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Un deposito di fossili potrebbe darci informazioni sulle prime forme di vita

Questo deposito di fossili è una sorta di Stele di Rosetta della paleontologia: un tuffo nel passato a 400 milioni di anni fa

La tecnologia ci fornisce nuovi informazioni circa un deposito di fossili famoso in tutto il mondo che potrebbero rivoluzionare le nostre conoscenze sull’origine della vita sulla Terra.

Gli scienziati che studiano questo immenso patrimonio rinvenuto in Scozia hanno reso noto i risultati della loro ricerca: si tratta di resti che mostrano un livello di conservazione più alto rispetto ad altri casi.

Un nuovo esame dei resti ha permesso agli scienziati di notare alcune impronte chimiche di diversi organismi al suo interno. Potremmo fare una comparazione con la Stele di Rosetta che al suo tempo permise agli egittologi di tradurre i geroglifici: questo patrimonio fossile potrebbe permettere agli scienziati di decifrare meglio l’identità di alcune forme di vita.

Quando fu scoperto questo tesoro di fossili?

Lo spettacolare ecosistema fossile vicino al villaggio di Rhynie, nell’Aberdeenshire, fu scoperto nel 1912, mineralizzato e racchiuso da selce, una roccia dura composta da silice (biossido di silicio). Il tesoro fossile in questione ebbe origine nel primo periodo devoniano (circa 407 milioni di anni fa) e ha un ruolo significativo da svolgere nella comprensione della vita sulla terra da parte degli scienziati.

I ricercatori hanno combinato le più recenti immagini con l’analisi dei dati e l’apprendimento automatico per analizzare i fossili delle collezioni dei National Museums Scotland e delle Università di Aberdeen e Oxford. Gli scienziati dell’Università di Edimburgo sono stati in grado di sondare più a fondo di quanto fosse stato possibile in precedenza, il che, secondo loro, potrebbe rivelare nuove intuizioni su campioni meno ben conservati.

Il lavoro dei ricercatori

Impiegando una tecnica nota come spettroscopia FTIR (in cui la luce infrarossa viene utilizzata per raccogliere dati ad alta risoluzione) i ricercatori hanno scoperto un’impressionante conservazione delle informazioni molecolari all’interno delle cellule, dei tessuti e degli organismi nella roccia.

Poiché sapevano già quali organismi rappresentavano la maggior parte dei fossili, il team è stato in grado di scoprire impronte molecolari che discriminano in modo affidabile tra funghi, batteri e altri gruppi. Queste impronte digitali sono state poi utilizzate per identificare alcuni dei membri più misteriosi dell’ecosistema Rhynie, tra cui due esemplari di un enigmatico “nematofito” tubolare.

Curiosi organismi degni di studio

Questi strani organismi, che si trovano nei sedimenti devoniani (e successivamente siluriani) hanno caratteristiche sia algali che fungine e in precedenza erano difficili da collocare in entrambe le categorie. Le nuove scoperte indicano che era improbabile che fossero licheni o funghi.

Il Dr. Sean McMahon, talentuoso ricercatore presso la School of Physics and Astronomy e School of GeoSciences dell’Università di Edimburgo, ha spiegato: “Abbiamo dimostrato come un metodo rapido e non invasivo possa essere utilizzato per discernere tra le diverse forme di vita, e questo apre un percorso unico, una finestra sulla diversità dei primi anni di vita sulla Terra”.

L’aiuto dell’algoritmo

Il team ha inserito i propri dati in un algoritmo di apprendimento automatico che è stato in grado di classificare i diversi organismi, fornendo il potenziale per ordinare altri set di dati da altre rocce fossili. Lo studio, pubblicato su Nature Communications, è stato finanziato dalla Royal Society, Wallonia – Brussels International e dal Consiglio nazionale della scienza e della tecnologia del Messico.

Il dottor Corentin Loron, paleobiologo presso la School of Physics and Astronomy dell’Università di Edimburgo, ha affermato che lo studio mostra il valore di collegare la paleontologia con la fisica e la chimica per creare nuove intuizioni sulla prima infanzia.

Fonte: “Molecular fingerprints resolve affinities of Rhynie chert organic fossils” by C. C. Loron, E. Rodriguez Dzul, P. J. Orr, A. V. Gromov, N. C. Fraser and S. McMahon, 13 March 2023, Nature Communications.
DOI: 10.1038/s41467-023-37047-1

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