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Onde gravitazionali e luce viaggiano a velocità diverse?

La fusione di due stelle di neutroni, rilevata da LIGO e VIRGO il 17 agosto 2017, sembrava evidenziare che le onde gravitazionali emesse avevano viaggiato più velocemente della luce. Ma era proprio così? Scopriamolo...

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Esiste una regola importante della relatività, che tutti gli oggetti devono rispettare. Se, durante un viaggio nel vuoto spaziale, una particella non è dotata di massa a riposo, essa è vincolata a viaggiare alla velocità della luce. Questa regola è esattamente vera per tutte le particelle senza massa, come i fotoni e i gluoni; è approssimativamente vera per quelle particelle la cui massa è molto piccola rispetto alla loro energia cinetica, come i neutrini, e dovrebbe essere vera anche per le onde gravitazionali.
Anche se la gravità non ha una natura quantistica, se le attuali leggi della fisica sono corrette, la sua velocità dovrebbe essere esattamente uguale a quella della luce. E tuttavia, quando è stata osservata per la prima volta la fusione tra due stelle di neutroni, da cui si sono generate onde gravitazioni e luce, le onde gravitazionali sono arrivate al punto di osservazione in anticipo di circa 2 secondi. Cerchiamo di capire il perché di questo risultato.
Il 17 agosto 2017, sulla Terra è stato rilevato il segnale di un evento avvenuto 130 milioni di anni indietro nel tempo. Da qualche parte all’interno della lontana galassia NGC 4993, due stelle di neutroni si sono trovate a orbitare una attorno all’altra a velocità prossime a quelle della luce. Nel loro moto orbitante, le stelle hanno distorto il tessuto dello spazio, sia a causa della loro massa, che per il loro moto relativo rispetto allo spazio curvato attraverso il quale si muovevano.
Quando delle masse accelerano in prossimità di uno spazio curvo, esse emettono delle piccole quantità di radiazione, che risulta invisibile a ogni tipo di telescopio: si tratta di radiazione gravitazionale, e non elettromagnetica. Queste onde gravitazionali si comportano come delle increspature nel tessuto spaziotemporale, trasportano energia fuori dal sistema e provocano il decadimento delle orbite delle masse. Vi è stato un momento critico in cui questi due residui stellari hanno spiraleggiato così vicino che si sono toccate, e ciò che ne è seguito ha rappresentato una delle più spettacolari scoperte scientifiche di tutti i tempi.
Subito dopo la collisione, il segnale collegato alle onde gravitazionali si è istantaneamente interrotto. Tutto ciò che i rilevatori LIGO e VIRGO sono riusciti a osservare, si riferisce alla fase orbitante delle due stelle, fino a quel momento, seguita dal totale silenzio gravitazionale. Secondo i migliori modelli oggi disponibili, il fenomeno osservato è da ascriversi alla fusione di due stelle di neutroni, che si è concluso con la formazione di un buco nero.
L’aspetto sorprendente di tutto ciò è che, 1,7 secondi dopo che era cessato il segnale connesso all’onda gravitazionale, fu rilevato il primo segnale elettromagnetico: dei raggi gamma, provenienti da un enorme lampo. Dalla combinazione dei dati elettromagnetici e dell’onda gravitazionale, è stato possibile individuare con estrema precisione la localizzazione dell’evento: ovvero, la galassia NGC 4993.
Nelle settimane successive, quasi 100 osservatori sparsi sull’intero globo riuscirono a osservare la luce proveniente dal bagliore di questa spettacolare fusione di stelle di neutroni.
L’aspetto sensazionale di questo evento è che esso si è verificato circa 130 milioni di anni indietro: quella luce ha impiegato 130 milioni di anni per raggiungere i nostri telescopi. Dal verificarsi della fusione fino a oggi, quindi per 130 milioni di anni, la luce e le onde gravitazionali hanno viaggiato attraverso l’universo, con l’unica velocità che avrebbero potuto raggiungere – la velocità della luce e quella della gravità, rispettivamente – fino a raggiungere la Terra. Dapprima sono arrivate le onde gravitazionali, provenienti dalla fase a spirale, causando lo spostamento degli specchi, posti sui rilevatori di onde gravitazionali, di meno di un decimillesimo delle dimensioni di un singolo protone. Successivamente, circa 1.7 secondi dopo che il segnale dell’onda gravitazionale si era esaurito, è arrivata la prima luce legata all’evento.
Questa situazione diede subito agli scienziati la possibilità di effettuare la misurazione più precisa della velocità gravitazionale mai realizzata fino ad allora: era uguale alla velocità della luce con una precisione superiore a una parte su 10^15, perché ci vogliono circa 4 x 10^15 secondi per coprire la distanza di 130 milioni, ed esse arrivarono con una distanza temporale di meno di 2 secondi l’una dall’altra. Prima di questo importante fenomeno, la comunità scientifica aveva delle ottime ragioni teoriche per affermare che la velocità della gravità era uguale a quella della luce, con l’unico vincolo che le due velocità dovevano essere uguali dentro un margine di errore dello 0,2%.
Questo quindi potrebbe significare che la velocità della gravità e quella della luce non sono uguali. Potrebbe verificarsi che, o la gravità ha una velocità leggermente superiore a c, il valore della velocità della luce nel vuoto, oppure che la stessa luce potrebbe avere una velocità leggermente inferiore a c, come se possedesse una massa a riposo piccolissima, ma comunque diversa da zero. Si tratterebbe di una rivelazione straordinaria, ma poco probabile. Se quanto sopra ipotizzato fosse vero, fasci di luce a energia diversa (e quindi con lunghezze d’onda diverse) avrebbero velocità diverse, ma questa situazione non è coerente con le osservazioni.
In altre parole, se la luce avesse una massa a riposo diversa da zero, e quella massa fosse abbastanza pesante da spiegare perché le onde gravitazionali sono arrivate 1,7 secondi prima della luce, dopo aver viaggiato per 130 milioni di anni attraverso l’universo, allora dovremmo osservare delle onde radio che si spostano con una velocità molto più bassa di quella della luce: un valore così basso da non essere consistente con tutte le osservazioni realizzate finora.
Ma comunque, non ci sono problemi. Si tratta semplicemente di focalizzare l’attenzione sugli oggetti che si stanno fondendo insieme, sulla fisica che entra in gioco nel meccanismo, e sui segnali che ci aspettiamo vengano prodotti dall’evento. Questo lavoro è stato fatto per quanto riguarda le onde gravitazionali, riuscendo a dettagliare come esse si siano prodotte durante la fase spiraleggiante e siano cessate una volta che la fusione ha avuto luogo. Adesso, si tratta di sviluppare lo stesso lavoro sulla luce.
Prima che queste due stelle di neutroni si toccassero, non era stata prodotta alcuna luce extra. Esse apparivano semplicemente come due tipiche stelle di neutroni: deboli, con alte temperature e con delle superfici ridotte, e completamente non rilevabili con i telescopi disponibili. Le stelle di neutroni non sono come i buchi neri; non sono dei punti nello spazio. Esse, invece, sono degli oggetti compatti – con un diametro che oscilla tra i 20 e i 40 chilometri – ma molto più dense di un nucleo atomico. Esse sono chiamate stelle di neutroni perché sono costituite per il 90% da neutroni, con altri nuclei atomici e qualche elettrone nelle regioni esterne.
Quando due stelle di neutroni collidono, si possono verificare tre situazioni:

  1. Si può formare un’altra stella di neutroni, se la massa totale è 2,5 volte la massa del Sole;
  2. Si può formare una nuova stella di neutroni, che però collassa rapidamente in un buco nero, se la massa totale ha un valore tra 2,5 e 2,8 volte la massa solare;
  3. Si può formare direttamente un buco nero, senza nessuna stella di neutroni intermedia, se la massa totale è superiore a 2,8 volte la massa del Sole.

Dal segnale dell’onda gravitazionale associata a questo evento, ufficialmente denominata GW170817, sappiamo che l’evento rientra nella seconda categoria: il segnale della fusione e del momento successivo a essa è esistito per poche centinaia di millisecondi prima di scomparire definitivamente, il che suggerisce che una stella di neutroni si era formata per un breve arco di tempo prima della formazione di un orizzonte degli eventi, che ha inglobato il tutto.
E nonostante questo, comunque dall’evento vi è stata l’emissione di una quantità di luce. Ci chiediamo come si sia generata la luce che è stata osservata. Anche in questo caso vi possono essere tre possibilità:

  1. La luce si è formata immediatamente dopo che le stelle di neutroni si sono toccate, per effetto di un processo avvenuto nelle loro superfici;
  2. La luce si è formata dall’emissione di materiale, che è entrato in collisione con altro materiale circostante producendo da questa interazione fasci di luce;
  3. La luce si è formata all’interno delle stelle di neutroni, dove le reazioni producono energia che viene emessa solo quando si propaga all’esterno.

In ognuno dei tre scenari, una volta che il segnale è stato generato, le onde gravitazionali viaggiano imperturbate, mentre la luce impiega un po’ più di tempo per evidenziarsi.
Se fosse vera la prima ipotesi, ovvero che la fusione delle stelle di neutroni genera la luce non appena esse si toccano, la luce sarebbe emessa immediatamente e quindi il ritardo dovrebbe essere dovuto al passaggio della luce attraverso l’ambiente che circonda la stella di neutroni. Un ambiente che dovrebbe essere denso di materia, poiché ogni stella di neutroni che si muove ad alte velocità, con la presenza di particelle cariche sulla sua superficie e intensi campi magnetici, deve rimuovere ed espellere la materia contenuta nell’altra stella.
Se fossero vere la seconda e la terza ipotesi, le stelle di neutroni che si fondono generano luce dal loro interno, ma quella luce viene emessa solo dopo che sia trascorso un certo arco di tempo, per i seguenti motivi: o perché il materiale emesso collide con la materia che circonda le stelle, o per il tempo che impiega la luce, generata dentro la stella, a raggiungere la superficie della stessa. In entrambe le circostanze, inoltre, è possibile che possano verificarsi sia l’emissione ritardata che l’arrivo ritardato dovuto al materiale circostante.
Ciascuno di questi scenari potrebbe facilmente spiegare il ritardo di 1,7 secondi dell’arrivo della luce rispetto alle onde gravitazionali. Ma il 25 aprile 2019, è stata osservata un’altra fusione tra due stelle di neutroni in onde gravitazionali; in questo caso il sistema delle due stelle aveva una massa superiore alla GW170817. In questo caso, non è stata rilevata alcuna emissione di luce, quindi, lo scenario che prevede la creazione di luce immediatamente dopo il contatto, viene escluso. Invece, viene verificato il ritardo dell’emissione di luce rispetto all’emissione di onde gravitazionali.
Con due sole osservazioni della fusione di stelle di neutroni attraverso l’emissione di onde gravitazionali, possiamo dire quanto sia diventata precisa l’astronomia delle onde gravitazionali. Aggiungendo alle osservazioni precedenti, quelle provenienti dall’evento del 2017, si è potuto constatare che un’ampia frazione degli elementi che si trovano nell’universo – tra cui oro, platino, iodio e uranio – provengono dalla fusione di queste stelle di neutroni.
Ma non tutto deriva dalla fusione di queste stelle; probabilmente vengono coinvolte solo quelle stelle che non danno subito vita a un buco nero. Per produrre questi elementi, e quindi la luce associata a un’esplosione di chilonova, è necessario che ci sia del materiale espulso o delle reazioni all’interno delle stelle di neutroni. La luce viene prodotta solo dopo che il segnale dell’onda gravitazione si è esaurito, e potrebbe essere ritardata a causa del suo passaggio attraverso il materiale circumstellare. Questo spiega perché, sebbene la luce e la gravità si muovano nel vuoto entrambe alla velocità della luce, la luce che viene osservata arriva dopo circa 2 secondi la fine dell’onda gravitazionale. Aggregando e osservando sempre più eventi simili a questo, sarà forse possibile un giorno fornire una descrizione definitiva di questo scenario!
 
Fonte: forbes.com

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