sabato, Maggio 17, 2025
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Antartide: biodiversità inimmaginabile scoperta sotto la piattaforma di ghiaccio

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Nelle profondità delle piattaforme di ghiaccio dell’Antartide, i ricercatori hanno scoperto dozzine di forme di vita che prosperano su un minuscolo pezzo del fondo marino, un livello di diversità delle specie senza precedenti per un ambiente che non ha mai visto la luce del Sole.

La vita sotto il ghiaccio dell’Antartide

“Se mi avessi fatto tre domande all’inizio della ricerca: quanta ricchezza di vita troveremo? Non molta. Quanto sarà abbondante? Non molto. Come sarà la crescita? Molto lenta. Mi sarei sbagliato su ogni punto”. Ha detto il coautore dello studio David Barnes, un biologo marino del British Antarctic Survey.

Nella profondità del ghiaccio antartico, al riparo dai raggi energizzanti del Sole, può esistere la vita, ma si pensava che fosse rara, poiché la maggior parte degli ecosistemi è costruita su una base di organismi fotosintetici come piante o alghe. Tali regni oscuri non dovrebbero avere abbastanza cibo per sostenere un’ampia varietà di vita.

Ma quando Gerhard Kuhn e Raphael Gromig dell’Alfred Wegener Institute hanno usato acqua bollente per perforare 200 metri di ghiaccio sulla piattaforma di ghiaccio di Ekström nel 2018, sono rimasti sorpresi da ciò che sono stati in grado di raccogliere dal fondo del mare.

Le piattaforme di ghiaccio coprono 1,6 milioni di chilometri quadrati di oceano, e ciò che si trova sotto il ghiaccio potrebbe benissimo essere l’habitat sottomarino meno esplorato della Terra.

In un ambiente così buio e apparentemente inospitale, il team ha trovato frammenti di organismi viventi. Quando si sono resi conto di aver trovato più di quanto si aspettassero, Claus-Dieter Hillenbrand, un sedimentologo del British Antarctic Survey, ha consigliato di inviare il campione del fondo marino a Barnes.

I pezzi che erano stati estratti da sotto la piattaforma di ghiaccio nell’Antartide, esaminati al microscopio, provenivano chiaramente da animali diversi. Tutto sommato, Barnes ha identificato 77 specie diverse, molto più di quanto avrebbe dovuto ragionevolmente trovare.

Molte delle specie identificate erano briozoi, o filtratori stazionari che spesso sembrano un cervello o un muschio, come Melicerita obliqua e vermi tubiformi che filtrano l’acqua per nutrirsi come Paralaeospira sicula, tra gli altri.

“Questa scoperta di così tanta vita che vive in queste condizioni estreme è una sorpresa completa e ci ricorda come la vita marina antartica sia così unica e speciale”, ha detto Barnes.

La vita marina, in particolare i filtratori come briozoi, spugne e meduse, dovrebbe, in teoria, diventare più scarsa con la distanza dal mare aperto; questo perché si nutrono di alghe, che hanno bisogno della luce solare, e perché si pensava che fossero troppo delicate per le brutali temperature inferiori a meno 2,2 gradi Celsius.

Ma si scopre che questi animali si nutrono di microrganismi come ciliati e dinoflagellati che vengono trascinati sotto la piattaforma di ghiaccio dalle correnti oceaniche.

Questa tipologia di animali si attacca al pavimento e non costruiscono grandi corpi fatti di tessuti assetati di energia. In quanto tali, possono sopravvivere grazie al rivolo di cibo che arriva loro.

“È la vita nella corsia super lenta”, ha detto Barnes.

Inoltre, la datazione al carbonio rivela che questi abitanti del fondo non sono nuovi inquilini sotto le piattaforme dell’Antartide.

“Nonostante viva a 3-9 km dal mare aperto più vicino, un’oasi di vita potrebbe essere esistita ininterrottamente per quasi 6000 anni sotto la piattaforma di ghiaccio”, ha detto in una nota Kuhn, il capo del progetto di perforazione. Mentre i resti più antichi avevano 5.800 anni, hanno datato solo 20 delle centinaia di frammenti raccolti. I dati futuri potrebbero benissimo spingere questa stima più lontano nel passato. 

“Questo potrebbe essere l’habitat più indisturbato sulla Terra, nello spazio tra il fondo marino e il ghiaccio sopra di esso”, ha affermato Barnes.

Quella mancanza di disturbo, ha detto, potrebbe spiegare la diversità delle specie dell’ecosistema. Sotto il ghiaccio, non ci sono tempeste, inondazioni e incendi, consentendo a tutte le specie che possono sopravvivere, il tempo e la stabilità necessari per irradiarsi in ogni nicchia disponibile.

Tuttavia, habitat incontaminati come questi potrebbero essere tra i primi a soccombere al cambiamento climatico causato dall’uomo, sostiene Barnes. Con il ritiro delle banchise antartiche, questi ambienti unici potrebbero andare perduti.

Questo studio è stato pubblicato sulla rivista Current Biology.

Un privato potrebbe arrivare su Encelado prima della NASA

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Il miliardario russo Yuri Milner ha messo gli occhi sulla luna di Saturno, Encelado.

Milner, che è anche il fondatore del progetto Breakthrough Starshot da 100 milioni di dollari, con lo scopo di inviare piccole sonde spinte da laser verso Alpha Centauri, ha annunciato che sta valutando le possibilità di finanziare una missione destinata all’esplorazione di Encelado. Questa luna di Saturno è sotto interesse degli esobiologi da quando la sonda Cassini della NASA ha accertato la presenza di idrogeno molecolare nei pennacchi espulsi attraverso il ghiaccio che potrebbe essere segno della presenza di camini idrotermali sul fondo dell’oceano di Encelado. Sul fondo degli oceani terrestri intorno ai camini idrotermali si concentrano moltissimi organismi estremofili.

Yuri Milner, presente alla New Space Age di Seattle tenutasi in questa settimana, ha dichiarato che “È possibile trovare finanziamenti privati per lanciare in tempi relativamente brevi una missione per esplorare più a fondo i pennacchi di Encelado per effettuare indagini approfondite

Secondo il miliardario russo questa missione privata potrebbe precedere una missione della NASA più approfondita. La NASA ritiene Encelado un obbiettivo futuro ma non sono previste missioni dedicate per almeno un altro decennio.

Fonte: New Scientist

Pesto di cime di rapa con noci e pecorino

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Prima di passare alla ricetta del pesto di cime di rapa, noci e pecorino, con cui condire spaghetti, penne, riso o da spalmare sulle bruschette, qualche semplice consiglio. Sui banchi dei mercati rionali le cime di rapa abbondano, in questo periodo dell’anno. Infatti è proprio quando arrivano i primi freddi che tornano a essere grandi protagoniste, tra gli ortaggi di stagione. Ma come riconoscere le migliori?

Cime di rapa: i consigli utili

Le foglie e i fusti delle cime di rapa devono avere un bel colore verde acceso, prive di fioriture eccessive. Prima di acquistarle controlla che non abbiano macchie gialle o tracce di marciume. Inoltre non devono presentare segni di appassimento nella parte finale, mentre i fusti devono essere freschi ed elastici, mai troppo legnosi.

Possono essere consumate in moltissime preparazioni: per condire diversi formati di pasta a piacere – penne, spaghetti, linguine o le mitiche orecchiette pugliesi – come pesto di cime di rapa, oppure squisito contorno per accompagnare sia carne che pesce, semplicemente lessate per pochi minuti e poi saltate in padella con aglio, olio e peperoncino.

Oltre ad essere squisite hanno proprietà benefiche per l’organismo, grazie alle loro caratteristiche detossificanti e depurative. Sono ricche di vitamine, (in particolare A, B2 e C) sali minerali, folati, ferro, rimineralizzanti e diuretiche, povere di calorie. Vediamo ora la ricetta del pesto di cime di rapa:

Pesto di cime di rapa, noci e pecorino: gli ingredienti

  • 1 kg di cime di rapa fresche
  • 20 cl di olio extravergine di oliva
  • 40 g di gherigli di noci
  • 1 spicchio di aglio
  • 50 g di pecorino romano grattugiato
  • Sale
  • Pepe

Preparazione

Pulisci le cime di rapa, scarta le foglie più sciupate, elimina i gambi troppo duri e lavale con cura. Metti sul fuoco una pentola dai bordi alti colma di acqua, attendi che prenda bollore, regola di sale e tuffaci dentro la verdura. Lasciale cuocere per circa 20 minuti quindi scolale, falle intiepidire e poi tamponale con carta assorbente da cucina.

Metti nel mixer metà olio, le noci, lo spicchio d’aglio e le cime di rapa. Frulla tutto insieme unendo a filo il restante olio, insieme al pecorino inserito poco per volta. Aggiungi se necessario un pizzico di sale, spolverizza con il pepe nero macinato al momento e condisci gli spaghetti (o il formato di pasta che preferisci), servendo (a piacere) il piatto con pecorino o parmigiano a parte.

Dopo averlo usato, se ne rimane abbastanza, puoi conservare il pesto di cime di rapa per qualche giorno in frigo in un barattolo di vetro. Oppure lo puoi anche surgelare in un contenitore per alimenti.

Il vino adatto

Un piatto dal gusto che tende all’amarognolo, grazie alle cime di rapa, ingrediente principale. Per contrasto si potrebbe abbinare un vino con componenti morbide prevalenti, come ad esempio uno Chardonnay, un vitigno che viene coltivato anche in Puglia e da cui si producono vini eccellenti, o un Locorotondo. 

Stephen Hawking: potremmo finalmente essere in grado di testare una delle sue idee più stravaganti

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Una nuova ricerca suggerisce che potremmo presto essere in grado di testare una delle teorie più controverse di Stephen Hawking.

La teoria di Stephen Hawking

Negli anni ’70, Stephen Hawking ha proposto che la materia oscura, la sostanza invisibile che costituisce la maggior parte della materia nel cosmo, possa essere costituita da buchi neri formati nei primi momenti del Big Bang.

Ora, tre astronomi hanno sviluppato una teoria che spiega non solo l’esistenza della materia oscura, ma anche l’aspetto dei più grandi buchi neri dell’universo.

“Quello che trovo personalmente super eccitante di questa idea è come unifica elegantemente i due problemi davvero impegnativi su cui lavoro – quello di sondare la natura della materia oscura e la formazione e la crescita dei buchi neri – e li risolve in un colpo solo”. Lo ha affermato in una nota il coautore dello studio Priyamvada Natarajan, astrofisico della Yale University.

Inoltre, diversi nuovi strumenti, incluso il James Webb Space Telescope appena lanciato, potrebbero produrre i dati necessari per valutare finalmente l’idea di Stephen Hawking.

Sfortunatamente, nell’universo moderno, i buchi neri si formano per il collasso gravitazionale indotto dalla morte di stelle massicce. Quindi creare buchi neri richiede molte stelle, il che richiede un mucchio di materia normale. Gli scienziati sanno quanta materia normale c’è nell’universo dai calcoli dell’universo primordiale, dove si sono formati i primi atomi di idrogeno ed elio, e semplicemente non c’è abbastanza materia normale per creare tutta la materia oscura che gli astronomi hanno osservato.

Giganti addormentati

È qui che è entrato in gioco Stephen Hawking. Nel 1971, suggerì che i buchi neri si fossero formati nell’ambiente caotico dei primi momenti del Big Bang. Lì, sacche di materia potrebbero aver raggiunto spontaneamente le densità necessarie per creare buchi neri, inondando di essi il cosmo ben prima che le prime stelle scintillassero.

Secondo Stephen Hawking questi buchi neri “primordiali” potrebbero essere responsabili della materia oscura. Sebbene l’idea fosse interessante, la maggior parte degli astrofisici si è concentrata invece sulla ricerca di una nuova particella subatomica per spiegare la materia oscura, ricerca fino ad ora rivelatasi infruttuosa.

Inoltre, i modelli di formazione primordiale dei buchi neri si sono scontrati con problemi di osservazione. Se nell’universo primordiale si fossero formati troppi buchi neri, avrebbero cambiato l’immagine della radiazione residua, nota come fondo cosmico a microonde (CMB). Ciò significa che la teoria sarebbe valida solo se il numero e le dimensioni degli antichi buchi neri fossero stati abbastanza limitati, o sarebbe in conflitto con le misurazioni del CMB. 

L’idea è stata ripresa nel 2015 quando il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory ha trovato la sua prima coppia di buchi neri in collisione. I due buchi neri erano molto più grandi del previsto e un modo per spiegare la loro grande massa era supporre che si fossero formati nell’universo primordiale, non nel cuore delle stelle morenti.

Una soluzione semplice

Nell’ultima ricerca, Natarajan, Nico Cappelluti dell’Università di Miami e Günther Hasinger dell’Agenzia spaziale europea, hanno approfondito la teoria dei buchi neri primordiali, esplorando come potrebbero spiegare la materia oscura e possibilmente risolvere altre sfide cosmologiche.

Per superare gli attuali test osservativi, i buchi neri primordiali dovrebbero trovarsi entro un certo intervallo di massa. Nel nuovo lavoro, i ricercatori hanno ipotizzato che i buchi neri primordiali avessero una massa di circa 1,4 volte la massa del Sole. Hanno costruito un modello dell’universo che ha sostituito tutta la materia oscura con questi buchi neri abbastanza leggeri, e poi hanno cercato indizi osservativi che potessero convalidare (o escludere) il modello.

Il team ha scoperto che i buchi neri primordiali potrebbero aver svolto un ruolo importante nell’universo, seminando le prime stelle, le prime galassie e i primi buchi neri supermassicci (SMBH). Le osservazioni indicano che stelle, galassie e SMBH appaiono molto rapidamente nella storia cosmologica, forse troppo rapidamente per essere spiegati dai processi di formazione e crescita che osserviamo nell’universo attuale.

“I buchi neri primordiali, se esistono, potrebbero essere i semi da cui si sono formati tutti i buchi neri supermassicci, incluso quello al centro della Via Lattea”, ha detto Natarajan.

E la teoria è semplice e non richiede uno zoo di nuove particelle per spiegare la materia oscura.

“Il nostro studio mostra che senza introdurre nuove particelle o nuova fisica, possiamo risolvere i misteri della moderna cosmologia dalla natura della materia oscura stessa all’origine dei buchi neri supermassicci”, ha affermato Cappelluti nella dichiarazione.

Finora questa idea è solo un modello, ma potrebbe essere testato in tempi relativamente brevi. Il James Webb Space Telescope, lanciato il giorno di Natale dopo anni di ritardi, è progettato specificamente per rispondere alle domande sull’origine delle stelle e delle galassie. E la prossima generazione di rivelatori di onde gravitazionali, in particolare la Laser Interferometer Space Antenna (LISA), è pronta a rivelare molto di più sui buchi neri, compresi quelli primordiali se esistono.

Postumi di una sbornia? Un nuovo studio rileva che probabilmente non esiste una cura

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Nell’agosto del 2020, uno studio ha scoperto che una dose di 1.200 milligrammi di L-cisteina acida riduceva la nausea e il mal di testa legati all’alcol associati ai comuni postumi di una sbornia. Inoltre, una dose di 600 milligrammi contribuiva ad alleviare lo stress e l’ansia, secondo i ricercatori dell’Università della Finlandia orientale e dell’Università di Helsinki, che hanno condotto lo studio.

Gli scienziati non sono riusciti a trovare una cura affidabile per i postumi di una sbornia

La cosiddetta cura per i postumi di una sbornia, tuttavia, non ha mai preso piede e con buone ragioni. Una nuova recensione, riportata sulla rivista Gizmodo, sta rivelando che finora gli scienziati non sono riusciti a trovare una cura affidabile per i postumi di una sbornia. Sappiamo che questa potrebbe essere l’ultima cosa che vorresti sentire il giorno di capodanno, ma sembra comunque essere vero.

La revisione di 21 diversi studi clinici sulla cura della sbornia è stata intrapresa da ricercatori nel Regno Unito e sostenuta dal National Institute for Health Research (NIHR), il più grande finanziatore governativo della ricerca clinica della nazione. Le cure esplorate includevano la curcumina, il ginseng rosso, gli antidolorifici come il loxoprofene e l’integratore n-acetil-l-cisteina (NAC).

“Abbiamo un numero limitato di studi di ricerca di scarsa qualità che esaminano i trattamenti per i postumi di una sbornia”, ha detto a Gizmodo in una e-mail l’ autore principale Emmert Roberts, ricercatore clinico presso il National Addiction Center del King’s College di Londra .

Il team ha scoperto che la maggior parte delle cure semplicemente non funzionava, offrendo scarsi benefici per i sintomi della sbornia. I pochi studi che hanno avuto effetti positivi sono stati offuscati da dati di qualità molto bassa. Inoltre, nessuno degli studi ha potuto essere convalidato poiché non sono stati replicati.

Infine, la revisione ha fatto emergere difetti significativi in ​​molti esperimenti di cura della sbornia. In alcuni studi, le donne sono state completamente escluse e tutti gli studi sono stati condotti in modi completamente diversi, rendendo impossibile confrontare i risultati. Inutile dire che il futuro non sembra roseo per le cure per i postumi di una sbornia.

Scenari per la fine del mondo

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Ognuno di noi è consapevole della limitatezza della propria esistenza biologica, ma la razza umana nel suo insieme si nutre dell’errata convinzione del progresso continuo ed inarrestabile del mondo come lo conosciamo. Una vita ma anche qualche decina di generazioni sono però un tempo molto limitato sotto il profilo geologico del nostro pianeta ed addirittura irrilevante rispetto alle ere cosmologiche.

In realtà il mondo come lo conosciamo potrebbe avere il tempo contato e dal punto di vista meramente probabilistico possiamo dare quasi per certa l’estinzione della civiltà umana e finanche di Homo Sapiens. Quali sono i fattori concreti che sostanziano questa tesi? Iniziamo da quelli astrofisici di carattere catastrofico.

La prima spada di Damocle sul futuro della Terra sono due stelle, due giganti rosse, Antares e Betelgeuse, la prima distante 600 anni luce dalla terra, la seconda tra i 600 e i 640 anni luce. Le due giganti rosse concluderanno il loro “ciclo vitale” esplodendo come supernove rispettivamente tra 10.000 e 100.000 anni da oggi. La loro relativa vicinanza farà si che imponenti ondate di radiazioni, dagli effetti altamente dannosi per la vita biologica, investiranno il nostro pianeta per diversi mesi.

Se non bastassero questi eventi a mettere KO la vita sulla terra, ci penseranno le inevitabili collisioni con asteroidi grandi più di un chilometro statisticamente certi in un range temporale tra 200.000 e 500.000 anni da oggi. A meno che, ovviamente, il progresso scientifico e tecnologico dell’uomo non ci permetta di neutralizzare questi corpi celesti molto prima che concludano la loro folle corsa sulla superficie terrestre.

Altri fenomeni astrofisici, apparentemente di minor impatto, avrebbero comunque riflessi pesantissimi sul delicato equilibrio dell’ecosistema terrestre. Come ad esempio una variazione della luminosità della nostra stella o possibili tempeste solari di forte intensità. Questi eventi sono frequenti se osservati su scale temporali di appena qualche centinaio o migliaia di anni. Episodi in grado di scatenare violentissimi fenomeni elettromagnetici, non letali, ma in grado di “friggere” qualunque cosa utilizzi energia elettrica. Una tempesta solare di grandi proporzioni e diretta verso la Terra potrebbe far precipitare nell’arco di pochi minuti la nostra civiltà ad un’era pre-tecnologica.

Una vera catastrofe per una società avanzata che non avesse ancora messo in atto le possibili contromisure. Se spostiamo poi lo “sguardo” da poche centinaia o migliaia di anni a periodi di 500.000 o 1.000.000 di anni, non devono essere sottovalutati gli effetti climatici al netto delle ricadute del cambiamento climatico di origine antropocentrica.

La variazione della distanza dal Sole, l’interazione Terra-Luna, il vulcanismo, la precessione dell’asse di rotazione terrestre, l’attività delle placche tettoniche, la quantità di CO2 presente nell’atmosfera sono tutti elementi che nel corso dei miliardi di anni della vita del nostro pianeta hanno ciclicamente modificato le condizioni globali climatiche con particolare riferimento a quelle che chiamiamo ere glaciali. L’ultima grande glaciazione risale a circa 10.000 anni fa. E quasi certo che indipendentemente dagli effetti causati dai nostri danni inferti all’ambiente, è ragionevole attenderci entro 50.000 anni una nuova era glaciale che come le altre potrebbe durare molte migliaia di anni.

E’ evidente che l’impatto progressivo di una nuova glaciazione porrebbe di fronte alla civiltà umana sfide enormi, mettendo seriamente a repentaglio la stessa sopravvivenza come specie vivente. A questa lista di fattori che potrebbero inficiare la presenza umana ed in ultima analisi anche la vita in senso lato sulla terra, non dobbiamo omettere i rischi derivanti dai processi geologici, a cominciare dai fenomeni vulcanici catastrofici. Ci riferiamo ai cosiddetti “supervulcani” le cui esplosioni già in passato hanno avuto effetti devastanti sull’ecosistema come nel caso della caldera di Yellostowne che nell’ultima grande eruzione di 600.000 ani fa impattò in modo globale sulle condizioni climatiche dell’intero pianeta.

La probabilità quindi di esplosioni di supervulcani che provochino ingenti danni regionali e modificazioni globali del clima sono estremamente alte in un arco temporale che oscilla tra i 10.000 ed i 100.000 anni da oggi.

In questa sintetica carrellata a volo d’uccello sugli eventi catastrofici di origine astrofisica o geologica che potrebbero spazzare via il mondo come lo conosciamo non abbiamo preso in considerazione il “fattore umano” che potrebbe drammaticamente accorciare la scala temporale di un possibile scenario da fine del mondo.

Ma di questo, magari, tratteremo in un prossimo articolo.

Come gli estremofili ci aiutano a capire il nostro passato – e futuro

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di Jaz L Millar – PhD Researcher in Scienze della Terra e dell’Ambiente, Università di Cardiff

Nelle famigerate parole del consulente di Jurassic Park, il dottor Ian Malcolm“la vita trova un modo”. Nelle profondità dell’oceano, nelle sorgenti vulcaniche, sotto quattro metri di ghiaccio: quasi ovunque gli scienziati possano pensare di cercare la vita sulla Terra, la trovano.

I metodi impiegati dagli estremofili per sopravvivere alle condizioni più estreme ci hanno insegnato come proteggere meglio i nostri corpi, come copiare il DNA per diagnosticare meglio le malattie e come la vita è sopravvissuta a 100 milioni di anni di un’era glaciale globale.

Nel corso della mia carriera ho collezionato organismi provenienti da ambienti estremi. La prima era un’alga unicellulare, nota come Dunaliella salina, che abita le saline: ampie e pianeggianti distese di terreno dove l’acqua è evaporata lasciando dietro di sé altissime concentrazioni di sale. Il sale può non sembrare una causa ovvia di stress biologico, ma può estrarre abbastanza umidità da una cellula da farla disseccare, uccidendo l’organismo.

Microrganismi giallo-verdi
Dunaliella salina, un microrganismo estremofilo. Wikimedia

Il mio lavoro mirava a scoprire se D. salina è un “estremofilo” (amante delle condizioni estreme) o semplicemente in grado di tollerare alte concentrazioni di sale, con una preferenza per meno sale. Quest’ultimo non era certo il caso: infatti, non ho mai trovato il suo stato ottimale, in quanto più si aggiungeva sale e più cresceva. Era un vero organismo estremofilo.

D. salina compensa lo stress salino trasportando alti livelli di glicerolo (una sostanza chimica liquida dal sapore dolce) all’interno della sua cellula, bilanciando la direzione in cui l’acqua viene tirata per impedire all’acqua di essere estratta dalla cellula per osmosi. Deve anche fare i conti con livelli incredibilmente alti di radiazioni UV nelle saline secche ed esposte in cui vive. Ecco perché contiene alte concentrazioni di beta-carotene, una forma di vitamina A, che protegge dai danni dei raggi UV.

In una delle più grandi storie di successo della biotecnologia della storia, D. salina è ora commercialmente coltivata per produrre integratori alimentari e prodotti per la cura della pelle: in particolare per fondotinta e creme per il viso che proteggono la pelle dai raggi UV. In effetti, gli scienziati hanno rubato il “superpotere” di questo microorganismo – quello di essere in grado di sopravvivere alle radiazioni UV – per salvare la nostra pelle.

Ma scoperte forse ancora più significative sono arrivate dai “termofili”, ovvero organismi amanti del calore. È da questi microrganismi termofili che gli scienziati hanno estratto proteine ​​termostabili in grado di mantenere la loro forma molecolare sopra i 60°C, la temperatura necessaria per separare e replicare il DNA per esaminarlo. Se hai fatto un test COVID PCR, ad esempio, il tuo campione di DNA è stato sottoposto a questo processo. Questa capacità di replicare, o “amplificare”, il DNA a livelli che possiamo rilevare ha rivoluzionato la scienza medica e biologica.

All’Università di York, ho studiato i meccanismi cellulari di un microrganismo ipertermofilo noto come Sulfolobus. Questi incredibili microbi appartengono al dominio degli archei, il terzo ramo della vita insieme a batteri ed eucarioti.

I sulfolobus non sono solo a loro agio a temperature di 75-80°C nei vulcani attivi, ma sono anche in grado di prosperare nell’ambiente altamente acido con pH 2-3 delle sorgenti vulcaniche, acide all’incirca come il succo di limone o l’aceto. Imparare i loro segreti può aiutarci a scoprire molecole che possono rimanere stabili a temperature ancora più elevate, fornendo analisi ancora più versatili che potrebbero aiutarci a fare passi avanti nella ricerca sanitaria, genetica e ambientale.

Dal caldo al freddo

La ricerca sui termofili ha portato all’altro estremo della vita sul nostro pianeta. Negli ultimi quattro anni ho studiato i microrganismi che vivono nell’Artico e nell’Antartico. Sebbene da lontano i poli della Terra possano sembrare incontaminati e non toccati dalla vita, i microrganismi persistono e persino prosperano.

Molti di questi microrganismi aggiungono macchie di colore brillante al paesaggio, grazie ai loro pigmenti fotosintetici. Un esempio sono le fioriture nella neve di alghe rosa e verdi conosciute come “neve di cocomero”. Perfora la superficie di laghi ghiacciati come il lago Untersee in Antartide e troverai stuoie viola brillanti di cianobatteri fotosintetici, così colorati a causa dei bassi livelli di luce che ricevono sotto il ghiaccio. Il loro pigmento viola consente loro di assorbire la luce verde, la lunghezza d’onda principale che penetra nelle acque profonde e nel ghiaccio spesso, in modo più efficiente.

Neve colorata con fossette
La neve qui è stata colorata dalle alghe della neve. Wikimedia

Sorprendentemente, nonostante la scarsa disponibilità di luce e sostanze nutritive, nelle regioni polari si possono persino trovare cianobatteri blu-verdi attaccati a minuscoli pori all’interno e al di sotto delle rocce. In un ambiente così ostile con così poca vita fotosintetica che produce energia per alimentare la catena alimentare, questi cianobatteri sono una base fondamentale dell’ecosistema locale.

Mentre i miei colleghi del Museo di storia naturale di Londra hanno lavorato su quelle comunità colorate, ho studiato i “buchi neri della criosfera” (zone di acqua ghiacciata) noti come buchi di crioconite. I fori di crioconite sono piccole sacche di acqua di disgelo contenenti sedimenti scuri che conferiscono alle zone di fusione dei ghiacciai un aspetto maculato. Anche se spesso sono larghi solo 5-20 cm, io e i miei colleghi abbiamo trovato centinaia di specie di organismi microscopici in ciascuno di essi.

È stato proposto che questi punti caldi della diversità delle specie avrebbero potuto fornire rifugio a una serie di microrganismi durante il periodo della Terra delle palle di neve, un’era glaciale globale avvenuta 720-635 milioni di anni fa, poco prima della comparsa degli animali nei reperti fossili. Il nostro pianeta ha subito molti periodi di glaciazione, ma la Terra a palla di neve fu particolarmente grave, con l’intera superficie del pianeta coperta da una crosta di ghiaccio che arrivava da un polo all’altro.

Per testare la capacità degli organismi di crioconite di sopravvivere durante la Terra a palla di neve, abbiamo confrontato la crescita di organismi di crioconite incubati a una temperatura estiva antartica costante (0,5 ° C) con crioconiti congelati a -5 ° C per 12 ore all’interno di ogni periodo di 24 ore. Dopo un mese, i nostri risultati iniziali hanno mostrato che non c’era differenza osservabile tra i gruppi 0,5°C e -5°C. Sorprendentemente, essere completamente congelati ogni notte non ha nemmeno rallentato la crescita di questi organismi.

Si spera che questa ricerca ci aiuterà a imparare non solo come la vita è sopravvissuta ai climi estremi del passato, ma come funzionano le connessioni moderne tra il clima e gli ecosistemi microbici.

Il laser a raggi X più luminoso del mondo sta per essere completato

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Gli scienziati del National Accelerator Laboratory SLAC del Dipartimento dell’Energia stanno dando gli ultimi ritocchi a quello che diventerà il laser più luminoso del mondo. Chiamato Linac Coherent Light Source II (LCLS-II), sarà 10.000 volte più luminoso del suo predecessore, una volta che sarà operativo.

Attualmente, in costruzione a circa 30 piedi (9 metri) sottoterra vicino alla Stanford University, il laser promette di aiutare i fisici a svelare alcune delle incognite fondamentali sul nostro universo. L’apparato laser si estende per circa 2 miglia (3,2 km) in un tunnel appositamente scavato.

Il suo predecessore, Linac Coherent Light Source I (LCLS-I) è entrato in funzione nel 2009 ed è in grado di creare un raggio capace di 120 impulsi di luce al secondo. LCLS-II, tuttavia, batte questo record essendo in grado di produrre 1 milione di impulsi al secondo.

“Penso che sia assolutamente giusto dire che LCLS-II inaugurerà una nuova era della scienza”, ha affermato a CNET il Dr. James Cryan, uno scienziato dello SLAC in un tour esclusivo della nuova struttura.

A tal fine, LCLS-II funzionerà un po’ come un microscopio ma con una risoluzione a livello atomico. Il cuore del dispositivo è un potente acceleratore di particelle che accelera le particelle cariche e le incanala in un raggio molto potente.

Questo raggio passerà quindi attraverso una serie di magneti alternati (chiamati ondulatori), per produrre raggi X. Gli scienziati possono usare quei raggi X per creare quelli che chiamano “film molecolari”. Puoi pensare a questi come istantanee di atomi o molecole in movimento che catturano ogni “immagine” in pochi quadrilionesimi di secondo e legati insieme come un film.

Il predecessore del nuovo laser, sebbene più lento nello scattare queste istantanee, ha permesso agli scienziati di tutto il mondo di fare scoperte molto interessanti e importanti in passato. Ciò ha incluso cose come osservare le reazioni chimiche mentre si verificavano, dimostrare il comportamento degli atomi all’interno delle stelle e produrre istantanee dal vivo che dettagliano il processo di fotosintesi. La capacità di acquisire immagini a intervalli di femtosecondi con il nuovo laser, secondo Andrew Burrill, direttore del laboratorio associato dello SLAC, rappresenterà un vero punto di svolta.

“Se pensi a una luce stroboscopica che si accende 120 volte, vedi un’immagine. Se si accende un milione di volte in un secondo, ottieni un’immagine molto diversa. In questo modo puoi creare un film molto migliore”, ha affermato.

Il nuovo laser è una bestia completamente diversa dal suo predecessore

La velocità con cui LCLS-II è in grado di scattare istantanee non è l’unica differenza tra il nuovo laser e il suo predecessore.

Sebbene entrambi i dispositivi accelerino gli elettroni quasi alla velocità della luce, ciascuno lo fa in un modo diverso. L’LCLS-I, ad esempio, spinge gli elettroni in un tubo di rame a temperatura ambiente. Questo va bene per brevi raffiche, ma non è l’ideale per il funzionamento continuo.

È qui che entra in gioco il nuovo laser. Il funzionamento continuo del tipo necessario per LCLS-II genera molto calore. Le cavità di rame convenzionali, come quelle usate in LCLS-I, rimuoverebbero troppo di questo calore, quindi gli ingegneri si sono rivolti a un nuovo acceleratore superconduttore.

Il nuovo materiale è costituito da dozzine di dispositivi lunghi 12 metri chiamati criomoduli progettati per funzionare a due gradi sopra lo zero assoluto (-456 gradi Fahrenheit). Sono mantenuti alla temperatura di esercizio da un enorme impianto criogenico fuori terra.

Tutto questo kit consentirà, secondo Cryan, agli scienziati SLAC di rispondere a domande fondamentali come “Come avviene il trasferimento di energia all’interno dei sistemi molecolari? Come avviene il trasferimento di carica?”

“Una volta compresi alcuni di questi principi, possiamo iniziare ad applicarli per capire come possiamo fare la fotosintesi artificiale, come possiamo costruire celle solari migliori”, continua.

Gli scienziati SLAC sperano di poter accendere il nuovo laser nel nuovo anno e sperano di generare i primi raggi X in estate. Sarà interessante vedere quali segreti dell’universo LCLS-II svelerà nel 2022 e oltre.

Frenesia per gli approvvigionamenti in Cina dopo un avviso del ministero in cui viene raccomandato ai cittadini di fare scorta di cibo

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Il governo cinese ha scatenato l’allarme in coloro che si “preparano al giorno del giudizio” dopo che il consiglio di fare scorta di elementi essenziali ha portato a timori di una guerra imminente.

Gli acquirenti in preda al panico in tutto il paese si sono precipitati a comprare cibo, acqua e attrezzature di sopravvivenza mentre si diffondevano voci di un conflitto totale con Taiwan che potrebbe coinvolgere gli Stati Uniti e nei suoi alleati. Il panico è stato scatenato – pare per caso – da un avviso del ministero del Commercio che suggerisce alle famiglie di fare scorta di cibo in caso di emergenza.

In seguito al comunicato sono immediatamente partite speculazioni sul fatto che il governo si aspettasse carenze negli approvvigionamenti durante l’inverno. Secondo molte persone il comunicato potrebbe significare che la Cina si sta preparando ad invadere Taiwan dopo l’escalation di minacce sempre più estreme di Pechino  rivolte agli Stati Uniti.

Altri hanno espresso il dubbio che il governa si stia preparando ad un severo lockdown per fermare un nuovo focolaio di Covid.

Donne che indossano maschere protettive passano davanti agli scaffali con olio da cucina, riso e farina in un supermercato a Pechino, Cina, 4 novembre 2021.
Donne che indossano maschere protettive passano davanti agli scaffali con olio da cucina, riso e farina in un supermercato a Pechino, Cina, 4 novembre 2021.
EPA

Scaffali vuoti e lunghe code sono stati visti nei supermercati di tutta la Cina mentre le voci, diventate virali online, hanno alimentato il panico nell’acquisto di generi alimentari. Gli acquirenti sono stati visti contendersi gli ultimi sacchetti di riso e farina dopo che alcuni prepper egoisti ne avevano acquistato più di mezza tonnellata ciascuno, afferma il quotidiano locale Jimu News.

Molto ricercati anche torce, noodles, olio da cucina e gallette, i biscotti a lunga conservazione preferiti dai survivalisti.

Un manager di un supermercato nella città di Changzhou ha detto che ieri mattina una folla enorme si è presentata all’apertura del supermercato, svuotando letteralmente gli scaffali nel giro pochissimo tempo e facendo file alla cassa di quasi due ore.

Anche nella città di Qidong si è scatenato il caos ed i negozi hanno rapidamente esaurito il riso. Qui sono stati segnalati numerosi furti della spesa ad alcune persone mentre tornavano a casa dopo gli acquisti. I funzionari del partito comunista sono stati costretti a fare appello alla calma e hanno assicurato ai cittadini che non ci saranno carenze o problemi di approvvigionamento.

Il quotidiano Economic Daily di proprietà del governo ha avvertito i lettori di non lasciare che la loro immaginazione diffonda i timori di un’invasione, spiegando che il consiglio del ministero era pensato per le persone che potrebbero trovarsi improvvisamente bloccate sotto le misure di contenimento del Covid.

Piede di guerra

I carri armati vengono schierati per svolgere un'operazione di difesa costiera come parte della 37a edizione dell'esercitazione militare HanKuang a Taipei, Taipei, Taiwan, 16 settembre 2021. L'addestramento, compresa la valutazione dei rischi e il monitoraggio dei nemici, è stato condotto di fronte alle crescenti minacce dalla Cina, con gli Stati Uniti che offrono la vendita di armi all'isola autogovernata.
Carri armati schierati per svolgere un’operazione di difesa costiera come parte della 37a edizione dell’esercitazione militare HanKuang a Taipei, Taiwan, 16 settembre 2021. L’addestramento, compresa la valutazione dei rischi e il monitoraggio dei nemici, è stato condotto a fronte delle crescenti minacce dalla Cina, con gli Stati Uniti che stanno rifornendo di armamenti l’isola autogovernata. – ZUMAPRESS.com

Hu Xijin, caporedattore del quotidiano Global Times – portavoce del partito comunista – ha accusato gli utenti dei social media di aver seminato il panico. “Non credo che il paese voglia inviare un segnale al pubblico in questo momento attraverso un avviso del Ministero del Commercio che le persone debbano ‘sbrigarsi e prepararsi per la guerra’“, ha scritto.

Il panico mette in luce le crescenti tensioni negli ultimi mesi su Taiwan, che sono state pesantemente trattate dai media cinesi. L’Esercito Popolare di Liberazione, forte di due milioni di persone, organizza regolarmente esercitazioni di invasione e i jet cinesi effettuano incursioni nello spazio aereo di Taiwan.

I membri di una squadra di emergenza della polizia armata prendono parte a un vero esercizio di addestramento al combattimento nel Guangxi, in Cina, il 3 novembre 2021.
I membri di una squadra di emergenza della polizia prendono parte a un vero esercizio di addestramento al combattimento nel Guangxi, in Cina, il 3 novembre 2021.
Barcroft Media via Getty Images

Il mese scorso il Global Times ha affermato che la guerra “potrebbe scatenarsi in qualsiasi momento” in una violenta tirata contro gli alleati di Taiwan in Occidente. In risposta, il ministro degli Esteri di Taiwan ha avvertito che la Cina sarà presto pronta per una “invasione su vasta scala”.

Ancora, la scorsa settimana il presidente di Taiwan ha riconosciuto per la prima volta che truppe statunitensi sono sbarcate nell’isola per aiutare a preparare le difese, dichiarazione che ha scatenato la rabbia a Pechino e nuovi avvertimenti di “punizione dalla terraferma”.

Gli analisti hanno a lungo avvertito che le tensioni nella regione potrebbero trascinare gli Stati Uniti e altre nazioni nella terza guerra mondiale.

Articolo apparso originariamente su The Sun

La cometa più grande che abbiamo mai visto ha appena regalato una sorpresa

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La cometa Bernardinelli-Bernstein (BB) – la più grande che i nostri telescopi abbiano mai individuato – è in viaggio dai confini esterni del nostro Sistema Solare in direzione dell’orbita di Saturno.

Ora, una nuova analisi dei dati che abbiamo raccolto su BB ha rivelato qualcosa di sorprendente.

Scavando nelle letture registrate dal Transient Exoplanet Survey Satellite (TESS) tra il 2018 e il 2020, i ricercatori hanno scoperto che BB è diventata attiva molto prima e molto più lontano dal Sole, di quanto si ritenesse potesse succedere.

Una cometa si attiva quando la luce del Sole riscalda la sua superficie ghiacciata, trasformando il ghiaccio in vapore che libera polvere e sabbia intrappolate. La foschia risultante, chiamata coma, può essere utile per gli astronomi per capire esattamente di cosa è fatta una particolare cometa.

Nel caso di Bernardinelli-Bernstein, è ancora troppo lontana perché l’acqua possa sublimarsi. Sulla base di studi su comete a distanze simili, è probabile che la nebbia emergente sia guidata invece da un lento rilascio di monossido di carbonio. Solo una cometa attiva è stata precedentemente osservata direttamente a una distanza maggiore dal Sole, ed era molto più piccola di Bernardinelli-Bernstein.

Queste osservazioni stanno spingendo le distanze delle comete attive drammaticamente più lontano di quanto non sapessimo in precedenza“, afferma l’astronomo Tony Farnham, dell’Università del Maryland (UMD).

Per rilevare il coma intorno a Bernardinelli-Bernstein è stata necessaria una stratificazione intelligente delle immagini: i ricercatori hanno dovuto combinare più istantanee di TESS, che utilizza esposizioni lunghe 28 giorni, allineando ogni volta la posizione della cometa per osservarla meglio.

Le dimensioni della cometa – circa 100 chilometri di diametro – e la sua distanza dal Sole quando è diventata attiva sono i principali indizi della presenza di monossido di carbonio. In effetti, in base a ciò che sappiamo sul monossido di carbonio, BB stava probabilmente già producendo un coma prima che arrivasse in vista dei nostri telescopi.

Partiamo dal presupposto che la cometa Bernardinelli-Bernstein fosse probabilmente attiva anche più lontano, ma non l’abbiamo mai vista prima“, afferma Farnham.

Quello che non sappiamo ancora è se c’è un punto limite in cui possiamo iniziare a vedere queste cose prima che diventino attive“.

Ripetendo la tecnica di impilamento delle immagini su oggetti della fascia di Kuiper, i ricercatori sono stati in grado di confermare che i loro metodi sono davvero validi e che l’attività che hanno individuato intorno a BB non era solo un effetto sfocato causato dall’inserimento di diverse immagini una sull’altra.

Tutti questi calcoli accurati sono utili agli astronomi per capire da dove provengono le singole comete e da lì per risalire alla storia del nostro Sistema Solare. Questo è certamente il caso di Bernardinelli-Bernstein, che continua ad essere di grande interesse per gli esperti.

E, man mano che i nostri telescopi e le nostre sonde diventano ancora più potenti, le scoperte di comete continueranno ad arrivare, sia che si tratti di trovare i tipi di comete più rari nello spazio, sia di trovare comete con composizioni chimiche che sono molto lontane dalla norma.

Questo è solo l’inizio“, afferma Farnham. “TESS sta osservando cose che non sono ancora state scoperte, e questo è una specie di banco di prova di ciò che saremo in grado di trovare“.

Abbiamo il potenziale per, una volta vista una cometa, tornare indietro nel tempo nelle immagini e trovarle mentre si trovano a distanze maggiori dal Sole“.

La ricerca è stata pubblicata sul Planetary Science Journal.