Vedere di persona le forme contorte delle vittime umane e animali dell’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei rende un’idea chiara dell’orrore dei loro momenti finali come nessuna parola o filmato potrebbe mai fare. I famosi calchi di Pompei hanno permesso che questa esperienza fosse condivisa da generazioni di persone in tutto il mondo, dall’Italia all’Australia.
Sfortunatamente, il gesso potrebbe aver contaminato anche i resti umani all’interno, rivela un nuovo studio. L’archeologo Llorenc Alapont dell’Università di Valencia, in Spagna, ed i suoi colleghi ritengono che la contaminazione del gesso sia ciò che ha reso l’analisi biochimica dei resti così difficile e perché è stato complicato confermare in modo definitivo l’effettiva causa di morte.
Nel 1870 furono creati oltre 100 calchi versando gesso nei vuoti di cenere vulcanica calcificata lasciati da corpi decomposti durante l’eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei. I pochi frammenti rimasti degli scheletri furono incorporati nei calchi. Sono questi che i ricercatori hanno tentato di valutare per scoprire di più su questa società condannata.
Analizzando la chimica di questi resti utilizzando la scansione non invasiva della fluorescenza a raggi X, Alapont e il team hanno rilevato concentrazioni alterate di fosforo e calcio in alcune ossa. Questa misura ha permesso loro di determinare quali ossa erano state maggiormente contaminate. Sono stati quindi in grado di identificare i resti con la minima interferenza del gesso per ulteriori analisi.
Sebbene il gesso abbia alterato la chimica dei resti umani, ha anche contribuito a preservare altre informazioni, tra cui la posizione delle vittime, fino ad alcune delle loro espressioni, e la presenza di indumenti e altri oggetti.
“Erano sdraiati a terra cercando di coprirsi con vestiti, e le ceneri sottili prendevano la forma degli oggetti circostanti, compresi i tessuti pregiati“, scrivono Alapont e colleghi.
Questa potrebbe essere stata una piccola grazia visto ciò che seguì: una brutale ondata di gas e cenere bollenti.
“I corpi esposti all’alta temperatura (oltre 250˚C) delle ceneri lasciate dalla corrente piroclastica hanno subito un “effetto forno” e le ceneri “cotte” hanno lasciato la loro impronta in una cavità, lasciando per molti solo le ossa secoli“, spiegano Alapont e colleghi. Di conseguenza, il profilo chimico delle ossa corrisponde a quello degli individui cremati. Le cavità che contenevano la carne prima che fosse cotta e decomposta sono ciò che i futuri archeologi riempirono successivamente di gesso.
Questa ricerca è stata pubblicata su PLOS One.