La Cina nella seconda guerra mondiale

Il ruolo della Cina nel secondo conflitto mondiale. Lo sterminato paese asiatico pagherà un tributo di sangue secondo soltanto a quello dell'Unione Sovietica

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La Cina nella seconda guerra mondiale
Il massacro di Nanchino - 1937

Il teatro cinese risulta spesso poco approfondito negli sterminati studi sul secondo conflitto mondiale e sicuramente poco conosciuto tra gli appassionati di storia, eppure il tributo di sangue pagato dal popolo cinese per cause direttamente o indirettamente collegate alla guerra è stato di 20 milioni di morti, secondo soltanto a quello russo.

La strategia alleata nei confronti della Cina, soprattutto da parte americana, era contrassegnata dal tentativo di trasformare questo sterminato stato in una potenza attiva e determinante nel conflitto contro le forze dell’Asse.

Enorme risorse furono impiegate per trasportare rifornimenti, sorvolando l’Himalaya, verso le basi dell’aviazione americane operanti in territorio cinese che appoggiavano le forze nazionaliste di Chiang Kai-shek dopo che la conquista della Birmania da parte dei giapponesi nel 1942 aveva interrotto gli accessi terrestri.

Tutti questi sforzi risultarono vani, la Cina rimase un paese povero, caotico e profondamente diviso. Nominalmente l’esercito nazionalista sotto il comando di Chiang Kai-shek era enorme ma minato da una profonda incompetenza e corruzione dei propri alti ufficiali, male addestrato ed equipaggiato e scarsamente motivato. Esso risultò nei fatti una tigre di carta. A nord nella provincia di Yennan i comunisti di Mao Tze Tung dominavano incontrastati e nominalmente si opponevano anch’essi all’invasore giapponese.

La strategia di Mao in realtà era quella di consolidare le proprie forze per regolare i conti con le forze nazionaliste. Tra il 1937 ed il 1942, comunque, sia le forze nazionaliste che quelle comuniste inflissero severe perdite ai giapponesi nell’ordine di quasi 182.000 morti.

I comunisti però non erano in grado di sostenere un aperto e prolungato conflitto con l’Impero del Sol Levante sia per la carenza di armi e munizioni sia soprattutto per l’esiguità delle loro forze. Le cifre delle vittime dei due schieramenti cinesi parlano chiaro, durante l’occupazione giapponese i nazionalisti persero 3.200.000 uomini contro i 580.000 delle forze di Mao.



L’occupazione di metà della Cina fu però un grande salasso per Tokyo e costò al Giappone 203.000 morti dal 1941 al 1945 a fronte dei 208.000 vittime in combattimento contro gli inglesi ed i circa 900.000 morti (tra soldati e marinai) sostenuti negli scontri di terra ed aeronavali contro gli americani.

Il paese era enorme e controllare una popolazione ostile ed affamata, anche in presenza di una resistenza poco organizzata, costò tantissimo ai giapponesi che si comportarono verso la popolazione con una brutalità ed un sadismo senza precedenti, testimoniato dalle cifre agghiaccianti delle vittime civili: 15 milioni.

Il massacro di Nanchino - 1937

A questo massacro partecipò anche la famigerata Unità 731 dell’esercito giapponese. Agli ordini del generale Shirō Ishii l’unità, ufficialmente destinata alla purificazione dell’acqua, fu incaricata di studiare e testare armi chimiche e biologiche, violando il protocollo di Ginevra che il Giappone aveva firmato nel 1925

Fra il 1942 e il 1945 migliaia di prigionieri soprattutto cinesi (donne e bambini inclusi), ma anche mongoli, coreani, russi e alcuni inglesi e americani catturati, furono usati come cavie in diversi esperimenti estremi. Tra il 1942 e il 1944 i giapponesi parteciparono a pochissimi scontri in campo aperto con le forze nemiche ma si impegnarono in frequenti spedizioni punitive per reprimere il dissenso o raccogliere cibo.

Una delle più feroci avvenne nel maggio del 1942 quando più di 100.000 uomini furono inviati nelle province di Zhejiang e di Jiangxi come rappresaglia per l’incursione del colonnello Doolittle su Tokyo. A settembre quando la missione fu dichiarata conclusa e le truppe nipponiche si ritirarono, 250.000 civili cinesi risultarono uccisi.

Quando la guerra per il GIappone era ormai compromessa, dall’aprile del 1944 al dicembre dello stesso anno fu lanciata, l’ultima grande offensiva delle truppe nipponiche in Cina: l’operazione Ichigo. I due obiettivi primari dell’operazione Ichi-Go consistevano nell’aprirsi un passaggio per l’Indocina francese e nell’impossessarsi delle basi aeree nel sud-est della Cina, basi da cui gli statunitensi stavano attaccando il territorio e la flotta giapponese.

Nel dicembre 1944 i giapponesi raggiunsero l’Indocina francese e realizzarono così l’obiettivo dell’operazione. Nondimeno, l’offensiva portò pochi vantaggi pratici. L’aviazione statunitense si spostò verso l’interno dalle basi minacciate vicino alla costa e in futuro la 14ª Forza aerea statunitense interruppe spesso il collegamento ferroviario continuo tra Pechino e Liuzhou che era stato stabilito nell’operazione Ichi-Go. Il Giappone continuò ad attaccare i campi d’aviazione dove erano stazionate le forze aeree statunitensi fino alla primavera del 1945.

Reccom Magazine

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