano insediati in tutti gli uffici governativi con l’appoggio del papa e del Valois. Al 30 giugno 1302, termine della sua podesteria, Cante Gabrielli si era reso responsabile di 170 condanne a morte e dell’esilio di circa seicento cittadini della fazione dei bianchi. Uno di questi era Dante Alighieri.
Fonti:

  • alcune voci di Wikipedia
  • Dante, di A. Barbero
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