Il dirottatore fantasma

La misteriosa storia dell'unico dirottamento rimasto impunito negli Stati Uniti

0
1185
Indice

E’ il 24 novembre 1971, la vigilia del Giorno del Ringraziamento. Sul volo Northwest Orient Airlines partito dall’aeroporto di Portland in Oregon ci sono pochi passeggeri, 36 in tutto.

Uno di questi, Dan Cooper, vestito in nero (impermeabile, giacca e cravatta) e con occhiali scuri che toglie e mette frequentemente con un gesto che rivela un certo nervosismo ha comprato in aeroporto un biglietto di sola andata per Seattle. Un volo di soli 30 minuti.

Siede al posto 18C ed alle 14.58 passa un biglietto alla hostess Florence Staffner su cui è scritto in lettere maiuscole e con un pennarello: «Ho una bomba nella mia valigetta. La userò, se necessario. Voglio che si sieda accanto a me. State per essere dirottati».

L’hostess con un invidiabile sangue freddo si siede accanto al dirottatore e chiede di poter vedere la bomba. Cooper apre la borsa per alcuni secondi il tempo di far vedere alla Staffner alcuni cilindri collegati con dei fili multicolori, poi detta le sue condizioni: a Seattle vuole trovare 200.000 dollari (circa 1,2 milioni di euro di oggi), 4 paracadute ed un’autobotte per il rifornimento del Boeing 727.

L’hostess porta le richieste al comandante che le trasmette via radio alle autorità di Seattle.

Il presidente della Northwest Orient Airlines Donald Nyrop autorizzò il pagamento del riscatto, preoccupato per una possibile pubblicità negativa per la compagnia aerea e dopo due ore di sorvolo della città di Seattle, per dare tempo alla compagnia aerea di procurarsi i contanti, il Boeing atterra all’aeroporto.

Qui avviene lo scambio i passeggeri vengono fatti scendere e rimangono con Dan Cooper i tre membri dell’equipaggio e la hostess, con i 200.000 dollari ed i 4 paracadute.

La Schaffner lo descrisse come un uomo tranquillo, educato nei modi e nel parlare, lontano dallo stereotipo del dirottatore. Tina Mucklow, un’altra assistente di volo, era d’accordo. «Non era nervoso», disse poi agli investigatori, «sembrava piuttosto gentile, non è mai stato crudele o cattivo, è stato premuroso e tranquillo per tutto il tempo». Durante l’attesa a Seattle ordinò un secondo bourbon, pagando regolarmente e insistendo per lasciare il resto, e si offrì per richiedere il pasto per tutto l’equipaggio durante la sosta a Seattle.

Alle 19.38 il jet decolla di nuovo. Cooper ordina di far rotta sul Messico, volando a bassa quota, con i flaps inclinati di 15 gradi. Poi chiede alla hostess di spiegargli come si possa aprire la porta d’uscita sul retro.

Alle 20.15 il misterioso Dan Cooper si getta dall’aereo con i soldi mentre il jet era sullo stato di Washington, lungo il fiume Columbia. All’esterno la temperatura è gelida, tira un vento fortissimo. Nessuno sa con esattezza dove possa essere atterrato. Le ricerche partono subito, Fbi e forze di polizia statali e locali setacceranno la zona senza esito.

Inutile dire che il nome usato dal dirottatore non corrisponde a nessuna persona reale. Le indagini non portarono a niente e durante gli anni, da un lato venne sostenuta l’idea che Cooper non fosse sopravvissuto al lancio con il paracadute e dall’altra a distanza di anni si indicarono varie persone come responsabili di questo singolare dirottamento.

Uno degli iniziali sospettati, successivamente non ritenuto dall’FBI però coinvolto nel caso, fu Richard McCoy, che, quattro mesi dopo il caso D. B. Cooper, dirottò un aereo passeggeri della United Airlines e ottenne un riscatto di cinquecentomila dollari.

Nel 1980 un bambino, Brian Ingram, all’epoca dei fatti di otto anni, trovò sulle sponde del fiume Columbia circa 5.800 $ in tre pacchetti di banconote da venti, notevolmente deteriorate. I tecnici dell’FBI confermarono che il denaro era effettivamente una parte del riscatto, due pacchetti da cento banconote ciascuno e un terzo pacchetto di novanta, tutte disposte nello stesso ordine di quando furono consegnate a Cooper. La seconda prova invece riguarda un foglio di istruzioni trovato alla fine del 1978 da un cacciatore a poca distanza dall’ipotetica zona di lancio di Cooper, contenente dettagli sulla scala di accesso di un Boeing 727.

Questi ritrovamenti rilanciarono la convinzione che Cooper non fosse sopravvissuto al lancio. Ma circa 4 anni fa, nel settembre del 2016, un regista di documentari che si era avvalso della collaborazione di un team di investigatori (ex agenti FBI, criminologi, giornalisti e avvocati) ha citato in giudizio l’FBI per poter accedere agli atti dell’inchiesta.

Il motivo di questa singolare iniziativa è avere le prove inconfutabili che l’inafferrabile e misterioso Dan Cooper sia in realtà un ex pilota di elicotteri dell’ esercito, Robert Henry Rackstraw, un 73enne veterano del Vietnam che vive a San Diego.

Forse non è stata ancora scritta l’ultima parola sull’unico caso di dirottamento aereo rimasto impunito negli Stati Uniti.