La scoperta del sistema immunitario

Ci sono voluti 2300 anni per arrivare alla scoperta del sistema immunitario che in ogni istante protegge l'uomo dall'aggressione di agenti patogeni

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La scoperta che ogni essere umano ha un sistema che lo difende dall’aggressione di agenti patogeni è stata forse la più lunga ed articolata della storia della medicina. Ben 2313 anni sono passati dal 430 a.e.v. l’anno a cui risale la prima traccia scritta del sospetto della presenza di un sistema immunitario nell’uomo al 1883 quando viene ufficialmente reso noto, aprendo una pagina del tutto nuova nella storia della medicina.

Uno dei motivi più importanti per cui Atene perde la guerra contro Sparta è l’infuriare di un’epidemia di peste che falciava generali, soldati e persino lo stesso Pericle. Per la verità l’epidemia del 430 a.e.v. è con ogni probabilità un’epidemia di tifo o vaiolo, ma per molti secoli questi flagelli che periodicamente si abbatteranno sull’umanità saranno genericamente attribuiti alla peste.

E’ lo storico Tucidide a riportare il fatto che “il male non colpisce due volte la stessa persona”, senza per altro trarne altre conseguenze. La cosa è comprensibile, Tucidide è uno storico, ma lo stesso Ippocrate, considerato uno dei padri della medicina, assediato nella città ateniese non ne trae alcuna conseguenza clinica.

Nei secoli successivi si continuerà ad attribuire ad eventi soprannaturali oppure alla posizione degli astri l’insorgenza di queste epidemie che fanno strage della popolazione. A Londra nel 1454 durante un processo intentato da un paziente al suo chirurgo, insoddisfatto per l’esito di un intervento al pollice, un collegio di esperti nominati dal tribunale sancisce che l’intervento era stato effettuato “quando la Luna aveva il colore del sangue e si era in Acquario, notoriamente una costellazione molto malevola”. Inoltre i “periti” del tribunale stigmatizzano un errore ancora più grave, il salasso pre-operatorio (di fatto non c’era nessuna terapia che non prevedesse la pratica del salasso) doveva essere eseguito in momenti ben precisi dell’anno.

Nei quattro secoli che vanno dal XIV al XVIII secolo la teoria e la pratica della medicina rimangono sostanzialmente le stesse. Il cardine rimane la dottrina degli umori sia pure opportunamente aggiornata e rivista. Il salasso rimane ancora il fulcro di quasi tutti gli interventi terapeutici. Nessuno verifica gli effetti di questo complesso di convinzioni che poggiano i loro postulati ancora su aspetti naturali o esoterici.



Appena si iniziano a condurre studi e verifiche sulla pratica del salasso a partire dal XIX secolo si scopre non soltanto la sua inefficacia ma anche la sua intrinseca pericolosità. Milioni di persone in quei secoli muoiono a causa del salasso, tra gli altri personaggi illustri come Richelieu, Raffaello, George Washington.

Le cose iniziano a cambiare lentamente dalla fine del Seicento. Il vaiolo sostituisce la peste come pericolo epidemico numero uno. Il virus Variola che arriva da lontano è sempre presente in piccoli focolai da dove esplode con il sopraggiungere di una nuova popolazione non immunizzata. Il vaiolo si accanisce particolarmente contro la popolazione infantile con una mortalità spaventosa che si aggira intorno al 60%. La morte è orribile, il corpo viene ricoperto da disgustose pustole. Coloro che riescono a sopravvivere rimangono sfigurati e spesso anche ciechi.

Una giovane nobildonna inglese, Lady Mary Montague sopravvissuta al vaiolo di cui porta tracce evidenti sul suo incarnato una volta bellissimo, si trasferisce nel 1716 al seguito del marito a Costantinopoli. Qui scopre che le mamme turche mettono il pus dei malati di vaiolo sulle braccia dei loro figli e poi fanno delle incisioni sulla pelle. Dopo qualche giorno compaiono delle pustole da cui prelevano altro pus con cui praticano altre incisioni.

Qualche bambino contrae la malattia e muore ma la grande maggioranza dei bambini così trattati diventa immune al vaiolo. Tornata a Londra nel 1718, lady Montague si fa paladina della “variolizzazione” che però viene bocciata senza appello da una classe medica bigotta e conservatrice. Nel 1721 si scatena a Londra un’epidemia di vaiolo, lady Montague “variolizza” la figlia, esempio seguito poi dalla principessa di Galles, da tutta la corte reale, dai ricchi e poi da tutte le case regnanti d’Europa.

Finalmente si effettuano i primi studi su questo rudimentale vaccino e si scopre che a fronte di una mortalità epidemica media del 30% (con picchi del 60%), la variolizzazione ha una letalità soltanto del 5%. Nonostante questi risultati questa pratica “da popoli primitivi” viene respinta dalla maggioranza dei medici di tutto il mondo.

Uno dei punti di svolta avviene quando Angelo Gatti (1724-1798), un medico italiano perfezionò sul campo la pratica dell’inoculazione per contrastare le epidemie di vaiolo che nell’Italia del XVIII secolo colpivano sei italiani su dieci. Gatti nel 1761 si trasferì a Parigi dove fu così ben accolto da diventare medico consulente del Re. Qualche anno dopo però fu coinvolto in un’aspra polemica, alcuni medici parigini che avevano definito le inoculazioni “fonti di contagio” e causa delle più recenti epidemie che avevano colpito la capitale francese. Questa contesa portò ad un’inchiesta del Parlamento di Parigi, che incaricò la facoltà di Medicina di determinare la pericolosità delle inoculazioni, pratica che fu dichiarata “ammissibile” nel gennaio del 1768. Si trattò però di una conclusione ambigua e salomonica che alienò gran parte degli appoggi e delle simpatie che Gatti aveva goduto fino ad allora spingendolo nel 1771 a far ritorno in Italia.

Qualche anno dopo, un nuovo protagonista al di là della Manica costruirà un altro tassello verso la scoperta del sistema immunitario umano. Il suo nome è Edward Jenner (1749-1823) medico e naturalista britannico. Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, il vaiolo ebbe in Europa un incremento allarmante. Tra i malati, una persona su sei moriva. Solo a Londra morivano circa 3 000 persone l’anno e in tutta l’Inghilterra 40 000. Il ricorso alla variolizzazione contro il vaiolo non era efficiente come necessario e la sua pericolosità rendevano questa pratica insufficiente ad arrestare la progressione della malattia.

Nel 1775 Jenner torna ad esercitare nel paese natio Berkeley e nel 1796 scopre che il vaiolo delle vacche neutralizza il vaiolo umano. Per provare in modo incontrovertibile questa scoperta Jenner innesta il pus di una contadina sulla mano di James Phipps, il figlio di otto anni del suo giardiniere, che non ha mai avuto il vaiolo e gode di ottima salute. Jenner annota che il “veleno” introdotto nell’organismo del bambino provoca qualche pustola ed un po’ di febbre e poi James torna in piena salute.

Tre settimane dopo, Jenner con una pratica che oggi sarebbe eticamente inammissibile lo contagiò con il vaiolo umano. La malattia non insorse anche grazie ad un colpo di fortuna, Jenner infatti non può sapere che tre settimane è il tempo necessario per attivare una difesa immunitaria completa. Jenner conia il termine “vaccino” che poi il grande Louis Pasteur estenderà ai metodi di immunizzazione in genere.

Ben presto la scoperta del medico inglese si fa strada prima in tutta l’Inghilterra e persino nell’ostile Francia grazie alla decisione di Napoleone Bonaparte di far vaccinare tutta l’Armata d’Italia prima della sua vittoriosa campagna militare.

In conclusione di questa sintetica storia dell’immunologia non possiamo non citare il ruolo fondamentale di Louis Pasteur (1822-1895) e del russo Il’ja Il’ič Mečnikov (1845-1916). Il primo nei suoi ultimi quindici anni di vita dal 1880 al 1895, si dedicò allo studio del colera e del carbonchio negli animali da allevamento e del virus della rabbia nei cani e nell’uomo. Come riconoscimento, per la scoperta della vaccinazione carbonchiosa, gli venne offerto dal governo della Repubblica il Gran Cordone della Legion d’Onore.

Il’ja Il’ič Mečnikov è invece colui che ha scoperto la fagocitosi ovvero la capacità posseduta da diverse cellule di ingerire materiali estranei e di distruggerli, funzione che è alla base del sistema immunitario.

L’immunologia è l’area della medicina che ha collezionato più Premi Nobel e ricerche pure e di rapidità con cui si trovano applicazioni pratiche. E’ all’immunologia che affidiamo fra l’altro la speranza di sintetizzare un vaccino per SARS-COV-2, l’agente patogeno responsabile della grande pandemia che sta sconvolgendo il pianeta

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