Ultrasuoni ed ecolocalizzazione

Come per la luce, anche per il suono ci sono frequenze che il nostro apparato uditivo non è in grado di decodificare, si tratta degli ultrasuoni.

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Per comprendere meglio cosa sono gli ultrasuoni e come funziona esattamente l’ecolocalizzazione dobbiamo partire dalle proprietà del suono. Il suono nasce da una vibrazione che causa, alternativamente, compressione e decompressione dell’aria, in parole povere un’onda di pressione.
Le vibrazioni iniziali delle molecole d’aria provocate da un qualsiasi fenomeno (uno sparo, la marmitta di un’automobile, della musica etc.) si trasmettono alle molecole vicine, e così via, attraverso una sorta di contagiosi urti. E quando l’onda di pressione raggiunge le nostre orecchie, fa vibrare il timpano: questa sollecitazione è “tradotta” dal cervello come informazione sonora.
L’orecchio umano però non è “abilitato” per decodificare tutte le intensità delle vibrazioni sonore, come per la radiazione elettromagnetica che ci permette di vedere soltanto una parte della luce, così il nostro udito è “attrezzato” per sentire solo tra le 20 e le 20 000 vibrazioni sonore al secondo. Di solito si misurano in hertz che equivale a 1 vibrazione al secondo.
La frequenza che segna il confine tra i suoni percepibili e gli ultrasuoni è collocata in 20 kHz. In natura ci sono diversi animali che utilizzano gli ultrasuoni per orientarsi nell’ambiente circostante, su tutti i pipistrelli e i delfini. Alcune specie di delfini riescono a decodificare ultrasuoni superiori ai 200.000 hertz!
La capacità di utilizzare gli ultrasuoni per muoversi nell’ambiente circostante, catturare prede ed evitare pericoli è una delle caratteristiche più affascinanti dei pipistrelli. Questi mammiferi volanti producono attraverso la laringe degli ultrasuoni che “espellono” attraverso il naso. Gli ultrasuoni emessi, come in una sorta di sonar “scandagliano” l’ambiente e ritornano verso gli sviluppatissimi padiglioni auricolari di questi animali.
Semplificando questo è il principio della ecolocalizzazione termine coniato nel 1938 dallo scienziato americano Donald Griffin. Un ruolo fondamentale in questo processo lo gioca la velocità del suono, enormemente più bassa di quella della luce, questa “lentezza” consente ai pipistrelli di calcolare la distanza fra loro e gli ostacoli e anche la forma di questi ultimi: riuscendo infatti a distinguere due echi in arrivo con pochi milionesimi di secondo di differenza l’uno dall’altro.
Gli ultrasuoni rendono trascurabile il fenomeno della diffrazione ovvero l’effetto associato alla deviazione della traiettoria di propagazione delle onde quando queste incontrano un ostacolo sul loro cammino. È tipica di ogni genere di onda, come il suono, le onde sulla superficie dell’acqua o le onde elettromagnetiche come la luce o le onde radio.
Gli ultrasuoni rivestono una grande importanza per molte applicazioni che riguardano ambiti profondamente diversi, dai sistemi di navigazione alla diagnostica sanitaria. Il primo apparecchio in grado di produrre onde sonore ad alta frequenza risale al 1917, grazie agli studi del francese Paul Langevin. Grazie a esse nel 1941 l’americano Frederick Hunt, realizzò il primo sonar, cioè un apparecchio per la navigazione e la determinazione delle distanze tramite il suono. Nel 1958 l’inglese Ian Donald sviluppò la tecnica del sonar per ottenere immagini dall’interno del ventre di una donna incinta (ecografia).
Le frequenze utilizzata in campo medico sono altissime e superano perfino i 10 milioni di hertz. In un esame ecografico di 10 minuti si producono tante immagini da poter riempire 6.000 cd-rom.