L’assassino di JFK: il viaggio a Dallas

A quasi sessanti anni dal più celebre omicidio politico del ventesimo secolo le teorie complottiste non accennano a placarsi, ma cosa c'è di accertato ed acclarato sull'omicidio di JFK?

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A distanza di quasi sessantanni dall’omicidio di John Fitzgerald Kennedy, le teorie complottiste sulla sua morte non accennano a placarsi. Di volta in volta per il giovane Presidente americano si invocano complotti orditi dai russi, dalla mafia e addirittura da settori deviati dello Stato americano.
Ma cosa c’è di certo ed assodato in questa vicenda che ha segnato uno spartiacque nella storia degli Stati Uniti? E’ quello che cercheremo di descrivere in una breve serie di articoli dedicati ad uno dei più controversi e celebri omicidi politici del ventesimo secolo.
Inizieremo dal quel viaggio a Dallas che porterà il quarantaseienne presidente USA all’appuntamento con un tragico destino. Siamo a fine novembre del 1963 e le elezioni presidenziali sono ormai prossime, tra un anno Kennedy dovrà affrontare la prova della rielezione.
Il viaggio a Dallas la terza città più popolosa del Texas insieme al vice presidente Lyndon Johnson è una tappa obbligata. Nel 1960 i voti raccolti in questo sterminato stato del sud ovest americano erano stati di poco superiore a quelli presi dal rivale repubblicano Richard Nixon. JFK non vuole lasciare niente al caso e Dallas costituirà la prima tappa di un tour elettorale per rinverdire la sua popolarità.
Già perché al netto di una certa “mitologia” creata post mortem, John Kennedy non è molto popolare nel sud del paese, la sua linea politica per quanto tiepida per l’eguaglianza dei diritti tra bianchi e neri gli ha messo contro perfino una parte del partito democratico. Per questo è al seguito il suo vice presidente Johnson, un democratico conservatore che ha il compito di rassicurare la base del partito dalle “velleità riformiste” di Kennedy.
JFK, con l’affascinante consorte Jacqueline Lee Bouvier, i suoi figli, i fratelli Robert e Ted (anch’essi impegnati in politica) sembra costituire una dinastia in grado di governare gli Stati Uniti per diversi anni a venire. E’ riuscito a far dimenticare lo smacco della fallita invasione di Cuba, alla Baia dei Porci, grazie soprattutto alla fermezza con la quale ha affrontato nel 1962 la crisi missilistica dell’isola governata da Fidel Castro.
Il braccio di ferro con l’Unione Sovietica di Kruscev si traduce in una vittoria politico-diplomatica (e militare) netta e senza equivoci. La terza guerra mondiale sfiorata ed evitata, anche grazie alla fermezza di Kennedy, lava l’onta subita nell’operazione che avrebbe dovuto rovesciare il regime di Castro, programmata dall’amministrazione Eisenhower ma gestita con pessimi risultati da quella di JFK.
Il giovane Presidente nella prospettiva di un secondo mandato lancia la parola d’ordine di una “nuova frontiera”, ovvero di una serie di vasti progetti riformatori in grado di cambiare volto al paese e disegnare un nuovo ordine mondiale. Questo afflato riformista però si scontrava contro un Congresso recalcitrante nel quale le due ali conservatrici di entrambi i partiti si erano coalizzati per mettere i bastoni tra le ruote della “nuova frontiera” kennedyana.
Insomma la personalità carismatica ma divisiva di JFK richiamava quasi nella stessa misura odio ed amore. La sua sicurezza, dunque, si rivelava un problema notevole per chi aveva il compito di proteggerlo. Nel suo primo anno di presidenza aveva ricevuto 870 lettere minatorie e dovunque viaggiasse era seguito da una scorta personale di 35 agenti speciali, che si aggiungevano ai 170, in uniforme, che vegliavano sulla Casa Bianca.
Tutto quello che arrivava dall’esterno al Presidente era passato ai raggi X e regali di generi alimentari venivano semplicemente distrutti. Ogniqualvolta Kennedy doveva entrare in un edificio era preceduto da una squadra del Secret Service con il compito di metterlo in sicurezza.
Quando viaggiava in treno, il suo vagone aveva il soffitto d’acciaio e i finestrini a prova di proiettile, i ponti su cui doveva passare erano sorvegliati e un treno pilota precedeva il suo per saggiare le rotaie. Quando doveva utilizzare l’aereo, l’Air Force One, i piloti mangiavano a due ore di distanza dalla partenza nel caso il cibo fosse avvelenato.
Inoltre quando si muoveva per visitare una città americana il Secret Service e le forze di polizia dello Stato indagavano su tutte le persone e le organizzazioni sospette che potevano avercela con Kennedy. Tutte le persone sospette erano obbligate a rimanere nelle proprie abitazioni quando JFK visitava la loro città. Quando Kennedy parte per il fatale viaggio in Texas si contavano almeno 50.000 dossier su individui sospetti.
E’ in questo contesto che il 21 novembre del 1963 John Kennedy giunge in Texas. La mattina dopo, il 22 novembre, si sveglia presto nella suite al settimo piano dell’Hotel Texas di Fort Worth.
Lui non lo sa, ma gli rimangono meno di sei ore di vita.