Se vivessimo in una realtà virtuale come potremmo capirlo?

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Molti di voi ricorderanno in Matrix dei fratelli Wachowski la scena in cui Morpheus spiega allo sbigottito Neo che il mondo in cui vive è un mondo illusorio creato per evitare che gli esseri umani scoprano che essi sono schiavi di un’influenza esterna.

Tendendo una capsula su ciascuno dei suoi palmi, egli descrive la scelta di fronte a Neo:
Questa è la tua ultima possibilità. Dopo questo, non si può tornare indietro. Se prendi la pillola blu , ti svegli nel tuo letto e continuerai a credere in quello che vuoi credere. Se prende la pillola rossa ti mostrerò quanto è profonda la tana del bianconiglio. Ricorda: tutto quello che sto offrendo è la verità. Niente di più”.

Un articolo pubblicato su Scientific American, firmato da Caleb Scharf, un astronomo e astrobiologo della Columbia University, New York, prende nuovamente in considerazione la cosiddetta “ipotesi della simulazione” ovvero quella teoria che ci vorrebbe espressioni di una realtà virtuale progettata da una civiltà aliena super evoluta o da esseri umani di un futuro remotissimo (ipotesi degli antenati).

In altri termini questi alieni avrebbero replicato il nostro intero universo su un computer o analogo strumento tecnologico dall’inconcepibile potenza per i nostri standard conoscitivi. Insomma, non saremmo altro che un impasto di pixel ed algoritmi. Lo scopo di questa simulazione? Le ipotesi più gettonate fanno riferimento a motivi di “studio” ma soprattutto ad un incredibile gioco di simulazione per i membri di questa civiltà tecnologicamente avanzatissima, una sorta di “The Sims” portato all’estremo di simulare un intero universo.

Se la nostra realtà fosse “una finzione” tecnologica come potremmo intuirlo? Un’ipotesi è quella di far crashare il sistema. Il problema è che se fai andare in crash un qualunque sistema, questo, almeno nella maggior parte dei casi, può essere fatto ripartire dal punto precedente al crash. E’ quindi ovvio pensare che gli autori di questa imponente simulazione abbiano previsto questa eventualità e quindi non saremmo in grado di scoprire niente.

L’ipotesi che Scharf suggerisce per evitare questa evenienza è che più che un crash del sistema dovremmo provocare un stack overflow. Tecnicamente è una condizione in cui un sistema richiede una quantità di memoria troppo elevata, maggiore di quella installata nel computer usato per la simulazione. Chiedendo più memoria si creerebbe un processo ricorsivo infinito o comunque eccessivo e ciò potrebbe creare dei glitch, rallentamenti o comunque degli errori nel sistema.

E questi ultimi potrebbero essere individuabili.

La questione diventa quindi come potremmo creare le condizioni di uno stack overflow all’interno del nostro universo simulato? Scharf suggerisce che il modo migliore è creare a nostra volta una simulazione del cosmo in cui viviamo, in cui un ulteriore sistema crea un’altra simulazione del genere, e così via, fino ad esaurire le risorse di memoria del sistema.

Naturalmente questa “strategia” per altro molto dispendiosa sarebbe vanificata se i nostri “creatori” avessero previsto anche questa eventualità.

L’ipotesi della “grande simulazione” è anche uno dei circa 80 modi per spiegare il paradosso di Fermi (dove sono tutti quanti?): non abbiamo alcun contatto con razze aliene, perché loro ci osservano dall’esterno della simulazione, creata probabilmente per puro divertimento.

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