Il mostro della palude di Sesto San Giovanni

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di Oliver Melis

La notte di maggio, tra domenica 22 e lunedì 23 del 1966 giunse una telefonata presso il Commissariato di Polizia di Sesto San Giovanni. La voce al telefono invitava la Polizia a recarsi presso una strada di periferia, adiacente ad un’area paludosa posta dietro le mura della grande acciaieria Falck, in quanto era stato avvistato uno strano animale.

Gli agenti non furono i primi a giungere sul posto, erano stati preceduti da un gruppo di persone che aveva aperto una vera e propria caccia al mostro, illuminando l’area con torce elettriche e con i fari delle auto.

Il Corriere della Sera uscito il 23 raccontò che alcuni abitanti avevano sentito un serpente antidiluviano che emetteva “ululati” all’imbrunire, dopo l’accensione dell’illuminazione notturna stradale.

Nessuno però affermò mai di aver avvistato il mostro in nessun punto della palude.

Le ricerche proseguirono tutta la notte e vennero riprese il mattino del lunedi. Dal comune giunsero alcuni tecnici e il commissario di Sesto dell’ENPA (Ente Nazionale per la Protezione degli Animali), Luigi Rossi, che ipotizzò che l’animale fosse giunto nella palude dal Lambro, che scorre a poco più di un chilometro ad est di quel punto.



Oggi quei piccoli specchi d’acqua non ci sono più e un muro di recinzione separa la strada dall’area verde posta alle spalle dell’ex-acciaieria, teatro del presunto avvistamento che generò una sorta di mania che si protrasse per una settimana.

Non ci sono molte notizie sulla storia del mostro ma forse la caccia durò fino al 24 maggio, mentre grazie a un articolo del Corriere della sera abbiamo notizie certe il 25 maggio, un articolo scritto dal corrispondente Bruno Lucisano, che poi diventerà un ottimo divulgatore di notizie scientifiche e mediche in particolare.

L’animale aveva una caratteristica, urlava in modo agghiacciante e, a quanto si racconta, la notte del 25 almeno 3000 persone si radunarono nei pressi della palude illuminando la zona con falò e torce elettriche; una trentina, tra i più coraggiosi, almeno cosi si legge, armati di bastoni, mazze e sbarre di ferro diedero la caccia al presunto mostro addentrandosi nella palude, la polizia intervenne regolando il traffico e imponendo il silenzio.

La ricerca proseguì finché il presunto mostro non lanciò di nuovo e per tre volte il suo urlo. Stavolta quasi una sfida.

il fatto scatenò la folla. Decine di persone si gettarono nell’acquitrinio. Qualcuno diede fuoco alle sterpaglie. Arrivarono altre pattuglie della “Volante” con il commissario capo Benvegna; Anche i Vigili del Fuoco furono inutilmente coinvolti. Fortunatamente non si verificarono incidenti.

Il mostro, però, non fu stanato.

La mattina del 24 o del 25, non sappiamo con esattezza, vennero ritrovati i poveri resti del cane dell’uomo che nella notte fra il sabato 21 e domenica 22 era stato il primo a sentire “le urla del mostro”. Secondo il cronista del Corriere, il cane presentava dei segni che facevano pensare a unghiate e altri segni per i quali si ipotizzò che il cane fosse stato azzannato e finito a morsi…

Ma da chi?

Nonostante le centinaia di persone coinvolte nella ricerca, nessuno vide né vedrà mai niente. L’essere veniva descritto solo in base agli “ululati”.

Ma la storia prese una piega differente, quando da Roma, un divulgatore di argomenti zoologici, molto noto grazie alla tv, Angelo Lombardi (1910-1996), decise mettere una taglia di 50.000 lire sull’animale. Secondo il Lombardi l’essere non era altro che una  rana-toro, la sua idea fu condivisa anche da Luigi Rossi, della Protezione animali sestese.

All’epoca, come oggi, nella zona, le rane-toro non erano presenti, quindi tra diversi esperti si accese un dibattito sull’ipotesi.
Ormai la psicosi aveva raggiunto il culmine quando nella giornata del 26 i vigili del fuoco decisero di svuotare la palude ma, anche loro, una volta terminate le operazioni non trovarono nulla e un graduato dichiarò: “il mostro è fuggito o non è mai esistito”.

Come volevasi dimostrare, la mattina del 27 il Corriere scriveva che nella serata del giorno 26 due abitanti di Sesto si presentarono con “il mostrouna rana-toro di 700 grammi catturata proprio nella palude. L’esemplare fu portato al centro culturale di via Cavour, dove la gente accorse per vederlo.

Poi la signora Maria Molinar (1901-1978), direttrice dello zoo dei Giardini Pubblici milanesi di via Manin, chiese che le fosse portata, cosa che i due operai fecero la sera del 27 (Corriere della Sera, 28 maggio 1966).
Da li in poi i ritrovamenti di rane-toro si susseguirono, infatti nella tarda serata del 26 un muratore sedicenne di Cinisello ne trovò una seconda, ma poi “sparì insieme con l’esemplare” (Corriere d’Informazione, 27-28 maggio).

Secondo una ricostruzione il giovane aveva “girato tutta la città per far vedere la sua preda”, fino a quando uno sconosciuto che si sarebbe qualificato come “agente di pubblica sicurezza” non la sequestrò (Corriere della Sera, 28 maggio).
In seguito un terzo individuo dichiarò che poteva essercene un’altra perché Un anno prima ne aveva portate tre, due delle quali femmine, in modo che si riproducessero nello stagno dove le aveva gettate (Corriere d’Informazione del 27-28 maggio e Corriere della Sera del 30 maggio).

Il mistero però continuava a permanere in quanto il primo esemplare, quello portato allo zoo dei Giardini pubblici di Milano, secondo gli esperti del Museo Civico di Storia Naturale non era un’autentica rana-toro, ma soltanto una rana comune, sia pure di dimensioni considerevoli.
La spiegazione della rana-toro non fu accettata da tutti e si faceva sempre più strada la leggenda metropolitana secondo la quale il mostro era un serpente leggendario:

…una giovane sposatasi di recente… diceva: “non è una rana-toro; è un bisso (N.d.R., biscia). Ce n’era uno in uno stagno a Besana, dove sono nata. Ogni notte urlava come il mostro di questo acquitrino. Era lungo un metro e mezzo e a strisce bianche e nere e grosso come un bambino e aveva un brillante in bocca. Un giorno un cacciatore l’uccise e gli strappò il brillante dalla bocca. Ma tre giorni dopo il cacciatore è morto di un male misterioso. Tutti a Besana conoscono la storia del bisso e del cacciatore”.

Le voci di un “mostro dello stagno” però non erano nuove, già nel maggio 1957, presso lo specchio d’acqua di Santa Maria Codifiume, vicino ad Argenta, nel Ferrarese, un “mostro muggente” con occhi fosforescenti e grossa testa attrasse una vera e propria folla sulle rive.

Fu identificato con una rana-toro (Corriere della Sera, 21 maggio 1957).

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