Diritto di vita e di morte

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di Massimo Zito per Reccom Magazine

La vicenda di Charlie, il bambino inglese di dieci mesi cui sarà staccata la spina degli apparecchi che lo tengono in vita, è una vicenda emblematica rispetto alle nuove tendenze dell’etica e dei diritti.

Una volta si lottava per il diritto a poter scegliere se e quando staccare la spina, per sospendere l’accanimento terapeutico e per poter morire con dignità, secondo la volontà del paziente o, in mancanza di una volontà chiaramente espressa, nel caso di pazienti in coma profondo, secondo la volontà dei genitori. Ricordiamo tutti, in Italia, il caso Englaro ed il caso Coscioni e, più di recente, il caso di DJ Fabo, con le lotte dei familiari o del paziente per poter staccare le macchine o ottenere una morte “dolce”.

Oggi la prospettiva si è rovesciata.

Il caso del piccolo Charlie ci presenta una situazione in cui ad un bimbo piccolissimo, dieci mesi, affetto da una rarissima malattia di origine genetica che non lascia speranza, i medici impongono di staccare la spina dell’apparecchio respiratore che lo tiene in vita contro il parere dei genitori e la giustizia inglese dà loro ragione. Perfino l’alta corte europea per i diritti umani non s’impiccia e permette che la terribile sentenza diventi operativa, nonostante che i genitori si siano offerti di pagare le spese necessarie per tenere in vita il bambino e per trasferirlo presso una struttura americana dove sarebbe stato possibile sottoporlo ad una terapia sperimentale.

Non conosco i particolari clinici del caso, so, però, che la sindrome da deperimento mitocondriale, da cui è affetto il bambino, causa un progressivo indebolimento dei muscoli che compromette subito la capacità respiratoria che deve essere, quindi, sostenuta da strumenti meccanici. Di questa patologia di origine genetica sono noti solo 16 casi in tutto il mondo, uno anche in Italia e, al momento, non esiste cura efficace; l’unica possibilità è offerta da questo trattamento sperimentale che si pratica negli Stati Uniti per accedere al quale i genitori erano ricorsi al crowfunding raccogliendo un milione e quattrocentomila sterline. Nonostante il parere dei genitori, i medici inglesi hanno stabilito che per il bambino non c’è speranza e che soffre troppo per sottoporlo a ulteriori sofferenze con questa sorta di accanimento terapeutico. Dall’altra parte, gli stessi medici sostengono che il bambino non è in grado di sentire nulla e, una volta sospesa l’assistenza respiratoria, passerà dalla vita alla morte senza accorgersene.



C’è un’evidente contraddizione ma, più ancora, ciò che mi colpisce è il salto di qualità sul fine vita cui stiamo assistendo: non sono più i parenti a decidere se e quando staccare la spina ma sono i medici a decidere di sospendere l’accanimento terapeutico, anche contro l’opinione dei genitori.

Di fatto, oggi, si sancisce che non siamo più padroni della nostra vita né lo sono i nostri parenti più stretti nel caso noi non si sia in grado di esprimere la nostra opinione.

Da un lato io capisco i medici che non intendono proseguire in un accanimento terapeutico a loro parere inutile, dall’altro mi metto anche nei panni dei genitori che, giustamente si aggrappano ad ogni briciola di speranza e vorrebbero poter provare anche una cura sperimentale, anche se non offre nessuna garanzia.

Ora, dicono i genitori, quei soldi raccolti serviranno alla creazione di una fondazione dedicata la piccolo Charlie che si occuperà di finanziare la ricerca per queste malattie così rare da non essere prese in considerazione dalla ricerca farmaceutica.

È difficile dire chi abbia ragione, sono legittime le rimostranze dei genitori così come le indicazioni dei medici che, però, a mio avviso non dovrebbero poter essere vincolanti.

L’unica certezza che deriva da questa vicenda è che si stabilisce un precedente preoccupante per il quale, da adesso, a contare più della volontà del malato o di chi ne esercita la patria potestà saranno le decisioni di uno staff medico, condizionate dalle politiche economiche della struttura in cui esercita e sancite da un giudice che è espressione di una giustizia forse giusta ma, sicuramente, molto, forse troppo, priva di umanità.

Aggiornamento 01/07/2017: È passato un giorno dalla data stabilita per l’eutanasia del piccolo Charlie e, per il momento, i medici inglesi non hanno eseguito la sentenza e hanno dato un po’ più di tempo ai genitori per stare con il bambino. A quanto pare l’enorme pressione mediatica sollevata dal caso a qualcosa è arrivata. Vi terremo aggiornati sugli sviluppi.

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