La scoperta di Troia – seconda parte

Concludiamo il racconto di una delle imprese più leggendarie della storia dell'archeologia: la scoperta della città di Troia

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La scoperta di Troia - seconda parte
La scoperta di Troia - seconda parte

Con il nostro racconto siamo rimasti alla scoperta di uno strato delle molte città di Troia che Schliemann erroneamente aveva interpretato come la città assediata e poi distrutta dai greci a causa del rapimento della bella Elena da parte di Paride (o Alessandro, cosi viene anche chiamato) principe troiano.

Proseguendo negli scavi in modo dissennato Schliemann danneggiò seriamente un palazzo risalente al periodo storico che stava ossessivamente cercando. Con il tempo emerse che alcune descrizioni di questi straordinari ritrovamenti erano stati artefatti ed abbelliti dall’archeologo tedesco, a partire dalla presenza della giovane moglie Sophia, durante il ritrovamento del tesoro di Priamo.

Sophia non si trovava nemmeno sul posto il giorno in cui Schliemann afferma di aver rinvenuto il tesoro. I suoi stessi diari e quaderni dimostrano che si trovava invece ad Atene. Inoltre molti studiosi affermano che il famigerato tesoro di Priamo non sia altro che l’accozzaglia di innumerevoli reperti trovati in tempi e luoghi diversi nei siti oggetto degli scavi.

Oggi il Tesoro di Priamo è esposto al Museo Puškin di Mosca, e lì rimane, nonostante sia rivendicato da ben quattro paesi: l’Armata Rossa durante l’ultimo assalto alla Germania Nazista se ne era impossessata con la giustificazione che rappresentava un sia pur piccolo indennizzo alle devastazioni effettuate dalle armate hitleriane in Unione Sovietica nel corso di quattro anni di crudele e drammatica guerra.

Schliemann che nel frattempo aveva aperto un sito di scavi a Micene alla ricerca dei resti di Agamennone continuò a scavare nel sito dove erano affiorate le città troiane per un ventennio ancora, avvalendosi dell’aiuto di Wilhelm Dörpfeld, architetto con una certa esperienza in campo archeologico, il quale riuscì a convincerlo dell’errore commesso, e del fatto che lo strato corretto da prendere in esame era Troia VI o VII.

Schliemann cominciò quindi a pianificare un ulteriore assalto alla collina di Hissarlik mirando agli strati successivi, ma il giorno di Natale del 1890 fu colto da un malore per le strade di Napoli e l’indomani morì.



Spettò a Dörpfeld, con l’aiuto finanziario della vedova di Schliemann, continuare gli scavi e quando individuò le rovine di Troia VI, risalenti ad un periodo compreso tra il 1700 ed il 1250 a.e.v. si convinse che quella era la Troia sconfitta da Ulisse e dal suo cavallo di legno. Non tutti gli studiosi furono però d’accordo con le argomentazioni di
Dörpfeld.

Carl Blegen, un archeologo dell’Università di Cincinnati, dopo aver esaminato i risultati di Dörpfeld, concluse che la distruzione di Troia VI fosse dovuta a un terremoto e non a un conflitto armato. Lo dedusse dal fatto che diversi muri furono trovati in dissesto, con grosse pietre sparpagliate, uno scenario più consono agli effetti di un terremoto che ad un conflitto bellico.

Più promettente per l’archeologo americano erano i resti di Troia VIIa, che presentava segni inequivocabili di un assedio quali punte di freccia conficcate nelle mura, cadaveri lasciati per le strade, e altri fattori che indicavano che sul luogo fosse stata combattuta almeno una grossa battaglia.

Passarono circa cinquanta anni e emerse una nuova generazione di archeologi, tra cui un gruppo deciso a tornare a esplorare, dal 1988, la collina di Hissarlik. Stavolta si trattava di un gruppo internazionale, guidato da due uomini, Manfred Korfmann dell’Università di Tubinga, impegnato a investigare i resti dell’Età del Bronzo, e Brian Rose dell’Università di Cincinnati, responsabile invece delle rovine successive.

Utilizzando la tecnica del telerilevamento, a Korfmann parve di individuare un grande muro che poteva essere stato il baluardo tra i troiani e gli assedianti greci, ma gli scavi rivelarono che si trattava in realtà di un grande fossato. Quello che però emerse fu che tutti gli archeologi, ad iniziare dal leggendario Schliemann avevano scavato soltanto la cittadella, ovvero la parte della città dove risiedeva il re e la sua corte.

I resti riportati alla luce da Korfmann hanno consentito di attribuire alla città dimensioni più di dieci volte maggiori, dimostrando che l’agglomerato urbano si estendeva per almeno venti ettari, con una popolazione compresa fra i quattromila e i diecimila abitanti alla fine della tarda Età del Bronzo, una vera e propria metropoli per l’epoca.

Manfred Korfmann morì all’improvviso nel 2005, ma gli scavi internazionali proseguono sotto una nuova direzione. Troia, con ogni probabilità, non ha ancora finito di sorprenderci con i suoi tesori e le sue vestigia.

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