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Riammalarsi di Covid

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Mentre la seconda ondata di Covid19 investe anche il nostro paese, che negli ultimi giorni registra circa 12.000 casi ed una settantina di decessi al giorno, il caso di positività al Giro d’Italia del ciclista sudamericano Fernando Gaviria ha nuovamente alimentato la discussione su uno dei tanti aspetti ancora poco conosciuti di SARS-Cov-2 ovvero le reinfezioni.
Gaviria infatti si era ammalato con una blanda sintomatologia nel marzo di quest’anno, il primo ciclista professionista contagiato dal patogeno. La positività di Gaviria, scoperta negli Emirati Arabi, costrinse il ciclista ad una lunghissima quarantena. Adesso a distanza di pochi mesi Gaviria ha contratto di nuovo il Covid19.
Il suo caso come quello di un’altra trentina  documentati in tutto il mondo, pone l’interrogativo di quanto duri effettivamente l’immunità dopo aver contratto ed essere guariti dal Covid. Le reinfezioni possono verificarsi per deficit qualitativi o quantitativi della risposta immunitaria, in alcuni casi dovuti a un’infezione troppo lieve cioè a bassa carica virale che quindi induce una risposta immunitaria limitata, in altri casi perché il sistema immunitario era compromesso da altri problemi di salute.
In realtà non sappiamo esattamente quanto duri la copertura immunitaria delle persone guarite da Covid, probabilmente soltanto alcuni mesi. Due studi recenti, uno del King’s College di Londra ed un altro pubblicato su Nature affermano che in alcuni soggetti la risposta anticorpale diminuisce dopo alcuni mesi e in altri gli anticorpi non sono neanche più rilevabili, come se queste persone non avessero mai contratto la malattia.
L’enorme numero di asintomatici, poi, impedisce studi credibili ed approfonditi sulla resistenza immunitaria dei soggetti guariti. Alcuni studi hanno mostrato che alcune persone, di solito i malati in modo lieve o asintomatico, hanno sviluppato un tipo di immunità diverso, l’immunità delle cellule T, una risposta che non viene rilevata dagli attuali test sierologici ma che potrebbe costituire una ottima barriera immunologica contro il virus.
Non sappiamo invece se le persone guarite, all’interno della “finestra” immunitaria che li salvaguardia, possono comunque veicolare l’infezione ad altri soggetti suscettibili. La possibilità di reinfezione non è necessariamente una brutta notizia per la realizzazione di un vaccino sicuro ed efficace. Infatti i vaccini possono in una certa misura essere manipolati per migliorare la memoria immunitaria e renderla più duratura.
Tuttavia secondo alcuni scienziati la maggior parte dei vaccini in fase di sperimentazione potrebbe dare una copertura limitata, un po’ come accade per l’annuale vaccino anti influenzale. Mancano però al momento studi solidi per poter confermare questa eventualità.
Al momento i vaccini in fase di avanzata sperimentazione dovrebbero coprire tutte le varianti circolanti di SARS-Cov-2, anche se non è chiaro per quanto tempo. I casi di reinfezioni per adesso documentati, sia pure in forma aneddotica, costituiscono un’altra, decisiva picconata alla teoria che vorrebbe la pandemia debellata attraverso l’immunità di gregge.
Oltre alla soglia altissima di persone che dovrebbero contrarre il Covid19, circa il 60-70% della popolazione ed il pesantissimo tributo di vittime che questa “strategia naturale” comporterebbe, l’esistenza della concreta possibilità di reinfettarsi costituirebbe l’ennesimo elemento che ne evidenzia la fallacità.
In conclusione, l’enorme presenza di asintomatici e l’assenza di studi specifici e massivi sulla possibilità di reinfettarsi di Covid19 inducono ad una saggia prudenza nell’esprimere valutazioni definitive sul tema. Quello che però ragionevolmente supporre e che il numero di questi “ammalati bis” di Covid sia comunque, al momento, piuttosto limitato.

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Rinvenuto lo scheletro di “Marlow Warlord”, il “Signore della guerra” anglosassone

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Sono stati Sue e Mike Washington, due “metal detectoristi” dilettanti della zona, a fare la strepitosa scoperta dell’antica tomba, nel 2018.
I resti scheletrici del Marlow Warlord, così come è stato soprannominato, mostrano che era molto alto per l’epoca, circa un metro e 80 centimetri, quando l’altezza media maschile in Gran Bretagna, era di circa un metro e 70 centimetri.
Secondo gli archeologi la ricca sepoltura dell’uomo risale al VI secolo e si tratta di un signore della guerra anglosassone dell’Inghilterra meridionale. Era seppellito nel Berkshire. Assieme alle ossa sono state trovate diverse armi, inclusa una spada in un fodero decorato.
Gli scavi sono stati condotti dall’archeologo Gabor Thomas, dell’Università di Reading, nel Regno Unito. Il sito della tomba si affaccia sulla valle centrale del Tamigi. Lo studioso ha affermato che la sepoltura ha gettato nuova luce sulla politica della regione. Regione che fino a quel momento era stata considerata una “terra di confine“, tra grandi comunità anglosassoni, intorno a Londra e Oxford, solo decenni dopo il crollo del dominio romano in Gran Bretagna.
La nuova scoperta suggerisce invece che la regione era più importante di quanto gli storici avessero sospettato, con potenti gruppi anglosassoni che erano governati da individui di alto rango.

Come hanno fatto i “metal detectoristi” a trovare la tomba?

I cercatori di metallo avevano fatto tre viaggi al sito con la loro attrezzatura e avevano portato alla luce quello che inizialmente sembrava essere solo un ferro sepolto. Infatti avevano creduto di aver trovato uno strumento agricolo abbastanza recente e di scarso interesse. Ma durante la loro ultima visita, Sue e Mike, hanno notato due ciotole di bronzo e, rendendosi conto del significato del ritrovamento, hanno registrato la loro scoperta con il PAS, Portable Antiquities Scheme (schema portatile delle antichità), gestito dal British Museum, e dal National Museum of Wales, che registra i ritrovamenti effettuati da archeologi amatoriali.
Un archeologo del PAS ha quindi indagato, recuperando le ciotole di bronzo e un paio di punte di lancia di ferro che suggerivano che il sito fosse probabilmente una tomba anglosassone. Questi oggetti saranno presto esposti al Buckinghamshire Museum di Aylesbury.
Dopo quell’indagine, Thomas ha condotto uno scavo completo nello scorso agosto durante il quale sono emersi i resti scheletrici del Signore della Guerra di Marlow, insieme alla spada e ad altri corredi funerari.
La spada è in ferro è contenuta in un fodero decorato in bronzo, pelle e legno. Parte della pelle è sopravvissuta per molti secoli nel sottosuolo perché era protetta dalla corrosione della lama di ferro. Il materiale organico come il cuoio di solito marcisce rapidamente nella terra, quindi questa è una scoperta rara. Il fodero aveva anche un raccordo in bronzo chiamato “chape“, all’estremità, che mostrava un segno di taglio. Ciò significa che in quel punto poteva essere stato danneggiato da un guerriero a piedi, che colpì chi lo indossava, seduto a cavallo.
Questo particolare ha suggerito che la spada fosse un’arma funzionante, e non solo un accessorio da spettacolo. “È una prova piuttosto interessante che questa persona abbia assistito a un combattimento attivo“, ha dichiarato Thomas.

Gli oggetti nella tomba suggeriscono l’importanza di Marlow

Diversi altri oggetti sepolti con il Signore della Guerra Marlow indicano la sua importanza. Gli stili delle ciotole e dei vasi di vetro suggeriscono che la tomba risale al VI secolo, meno di un secolo dopo la fine del dominio romano in Gran Bretagna, un periodo di grandi cambiamenti.
Thomas e l’Università di Reading stanno ora conducendo una campagna di raccolta di fondi per eseguire test chimici e genetici sugli oggetti trovati nella tomba del signore della guerra di Marlow. questo al fine di datare più saldamente la sua età.
Nel sesto secolo, emergono i regni anglosassoni -ha detto Thomas- a monte di dove stiamo parlando, c’è il regno del Wessex, che si sviluppa nel regno probabilmente più forte dell’Inghilterra post-romana. Ci sono anche regni a valle, incluso il regno del Kent, che iniziano a farsi forza e cercano di acquisire territorio. Ciò che è chiaro – ha affermato- è che qui c’è una tribù locale autonoma, con capi di guerra. Non decolla in un regno come Wessex e Kent, ma probabilmente è un incidente storico. Chiaramente aveva le condizioni per decollare in quella direzione“.
Fonte: Livescience

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Voyager 2 rileva un aumento della densità dello spazio al di fuori del sistema solare

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Nel novembre 2018, dopo un viaggio epico di 41 anni, la Voyager 2 ha finalmente varcato il confine che segnava il limite dell’influenza del Sole, entrando nello spazio interstellare. Ma la missione della piccola sonda non è ancora finita: ora abbiamo informazioni sullo spazio oltre il Sistema Solare.

Voyager 2 sta rivelando qualcosa di sorprendente, man mano che si sposta sempre più lontano dal Sole la densità dello spazio aumenta.

Non è la prima volta che viene rilevato questo aumento di densità. La sonda Voyager 1, entrata nello spazio interstellare nel 2012, ha rilevato un gradiente di densità simile in una posizione separata.

I nuovi dati di Voyager 2 mostrano che non solo il rilevamento di Voyager 1 era corretto, ma che l’aumento della densità potrebbe essere una caratteristica su larga scala del mezzo interstellare molto locale (VLIM).

Il confine del Sistema Solare può essere definito da alcuni confini diversi, ma quello delimitato dalle sonde Voyager è noto come eliopausa ed è definito dal vento solare.

L’eliopausa è un costante vento supersonico di plasma ionizzato che fuoriesce dal Sole in tutte le direzioni, ed è il punto in cui la pressione esterna dello stesso vento non è più abbastanza forte da spingere nello spazio interstellare.

Lo spazio all’interno dell’eliopausa è chiamato eliosfera, mentre lo spazio all’esterno è definito VLIM. L’eliosfera non è una sfera perfettamente rotonda, ma ha una forma più ovale, con il sistema solare a un’estremità e una coda fluente dietro. Il “naso” è puntato nella direzione dell’orbita del Sistema Solare nella Via Lattea.

Entrambi i Voyager hanno attraversato l’eliopausa al naso, ma con una differenza di 67 gradi di latitudine eliografica e 43 gradi di differenza di longitudine.

Lo spazio è generalmente pensato come vuoto, ma non lo è, non completamente. La densità della materia è estremamente bassa, ma esiste ancora. Nel Sistema Solare, il vento solare ha una densità media di protoni ed elettroni da 3 a 10 particelle per centimetro cubo. Più ci si allontana dal Sole e più la densità si abbassa.

La densità elettronica media del mezzo interstellare nella Via Lattea, tra le stelle, è stata calcolata intorno a 0,037 particelle per centimetro cubo, mentre quella del plasma nell’eliosfera esterna è di circa 0,002 elettroni per centimetro cubo.

Mentre le sonde Voyager passavano oltre l’eliopausa, i loro strumenti detti Plasma Wave Science, hanno rilevato la densità elettronica del plasma attraverso le oscillazioni del plasma stesso.

La Voyager 1 ha attraversato l’eliopausa il 25 agosto 2012, a una distanza di 121,6 unità astronomiche dalla Terra (che è 121,6 volte la distanza tra la Terra e il Sole, quindi circa 18,1 miliardi di km).
Quando ha misurato per la prima volta le oscillazioni del plasma dopo aver attraversato l’eliopausa il 23 ottobre 2013 a una distanza di 122,6 unità astronomiche (18,3 miliardi di km), Voyager 1 ha rilevato una densità del plasma di 0,055 elettroni per centimetro cubo.

Il 5 novembre 2018, la Voyager 2, che ha compiuto il lungo giro, volando su Giove, Saturno, Urano e Nettuno, ha attraversato l’eliopausa a una distanza di 119 unità astronomiche (17,8 miliardi di km). Ha misurato le oscillazioni del plasma il 30 gennaio 2019 a una distanza di 119,7 unità astronomiche (17,9 miliardi), trovando una densità del plasma di 0,039 elettroni per centimetro cubo, molto vicina alla misurazione della Voyager 1.

Entrambi gli strumenti hanno riportato un aumento della densità.

Dopo aver viaggiato per altre 20 unità astronomiche (2,9 miliardi di km) nello spazio, la Voyager 1 ha riportato un aumento a circa 0,13 elettroni per centimetro cubo.

Ma i rilevamenti effettuati dalla Voyager 2 nel giugno 2019 hanno mostrato un aumento molto più netto della densità a circa 0,12 elettroni per centimetro cubo, a una distanza di 124,2 unità astronomiche (18,5 miliardi di unità).

Dato che il plasma nella pressione atmosferica terrestre ha una densità di elettroni di 10 ^ 13 per centimetro cubo, quelle quantità possono sembrare minuscole, ma sono abbastanza significative da giustificare il nostro interesse, soprattutto perché non è chiaro cosa le causi.

Una delle teorie è che le linee del campo magnetico interstellare diventano più forti mentre si avvolgono sull’eliopausa. Ciò potrebbe generare un’instabilità di ciclotrone ionico elettromagnetico che esaurisce il plasma dalla regione di drappeggio. Infatti, Voyager 2 ha rilevato un campo magnetico più forte del previsto quando ha attraversato l’eliopausa.

Un’altra teoria è che il materiale soffiato dal vento interstellare dovrebbe rallentare quando raggiunge l’eliopausa, provocando una sorta di ingorgo. Questo è stato probabilmente rilevato dalla sonda esterna del Sistema Solare New Horizons, che nel 2018 ha rilevato il debole bagliore ultravioletto derivante da un accumulo di idrogeno neutro nell’eliopausa.

È anche possibile che entrambe le spiegazioni abbiano un ruolo. Le misurazioni future che verranno effettuate da entrambe le sonde Voyager, mentre continueranno il loro viaggio nello spazio interstellare, potrebbero aiutarci a capirlo. 

I ricercatori tuttavia affermano che non è certo se le sonde Voyager saranno in grado di arrivare abbastanza lontano ancora attive per trasmetterci queste informazioni.

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“Film your Hospital”: anatomia di una teoria cospirativa

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Molti ritengono che le teorie complottiste sui vari social media siano create da oscure entità, ma Wasim Ahmed Docente di Digital Business alla Newcastle University in un articolo su The Conversation spiega come i racconti delle persone comuni possano diventare un veicolo per diffondere bufale e disinformazione. Ahmed ha studiato una teoria che ha grande seguito, quella sulla cospirazione del COVID-19.
La pandemia avrebbe dato vita ad almeno dieci teorie del complotto. La nuova malattia è stata collegata, come sappiamo, alla rete 5G, infatti alcune antenne telefoniche sono state danneggiate o date alle fiamme proprio da chi crede a queste teorie bislacche. Per altri la pandemia è stata da alcuni causata da una qualche arma biologica. Chi cade in queste trappole tende spesso a ignorare le regole di distanziamento che potrebbero limitare la diffusione del virus.

Cos’è il movimento #FilmYourHospital?

Anche questo movimento, come scrive Ahmed è una teoria del complotto. Il movimento ha incoraggiato le persone a registrare video di se stesse in ospedali apparentemente vuoti o poco affollati per dimostrare che la pandemia è un’invenzione per ingannare il popolo e tenerlo al guinzaglio. La ricerca condotta da Ahmed ha cercato di identificare i responsabili cercando di capire se gli account dietro di essa fossero bot o persone reali.
Ahmed fa due conti e nell’articolo su The Conversation ci racconta che la cospirazione del 5G ha attirato 6.556 utenti Twitter nel corso di una sola settimana. La cospirazione #FilmYourHospital molti di più, 22.785 tweet inviati in una sola settimana da 11.333 utenti. Questa cospirazione ha ricevuto un forte sostegno internazionale.
Il un grafico molto particolare, Ahmed ci mostra gli utenti Twitter come piccoli cerchi e la discussione generale è raggruppata in un numero di gruppi diversi. Questi gruppi si aggregano in base al modo in cui gli utenti si menzionavano e si ritrovavano a vicenda.
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La visualizzazione evidenzia i tre grandi gruppi responsabili di diffondere maggiormente la cospirazione. Ad esempio, la discussione nei gruppi uno e due era incentrata su un un tweet che è stato ritwittato ripetutamente. Il tweet affermava come il pubblico fosse stato tratto in inganno e che gli ospedali non fossero occupati o sovraccarichi, come era stato riportato dai media mainstream. Il tweet ha quindi chiesto ad altri utenti di filmare i loro ospedali utilizzando l’hashtag in modo che potesse diventare un argomento di tendenza. Il grafico mostra la portata e le dimensioni di questi gruppi.
A quel punto Ahmed ha utilizzato un programma, Botomeg, che rileva i bot basati su un algoritmo di apprendimento automatico. Il programma ricava una scala di punteggi, quelli bassi indicano un comportamento umano, quelli alti invece segnalano un bot. Botometer funziona estraendo varie funzionalità da un account come il suo profilo, amici, social network, modelli di attività temporale, lingua e sentimenti. Lo studio condotto da Ahmed ha preso un campione rappresentativo del 10% di utenti per eseguire Botometer.
I risultati hanno indicato che il tasso di account automatici era probabilmente basso. I punteggi grezzi di Botometer sono stati usati per capire quanto fosse probabile che l’account fosse un bot. Questi andavano da probabilità molto bassa, bassa, bassa-media e alta.
Nella migliore delle ipotesi, solo il 9,2% del campione esaminato aveva apparenti comportamenti di account o bot altamente sospetti. Ciò significa che oltre il 90% degli account esaminati erano probabilmente persone reali.
Ahmed fa notare che gli gli account eliminati e gli account automatici contenevano parole chiave come “Trump” e “Make America Great Again” nelle loro biografie. Più o meno nello stesso periodo il presidente Donald Trump era in disaccordo con i consulenti scientifici su quando revocare le regole di blocco.
Quando sono stati presi in esame gli utenti più influenti collegati all’hashtag, Ahmed ha scoperto che la teoria del complotto era guidata da influenti politici conservatori e da attivisti politici di estrema destra. Gli studiosi, spiega Ahmed, hanno notato come l’estrema destra abbia sfruttato la pandemia. Ad esempio, alcuni hanno impostato canali su Telegram, un servizio di messaggistica istantanea basato su cloud, per discutere di COVID-19 amplificando la disinformazione.
La teoria della cospirazione ha iniziato a generare attenzione e si è auto alimentata grazie ai cittadini comuni. La campagna sembrava inoltre essere supportata e guidata da account Twitter pro-Trump e la ricerca ha rilevato che alcuni account che si comportavano come “bot” e account cancellati tendevano ad essere pro-Trump. È importante notare che non tutti gli account che si comportano come bot sono bot, poiché potrebbero esserci utenti molto attivi che potrebbero ricevere un punteggio elevato spiega Ahlmed. E, al contrario, non tutti i bot sono dannosi poiché alcuni sono stati impostati per scopi legittimi. Gli utenti di Twitter hanno spesso condiviso video di YouTube a sostegno della teoria e YouTube è stata infatti una fonte influente.
I social media sono in grado di monitorare account e contenuti sospetti e se violano alcuni standard, il contenuto dovrebbe essere rimosso rapidamente. Twitter ha sperimentato l’applicazione di avvisi sui tweet. Inizialmente non ha avuto successo perché Twitter ha accidentalmente etichettato erroneamente alcuni tweet, il che avrebbe potuto inavvertitamente spingere ulteriormente le cospirazioni. Ma se riuscissero a mettere insieme una migliore tecnica di etichettatura, questo potrebbe essere un metodo efficace.
Le cospirazioni possono anche essere contrastate fornendo informazioni affidabili, fornite dalle autorità sanitarie pubbliche e dagli “influencer” della cultura popolare. Ad esempio, Oldham City Council nel Regno Unito, ha chiesto aiuto all’attore James Buckley, famoso per il suo ruolo di Jay nella sitcom dell’E4 The Inbetweeners – per diffondere messaggi di salute pubblica .
Altre ricerche evidenziano che spiegare argomenti errati e descrivere il consenso scientifico può aiutare a ridurre i danni causati dalla disinformazione. Purtroppo, indipendentemente dalle procedure e dai passaggi messi in atto, ci saranno sempre persone che crederanno nelle cospirazioni. Secondo Ahlmed l’onere spetta alle piattaforme per assicurarsi che queste teorie non vengano diffuse così facilmente. I cospirazionisti, come abbiamo imparato, fanno danni incalcolabili.
Fonte: https://theconversation.com/film-your-hospital-the-anatomy-of-a-covid-19-conspiracy-theory-147948

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La strega dell’aceto

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Nella storia di Palermo c’è un personaggio che sembra uscito da un racconto di stregoneria: è Giovanna Bonanno, la strega dell’aceto, una donna vissuta alla fine del ‘700, che oggi definiremmo una vera serial killer.
Giovanna Bonanno era nativa di Palermo, all’epoca dei fatti era vedova e viveva probabilmente nel quartiere detto del Noviziato, in un antro seminterrato, umido e maleodorante, dove esercitava da anni il mestiere di fattucchiera, molto lucroso se si pensa che a quel tempo la credenza del popolo siciliano nei sortilegi e nelle fatture era assai diffusa.
Molte persone andavano a trovare nel suo antro Vannuzza Bonanno, la fattucchiera, per consultarla ed assicurarsene i servigi, ma non è ci dato sapere se prima della scoperta dell’aceto – che doveva procurare tante vittime – ella avesse partecipato all’assassinio di persone odiate dai suoi clienti.

La storia comincia

La vicenda criminosa cominciò il giorno in cui Giovanna Bonanno assistette all’agonia di una bambina che, per sbaglio, aveva ingerito un’acqua speciale capace di ammazzare i pidocchi, acqua che veniva fabbricata dall’aromataio Saverio La Monica ed era detta dal popolo aceto.
Osservato attentamente il cadavere della bambina la vecchia si convinse che difficilmente si sarebbe potuto scoprire la causa della morte di un uomo avvelenato con quel liquore infernale, e cominciò ad elaborare nella sua mente un diabolico piano commerciale.
Si recò da La Monica ed acquistò una caraffa di aceto, pagandola esattamente tre grani: tornò poi nel suo antro per fare un esperimento. Bagnò nell’aceto un pane e lo diede da mangiare a poco a poco ad un cagnolino; dopo qualche giorno il cane morì, e la vecchia poté constatare che il veleno non procurava strazianti agonie se propinato lentamente, e che difficilmente ci si poteva accorgere di cosa aveva determinato la morte.

Primi delitti

Dopo alcuni giorni venne da lei tale Angela La Fata, sua amica, che le raccontò di essere divenuta l’amante di un amico del proprio marito e che temeva di essere scoperta e duramente punita. La donna domandò alla vecchia se conoscesse un mezzo per fare una efficace fattura al marito e metterlo in condizioni di non nuocere.
Giovanna Bonanno rispose che conosceva un mezzo più efficace: un’acqua miracolosa che, propinata lentamente, aveva il potere di uccidere un uomo senza lasciare traccia dell’avvelenamento. Angela La Fata pagò sei tarì e tornò a casa con una caraffa di aceto, con le prescrizioni del caso e con la raccomandazione di non propinare il veleno in un’unica soluzione.
L’indomani la donna tornò dalla vecchia e le riferì che aveva mischiato l’aceto al vino e che suo marito nella notte era stato preso da dolori al ventre e da un grande bruciore alla gola. Giovanna Bonanno raccomandò di insistere nella “cura” e vendette nel giro di alcuni giorni ben sei caraffe alla La Fata, il cui marito, in breve, rese l’anima al Creatore.
Sembra che questo primo affare non fosse stato soddisfacente, perché la vecchia, nel farne il racconto al giudice istruttore, si lamentò che Angela La Fata non volle pagarle il premio finale che era stato convenuto in un tarì, e di questo ella si sentiva truffata.

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Giovanna Bonanno

I delitti continuano

Un’altra donna venne successivamente a chiedere aiuto alla Bonanno raccontandole che una sua amica era tenuta come schiava dal marito geloso e che la poveretta si sentiva impazzire e non vedeva l’ora di potersi liberare dalla tirannia. Anche questo caso fu dalla vecchia trattato con l’aceto anziché con le solite fatture, e in breve ebbe la notizia che tutto era andato bene e che la moglie, per dimostrarle la sua riconoscenza, le mandava un tarì in regalo.
Il terzo delitto fu commesso su una cameriera che era illecitamente legata al genero di tale Agata Demma, amica intima della Bonanno. La donna morì e la fattucchiera incassò otto tarì.
La catena delle clienti di Giovanna Bonanno andava allargandosi anche per opera di alcune abili mediatrici, tra le quali si distinse la giovane Maria Pitarra.
Tutti questi particolari furono narrati dalla strega al giudice istruttore don Gioacchino Firenda durante il suo interrogatorio.

Racconto particolareggiato

“Un giorno”, raccontò Vannuzza Bonanno tranquillamente, “vennero da me due donne, Michela Belsito e Rosalia Caracciolo, madre e figlia, le quali mi raccontarono che il marito di donna Rosalia le aveva mangiato la dote e gli averi ed ora pretendeva di spingere la moglie, e addirittura anche la suocera, a prostituirsi per fare danari. Esse mi dissero che avevano sentito dire molto bene delle mie arti magiche e si venivano a mettere nelle mie mani perché le liberassi da quel mostro. Io le fornii di una caraffella di aceto e le istruii su come dovevano somministrare il contenuto. Stabilimmo che dopo qualche giorno avrei fornito altra quantità di liquore e che ogni caraffella mi sarebbe stata pagata sei tarì. Passati due giorni, venne da me donna Michela e mi riferì che il genero vomitava e provava un senso strano di arsura che lo faceva impazzire, e che sua figlia, presa dalla paura, aveva deciso di sospendere le somministrazioni di aceto. Insistetti e donna Michela mi promise che avrebbe convinta la figlia a persistere. Non andò oltre che l’uomo morì ed io ebbi in dono il danaro promessomi”.
Tale Giuseppe D’Ancoja, tramite Rosa Bilotta, un’altra complice della Bonanno, acquistò dalla strega una caraffetta di aceto e mandò all’altro mondo la sua legittima moglie. Lo stesso fece Rosa Costanzo che somministrò l’aceto al marito Francesco per potersi liberamente unire al suo amante.
Come si venne a capo di questo affare criminoso?
Abbiamo accennato alla morte di Francesco Costanzo, avvelenato dalla moglie Rosa. La madre di costui, Maria, aveva assistito il figlio durante la malattia e si era convinta che quella morte non fosse stata naturale. Ad aggravare i sospetti venne la notizia che Rosa, poche settimane dopo la morte del marito, si era accompagnata con un giovane che si sospettava essere il suo amante da tempo
La povera donna, parlando con la sua amica Giovanna Lombardo, le confidò i suoi sospetti. La Lombardo subito si recò in casa di Giovanna Bonanno della quale sospettava la losca attività, e la pregò di dirle se avesse venduto l’aceto a persona interessata a sopprimere il figlio di Maria Costanzo.
Udito il nome della Costanzo, la vecchia (dice testualmente l’interrogatorio) si batté la mano sulla fronte e dichiarò che effettivamente aveva venduto, tramite Maria Pitarra, l’aceto a Rosa Costanzo, ma che non sospettava minimamente che il marito di costei fosse il figlio di comare Maria.
“Se avessi sospettato una cosa simile”, disse Giovanna Bonanno, “mi sarei affrettata a recarmi dalla comare Maria per metterla in guardia e certamente ne avrei ricavato un premio”.
Giovanna Lombardo, con la certezza che il figlio della sua amica era morto avvelenato, sentì il bisogno di recarsi in chiesa e di confessarsi. Inorridito, il sacerdote l’esortò a denunziare tutto alle autorità per mettere fine ai delitti.

La fine

Venne così catturata Giovanna Bonanno, la quale sottoposta a tortura fece i nomi dei suoi complici che furono tutti arrestati insieme ai clienti da essi procurati.
Al processo la strega dichiarò di non sentirsi affatto colpevole: essa aggiunse “che operava ciò senza peccato, perché sentiva di togliere le discordie dalle famiglie e metterci la pace, perendo con equivoci morbi per mano delle mogli i mariti e per mano dei mariti le mogli”.
L’istruttoria fu lunga e minuziosa. Fu interrogato don Saverio La Monica, l’aromataio, il quale spiegò che fabbricava l’aceto mescolando una libbra d’acqua comune con tre once di vino bianco generoso e un grammo di arsenico bianco cristallino, e facendo bollire il tutto per alcuni minuti. Gli fu facile provare che egli vendeva quell’acqua esclusivamente come mezzo per uccidere i pidocchi e che non poteva sospettare l’uso che invece ne faceva la strega.
Si sussurrava che ci fossero stati molti aristocratici palermitani che si erano serviti della Bonanno; ma quasi subito su questo aspetto della questione calò il silenzio.

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I Quattro Canti

Giovanna Bonanno pagò per i suoi delitti il 30 luglio 1789, impiccata al centro dei famosi Quattro Canti di Palermo. I palermitani, che si erano affollati per assistere all’esecuzione, appresero che la sera stessa era stata giustiziata anche la complice principale, Maria Pitarra, nella prigione della Correzione, detta della Quinta Casa. A gravi pene furono condannati gli altri imputati, mentre l’aromataio Saverio La Monica veniva mandato assolto per non avere commesso il fatto.

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Scoperto come prevedere la tempesta di citochine nei pazienti COVID-19

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Come un fronte freddo che si muove, ponendo le basi per condizioni meteorologiche avverse, l’infezione da coronavirus innesca piogge di molecole immunitarie che combattono l’infezione, docce che a volte si intensificano in una risposta immunitaria caotica nota come tempesta di citochine. Circa il 20-30% dei pazienti ricoverati con COVID-19 sviluppa gravi manifestazioni immunitarie, che in alcuni casi portano alla tempesta di citochine, con danni agli organi potenzialmente letali e alto rischio di morte.
Prevedere quali pazienti COVID-19 svilupperanno la tempesta di citochine è difficile, a causa delle numerose variabili che influenzano la risposta immunitaria. Ma ora, in un lavoro rivoluzionario, i ricercatori della Lewis Katz School of Medicine della Temple University (LKSOM) hanno sviluppato e convalidato criteri predittivi per l‘identificazione precoce dei pazienti COVID-19 che stanno sviluppando risposte iperimmuni, aumentando la possibilità di un intervento terapeutico precoce.
Se possiamo anticipare la tempesta di citochine, possiamo applicare il trattamento prima e possibilmente ridurre la mortalità”, ha spiegato Roberto Caricchio, MD, Capo della Sezione di Reumatologia, Direttore del Programma Temple Lupus, Professore di Medicina e Microbiologia e Immunologia presso LKSOM, e autore principale del nuovo rapporto.
Il rapporto, pubblicato online negli Annals of the Rheumatic Diseases, è il primo a identificare criteri che possono essere prontamente utilizzati nella pratica clinica per potenzialmente scongiurare il peggio dell’attacco iperimmune indotto da COVID-19.
La svolta è il risultato di un’ampia collaborazione tra ricercatori e medici in più dipartimenti della Lewis Katz School of Medicine e del Temple University Hospital, che costituiscono il gruppo di ricerca COVID-19 della Temple University.
Secondo il dottor Caricchio, un gran numero di pazienti COVID-19 sono stati trattati al Temple da quando è emersa la pandemia negli Stati Uniti. “Abbiamo una quantità significativa di dati in termini di variabili per prevedere la tempesta di citochine“, ha detto.
Dall’inizio di marzo, ogni paziente ricoverato al Temple University Hospital (TUH) fornisce dati su oltre 60 diverse variabili di laboratorio raccolte giornalmente fino al momento del recupero o al momento del decesso. Tra le variabili misurate ogni giorno ci sono fattori come la conta dei globuli bianchi, l’attività degli enzimi metabolici, i marker di infiammazione e la funzione respiratoria. È importante sottolineare che questi marcatori sono comunemente usati negli ospedali di tutto il mondo e quindi sono prontamente disponibili.
Il gruppo di ricerca ha effettuato analisi statistiche sui dati di laboratorio su 513 pazienti COVID-19 ricoverati al TUH in marzo e aprile, 64 dei quali hanno sviluppato tempesta di citochine. Un algoritmo genetico è stato utilizzato per identificare i valori limite per ogni singola variabile di laboratorio per definire i requisiti predittivi per la tempesta di citochine. Gli algoritmi genetici imitano i processi di selezione naturale ed evoluzione nell’analisi dei dati e, in questo caso, su più iterazioni, l’algoritmo ha rilevato variabili che indicano quali pazienti hanno maggiori probabilità di sviluppare tempesta di citochine.
Complessivamente, le analisi hanno prodotto sei criteri predittivi comprendenti tre gruppi di risultati di laboratorio relativi a infiammazione, morte cellulare e danni ai tessuti e squilibrio elettrolitico. In particolare, i pazienti in tempesta di citochine hanno mostrato uno stato proinfiammatorio e livelli elevati di enzimi che indicano un significativo danno sistemico ai tessuti. Inoltre, i pazienti che soddisfacevano i criteri avevano una degenza ospedaliera prolungata ed erano a maggior rischio di morte per COVID-19, con quasi la metà dei pazienti che hanno sperimentato tempesta di citochine che soddisfacevano tutti i criteri entro il primo giorno di ricovero.
I ricercatori hanno convalidato i criteri in una successiva coorte di 258 pazienti ammessi a TUH per infezione da COVID-19. “L’algoritmo ha previsto correttamente la tempesta di citochine in quasi il 70 per cento dei pazienti“, ha detto il dott. Caricchio.
La capacità di riprodurre i nostri risultati in una seconda coorte di pazienti significa che il nostro gruppo di variabili sono criteri efficaci per la diagnosi di tempesta di citochine nei pazienti COVID-19“, ha aggiunto. Il passo finale ora è far convalidare i criteri da altri centri in cui i pazienti COVID-19 sono ammessi per le cure.
Il dott. Caricchio ha osservato che i criteri potrebbero essere applicati ai pazienti COVID-19 in qualsiasi ospedale o livello di ricovero in qualsiasi parte del mondo. “Questo rende i criteri molto preziosi per guidare le decisioni su come trattare i pazienti COVID-19 in tutto il mondo“, ha detto. Applicati in modo più ampio, questi criteri diagnostici potrebbero facilitare notevolmente la diagnosi precoce e l’intervento, aiutando a salvare molte vite.
Questo è stato uno sforzo veramente collettivo tra medici in prima linea, ricercatori e statistici, ed i risultati sono una delle tante testimonianze dell’eccezionale lavoro svolto dalla Temple University e dal Temple University Health System“, ha concluso il dott. Caricchio.
Riferimento: “Criteri predittivi preliminari per la tempesta di citochine COVID-19” di Roberto Caricchio, Marcello Gallucci2, Chandra Dass, Xinyan Zhang, Stefania Gallucci, David Fleece, Michael Bromberg, Gerard J Criner e Temple University COVID-19 Research Group, 25 settembre 2020 , Annali delle malattie reumatiche .
DOI: 10.1136 / annrheumdis-2020-218323
Altri ricercatori che hanno contribuito al nuovo rapporto includono la Lewis Katz School of Medicine e i ricercatori e clinici del Temple University Hospital Chandra Dass, Clinical Radiology; Xinyan Zhang, Dipartimenti di Medicina e Reumatologia; Stefania Gallucci, Dipartimento di Microbiologia e Immunologia; David Fleece, Pediatria clinica; Michael Bromberg, Dipartimento di Medicina e Sezione di Ematologia; e Gerard J. Criner, Dipartimento di Medicina e Chirurgia Toracica. La competenza statistica è stata fornita da Marcello Gallucci, Dipartimento di Psicologia, Università di Milano-Bicocca, Milano, Italia.
La ricerca è stata in parte supportata dalla borsa di studio R56 AR072115-01 del National Institutes of Health e dalla Lupus Research Alliance.

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Una foto che fa storia, Hubble cattura una tromba d’acqua galattica

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Questa immagine di Hubble mostra come la galassia NGC 2799 (a sinistra) viene apparentemente trascinata verso il centro della galassia NGC 2798 (a destra).
Queste galassie hanno una forte influenza l’una sull’altra, data dalla reciproca forza di gravità. Ciò provoca una fusione o una formazione unica. Sono infatti chiamate galassie interagenti, e come si nota dalla foto catturata dal telescopio spaziale, hanno già apparentemente formato una tromba d’acqua laterale. Le stelle di NGC 2799 sembrano infatti cadere in NGC 2798, quasi come gocce d’acqua.
Le fusioni galattiche possono avvenire in tempi che vanno da diverse centinaia di milioni a più di un miliardo di anni. Si potrebbe pensare che la fusione di due galassie sia un evento catastrofico per i sistemi stellari al loro interno, ma l’enorme quantità di spazio tra le stelle significa che le collisioni stellari sono improbabili e le stelle finiscono per scivolare l’una accanto all’altra.

Come funziona Hubble?

Lo Hubble Space Telescope (HST) è un telescopio spaziale che venne lanciato in orbita terrestre bassa nel 1990. Nonostante non sia stato il primo telescopio spaziale, Hubble è uno dei più grandi e versatili, ed è ben conosciuto come strumento di ricerca di estrema importanza.
L’HST è stato così chiamato in onore dell’astronomo Edwin Hubble, ed è uno dei Grandi Osservatori della NASA, assieme al Compton Gamma Ray Observatory, il Chandra X-ray Observatory e il Telescopio spaziale Spitzer. Ha uno specchio di 2,4 metri di diametro e 5 strumenti principali con cui osserva nel vicino ultravioletto, nel visibile e nel vicino infrarosso.
L’orbita esterna del telescopio, al di fuori dalla distorsione dell’atmosfera terrestre, gli permette di ottenere immagini a risoluzione estremamente elevata, con un disturbo contestuale sostanzialmente inferiore rispetto a quello che affligge i telescopi a Terra.
Hubble ha registrato alcune delle più dettagliate immagini nella luce visibile, permettendo una visuale profonda nello spazio e nel tempo.
Molte osservazioni dell’HST ebbero dei riscontri in astrofisica, per esempio determinando accuratamente il tasso di espansione dell’Universo.
Oggi abbiamo visto questa spettacolare immagine di una tomba d’acqua galattica. Quali altre meraviglie catturerà per noi in futuro HUBBLE?
Fonte: SchitechDaily

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WASP 121b, il pianeta con l’atmosfera di metallo

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L’esopianeta WASP-121b scoperto nel 2016 si trova a 850 anni luce dal sitema solare, è un gigante gassoso con una massa 1,1883 volte quella di Giove e orbita attorno alla sua stella in 1,3 giorni a una distanza di 0,02544 AU (WASP-121b è 40 volte più vicino alla sua stella della Terra al Sole). Questa estrema vicinanza è la principale ragione della sua temperatura infernale, compresa tra 2.500 e 3.000 gradi Celsius. Questo lo rende un esopianeta ideale per lo studio dei mondi ultra caldi.
Grazie ai dati raccolti dallo spettrografo HARPS ad alta risoluzione, i ricercatori guidati da Jens Hoeijmakers, primo autore dello studio e ricercatore post-dottorato presso il National Center of Competence in Research PlanetS presso le università di Berna e Ginevra, hanno dimostrato che nell’atmosfera di WASP-121b sono presenti almeno sette metalli allo stato gassoso. I risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

WASP-121b: una complessità inaspettata

Come spiega Jens Hoeijmakers, WASP-121b è stato ampiamente studiato sin dalla sua scoperta: “Gli studi precedenti hanno mostrato che c’è molto da capire nella sua atmosfera”. Inizialmente gli astronomi pensavano che un esopianeta con un’atmosfera cosi calda ospitasse solamente composti chimici molto semplici, ma una volta letti i dati hanno cercato di capire come questo esopianeta possa avere un’atmosfera cosi complessa. “Studi precedenti hanno cercato di spiegare queste complesse osservazioni con teorie che non mi sembravano plausibili”, afferma Hoeijmakers.
Gli studi effettuati avevano fatto nascere il sospetto che le molecole contenenti il ​​metallo raro vanadio fossero la causa principale dell’atmosfera complessa di WASP-121b. Hoeijmakers, tuttavia, ha spiegato che ciò avrebbe senso solo se nell’atmosfera mancasse un metallo più comune, il titanio. Hoeijmakers e i suoi colleghi hanno cercato di trovare un’altra spiegazione al mistero. “Ma si è scoperto che avevano ragione”, ammette Hoeijmakers. “Con mia sorpresa, abbiamo effettivamente trovato forti firme di vanadio nelle osservazioni“. Allo stesso tempo, però, mancava il titanio. Ciò a sua volta ha confermato l’ipotesi di Hoeijmakers.

Metalli vaporizzati

Non solo il vanadio è presente nell’infernale atmosfera di WASP-121b, il team ha trovato altri sei metalli allo stato gassoso: ferro, cromo, calcio, sodio, magnesio e nichel. “Tutti i metalli sono evaporati a causa delle alte temperature prevalenti su WASP-121b,” spiega Hoeijmakers “Assicurando così che l’aria sull’esopianeta sia costituito tra gli altri composti, anche da metalli allo stato di vapore”.

Una nuova era nella ricerca sugli esopianeti

I risultati ottenuti permettono ai ricercatori di trarre conclusioni sui processi chimici che avvengono sui pianeti con atmosfere di questo tipo. In futuro, quando entreranno in servizio i nuovi telescopi spaziali e spettrografi più sofisticati, le conoscenze acquisite in questo e in studi simili sarà molto importante. Queste conoscenze inoltre permetteranno agli astronomi di studiare le atmosfere di pianeti simili alla Terra. “Con le stesse tecniche che usiamo oggi, invece di rilevare solo le firme di ferro gassoso o vanadio, saremo in grado di concentrarci sulle firme biologiche, segni di vita come le firme di acqua, ossigeno e metano“, ha spiegato Hoeijmakers.
Le nuove conoscenze acquisite sull’atmosfera di WASP-121b non solo confermano le caratteristiche dell’esopianeta, ma sottolineano anche il fatto che questo campo di ricerca sta entrando in una nuova era, come afferma Hoeijmakers: “Dopo anni di catalogazione di ciò che è là fuori, ora non stiamo più solo effettuando misurazioni“, spiega il ricercatore, ” Ma stiamo davvero iniziando a capire cosa ci mostrano i dati degli strumenti. In che modo i pianeti si somigliano e differiscono l’uno dall’altro. Allo stesso modo, forse, di Charles Darwin che ha iniziato a sviluppare la teoria dell’evoluzione dopo aver caratterizzato innumerevoli specie di animali, stiamo iniziando a capire di più su come si sono formati questi esopianeti e su come evolvono”.
Fonte: https://phys.org/news/2020-10-vaporized-metal-air-exoplanet.html

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Direct Fusion Drive: su Titano in due anni

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Secondo gli scettici la tecnologia della fusione nucleare non verrà mai realizzata. Nonostante le difficoltà nel rendere disponibile questa fonte di energia praticamente inesauribile e pulita, essa viene già utilizzata in ambito militare sotto forma di bombe all’idrogeno innescate da una bomba atomica. Questa fonte di energia potrà in futuro rivelarsi utile in molti campi, soprattutto in quello spaziale.
Presso il Princeton Plasma Physics Laboratory (PPPL) è in fase di sviluppo il direct fusion drive (o DFD). Samuel Cohen a capo di un team di scienziati e ingegneri stanno lavorando al secondo prototipo chiamato Princeton field reversed configuration-2 ( PFRC-2). Il team spera di testare al più presto il sistema nello spazio al fine di farlo diventare il primo sistema di propulsione avanzato per navi spaziali e sonde robot.
Il Direct fusion Drive con le sue prestazioni diventerà fondamentale per raggiungere diversi obiettivi nel sistema solare. Uno di essi è il satellite di Saturno, Titano che sotto certi aspetti è simile al nostro pianeta, la Terra. Titano presenta un ciclo del metano come la Terra presenta un ciclo dell’acqua, per questo, secondo alcuni scienziati, potrebbe potenzialmente ospitare la vita. Grazie a questo sistema di propulsione innovativo Titano potrebbe essere raggiunto in poco meno di due anni, ad affermarlo, in uno studio, un team di ingegneri aerospaziali del dipartimento di fisica del New York City College of Technology, guidato dal professor Roman Kezerashvili e affiancato da due borsisti del Politecnico di Torino in Italia, Paolo Aime e Marco Gajeri.

Il propulsore, ancora in fase di sviluppo, fa ricorso a molti dei vantaggi offerti dalla fusione aneutronica, soprattutto il rapporto peso / potenza che risulta essere estremamente elevato. Il carburante per questo tipo di reazione contiene deuterio (isotopo dell’idrogeno) e elio-3 (isotopo dell’elio con due protoni e un solo neutrone). Anche utilizzando modeste quantità di carburante il sistema di propulsione Direct Fusion Drive può superare le prestazioni dell’attuale propulsione chimica o elettrica. Si stima che l’ impulso specifico del sistema, che è una misura dell’efficienza con cui un motore utilizza il carburante, sia paragonabile ai motori elettrici, i più efficienti attualmente disponibili. Inoltre, il motore DFD fornirebbe 4-5 N di spinta in modalità a bassa potenza, solo leggermente inferiore a quello che un razzo chimico produrrebbe per lunghi periodi di tempo. Essenzialmente il DFD somma l’eccellente impulso specifico dei sistemi di propulsione elettrica all’eccellente spinta dei razzi chimici, unendo il meglio di entrambi i sistemi di propulsione.
Per testare tutte queste specifiche serve un obiettivo e gli autori dello studio hanno rivolto la loro attenzione su Titano, sia per la sua lontananza, sia per l’abbondanza di molecole organiche che lo caratterizzano. Per tracciare la rotta migliore verso Titano, il team italiano ha collaborato con gli sviluppatori del DFD al PPPL. Il team italiano grazie ai dati sulle prestazioni dal motore di prova e i dati sugli allineamenti planetari hanno iniziato a lavorare su alcune meccaniche orbitali. L’analisi li ha portati a stabilire due tipi di profili di missione differenti. Il primo con spinta costante che veniva applicata solo all’inizio e alla fine del viaggio (chiamato profilo spinta-costa-spinta – TCT) e uno in cui la spinta era costante per tutta la durata del viaggio.
I due profili di missione nel sistema saturniano hanno comportato il cambio della direzione della spinta per garantire la frenata e l’ingresso in orbita del veicolo spaziale. La spinta costante consentirebbe un tempo di percorrenza di circa due anni, mentre il secondo profilo di missione porterebbe la durata a 2,6 anni. I due profili non avrebbero necessita di nessun assist gravitazionale. Una cosa importante da notare, afferma Marco Gajeri, l’autore dell’articolo, è che la finestra che rende brevi questi viaggi si apre intorno al 2046. Questi decenni danno al team di PPPL più tempo per migliorare il loro design attuale.
Ma una sonda dotata di un propulsore DFD una volta raggiunto il suo obiettivo dovrà superare altri ostacoli. Orbitare attorno a Saturno è relativamente semplice, tuttavia dovrà effettuare un cambio di orbita per arrivare attorno a Titano. La sonda dovrà affrontare il problema dei tre corpi, un problema di meccanica orbitale che implica la risoluzione delle orbite di tre diversi corpi orbitali (cioè la navicella, Saturno e Titano).
Una volta superato questo problema la sonda spaziale potrà iniziare a sfruttare un altro dei vantaggi del DFD: il propulsore può fornire energia direttamente ai sistemi della navicella stessa. La maggior parte delle missioni del sistema solare esterno si basa su generatori termici a radioisotopi ( RTG ) come fonte di energia. Ma un DFD è in realtà una fonte di energia oltre ad essere un propulsore. Se progettato correttamente, potrebbe fornire tutta la potenza di cui una navicella spaziale ha bisogno per tutta la missione.
La capacità del DFD di garantire una lunga durata alle missioni potrebbe essere molto utile. Gli autori dello studio che hanno analizzato la missione su Titano hanno inoltre esaminato ila fattibilità di una missione verso oggetti transnettuiani, che finora sono stati visitati solo da New Horizons, che ha impiegato però 9 anni per raggiungere Plutone. Inutile dire che un DFD ridurrebbe drasticamente il tempo necessario per compiere quel viaggio. E se dovesse diventare operativo nei prossimi 30 anni, potrebbe iniziare ad aprire a una vasta gamma di missioni esplorative dello spazio profondo.
Fonte: https://www.universetoday.com/148393/impatient-a-spacecraft-could-get-to-titan-in-only-2-years-using-a-direct-fusion-drive/

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I pinoli: un alimento che diminuisce il colesterolo e apporta tantissimo omega-6

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I pinoli, un alimento utilizzato in cucina per molte varietà di piatti che variano dai primi ai secondi fino ad arrivare ai dolci, sono degli ottimi alleati per la salute del cuore.
I pinoli sono un ingrediente base del famosissimo e molto apprezzato pesto alla genovese, e anche della buonissima torta della nonna. Indubbiamente, esistono moltissime altre ricette da poter fare con questo alimento.
I pinoli sono un alimento che dovrebbe essere sempre presente nella dieta di tutti, perché posseggono molte proprietà benefiche. In questo articolo andremo a scoprire in quale modo riescono ad apportare i loro benefici, e come agiscono in maniera positiva sul nostro organismo.

Descrizione e benefici dei pinoli

I pinoli sono un alimento piuttosto calorico e molto ricco di sostanze nutritive, e risultano essere molto importanti per la salute dell’organismo. Si considera che una porzione di 100 grammi di pinoli riesce ad apportare ben 673 calorie, per questa ragione bisogna consumarli con molta moderazione, per evitare problemi legati all’aumento di peso.
Nonostante questa loro controindicazione, rimangono comunque un‘ottima fonte di vitamine e di minerali, ma anche di acidi grassi omega-6. Quest’ultimi riescono a svolgere un ruolo molto importante per il nostro organismo, in particolar modo per la protezione del cuore.
Molte ricerche hanno dimostrato gli enormi benefici e le innumerevoli proprietà che posseggono i pinoli a livello cardiovascolare. Tra queste è presente uno studio pubblicato sul Circulation,  che è riuscito a rilevare che diversi nutrienti contenuti nei pinoli riescono ad agire direttamente sul cuore, riuscendo così a proteggerlo dalla possibilità dell’insorgenza di alcune malattie, come l’ipertensione e l’infarto.
Le fibre presenti nei pinoli consentono un miglioramento del transito intestinale e una corretta digestione. Non solo, riescono ad aiutare a ridurre notevolmente i livelli di colesterolo all’interno del sangue, e il potassio contenuto nei pinoli contribuisce a tener sotto controllo la pressione arteriosa.
I pinoli, grazie al loro contenuto di grassi omega-6 riescono ad apportare un’azione ipoglicemizzante, ossia sono capaci di ridurre i livelli dello zucchero nel sangue, di diminuire la resistenza dell’insulina e a combattere le infiammazioni presenti nell’organismo.
Uno studio, che è stato pubblicato sul Journal of Nutrition, è riuscito a mettere in relazione il consumo dei pinoli con un aumento dei livelli di colesterolo “buono”, e anche un indice di massa corporea inferiore. Infatti, l’acidopinoleico contenuto nei pinoli riesce ad avere effetti sul peso e a ridurre il senso di fame, contribuendo così ad un’assunzione inferiore di cibo.
Quindi, se i pinoli vengono consumati con moderazione riescono ad aiutare a dimagrire, nonostante posseggano un notevole apporto calorico.

Le altre proprietà dei pinoli

Tra le altre proprietà presenti nei pinoli troviamo quella antiossidante, apportata grazie al loro alto contenuto di vitamina E, che è in grado di combattere la formazione dei radicali liberi e lo stress ossidativo, entrambi responsabili dell’insorgenza di varie malattie croniche.
Le vitamine del gruppo B contenute nei pinoli riescono a svolgere un ruolo molto importante nel controllo del metabolismo, sopratutto per quanto riguarda i folati, che risultano essere fondamentali per il corretto sviluppo del sistema nervoso.

Avvertenze sul consumo dei pinoli

Prima di decidere di introdurre i pinoli nella vostra dieta, bisogna prestare molta attenzione all’eventualità che questo alimento possa interferire con i medicinali che si assumono. Infatti, gli acidi grassi omega-6 presenti nei pinoli possono interferire con l’azione di alcuni farmaci anticoagulanti. Per questo motivo si consiglia di chiedere un parere al proprio medico prima di inserire nella propria dieta i pinoli.

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