Come si formano i buchi neri di massa intermedia? – video

I buchi neri di massa intermedia (IMBH) rappresentano un puzzle cosmico, con la loro esistenza e i meccanismi di formazione avvolti nel mistero

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Come si formano i buchi neri di massa intermedia?
Come si formano i buchi neri di massa intermedia?

I buchi neri di massa intermedia (IMBH) rappresentano un puzzle cosmico, con la loro esistenza e i meccanismi di formazione avvolti nel mistero.

L'immagine raffigura un ammasso stellare simulato come calcolato nelle simulazioni Dragon-II. I punti arancioni e gialli rappresentano stelle simili al sole, mentre i punti blu indicano stelle con masse da 20 a 300 volte quella del Sole. Il grande oggetto bianco al centro rappresenta una stella con una massa di circa 350 masse solari, che a breve collasserà per formare un buco nero di massa intermedia. Crediti: © M. Arca Sedda (GSSI)
L’immagine raffigura un ammasso stellare simulato come calcolato nelle simulazioni Dragon-II. I punti arancioni e gialli rappresentano stelle simili al sole, mentre i punti blu indicano stelle con masse da 20 a 300 volte quella del Sole. Il grande oggetto bianco al centro rappresenta una stella con una massa di circa 350 masse solari, che a breve collasserà per formare un buco nero di massa intermedia. Crediti: © M. Arca Sedda (GSSI)

Un recente studio condotto dal ricercatore del Gran Sasso Science Institute Manuel Arca Sedda, ha fatto luce sui meccanismi che hanno portato alla formazione dei misteriosi buchi neri di massa intermedia (IMBH). Si tratta di oggetti con masse comprese tra poche centinaia e decine di migliaia di masse solari, che potrebbero rappresentare l’anello di congiunzione tra i loro parenti più piccoli, i buchi neri stellari, e i giganti supermassicci che popolano i centri delle galassie.

Lo spettro dei buchi neri

Esistono diversi tipi di buchi neri, sebbene condividano densità così elevate che nemmeno la luce può sfuggire alla loro attrazione gravitazionale, la massa di questi corpi celesti può variare in un intervallo molto ampio e discriminare il loro meccanismo di formazione. Possiamo identificare tre macrocategorie di interesse astronomico: stellari, intermedi e supermassicci.

I primi, come suggerisce il nome, si formano quando una stella di massa sufficientemente grande (cioè almeno venti volte più massiccia del nostro Sole), esaurisce il suo combustibile e soccombe alla forza di gravità collassando su se stessa. Essi rappresentano i più leggeri tipi di buchi neri e abbiamo un quadro teorico chiaro sul processo che ha portato alla loro formazione.

Due buchi neri supermassicci in rotta di collisione
Due buchi neri supermassicci in rotta di collisione

All’estremo opposto ci sono gli immensi buchi neri supermassicci, con masse milioni o miliardi di volte maggiori di quella della nostra stella. Si ritiene che ogni galassia ne ospiti una al proprio centro e nel 2019, grazie all’Event Horizon Telescope, è stato possibile ottenere la prima immagine diretta di uno di essi.

Nonostante questo formidabile risultato, la formazione e l’accrescimento di questi oggetti rappresenta ancora un affascinante mistero per l’astronomia moderna, principalmente a causa della mancanza di una prova definitiva a sostegno dell’esistenza stessa dei buchi neri di massa intermedia. Ed è proprio questo l’oggetto dello studio del ricercatore Arca Sedda.



Gli sfuggenti buchi neri di massa intermedia

“I buchi neri di massa intermedia sono difficili da osservare”, ha spiegato il ricercatore del GSSI, “gli attuali limiti osservativi non ci permettono di dire nulla sulla popolazione di IMBH con masse comprese tra 1.000 e 10.000 masse solari, e rappresentano anche un grattacapo per scienziati in termini di possibili meccanismi che portano alla loro formazione”, ha aggiunto.

Uno degli obiettivi della ricerca è stato proprio quello di cercare di capire come si formano questi buchi neri.

“Abbiamo realizzato nuovi modelli computerizzati in grado di simulare la formazione di questi oggetti misteriosi, e abbiamo scoperto che tali IMBH possono formarsi in ammassi stellari attraverso una complessa combinazione di tre fattori: fusioni tra stelle molto più grandi del nostro Sole, accrescimento di materiale sui buchi neri stellari e, infine, fusioni tra buchi neri stellari. Quest’ultimo è un processo che dà la possibilità di “vedere” questi fenomeni attraverso la rilevazione delle onde gravitazionali”, ha dichiarato Arca Sedda.

Tracce di buchi neri di massa intermedia trovate in ammassi nucleari stellari
Tracce di buchi neri di massa intermedia trovate in ammassi nucleari stellari

Lo studio, che è stato pubblicato sulla rivista Royal Astronomical Society (MNRAS), ha ipotizzato anche cosa succede dopo la nascita dei buchi neri intermedi: vengono espulsi dai propri ammassi attraverso complesse interazioni gravitazionali o a causa di un processo noto come rinculo relativistico, impedendo così la loro ulteriore crescita.

“I nostri modelli hanno mostrato che, sebbene i semi IMBH si formino naturalmente da interazioni stellari energetiche negli ammassi stellari, è improbabile che diventino più pesanti di poche centinaia di masse solari a meno che l’ammasso genitore non sia estremamente denso o massiccio”, ha affermato il ricercatore GSSI.

Un importante mistero scientifico tuttavia deve ancora essere risolto, ovvero se i buchi neri intermedi rappresentino il collegamento tra i buchi neri stellari e quelli supermassicci

“Abbiamo bisogno di due ingredienti per una migliore chiarificazione”, ha spiegato Arca Sedda, “uno o più processi in grado di formare buchi neri nell’intervallo di massa degli IMBH, e la possibilità di trattenere tali IMBH nell’ambiente ospite. Il nostro studio ha posto vincoli rigorosi sul primo ingrediente, dandoci una chiara panoramica di quali processi possono contribuire alla formazione di IMBH. Considerare in futuro ammassi più massicci contenenti più binarie (sistemi composti da due stelle in orbita l’una attorno all’altra) potrebbe essere la chiave per ottenere anche il secondo ingrediente. Ma questo richiederà sforzi enormi dal punto di vista tecnologico e computazionale”, ha concluso.

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