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Scoperto come imitare le sinapsi del cervello umano. Ora l’AI può diventare neuromorfica

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Scoperto come imitare le sinapsi del cervello umano. Ora l'AI può diventare neuromorfica
Scoperto come imitare le sinapsi del cervello umano. Ora l'AI può diventare neuromorfica
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Le sinapsi umane, ovvero quei complessi e affascinanti processi di scambio di informazioni tra neuroni, possono essere riprodotte grazie a onde magnetiche create appositamente.

Uno studio rivoluzionario quello pubblicato sulla rivista Physical Review Letters, condotto dai ricercatori dell’HZDR (Helmholtz-Zentrum Dresden-Rossendorf) che è riuscito a sviluppare le componenti alla base di questo complesso processo.

L’intelligenza artificiale nel corso degli anni ha compiuto dei passi da gigante, arrivando a riprodurre fedelmente le azioni del cervello umano grazie a strumenti importanti come le reti neuronali, avvalendosi di processori tradizionali. Ma gli scienziati hanno puntato più in alto, ossia su quello che viene chiamato computer neuromorfico.

Di che cosa si tratta esattamente?

Consiste nella capacità di riprodurre a livello di hardware le sinapsi che avvengono nel cervello umano, quindi gli scambi velocissimi di informazioni tra neuroni, e non più una semplice simulazione con dei software.

Ma come sono giunti a questo risultato i ricercatori che hanno condotto lo studio? Attraverso onde magnetiche mirate, generate e divise in dischi di dimensioni micrometriche.

Tutto è iniziato da un minuscolo disco di un materiale magnetico, per l’esattezza il ferro-nickel, del diametro di pochi micrometri, attorno al quale è stato messo un anello dorato; quando una corrente alternata della portata di gigahertz lo attraversa, emette microonde che provocano nel disco le cosiddette onde di spin: gli elettroni nel ferro-nickel mostrano una rotazione, una specie di vortice come se la cima girasse.

“Noi usiamo gli impulsi microonde per buttare la parte superiore dell’elettrone leggermente fuori strada”, ha detto uno dei ricercatori che si è occupato dello studio.

Gli elettroni poi trasmettono questa interferenza ai loro rispettivi vicini, e ciò fa sì che l’onda di spin abbandoni il materiale. L’informazione viene trasportata in modo veloce ed efficiente, senza dover spostare gli elettroni stessi, cosa che invece si fa adesso con i chip dei computer.

Questa onda di spin che viene generata nel vortice magnetico, può essere suddivisa in due onde diverse, ognuna dalla frequenza ridotta, ed è stato questo comportamento che ha fatto pensare gli scienziati che le onde di spin potrebbero essere dei candidati ideali a ricoprire il ruolo di neuroni artificiali, perché ci sono dei parallelismi impressionanti tra di loro e il cervello umano: si attivano solo in seguito a determinati stimoli.

Abbiamo detto che le onde di spin possono essere suddivise in due, ma inizialmente i ricercatori non riuscivano a controllare questo fenomeno: infatti vi era un ritardo temporale nella divisione della onda di spin quando gli scienziati inviavano la microonda nel disco; il problema è stato brillantemente aggirato perché in aggiunta all’anello dorato, una piccola striscia magnetica è stata attaccata vicino al disco magnetico; grazie a questo procedimento, un segnale di microonda corta genera un’onda di spin in questa striscia, che è capace di interagire con l’onda di spin del disco, agendo così come una specie di esca.

L’onda di spin nella striscia fa sì che l’onda nel disco si divida più facilmente, dimostrando che anche l’aggiunta di un segnale corto è in grado di far avvenire questa divisione più velocemente, e che questo processo può essere innescato e controllato dagli scienziati.

Dunque i dischi di onde di spin si attivano nello stesso modo in cui lo fanno le nostre cellule nervose, e in più possono anche essere controllati. Ora il prossimo passo sarà la costruzione di una rete formata proprio da questi neuroni, per creare una rete neuromorfica i cui componenti si comportano come cellule nervose umane, ma capaci di processare enormi quantità di dati proprio come il nostro cervello.

Successo per la missione DART: cambiata l’orbita di un asteroide – video

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Ci siamo, domani la sonda DART impatterà contro l'asteroide Dimorphos per provare a deviarlo
Ci siamo, domani la sonda DART impatterà contro l'asteroide Dimorphos per provare a deviarlo
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Il test di reindirizzamento di un asteroide effettuato dalla missione DART della NASA ha cambiato con successo la traiettoria dell’asteroide Dimorphos.

La missione DART, una dimostrazione della tecnologia di deflessione, è stata la prima mai condotta per conto della difesa planetaria. Per la prima volta, l’umanità ha cambiato intenzionalmente il movimento di un oggetto celeste nello spazio.

Prima dell’impatto, Dimorphos impiegava 11 ore e 55 minuti per orbitare attorno all’asteroide genitore Didymos. Gli astronomi hanno utilizzato telescopi terrestri per misurare come l’orbita di Dimorphos è cambiata dopo l’impatto. Ora, Dimorphos impiega 11 ore e 23 minuti per girare intorno a Didymos. La navicella spaziale DART ha cambiato l’orbita della piccola luna di 32 minuti.

Inizialmente, gli astronomi si aspettavano che DART avrebbe avuto successo se avesse accorciato la traiettoria di 10 minuti. “Tutti noi abbiamo la responsabilità di proteggere il nostro pianeta natale. Dopotutto, è l’unico che abbiamo“, ha affermato l’amministratore della NASA Bill Nelson.

Questa missione mostra che la NASA sta cercando di essere pronta per qualsiasi cosa l’universo ci getti addosso. La NASA ha dimostrato che siamo seri come difensori del pianeta. Questo è un momento spartiacque per la difesa planetaria e per tutta l’umanità, a dimostrazione dell’impegno dell’eccezionale team della NASA e dei partner di tutto il mondo“.

Il telescopio spaziale Hubble ha catturato un'immagine di detriti esplosi dalla superficie di Dimorphos 285 ore dopo l'impatto dell'8 ottobre.
Il telescopio spaziale Hubble ha catturato un’immagine di detriti esplosi dalla superficie di Dimorphos 285 ore dopo l’impatto dell’8 ottobre. NASA/ESA/STScI/Hubble

Man mano che nuovi dati arriveranno, gli astronomi saranno in grado di valutare meglio se e come una missione come DART potrebbe essere utilizzata in futuro per aiutare a proteggere la Terra da una collisione con un asteroide se mai ne scoprissimo uno che si dirige verso di noi“.

Il team DART continua a raccogliere dati osservando il sistema del doppio asteroide e la misurazione orbitale potrebbe diventare più precisa in futuro. Attualmente, c’è un’incertezza di più o meno due minuti.

Una nuova immagine di Dimorphos, catturata dal telescopio spaziale Hubble, mostra che la coda simile a una cometa della scia di detriti si è divisa in due. Gli scienziati stanno ancora lavorando per capire il significato della scissione.

Il team si sta ora concentrando sulla misurazione di quanta quantità di moto è stata trasferita da DART a Dimorphos. Al momento dell’impatto, il veicolo spaziale si stava muovendo a circa 22.530 chilometri orari. Gli astronomi analizzeranno la quantità di rocce e polvere esplose nello spazio dopo l’impatto.

Il team DART ritiene che il pennacchio abbia “sostanzialmente migliorato” la spinta del veicolo spaziale contro l’asteroide, non diversamente dal rilascio di aria da un pallone che lo spinge nella direzione opposta, secondo la NASA.

Sebbene abbiamo fatto di più al sistema che semplicemente cambiare l’orbita, potremmo aver lasciato Dimorphos un po’ traballante“, ha affermato Tom Statler, scienziato del programma DART alla NASA. “Quindi, nel tempo, potrebbe esserci qualche interazione tra l’oscillazione e l’orbita e le cose si adatteranno. Ma di certo non tornerà mai alla vecchia orbita di 11 ore e 55 minuti“.

Gli astronomi stanno ancora studiando la superficie di Dimorphos e quanto sia debole o forte. Il primo sguardo del team DART a Dimorphos, fornito da DART prima dell’incidente, suggerisce che l’asteroide è un cumulo di macerie tenuto insieme dalla gravità.

Continuano a tornare le immagini dal Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroids, o LICIACube, il mini satellite fornito dall’Agenzia Spaziale Italiana che si è unito come fotoreporter robotico nella missione di DART .

Tra circa quattro anni, anche la missione Hera dell’Agenzia spaziale europea sorvolerà il sistema a asteroide per studiare il cratere lasciato dalla collisione e misurare la massa di Dimorphos.

DART ci ha fornito alcuni dati affascinanti sia sulle proprietà degli asteroidi che sull’efficacia di un impattatore cinetico come tecnologia di difesa planetaria”, ha affermato Nancy Chabot, responsabile del coordinamento DART del Laboratorio di fisica applicata della Johns Hopkins University di Laurel, nel Maryland. “Il team DART sta continuando a lavorare su questo ricco set di dati per comprendere appieno questo primo test di difesa planetaria della deflessione degli asteroidi“.

Il team di ricerca ha scelto Dimorphos per questa missione perché le sue dimensioni sono paragonabili a quelle degli asteroidi che potrebbero rappresentare una minaccia per la Terra. Un asteroide delle dimensioni di Dimorphos potrebbe causare “devastazioni regionali” se colpisse la Terra.

Gli oggetti vicini alla Terra sono asteroidi e comete con un’orbita che li colloca entro 48,3 milioni di chilometri dalla Terra. Rilevare la minaccia di oggetti vicini alla Terra che potrebbero causare gravi danni è un obiettivo primario della NASA e di altre organizzazioni spaziali in tutto il mondo.

Nessun asteroide è attualmente in rotta di impatto diretto con la Terra, ma esistono più di 27.000 asteroidi vicini alla Terra di tutte le forme e dimensioni.

Trovare popolazioni di asteroidi pericolosi e determinarne le dimensioni sono priorità della NASA e dei suoi partner internazionali. Il progetto per un telescopio spaziale chiamato missione Near-Earth Object Surveyor è attualmente in fase di revisione.

Il primo studio dettagliato sul fenomeno della “misocinesia” mostra che potrebbe colpire 1 persona su 3

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Il primo studio dettagliato sul fenomeno della "misocinesia" mostra che potrebbe colpire 1 persona su 3
Il primo studio dettagliato sul fenomeno della "misocinesia" mostra che potrebbe colpire 1 persona su 3
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Notare che qualcuno vicino a te si agita ti distrae. È irritante. Addirittura straziante. Ma perché? Forse soffri di misocinesia.

Secondo uno studio del 2021, le sensazioni di stress causate dal vedere gli altri agitarsi sono un fenomeno psicologico incredibilmente comune, che colpisce fino a una persona su tre.

Chiamato misocinesia – che significa “odio per i movimenti” – questo strano fenomeno è stato poco studiato dagli scienziati, ma è stato notato nella ricerca di una condizione correlata, la misofonia: un disturbo in cui le persone si irritano sentendo certi suoni ripetitivi.

La misocinesia è in qualche modo simile, ma i fattori scatenanti sono generalmente più visivi, piuttosto che legati al suono, affermano i ricercatori.

[La misocinesia] è definita come una forte risposta affettiva o emotiva negativa alla vista dei movimenti piccoli e ripetitivi di qualcun altro, come vedere qualcuno che batte ripetitivamente una mano o un piede“, Spiega il team di ricercatori, guidato dallo psicologo e primo autore Sumeet Jaswal.

Eppure, sorprendentemente, manca la ricerca scientifica sull’argomento“.

Per migliorare la nostra comprensione, Jawal e i colleghi ricercatori hanno condotto quella che hanno definito la “prima esplorazione scientifica approfondita” della misocinesia – e i risultati indicano che l’eccessiva sensibilità all’irrequietezza è qualcosa con cui un gran numero di persone deve fare i conti.

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Attraverso una serie di esperimenti che hanno coinvolto oltre 4.100 partecipanti, i ricercatori hanno misurato la prevalenza della misocinesia in una coorte di studenti universitari e persone della popolazione generale, valutando gli impatti che ha avuto su di loro ed esplorando il motivo per cui le sensazioni potrebbero manifestarsi.

Abbiamo scoperto che circa un terzo ha auto-riferito un certo grado di sensibilità ai comportamenti ripetitivi e irrequieti degli altri come si incontrano nella loro vita quotidiana“, hanno spiegato i ricercatori .

Questi risultati supportano la conclusione che la sensibilità alla misocinesia non è un fenomeno limitato alle popolazioni cliniche, ma piuttosto è una sfida sociale fondamentale e finora poco riconosciuta condivisa da molti nella popolazione generale più ampia“.

Secondo l’analisi, la misocinesia a volte va di pari passo con la sensibilità al suono della misofonia, ma non sempre. Il fenomeno sembra variare in modo significativo tra gli individui, con alcune persone che riferiscono solo una bassa sensibilità agli stimoli irrequieti, mentre altre si sentono fortemente colpite.

Sono influenzati negativamente emotivamente e sperimentano reazioni come rabbia, ansia o frustrazione, nonché un ridotto divertimento in situazioni sociali, lavoro e ambienti di apprendimento“, ha spiegato lo psicologo dell’UBC Todd Handy nel 2021.

Alcuni svolgono anche meno attività sociali a causa della condizione“.

Handy ha iniziato a fare ricerche sulla misocinesia dopo che la sua partner gli ha detto che era un irrequieto e ha confessato che si sentiva stressata quando si agitava. “Come neuroscienziato cognitivo visivo, questo ha davvero suscitato il mio interesse per scoprire cosa succede nel cervello“, ha detto Handy.

Quindi, la domanda è: perché troviamo l’agitazione così fastidiosa?

Nello studio, i ricercatori hanno eseguito test per vedere se la misocinesia delle persone potrebbe originarsi da una maggiore sensibilità visivo-attenzionale, pari a un’incapacità di bloccare gli eventi di distrazione che si verificano nella loro periferia visiva.

I risultati basati sui primi esperimenti sono stati inconcludenti su questo fronte, con i ricercatori che non hanno trovato prove certe che i meccanismi di attenzione visiva riflessiva contribuiscano in modo sostanziale alla sensibilità alla misocinesia.

Mentre siamo ancora solo all’inizio dell’esplorazione sulle cause da cui la misocinesia può scaturire a livello cognitivo, i ricercatori hanno alcune piste ipotetiche che vogliono perseguire nella ricerca futura.

Una possibilità che vogliamo esplorare è che siano coinvolti i ‘neuroni specchio“, ha detto Jaswal. “Questi neuroni si attivano quando ci muoviamo, ma si attivano anche quando vediamo gli altri muoversi… Ad esempio, quando vedi qualcuno che si fa male, potresti anche sussultare, poiché il suo dolore si riflette nel tuo stesso cervello“.

Per estensione, è possibile che le persone inclini alla misocinesia possano inconsciamente entrare in empatia con la psicologia delle persone agitate. E non in senso positivo.

Una ragione per cui le persone si agitano è perché sono ansiose o nervose, quindi quando le persone che soffrono di misocinesia vedono qualcuno che si agita, possono rispecchiarlo e sentirsi anche ansiose o nervose“, ha detto Jaswal.

Per quanto riguarda se questo è ciò che realmente accade con la misocinesia, solo ulteriori ricerche sul fenomeno potranno dirlo con certezza. Una cosa è certa però. Dai risultati visti in questo studio, è chiaro che questo fenomeno è molto più comune di quanto pensassimo.

Per coloro che soffrono di misocinesia: non siete soli“, ha detto Handy, “La vostra sfida è comune ed è reale“.

I risultati dello studio sono riportati in Scientific Reports.

Proposto un metodo per stabilire se viviamo in una simulazione

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I fisici hanno lottato a lungo per spiegare perché l’Universo sia iniziato con condizioni adatte all’evoluzione della vita. Perché le leggi fisiche e le costanti assumono i valori molto specifici che consentono alle stelle, ai pianeti e, in ultima analisi, alla vita di svilupparsi?

La forza espansiva dell’Universo, l’energia oscura, è molto più debole di quanto la teoria suggerisca dovrebbe essere, permettendo alla materia di aggregarsi piuttosto che disperdersi.
Una risposta comune è che viviamo in un multiverso infinito di universi, ognuno con le sue regole e quindi non dovremmo sorprenderci se almeno un universo ha le regole che vediamo.
Un’altra ipotesi è che il nostro Universo sia una simulazione al computer, con qualcuno (forse una specie aliena avanzata) che ha stabilito le regole a priori.

Quest’ultima opzione è supportata da una branca della scienza chiamata fisica dell’informazione, che suggerisce che lo spazio-tempo e la materia non sono fenomeni fondamentali. Invece, la realtà fisica è fondamentalmente costituita da bit di informazione, da cui emerge la nostra esperienza dello spazio-tempo.

Per fare un esempio esplicativo, la temperatura “emerge” dal movimento collettivo degli atomi. Nessun singolo atomo ha fondamentalmente temperatura.

Ciò porta alla straordinaria possibilità che il nostro intero Universo possa in realtà essere una simulazione al computer. L’idea non è così nuova. Nel 1989, il leggendario fisico John Archibald Wheeler suggerì che l’Universo è fondamentalmente matematico e può essere visto emergere dall’informazione. Per questo coniò il famoso aforisma “it from bit“.

Nel 2003, il filosofo Nick Bostrom dell’Università di Oxford nel Regno Unito ha formulato la sua ipotesi di simulazione in cui sostiene che in realtà è altamente probabile che viviamo in una simulazione. Questo perché una civiltà avanzata dovrebbe raggiungere un punto in cui la sua tecnologia è così sofisticata che le simulazioni sarebbero indistinguibili dalla realtà e i partecipanti non sarebbero consapevoli di trovarsi in una simulazione.

Il fisico Seth Lloyd del Massachusetts Institute of Technology negli Stati Uniti ha portato l’ipotesi della simulazione al livello successivo suggerendo che l’intero Universo potrebbe essere un gigantesco computer quantistico.

Evidenza empirica

Ci sono alcune prove che suggeriscono che la nostra realtà fisica potrebbe essere una realtà virtuale simulata piuttosto che un mondo oggettivo che esiste indipendentemente dall’osservatore.

Qualsiasi mondo di realtà virtuale sarà basato sull’elaborazione delle informazioni. Ciò significa che tutto viene infine digitalizzato o pixelato fino a una dimensione minima che non può essere ulteriormente suddivisa: il bit.

Questo sembra imitare la nostra realtà secondo la teoria della meccanica quantistica, che governa il mondo degli atomi e delle particelle. Afferma che esiste una più piccola unità discreta di energia, lunghezza e tempo.

Allo stesso modo, le particelle elementari, che costituiscono tutta la materia visibile nell’Universo, sono le più piccole unità di materia. Per dirla semplicemente, il nostro mondo è pixelato.

Le leggi della fisica che governano ogni cosa nell’Universo assomigliano anche alle linee di codice del computer che una simulazione eseguirebbe nell’esecuzione del programma. Inoltre, equazioni matematiche, numeri e schemi geometrici sono presenti ovunque: il mondo sembra essere interamente matematico.

Un’altra curiosità in fisica che supporta l’ipotesi della simulazione è il limite massimo di velocità nel nostro Universo, che è la velocità della luce. In una realtà virtuale, questo limite corrisponderebbe al limite di velocità del processore o al limite di potenza di elaborazione.

Sappiamo che un processore sovraccarico rallenta l’elaborazione del computer in una simulazione. Allo stesso modo, la teoria della relatività generale di Albert Einstein mostra che il tempo rallenta in prossimità di un buco nero.

Forse la prova più credibile a sostegno dell’ipotesi della simulazione viene dalla meccanica quantistica. Ciò suggerisce che la natura non è “reale”: le particelle in determinati stati, come posizioni specifiche, non sembrano esistere a meno che non le osservi o le misuri effettivamente. Invece, si trovano simultaneamente in un mix di stati diversi. Allo stesso modo, la realtà virtuale ha bisogno di un osservatore o di un programmatore affinché le cose accadano.

L’entanglement quantistico, inoltre, consente a due particelle di essere connesse in modo spettrale in modo che se ne manipoli una, automaticamente e immediatamente manipoli anche l’altra, non importa quanto siano distanti tra loro – con un effetto apparentemente più veloce della velocità della luce, cosa che dovrebbe essere impossibile.

Ciò potrebbe, tuttavia, essere spiegato anche dal fatto che all’interno di un codice di realtà virtuale, tutte le “posizioni” (punti) dovrebbero essere all’incirca ugualmente lontane da un processore centrale. Quindi, mentre possiamo pensare che due particelle siano distanti milioni di anni luce, non lo sarebbero se fossero create in una simulazione.

Possibili esperimenti

Supponendo che l’Universo sia davvero una simulazione, allora che tipo di esperimenti potremmo implementare dall’interno della simulazione per dimostrarlo? È ragionevole presumere che un Universo simulato contenga molti bit di informazione ovunque intorno a noi. Questi bit di informazione rappresentano il codice stesso. Quindi, il rilevamento di questi bit di informazione dimostrerà l’ipotesi della simulazione.

Il principio di equivalenza massa-energia-informazione (M/E/I) recentemente proposto – suggerendo che la massa può essere espressa come energia o informazione, o viceversa – afferma che i bit di informazione devono avere una massa piccola. Questo ci dà qualcosa da cercare.

L’ipotesi è che l’informazione sia di fatto una quinta forma di materia nell’Universo. Si è persino calcolato il contenuto informativo previsto per particella elementare. Questi studi hanno portato alla pubblicazione, nel 2022, di un protocollo sperimentale per testare queste previsioni.

L’esperimento prevede la cancellazione delle informazioni contenute all’interno delle particelle elementari lasciando che esse e le loro antiparticelle (tutte le particelle hanno versioni “anti” di se stesse che sono identiche ma hanno carica opposta) si annichilino in un lampo di energia – emettendo “fotoni”, o particelle di luce.

si può prevedere l’esatta gamma di frequenze attese dei fotoni risultanti sulla base della fisica dell’informazione. L’esperimento è altamente realizzabile con i nostri strumenti esistenti ed è stato lanciato un sito di crowdfunding per realizzarlo.

Ci sono anche altri approcci. Il defunto fisico John Barrow sosteneva che una simulazione creerebbe piccoli errori computazionali che il programmatore dovrebbe correggere per continuare a funzionare.

L’idea era che potremmo sperimentare il fixing dei bug come risultati sperimentali contraddittori che appaiono all’improvviso, come le costanti della natura che cambiano. Quindi monitorare i valori di queste costanti è un’altra opzione.

La natura della nostra realtà è uno dei più grandi misteri dell’universo. Più prendiamo sul serio l’ipotesi della simulazione, maggiori sono le possibilità che un giorno potremo provarla o confutarla.

Nuove scoperte nelle profondità ghiacciate dell’Antartide

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Le nuove scoperte nelle profondità ghiacciate dell'Antartide, ghiaccio antartico, ghiacciaio dell'apocalisse
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Adesso abbiamo una maggior comprensione di quel che si trova nelle profondità ghiacciate dell’Antartide grazie ad alcune nuove scoperte.

I ricercatori hanno appreso nuove informazioni su come la formazione di ghiaccio nel sottosuolo dell’Antartide contribuisca alla circolazione di acqua fredda e densa che affonda sul fondo dell’oceano, un aspetto importante della circolazione globale dell’acqua.

Un team dell’Institute of Low Temperature Science, dell’Arctic Research Center e della Faculty of Fisheries Science dell’Università di Hokkaido, in collaborazione con i ricercatori dell’Istituto nazionale giapponese di ricerca polare e dell’Agenzia di esplorazione aerospaziale, ha prodotto i risultati, che sono stati pubblicati sulla rivista Science Advances.

L’importanza dei mari dell’Antartide

I mari che circondano l’Antartide, dove si crea una quantità significativa di ghiaccio marino, sono fondamentali per la circolazione dell’acqua oceanica mondiale, collegando gli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano. Quando il ghiaccio marino si forma, rifiuta il sale, producendo acqua densa e fredda che affonda sul fondo del mare.

La maggior parte del profondo fondale oceanico noto come abisso globale è inondato da quest’acqua, nota come Antarctic Bottom Water (AABW), che è la massa d’acqua più fredda e densa nella circolazione globale, ovvero l’acqua di fondo dell’Oceano Antartico. Comprendere il meccanismo dello sviluppo di AABW e il modo in cui il riscaldamento globale influenzerà la formazione è fondamentale poiché la circolazione oceanica globale influisce sul clima globale.

Ohshima: “Nuovi risultati sorprendenti”

Kay Hohshima del team di Hokkaido ha spiegato tramite alcune dichiarazioni riportate da Scitechdaily.com: “Abbiamo trovato nuovi risultati sorprendenti sulla forma della crescita del ghiaccio marino in un sito di produzione chiave di AABW, vicino a Cape Darnley in Antartide, con implicazioni potenzialmente ampie per altre aree”.

Il ricercatore ha spiegato che il monitoraggio satellitare e i dati dei sensori ormeggiati nell’oceano hanno rivelato l’importanza del ghiaccio sottomarino chiamato ghiaccio Frazil nella produzione di acqua fredda e densa. Questo ghiaccio si forma sotto la superficie quando l’acqua viene raffreddata al di sotto del suo punto di congelamento dall’effetto di raffreddamento del forte vento e delle condizioni turbolente. Il raffreddamento può avvenire a profondità sorprendenti di 80 metri o più.

La formazione del ghiaccio Frazil

Intorno alla costa di Cape Darnley, il ghiaccio Frazil si forma efficientemente sotto la superficie del mare, in particolare a causa del forte vento e della conseguente perdita di calore. Quando si forma il ghiaccio Frazil, genera acqua fredda e densa che affonda sul fondo del mare formando l’acqua di fondo dell’Oceano Antartico. Ohshimha ha spiegato l’importanza di questo processo che si produce sott’acqua e che fa comprendere un aspetto fondamentale del sistema di circolazione “che è stato almeno parzialmente oscurato alla vista”.

L’ipotesi dei ricercatori

I ricercatori suggeriscono anche che il ghiaccio Frazil potrebbe incorporare il sedimento sul fondo del mare e rilasciarlo mentre il ghiaccio si scioglie. Ciò potrebbe portare a una nuova comprensione della circolazione dei nutrienti che fertilizzano il plancton per influenzare la produttività biologica generale delle acque antartiche. Ohshima ha concluso che il prossimo passo da parte loro è l’incorporazione di questi nuovi processi all’interno della biogeochimica dell’Oceano Antartico e della circolazione di carbonio. Una missione che richiederà nuovi lavori e approfondimenti da parte degli esperti.

Le funzioni dell’AABW

Il portale Science.org spiega come Antarctic Bottom Water (AABW) ovvero l’acqua di fondo dell’Oceano Antartico occupa lo strato abissale dell’oceano mondiale e contribuisce alla circolazione globale di ribaltamento. Proviene da una densa acqua di piattaforma, che si forma dal rigetto della salamoia durante la produzione di ghiaccio marino. Un’importante regione di formazione AABW è stata identificata al largo della polinia di Cape Darnley. Come informa Wikipedia, la polinia è un’area di acqua marina sgombra dai ghiacci e circondata dalla banchisa. Non è ancora chiaro tuttavia come l’elevata produzione di ghiaccio porti alla formazione dell’AABW.

Hubble ha ripreso una collisione stellare titanica che ha scosso lo spazio-tempo – video

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Hubble ha ripreso una collisione stellare titanica che ha scosso lo spazio-tempo - video
Hubble ha ripreso una collisione stellare titanica che ha scosso lo spazio-tempo - video
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Gli astronomi, attraverso il telescopio spaziale Hubble, hanno effettuato una misurazione unica che indica che una collisione titanica tra due stelle di neutroni ha lanciato un getto di materia attraverso lo spazio a velocità superiori al 99,97% della velocità della luce.

L’evento esplosivo, soprannominato GW170817, si è verificato nell’agosto 2017. L’esplosione ha generato un’energia paragonabile all’esplosione di una supernova. È stata la prima volta che onde gravitazionali e raggi gamma sono state rilevati insieme da una fusione binaria di stelle di neutroni.

Questo è stato un punto di svolta significativo nella ricerca di queste straordinarie collisioni. Oltre alla scoperta delle onde gravitazionali, 70 osservatori in tutto il mondo e nello spazio hanno visto le conseguenze di questa fusione su un’ampia fascia dello spettro elettromagnetico. Ciò ha segnato un importante sviluppo nell’area del dominio del tempo e dell’astrofisica multi-messaggero, che fa uso di una serie di “messaggeri” tra cui le onde gravitazionali e la luce per analizzare la progressione dell’universo nel tempo.

Solo due giorni dopo, gli scienziati sono riusciti a puntare Hubble verso la posizione dell’esplosione. Le due stelle di neutroni si sono fuse e sono collassate in un buco nero, la cui forte gravità ha iniziato ad attrarre materia verso di sé. Questo materiale ruotava rapidamente, espellendo dai suoi poli getti di plasma. Il getto di plasma in espansione verso l’esterno ha travolto l’anello di accrescimento del buco nero trascinando del materiale nel suo percorso.

Anche se l’evento si è verificato nel 2017, gli scienziati hanno impiegato diversi anni per capire come analizzare i dati di Hubble e di altri telescopi per ottenere il quadro completo.

L’osservazione di Hubble è stata combinata con le osservazioni di più radiotelescopi della National Science Foundation che lavorano insieme per l’interferometria di base molto lunga (VLBI). I dati radio sono stati presi 75 giorni e 230 giorni dopo l’esplosione.

Sono stupito che Hubble possa darci una misurazione così precisa, che rivaleggia con la precisione raggiunta dai potenti telescopi radio VLBI sparsi in tutto il mondo“, ha affermato Kunal P. Mooley del Caltech di Pasadena, in California, autore principale di un articolo che è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature.

Gli autori hanno utilizzato i dati di Hubble insieme ai dati del satellite Gaia dell’ESA (l’Agenzia spaziale europea), oltre a VLBI, per ottenere un’estrema precisione. “Ci sono voluti mesi di attenta analisi dei dati per effettuare questa misurazione“, ha affermato Jay Anderson dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, nel Maryland.

Combinando le diverse osservazioni, sono stati in grado di individuare il punto dove è avvenuta l’esplosione. La misurazione di Hubble ha mostrato che il getto si muoveva a una velocità apparente di sette volte la velocità della luce. Dalle osservazioni radio si è visto che il getto ha successivamente decelerato a una velocità apparente quattro volte superiore a quella della luce.

In realtà, nulla può superare la velocità della luce, quindi questo movimento “superluminale” è frutto di un’illusione. Vediamo di capire perché: il getto di plasma continua ad emettere luce mentre si avvicina alla Terra quasi alla velocità della luce e la luce emessa ad ogni secondo ha una distanza più breve da percorrere. In sostanza, il getto insegue la propria luce. In realtà, dall’emissione della luce da parte del getto è trascorso più tempo di quanto l’osservatore pensi. Ciò fa sì che la velocità dell’oggetto sia sovrastimata, in questo caso apparentemente superiore alla velocità della luce.

Il nostro risultato indica che il jet si stava muovendo almeno al 99,97% della velocità della luce quando è stato lanciato“, ha affermato Wenbin Lu dell’Università della California.

Le misurazioni di Hubble, combinate con le misurazioni VLBI, annunciate nel 2018, rafforzano notevolmente la connessione a lungo presunta tra fusioni di stelle di neutroni e lampi di raggi gamma di breve durata. Tale connessione richiede l’emergere di un getto in rapido movimento, che ora è stato misurato in GW170817.

Questo lavoro apre la strada a studi più precisi sulle fusioni di stelle di neutroni, rilevate dagli osservatori di onde gravitazionali LIGO, Virgo e KAGRA. Con un campione abbastanza ampio nei prossimi anni, le osservazioni relativistiche dei getti potrebbero fornire un’altra linea di indagine per misurare il tasso di espansione dell’universo, associato a un numero noto come costante di Hubble.

Al momento, esiste una discrepanza tra i valori stimati per la costante di Hubble per l’universo primordiale e l’universo vicino, uno dei più grandi misteri dell’astrofisica odierna. I diversi valori si basano su misurazioni estremamente precise delle supernove di tipo Ia da parte di Hubble e altri osservatori e su misurazioni del fondo cosmico a microonde effettuate dal satellite Planck dell’ESA. Altre viste di getti relativistici potrebbero aggiungere informazioni per gli astronomi che cercano di risolvere il mistero.

Riferimento: “Optical superluminal motion measurement in the neutron-star merger GW170817” di Kunal P. Mooley, Jay Anderson e Wenbin Lu, 12 ottobre 2022, Nature .
DOI: 10.1038/s41586-022-05145-7

Vivere per sempre come chatbot

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Vivere per sempre come chatbot
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È stato recentemente rivelato che nel 2017 Microsoft ha brevettato un chatbot che, se costruito, potrebbe resuscitare digitalmente i morti. 

Utilizzando l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico, il chatbot proposto riporterebbe in vita una persona in forma digitale permettendole di parlare. Gli stessi rappresentanti di Microsoft hanno ammesso che il chatbot è “inquietante” e che al momento non è previsto che sia commercializzato.

Tuttavia, sembra che tecnicamente sia tutto pronto per rendere possibili le reincarnazioni digitali. I chatbot gestiti dall’intelligenza artificiale di Microsoft hanno già superato il “test di Turing“, il che significa che riescono ad ingannare altri umani facendogli credere di essere umani anche loro. 

Rivivere in un chatbot

Il fatto è che la maggior parte delle persone, oggi, lascia dietro di sé dati sufficienti per insegnare ai programmi di intelligenza artificiale le nostre idiosincrasie conversazionali. Il doppio digitale convincente potrebbe essere dietro l’angolo.

Ma attualmente non ci sono leggi che disciplinano la reincarnazione digitale. Il diritto alla privacy dei dati dopo la morte è ben lungi dall’essere scolpito nella pietra e attualmente non c’è modo di rinunciare ad essere resuscitato digitalmente. Questa ambiguità legale lascia spazio alle aziende private per creare chatbot dai dati dei deceduti dopo.

Una ricerca ha esaminato la complessa questione legale collegata a ciò che accade ai dati personali dopo la morte di una persona. Al momento, e in assenza di una legislazione specifica, non è chiaro chi potrebbe avere il potere finale di avviare una persona digitale dopo che il suo corpo fisico ha cessato di vivere.

Il chatbot di Microsoft userebbe i messaggi elettronici di una persona per crearne una reincarnazione digitale a sua somiglianza dopo la morte. Un tale chatbot userebbe l’apprendimento automatico per rispondere ai messaggi di testo proprio come il deceduto fatto quando era vivo. 

Se qualcuno lasciasse molti dati vocali, anche quelli potrebbero essere usati per creare una sua rappresentazione vocale – qualcuno con cui parenti ed amici potrebbero parlare, tramite un telefono o un robot umanoide.

Microsoft non è l’unica azienda ad aver mostrato interesse per la resurrezione digitale. 

L’azienda di intelligenza artificiale Eternime ha creato un chatbot con intelligenza artificiale in grado di raccogliere informazioni – tra cui geolocalizzazione, movimento, attività, foto e dati di Facebook – che consente agli utenti di creare un avatar di se stessi che sopravviva all’utente dopo la sua morte. 

Potrebbe essere solo una questione di tempo prima che famiglie e amici possano decidere di rianimare le persone care decedute utilizzando tecnologie di intelligenza artificiale come Eternime.

Se chatbot e ologrammi provenienti dall’oltretomba diventeranno all’ordine del giorno, potrebbe essere necessario elaborare nuove leggi per gestirli?. Dopotutto, non sono pochi coloro cui resuscitare digitalmente qualcuno il cui corpo giace sotto una lapide sembra una violazione del diritto alla privacy.

Un’eterna esistenza in codice binario

Le leggi nazionali non sono coerenti sul modo in cui dati personali possono essere utilizzati dopo la morte. Nell’UE, la legge sulla privacy dei dati protegge solo i diritti dei vivi. Ciò lascia spazio agli Stati membri per decidere come proteggere i dati dei morti. Alcuni, come l’Estonia, la Francia, l’Italia e la Lettonia, hanno legiferato sui dati post-mortem. Il Regno Unito non lo ha fatto.

A complicare ulteriormente le cose, questi dati sono per lo più controllati da piattaforme online private come Facebook e Google. Questo controllo si basa sui termini di servizio che sottoscriviamo quando ci iscriviamo a queste piattaforme. Questi termini proteggono ferocemente la privacy dei morti.

Ad esempio, nel 2005, Yahoo! si è rifiutato di fornire i dettagli di accesso all’account di posta elettronica per la famiglia sopravvissuta di un marine statunitense ucciso in Iraq. La società ha sostenuto che i loro termini di servizio erano progettati per proteggere la privacy del marine. Alla fine un giudice ha ordinato alla società di fornire alla famiglia un CD contenente copie delle e-mail, creando un precedente legale nel processo.

Alcune iniziative, come Inactive Account Manager di Google e Legacy Contact di Facebook, hanno tentato di risolvere il problema dei dati post mortem. Consentono agli utenti in vita di prendere alcune decisioni su ciò che accade ai loro account, con tutti i dati che contengono, dopo la morte, sperando di evitare future brutte battaglie giudiziarie sui dati di persone. Ma queste misure non sostituiscono le leggi.

Un modo per migliorare la legislazione sui dati post-mortem è seguire l’esempio della donazione di organi. La legge britannica “opt out” sulla donazione di organi è particolarmente rilevante, poiché tratta gli organi dei morti come donati a meno che la persona non abbia specificato diversamente quando erano vivi. Lo stesso schema di esclusione potrebbe essere applicato ai dati post mortem.

Questo modello potrebbe aiutarci a rispettare la privacy dei morti e i desideri dei loro eredi, il tutto considerando i benefici che potrebbero derivare dai dati donati: i donatori di dati potrebbero aiutare a salvare vite proprio come fanno i donatori di organi.

In futuro, le aziende private potrebbero offrire ai membri della famiglia una scelta angosciosa: abbandonare alla morte la persona amata o invece pagare per farla rivivere digitalmente

Il chatbot di Microsoft potrebbe al momento essere troppo inquietante per essere tollerato, ma è un esempio di ciò che sicuramente.

E voi cosa ne pensate? Vi andrebbe bene resuscitare digitalmente dopo la vostra morte e continuare a vivere come un chatbot in un computer o un androide o preferireste, finalmente, l’eterno riposo?

Una nuova scoperta rafforza la teoria Mond

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Una nuova scoperta rafforza la teoria Mond
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Una distribuzione non uniforme delle stelle in diversi ammassi vicini può offrire la prova della MOND, una controversa teoria della gravità che contesta Newton e rifiuta l’esistenza della materia oscura.

Gli astronomi che osservano gli ammassi stellari nella nostra galassia hanno trovato prove che sfidano in modo controverso le leggi di gravità di Newton e potrebbero ribaltare la nostra comprensione dell’universo.

La sconcertante scoperta potrebbe supportare un’idea controversa che elimina completamente la materia oscura.

I ricercatori hanno trovato questa prova osservando ammassi stellari aperti o gruppi debolmente legati di un massimo di poche centinaia di stelle che si trovano all’interno di galassie più grandi. Gli ammassi stellari aperti hanno scie di stelle, note come “code di marea”, davanti e dietro di loro. Le osservazioni dei ricercatori indicano che tali ammassi hanno molte più stelle che si trovano nella direzione complessiva del loro viaggio attraverso lo spazio rispetto a quelle che si trascinano dietro.

Questo mette in discussione la legge di gravitazione universale di Newton, che suggerisce che dovrebbe esserci lo stesso numero di stelle in entrambe le code di marea.

“È estremamente significativo”, ha detto l’astrofisico Pavel Kroupa dell’Università di Bonn. Kroupa che è l’autore principale di uno studio, sostiene che le osservazioni sono la prova della dinamica newtoniana modificata (MOND), una teoria della gravità alternativa alla legge di gravitazione universale ampiamente accettata di Newton.

“Questa distribuzione irregolare delle stelle è evidente, ma non abbastanza estrema da coinvolgere qualsiasi tipo di materia oscura (una sostanza invisibile che si pensa eserciti una potente attrazione gravitazionale sulla materia visibile dell’universo)”, ha affermato Kroupa.

“Questa scoperta è fondamentalmente un punto di svolta, poiché distrugge tutto il lavoro svolto sulle galassie e sulla cosmologia che presuppone la materia oscura e la gravità newtoniana”. Ha dichiarato Kroupa.

Materia oscura?

La legge universale della gravitazione di Issac Newton, pubblicata nel 1687, afferma che ogni particella nell’universo si attrae a vicenda con una forza proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Albert Einstein in seguito incorporò questa legge nella sua teoria della relatività generale, che fu pubblicata nel 1915.

Ma Kroupa ha affermato che al tempo sia di Newton che di Einstein, gli astronomi non sapevano nemmeno che esistessero le galassie, e quindi MOND è stato sviluppato per aggiornarlo con le osservazioni.

MOND, nota anche come dinamica milgromiana dal nome dell’astrofisico Mordehai Milgrom che la sviluppò nei primi anni ’80, sostiene che le normali dinamiche newtoniane non si applicano alle scale molto grandi delle galassie e degli ammassi galattici, anche se la maggior parte degli astrofisici pensa di sì.

La principale conseguenza di MOND è che la materia oscura non esiste, un’idea che la maggior parte degli astrofisici respinge, ha dichiarato Kroupa. “La maggior parte degli scienziati rifiuta completamente Mond”, ha detto. “Molti scienziati non pensano che Mond sia serio, e quindi non prenderebbero in considerazione l’idea di guardarlo.”

Ammassi stellari

Nel loro studio, gli autori riportano le osservazioni di cinque degli ammassi stellari aperti più vicini alla Terra, comprese le Iadi, un gruppo approssimativamente sferico di centinaia di stelle che dista solo circa 150 anni luce dal nostro Sole.

I ricercatori hanno osservato che le stelle si erano accumulate nella coda di marea principale in tutti e cinque gli ammassi, mentre la maggiore discrepanza rispetto alle normali dinamiche newtoniane è stata osservata nell’ammasso delle Iadi, dove ci sono misurazioni migliori, ha detto Kroupa.

Le discrepanze osservate rafforzano la tesi della MOND, ma non possono essere il risultato dell’azione invisibile della materia oscura.

Studi futuri utilizzeranno dati più precisi sulle posizioni delle stelle provenienti da nuovi telescopi spaziali, come Gaia dell’Agenzia spaziale europea.

Tuttavia, poiché MOND non è ampiamente accettato da molti scienziati, i risultati del nuovo studio sono controversi.

Sabine Hossenfelder, astrofisica presso il Frankfurt Institute Advanced Studies, ha dichiarato di essere contenta di vedere i ricercatori che lavorano alle simulazioni gravitazionali di MOND. Ma “come ammettono loro stessi nel documento, stanno usando un calcolo approssimativo che deve essere confermato e non hanno quantificato quanto sia grande il disaccordo con i dati. Quindi penso che resta da vedere quanto sia valido questo argomento”, ha concluso Sabine Hossenfelder.

Fonte: Royal Astronomical Society

5 motivi per tornare sulla Luna e restarci

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5 motivi per tornare sulla Luna
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Oggi, dopo quasi 50 anni da quando l’ultimo uomo ha messo piede sulla Luna, c’è un crescente consenso tra le agenzie spaziali, compagnie private e ricercatori sulla necessità di tornarci di nuovo, e questa volta per restarci.

Negli ultimi anni, la comparsa di nuovi attori commerciali che sono entrati nella corsa allo spazio ha reso l’esplorazione spaziale nel suo insieme più economicamente sostenibile e le agenzie nazionali quali NASA, ESA, JAXA e molte altre hanno ripreso in mano e accelerato i piani per l’esplorazione lunare. da qui deriva la nuova spinta verso la Luna culminata, per ora, con la prima missione del programma Artemis della NASA in corso in questi giorni.

Discorso a parte meriterebbe l’agenzia spaziale cinese che da molti anni sta portando avanti il suo piano di esplorazione spaziale con progressi lenti ma costanti, arrivando negli ultimissimi anni a mettere in orbita una propria stazione spaziale e ad essere l’unico paese ad atterrare sulla Luna, sia pure con mezzi robotici, negli ultimi cinquant’anni, riuscendo perfino a riportare sulla Terra campioni di suolo lunare con la missione automatica Chang’e 5.

Tuttavia, per quanto questi sviluppi siano entusiasmanti, quali sono le loro implicazioni per il nostro futuro nello spazio? Ecco 5 motivi per cui dovremmo tornare sulla Luna e restarci…

La Luna è il nostro vicino più prossimo nello spazio

La Luna è a soli 384.400 km da noi. Si tratta di meno del 5% della distanza tra la Terra e il Sole e visitarla, visto che lo abbiamo perfino già fatto cinquant’anni fa con tecnologie molto meno performanti di quelle disponibili ora, è alla nostra portata.

Cinquant’anni fa, quasi chiunque avrebbe scommesso che nel 2022 la Luna sarebbe stata abitata da esseri umani industriosi e che sarebbe stata un centro industriale, di ricerca e turistico, oltre che un Hub per altre destinazioni nello spazio profondo, come Venere e Marte.

Le ragioni per cui ciò non è avvenuto sono prevalentemente di ordine economico e sociale. Al grande entusiasmo che seguì le prime missioni coronate dal successo del programma Apollo, seguì un certo disinteresse dell’opinione pubblica dovuto principalmente alla crisi economica che attanagliò l’occidente a metà degli anni ’70 e successivamente nessuna amministrazione se la sentì di spendere miliardi di dollari in un’impresa apparentemente fine a se stessa ma, oggi, grazie alla comparsa di compagnie private che hanno, per così dire, ottimizzato i costi, visitare la Luna è una sfida minore, sia dal punto di vista tecnologico che economico rispetto ad alcuni decenni faall’esplorazione di altri pianeti più lontani da noi.

La Luna dispone di risorse intonse e garantisce un ambiente ideale per la ricerca scientifica e tecnologia ed è senz’altro un’ottima base per mettere in pratica le tecnologie e le procedure che saranno necessarie per missioni più lontane nello spazio profondo.

Le missioni sulla Luna sono una porta d’accesso a destinazioni più lontane

La Luna non è solo la destinazione più vicina, ma anche un trampolino di lancio che può aiutarci a sviluppare e testare nuove tecnologie di esplorazione. Testarle in un ambiente a bassa gravità come la Luna può ridurre il rischio e il costo dello sviluppo e dell’impiego in ambienti più difficili. La distanza ridotta della Luna la rende anche un eccellente terreno di prova e di addestramento per altre missioni di lunga durata.

Ad esempio, la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è stata utilizzata come banco di prova per missioni spaziali di lunga durata. Una base lunare sarebbe un banco di prova ancora migliore per quelle tecnologie. Ciò consentirebbe di individuare e risolvere più facilmente eventuali criticità o problemi con le tecnologie.

C’è molta scienza da fare sulla Luna

La Luna è un luogo ideale per studiare la storia del sistema solare. La sua superficie è costituita per lo più dai detriti lasciati dalla formazione del Sistema Solare oltre 4,5 miliardi di anni fa. Il fatto che non ha atmosfera e la sua superficie non è stata rimescolata dalla tettonica a placche, come invece è avvenuto, e avviene, sulla Terra permetterà agli scienziati di capire molto di più sull’origine del sistema solare.

Questo può aiutarci a capire meglio da dove veniamo e dove stiamo andando. L’invio di sonde robotiche sulla Luna consente di raccogliere un’enorme quantità di dati ma nulla eguagli la raccolta sul campo. Potremo individuare vene di minerali ed imparare a sfruttarli localmente, inviando sulla Terra la metria prima o prodotti finiti; per questo, anche se gran parte del lavoro potrà essere svolto tramite sistemi automatizzati, saranno necessari ingegneri e tecnici.

La ricerca a bassa gravità ha già dato dei frutti interessanti nell’ambiente limitato della Stazione Spaziale Internazionale, i progressi che potremo fare nella chimica, nella medicina ed in un’infinità di altri campi. La presenza abbondante di Elio-3, un isotopo (lunare) non radioattivo che parrebbe essere il combustibile ideale per produrre energia nucleare in maniera sicura e pulita sulla superfie lunare, aprirà la strada allo sviluppo dei reattori a fusione nucleare di seconda generazione.

Addestrerà la prossima generazione di astronauti e ingegneri

Andare sulla Luna in modo sicuro, a lungo termine e sostenibile metterà alla prova le nostre capacità tecnologiche. Richiederà nuovi modi di lavorare e collaborare tra agenzie e organizzazioni spaziali, inaugurando, forse, un’era di pace tra le nazioni. Sfruttare le risorse della Luna non sarà facile, soprattutto all’inizio. Questo sarà un ottimo banco di prova per nuovi modi di lavorare e ci aiuterà a costruire le competenze e le capacità di cui abbiamo bisogno per le missioni più lontane, verso Marte, forse Venere e, successivamente, verso gli asteroidi, le lune di Giove e Saturno.

La Luna potrebbe essere una miniera d’oro per la scienza e il commercio

Se la presenza di ghiaccio d’acqua verrà confermata nell’abbondanza prevista, la Luna potrà raggiungere, con il tempo, una quasi completa autonomia, dal ghiaccio si può ricavare non solo l’acqua ma anche ossigeno ed idrogeno, utili per respirare (ovviamente) ma anche come propellente per le astronavi che un giorno faranno la spola con il Lunar Gateway, una stazione spaziale in orbita lunare che dovrebbe essere completata nel 2028, e con la Terra; senza contare che lanciare un’astronave verso il sistema solare esterno dalla Luna sarebbe molto più economico che dalla terra.

La Luna, inoltre, potrà essere una vera miniera d’oro non solo per la scienza ma anche a livello commerciale: sarà possibile svolgervi un’ampia gamma di attività scientifiche e commerciali che andranno dall’estrazione  di materie prime, alla raffinazione delle stesse fino alla produzione di prodotti finiti. Da quanto ne sappiamo sulla Luna sono presenti titanio, oro, palladio, iridio, uranio ma anche minerali comuni come il ferro, il nichel e l’alluminio.

Non si può poi dimenticare l’industria del turismo. Già ora le compagnie private come SpaceX e Blue Origin organizzano viaggi turistici nello spazio e a breve anche alla stazione spaziale internazionale. C’è da scommettere che appena i costi saranno accessibili saranno molte di più le compagnie private che vorranno sfruttare i panorami del nostra satellite e la bassa gravità a fini turistici.

Conclusione

In realtà sono molti di più i motivi validi per tornare e rimanere sulla Luna. È la destinazione più vicina, più facile e più economica del sistema solare. Sarà davvero la nostra porta per lo spazio, l’occasione per cambiare radicalmente la nostra economia e, un giorno non lontanissimo, ci darà la possibilità di fare in modo che non ci siano più carenze di materie prime.

Potremo diventare una specie interplanetaria.

Orion sta per entrare in orbita lunare. A minuti il Flyby – video in diretta

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Orion sta per entrare in orbita lunare. A minuti il Flyby
Orion sta per entrare in orbita lunare. A minuti il Flyby
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La capsula Orion della missione Artemis I si sta apprestando ad effettuare il suo primo flyby della Luna per poi entrare in orbita.

L’astronave passerà a soli 140 chilomentri dalla superficie lunare, poi allontanerà entrando in orbita intorno al nostro satellite.

Molto suggestiva l’immagine di copertina, ripresa mentre Orion sta per passare dietro la Luna, in cui si vedono sia parte del corpo della capsula, sia la Luna che, sullo sfondo in basso, la sfera blu e bianca della Terra.

Per chi fosse interessatoa  seguire le fasi dell’avvicinamento, la MASA ha reso disponibile lo stream in diretta che trovate qui sotto. Ricordiamo che mentre Orion sarà dietro la Luna il collegamento con la capsula cadrà per riprendere quando questa emergerà dall’altro lato del nostro satellite.

Ricordiamo che il 25 novembre, in occasione del passaggio di passimo avvicinamento di Orion alla Luna, Reccom Magazine effettuerà una diretta per commentare insieme le varie fasi.