Da Ovidio ad oggi, Romania isola latina nel mare slavo

Fu il primo imperatore, Ottaviano Augusto, nell'anno 8 dopo Cristo, a dare l'ordine di esilio, mai ritirato e, forse, a cambiare così la storia della Romania

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Da Ovidio ad oggi, Romania isola latina nel mare slavo
Da Ovidio ad oggi, Romania isola latina nel mare slavo

Dieci anni di esilio in Dobrugia, duemila anni fa, hanno segnato per sempre la storia
di questa regione costiera della Romania (compresa la sua zona meridionale in
Bulgaria, detta il Quadrilatero). Il celebre poeta romano Publio Ovidio Nasone, noto come Ovidio, venne esiliato da Roma per gravi fatti personali, non meglio chiariti ancora oggi dalla storiografia, e condotto nella lontanissima Dobrugia, ad oltre 2.500 chilometri dalla Città Eterna.

Fu il primo imperatore, Ottaviano Augusto, nell’anno 8 dopo Cristo, a dare l’ordine di esilio di Ovidio, mai ritirato.

Ovidio, nato a Sulmona il 20 marzo del 43 avanti Cristo, mori’ cosi’ a Tomis nel 18 d.C. (altre fonti sostengono che il decesso avvenne nel 17 d.C.); allora Tomis era una ex colonia greca fondata nel 657 a.C., conquistata da Roma nel secolo I a.C. insieme a tutta la Mesia Inferiore, popolata principalmente da traci; il nome viene dal greco ‘tome’ (taglio, di legno), indicando con ogni probabilità l’antico porto di legno oggi sommerso di fronte all’ex
Casinò d’epoca moderna.

Successivamente, nel IV secolo d.C. prese il nome di
Constantiana, in onore di Flavia Iulia Constantia, sorellastra di Costantino imperatore.

Lo sviluppo vero e proprio della più antica città romena (dopo decenni di relativa
calma sotto Bisanzio, fu persa nel secolo VII per l’invasione degli slavi e dei bulgari
che riuscirono a dividerla dall’Impero Romano d’Oriente) arrivo’ solo nel Basso
Medioevo, col dominio genovese nel secolo XIII. Un nuovo declino avvenne sotto
l’Impero Ottomano – dopo la conquista turca nel secolo XV – prima della definitiva
rinascita dopo l’indipendenza della Romania nel 1878.

Oggi Costanza (284.000 abitanti, la quinta città della Romania dopo Bucarest, Cluj
Napoca, Timişoara e Iaşi) è il quarto porto più grande d’Europa (eretto dai turchi nel
1865 per agevolare l’esportazione del grano rumeno), collegato al Danubio
attraverso il grande canale costruito in epoca comunista, a costo di grandi sacrifici umani; il canale collega Cernavoda, sul Danubio, a Costanza, e fa parte
dell’importante via navigabile che unisce il mar Nero al mare del Nord, a Rotterdam
in Olanda, attraverso il canale Reno-Meno-Danubio inaugurato nel 1992.

Costanza e’ anche il maggior porto del mar Nero; si chiama cosi’ grazie alla
traduzione dal turco riportata dai francesi nel 1600 (in turco infatti, si dice Kara Deniz
– mare nero – per indicare il mare del nord e Ak Deniz – mare bianco – per indicare il
mare del sud, il Mediterraneo).



Secondo una tradizione uralo-altaica che si è conservata anche tra le popolazioni emigrate in America attraverso lo Stretto di Bering, i punti cardinali sono caratterizzati da quattro colori: nord-nero, est-dorato, ovest-rosso, sud-bianco. I nomi Kara Deniz e Ak Deniz nascerebbero quindi per indicare “mare del nord” e “mare del sud”, visti in relazione alla penisola anatolica. Dopo la traduzione in francese nel secolo XVII, il nome del mar Nero si è diffuso in tutta Europa e si è imposto, nelle rispettive traduzioni, in quasi tutte le lingue moderne.

A pochi chilometri a nord di Costanza, vicino ai resti archeologici di Tomis, sorge
oggi proprio Ovidiu, una cittadina di 14.000 abitanti che cosi’ fu chiamata nel 1930,
ai tempi della ‘Grande Romania‘, in onore dell’isola di Ovidio che le sta di fronte sul
lago Siutghiol, il bacino di acqua dolce naturale più vicino al mare di tutto il mondo
La Grande Romania nacque dopo la prima guerra mondiale, con l’annessione di importanti territori.

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Il Tropaeum Traiani ad Adamclisi, in Romania

Tra la Seconda guerra balcanica (1913) e la fine della Grande Guerra (1918), il Regno di Romania aveva di fatto raddoppiato il proprio territorio, unendo quasi tutta la nazione romena sotto un unico Stato, con eccezione di alcune zone ancora fuori dai confini, in U.R.S.S. e Jugoslavia.

L’eredità latina della Romania era viva gia’ da tempo. Come scrisse all’inizio del
secolo XX Nicolae Iorga (un letterato definito il Voltaire romeno, nato in Moldova,
premier nel 1931-32 sotto il Regno di Carlo II), la Romania è un’isola latina nel mare
slavo (“Romania este o insulă latină într-o mare slavă”).

La coscienza delle origini latine domina tutta la cultura romena. Il latino, del resto, fu introdotto come lingua ufficiale in Transilvania nel secolo XI, ma già tra il IV e il VII secolo – quindi già in epoca tardoromana e altomedioevale – si scriveva in lingua latina (sia testi laici sia religiosi) nella regione della diocesi di Tomis, proprio l’area dove Ovidio visse gli ultimi 10 anni della sua vita.

Il mondo balcanico, dalla Dacia alla Tracia, era ormai romanizzato, assumendo la lingua dell’impero come la propria. “Venim de la Râm” (“Veniamo da Roma”), scrisse Grigore Ureche, uno dei più importanti storici romeni, nato e vissuto in Moldova tra il XVI e il XVII secolo, più di 100 anni dopo la morte di Stefano il Grande, il principe moldavo che unifico’ la Moldova fino alla riva destra del Nistru.

Oggi, sulla riva sinistra, il territorio e’ conteso tra la Repubblica di Moldova e l’Autoproclamata Repubblica Moldava di TransNistria, gia’ regione dell’U.R.S.S., insieme a tutta la Repubblica di Moldova attuale, tra il 1940 e il 1991).

Un altro illustre storico romeno, il moldavo Miron Costin, nel 1686, pubblico’ il De neamul
moldovenilor (Gli antenati della Moldova), dove subito al capitolo primo chiari’ che “şi
neamul moldovénilor fiind dintru o țară care să chiamă Italiia” (“anche gli antenati dei moldavi sono di un Paese che si chiama Italia”).

Ma torniamo a Ovidio, noto in Dobrugia come “il nostro primo antenato”.
Nel 1884, il prefetto di Costanza, Grigore Gramaticescu, decise insieme alla
borghesia locale di erigere un monumento in memoria ed onore al notissimo poeta
romano.

L’incarico – manco a dirlo – fu affidato ad un celebre scultore italiano
dell’epoca, Ettore Ferrari, che tre anni dopo realizzò una statua in bronzo con il
poeta in posa meditativa. Inaugurato il 30 agosto 1887, e’ ritenuto il più importante
monumento storico di Costanza. Nel 1925, la statua fu poi replicata a Sulmona, i cui rappresentanti presenziarono anche l’inaugurazione dell’originale in Romania.

Romano, nato nel 1845 (mori’ nel 1929), Ferrari fu consigliere del Comune di Roma
dal 1877 al 1907, deputato radicale al parlamento del Regno d’Italia tra il 1882 e il
1892. Massone dal 1881, fu Gran Maestro di rito scozzese tra il 1904 e il 1917, il più longevo della storia in quel ruolo. Di Ferrari – tra gli altri – sono anche il monumento di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori a Roma, quello di Giuseppe Mazzini all’Aventino, sempre a Roma, e altri ancora in Veneto, Puglia, Lombardia, Marche, e poi ancora a Bucarest e negli Stati Uniti d’America.

Il momento più tragico della statua di Ovidio a Costanza avvenne dopo il 1916, in
seguito alla sconfitta della Romania contro le truppe tedesche e bulgare e la
capitolazione della Dobrugia.

La Romania entrò in guerra un anno dopo l’Italia, a
seguito di un accordo con Francia, Regno Unito e Russia; nelle prime operazioni
militari, però, né i russi in Dobrugia, né i franco-inglesi dalla Macedonia, accorsero
in aiuto alle truppe romene, che così si trovarono ad affrontare da soli gli austroungarici e i tedeschi in Transilvania, e i tedeschi e i bulgari a sud; Costanza cadde il 22 ottobre 1916.

In particolare, i bulgari si resero protagonisti di numerosissimi abusi in Dobrugia, ed
anche di odiose atrocità contro feriti e prigionieri di guerra, spesso passati per le
armi a sangue freddo. Non ultimo, vollero la statua del poeta romano come bottino di
guerra, da portare a Sofia in segno di rivincita dopo la sconfitta militare del 1913
nella Seconda guerra balcanica, con conseguente annessione alla Romania della
Dobrugia meridionale (il cosiddetto Quadrilatero, con le province di Durostor e
Caliacra).

Solo l’intervento della Wehrmacht permise di salvare la statua, che, già
deposta dai soldati bulgari, era pronta a partire per Sofia. I tedeschi imposero agli
alleati di soprassedere dall’intento e sistemarono la statua in un deposito sicuro.
Con la fine della guerra nel 1918, e la vittoria romena, la statua tornò alla città, allocata
nella posizione dove è anche oggi, nella piazza omonima, dove sorge anche la
grande moschea di Costanza, nota come la Moschea del Re, che fu costruita per
omaggiare la comunita’ turca – e musulmana in genere – di Costanza, tra il 1910 e il
1913, per volere di Carlo I, re di Romania.

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