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Scimmia clonata sopravvive da 2 anni, l’esperimento in Cina

Una scimmia sana è stata clonata con successo da un team di ricercatori cinesi ed è sopravvissuta per più di 2 anni

(Adnkronos) – Una scimmia sana è stata clonata con successo da un team di ricercatori cinesi ed è sopravvissuta per più di 2 anni.

Un report dell’impresa è pubblicato sulla rivista ‘Nature Communications‘.

L’esemplare clonato era un maschio di macaco rhesus e i risultati sono stati ottenuti dopo aver fornito all’embrione fotocopia una placenta sana.  Qiang Sun, Zhen Liu e colleghi della Chinese Academy of Sciences di Shanghai e dell’University of Chinese Academy of Sciences di Pechino hanno eseguito un’analisi comparativa tra set di dati epigenetici di embrioni di scimmia allo stadio di blastocisti derivati ​​dalla fecondazione in vitro (Ivf) e quelli clonati mediante trasferimento nucleare di cellule somatiche.

Hanno identificato anomalie nel modo in cui l’informazione genetica può essere consultata e letta dall’embrione clonato in via di sviluppo e la sua placenta, e anomalie nella dimensione e forma delle placente delle scimmie clonate che si stavano sviluppando nelle madri surrogate.

Per affrontare questi problemi, gli autori hanno messo a punto un metodo per dotare l’embrione clone in via di sviluppo di una placenta sana.

Utilizzando questo approccio, gli scienziati sono riusciti a ottenere il maschio di scimmia rhesus sano sopravvissuto per più di due anni, protagonista dello studio che ha come primo autore Zhaodi Liao, del Center for Excellence in Brain Science and Intelligence Technology.

I risultati illustrati fanno progredire la comprensione dei meccanismi della clonazione riproduttiva dei primati e potrebbero contribuire a migliorarne l’efficienza, suggeriscono gli autori.

Le cellule somatiche del corpo, come le cellule della pelle, contengono l’informazione genetica su come un organismo viene costruito, ma non possono dare origine a nuovi organismi. La tecnologia di trasferimento nucleare di cellule somatiche ha già portato con successo alla clonazione di varie specie di mammiferi, tra cui proprio la celebre pecora Dolly, capostipite dei mammiferi clonati, e le scimmie cynomolgus.

Tuttavia, ragionano gli esperti, l’efficienza della clonazione della maggior parte delle specie di mammiferi rimane estremamente bassa, con tassi di mortalità fetale e neonatale elevati.

Per la scimmia rhesus, uno studio riportava un clone di cellule somatiche riuscito, ma la scimmia non è sopravvissuta dopo la nascita. Ora l’impresa del team cinese fa un passo avanti. Nonostante finora sia stato segnalato un solo clone sano di scimmia rhesus basato su questo metodo, i risultati potrebbero rivelarsi una strategia promettente per la clonazione dei primati in futuro, concludono gli esperti.

La clonazione di una scimmia da parte di un gruppo di ricercatori cinesi “chiarisce un aspetto biologico dello sviluppo degli embrioni che sfuggiva fino ad oggi. Lo sviluppo di primati clonati aveva un tasso di successo molto basso, intorno all’1-3%, al contrario ad esempio dei bovini per i quali è molto più alto (5-20%). Molti si sono chiesti se ci fosse un problema legato al fenomeno dell’imprinting genomico, uno dei meccanismi con cui geni vengono regolati. La novità di questa nuova clonazione è aver scoperto il difetto da imprinting alla base della riproduzione e aver analizzato il problema biologico che lo origina. Per questo credo che il lavoro possa aprire scenari interessanti per superare anche problemi di infertilità nelle coppie“, dice all’Adnkronos Salute Giuseppe Novelli, ordinario di genetica medica all’Università degli Studi Tor Vergata di Roma.

Nell’imprinting genomico avviene un processo molto complesso. “Riceviamo una regolazione dei geni – spiega Novelli – come un’orchestra in cui ogni strumento suona in modo diverso. Se i geni ‘suonassero’ tutti allo stesso modo, ci sarebbe solo un gran caos e questo avviene anche in biologia. In questa regolazione alcuni geni si spengono e altri si accendono, un processo che nei mammiferi è importante e avviene durante la fecondazione tra maschio e femmina. Quando si fa una clonazione non si parte dai gameti, ma da un nucleo che viene trasferito. Ma uno dei difetti della clonazione è l’alterazione dell’imprinting, dove i vari ‘attori’ di questo meccanismo possono avere dei problemi“.

L’idea nuova messa a punto in questo studio cinese – prosegue il genetista – è aver analizzato il trofoblasto, il tessuto cellulare che serve a nutrire l’embrione, una placenta precoce. Alcuni fallimenti dei procedimenti di procreazione medicalmente assistita (Pma) avvengono proprio in questa fase. Gli scienziati hanno visto che l’alterazione principale dell’imprinting avviene proprio a livello del trofoblasto e hanno deciso di intervenire qui, mettendo in piedi parallelamente una clonazione e una fecondazione tradizionale. Dalla prima hanno preso l’embrione e l’hanno trasferito in una blastocisti e poi hanno fatto un trapianto di trofoblasto, quest’ultimo ottenuto con una fecondazione tra gameti“.

Novelli puntualizza poi che da questo studio “non arriverà nessuna clonazione umana in serie, ma semplicemente dimostra il ruolo della placenta precoce nello sviluppo di alcuni difetti nelle prime fasi“.

Le prospettive dal macaco ReTro

Gli scienziati che l’hanno fatta venire al mondo hanno chiamato ReTro (dal nome del metodo usato, ‘trophoblast replacement’) la prima scimmia rhesus clonata in laboratorio che è nata sana ed è riuscita a raggiungere l’età adulta, sopravvivendo finora per più di 2 anni.

Lo si legge su ‘Nature‘ online e lo spiegano gli autori dello studio, che nel lavoro pubblicato su ‘Nature Communications‘ citano la sua età al momento di preparare la ricerca per la pubblicazione.

Gli studiosi, un team cinese, hanno fornito anche una foto di ReTro che risale a qualche settimana fa. “E’ una mole di lavoro immensa e sembra un lavoro fatto bene“, commenta all’Adnkronos Salute lo scienziato italiano Cesare Galli, ‘papà’ del primo toro clonato Galileo e della prima cavalla ‘fotocopia’ Prometea, che con il laboratorio Avantea sta collaborando attualmente a un progetto per il salvataggio del rinoceronte bianco del Nord dall’estinzione.

Il macaco rhesus ReTro è stato ottenuto utilizzando un approccio leggermente diverso rispetto alla tecnica di clonazione convenzionale utilizzata per clonare la pecora Dolly e altri mammiferi. Sostituendo la placenta dell’embrione clonato con una placenta di embrioni prodotti mediante fecondazione in vitro, gli scienziati sono riusciti a ridurre i difetti dello sviluppo che spesso ostacolano la sopravvivenza degli embrioni clonati, utilizzando meno embrioni e madri surrogate.

La nuova tecnica potrebbe aprire la possibilità di utilizzare primati clonati nei test sui farmaci e nella ricerca comportamentale. Utilizzando questo approccio, i ricercatori hanno creato 113 embrioni di scimmia rhesus clonati e ne hanno impiantati 11 in 7 mamme surrogate, dando luogo a due gravidanze.

Una delle madri surrogate incinte ha dato alla luce un maschio sano di scimmia rhesus chiamato ReTro, sopravvissuto per più di 2 anni (secondo quanto riporta ‘New Scientist’, uno degli scienziati del team ha spiegato che ha raggiunto l’età di “3 anni”, essendo nato in Cina il 16 luglio 2020).

L’altra madre surrogata aveva due gemelli, che sono morti al ​​giorno 106 di gestazione. “Noi – ricorda Galli – abbiamo provato” una via simile e “non ha funzionato nel bovino. Stiamo facendo il lavoro di scambiare questo nodulo embrionale per poter clonare specie selvatiche con trofoblasti di specie domestiche e non è un lavoro semplice. L’operazione di scambio funziona, il problema è che non ci sono ancora dei risultati. Sono un po’ scettico e bisogna vedere bene i dettagli dello studio condotto in Cina”.

Perché gli scienziati – precisa l’esperto – hanno usato l’approccio di ricorrere ad agenti che modificano lo stato epigenetico, combinato con lo scambio del trofoblasto. Il problema nei ruminanti e nei cavalli c’è. La bassa efficienza di clonazione, si sa da diversi anni, è dovuta a un problema di disfunzione placentare o di mancata riprogrammazione della funzionalità della placenta“.

Se questa tecnica si rivelasse effettivamente di successo, per Galli “potrebbe essere traslata su altre specie. Bisogna vedere se sarà possibile. Va detto che l’efficienza ha ancora numeri abbastanza limitati. Ma è un lavoro interessante“.

L’auspicio è che “si riesca a capire come modificare i meccanismi” attualmente problematici.

—salute/medicinawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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