L’estate volge al termine ma ancora in molti puntano gli occhi verso il cielo per capire cosa ci sia lassù. Ecco allora una serie di app per iOS e Android che aiuteranno a capire meglio il cielo mediante mappe stellari, enciclopedie astronomiche e tanto altro.
Le quattro migliori app per guardare il cielo per iOS e Android
Tra le migliori app per guardare il cielo, da scaricare sia su dispositivi Android che iOS, vi segnaliamo quella chiamata “Sky Map” che trasformerà il vostro dispositivo in una finestra sul cielo notturno. Grazie a tale applicazione si potrà osservare il cielo in base alla reale posizione, si potranno ricevere dati sulle costellazioni ed i pianeti, si potrà utilizzare la funzione di ricerca per trovare stelle, pianeti o le costellazioni preferite e si potrà zoomare per focalizzare più da vicino l’area interessata. Tale app sarà uno strumento ideale per chi ama l’astronomia ma purtroppo le informazioni saranno soltanto in inglese.
Mappa Stellare è una app per iOS e Android per aprire una finestra virtuale sull’universo visibile. Essa calcolerà, in tempo reale, la posizione di ciascun pianeta e stella visibili dalla terra e li mostrerà sullo schermo anche di giorno. Per capire qual è la stella più luminosa che stiamo guardando, basterà puntare lo smartphone su di essa e così si scoprirà di che stella o pianeta si tratta. Inoltre, si potrà osservare anche il cielo visto dagli abitanti dell’altro emisfero per un totale di 125000 mila stelle. L’app mostrerà, infine, tutti i pianeti del sistema solare compreso il sole e la luna ed inoltre mostrerà le ottantotto costellazioni stellari.
Le quattro migliori app per guardare il cielo per iOS e Android
Sistema solare esplorare HD è un app per Android grazie alla quale si potrà volare nello spazio ed esplorare tanti pianeti, lune ed asteroidi grazie ad un’alta definizione grafica e ad una musica di atmosfera. Si potrà visitare il sole, i pianeti Mercurio, Marte, Venere, Terra, Giove, Saturno, Urano e Nettuno nonché le varie lune del sistema solare ovvero la Luna, Deimos e Phobos, Callisto, Io, Ganimede, Mimas, Tethys, Dione, Encelado, Rea, Giapeto, Titano, Miranda, Umbriel, Ariel,Titania, Oberon, Triton, Charon e Proteus. Infine, grazie a tale app, si potrà catturare la sonda Voyager della Nasa per rendere ancor più bello e affascinante il proprio viaggio nel cosmo.
Infine tra le migliori app per Android e iOS vi segnaliamo quella denominata “Pocket Universe” che sfrutterà il GPS per visualizzare la mappa del cielo in cui ci si trova in base all’ora reale. Grazie a tale app si avrà a disposizione un database con diecimila nomi di stelle e ottantotto costellazioni ed inoltre si riceveranno le notifiche dei più importanti eventi astronomici. Per gli appassionati, inoltre, vi sarà anche un quiz di astronomia ma in inglese.
Lonnie Zamora a suo dire, fu testimone di uno degli eventi più significativi avvenuto il 24 aprile a Socorro nel New Mexico mentre era in servizio nella sua città. Dionicio E. Zamora, detto Lonnie, fu per 15 anni un ufficiale della polizia statunitense di stanza nella città di Socorro, nel Nuovo Messico. Dopo 23 anni di servizio fu congedato dal reparto T6 della Guardia Nazionale.
Ecco quanto da lui dichiarato:
« Durante un inseguimento lungo la statale, udii un’esplosione avvenuta presso un deposito di dinamite e vidi delle fiamme. Subito interruppi l’inseguimento per investigare e lasciai la statale per imboccare una strada sterrata. Anche se indossavo occhiali da sole, non avevo dato molta attenzione alle fiamme, dato che ero disturbato dal sole. Era sereno, con pochissime nubi disseminate su una vasta area del cielo. Dopo aver visto fiamme arancio-azzurrognole, sentì chiaramente un rombo la cui frequenza oscillò per un certo tempo, fino a dissolversi. Ad un certo punto il motore dell’auto si spense; cercai con difficoltà di ripartire per avviarmi verso la ripida collina, cosa che mi riuscì solo al terzo tentativo, ma non sentii altri rumori. Nei successivi 10-15 secondi, procedendo verso ovest, mi resi conto di ricordare la precisa posizione della baracca. Vidi verso sud un oggetto luminoso a circa 137-183 metri di distanza dalla mia auto. Pensai ad una macchina rovesciata, con due persone prigioniere nell’abitacolo. Ma dovetti ricredermi: era in realtà un oggetto di forma oblunga, sembrava di alluminio lucido, biancastro e cromato[2]. Chiesi aiuto via radio. Per un breve intervallo di tempo, potei osservare, vicine all’oggetto, due persone che indossavano una tuta bianca. Questi individui sembravano persone normali – o due adulti di bassa statura o persino dei bambini obesi -. Mi avvicinai all’oggetto, comunicando alla stazione di polizia ciò che stavo osservando: verificavo quello che credevo essere un’auto che si trovava nell’arroyo (un letto di un ruscello in secca). Quando mi fermai, scesi dalla mia auto di servizio e attesi una risposta. Poi iniziai ad avviarmi a piedi verso l’oggetto. Ad un certo punto sentii un rombo fragoroso, ma strano – e più mi avvicinavo, più era intenso -, non come quello di un aereo a reazione. L’oggetto produceva un rumore ad una frequenza, inizialmente rapida e bassa, crescente in volume. Nello stesso istante lo vidi lentamente alzarsi mentre sotto di lui si formavano fiamme blue e arancioni. L’oggetto mentre si sollevava alzava molta polvere[3]. Dopo essere sceso dall’auto persi gli occhiali, fuggii e iniziai a correre verso nord, a questo punto l’auto si trovava in mezzo, tra me e l’oggetto. Diedi uno sguardo all’indietro un paio di volte e questa volta lo notai decollare, a circa 6-8 m di distanza. Mi allontanai sempre di più; ad un certo punto mi accovacciai a terra, proprio sul bordo della collina. Ripresi a correre, e dopo aver percorso altri 15 metri vidi, l’oggetto sopra l’auto. Scavalcai la collina e mi misi nuovamente a correre, poi mi fermai in quanto non sentivo più il rombo. A questo punto cambiai idea e tornai indietro, verso l’oggetto ma improvvisamente mi buttai a terra coprendomi la faccia con le braccia. Alzai lo sguardo, e vidi che si stava allontanando. Dava l’impressione di procedere in linea retta, ad un’altezza di circa 3-4 metri. Stava decollando e accelerando molto velocemente. Raccolsi i miei occhiali da sole, salii in auto e contattai Nep Lorez, l’operatore radio della stazione di Polizia, e gli chiesi: «Guarda dalla finestra, vedi un oggetto?». Nep mi chiese: «Di quale oggetto stai parlando?» Gli risposi: «Un oggetto, che rassomiglia ad un pallone». Non sapevo se lo avesse visto. Se Nep avesse guardato dalla finestra esposta a nord, non avrebbe potuto vederlo, ma non gli dissi da quale finestra avrebbe dovuto guardare. Nel momento in cui chiamai Nep, lo potevo ancora osservare. Sembrava alzarsi lentamente, mentre diventava sempre più piccolo distanziandosi ad una velocità eccezionale. Appena fu sopra la montagna scomparve. Non produceva più fiamme, viaggiava poco sopra il suolo, senza rumore ne fumo. [ndr: Zamora fu presto raggiunto da un collega, il sergente Chavez, che non vide il presunto oggetto] Diedi per radio la mia posizione a Nep Lorez e al sergente M. S. Chavez in modo che potessero raggiungermi. Giunto sul luogo dell’atterraggio, notai che tutti i cespugli erano bruciati. Alla radio il sergente Chavez mi disse che stava arrivando. Quando arrivò, mi chiese che problemi c’erano, e perché stavo sudando, e per quale motivo ero così pallido. Chiesi al sergente di venire a vedere ciò che avevo visto io: entrambi rilevammo tracce dei cespugli bruciati. La prima volta che vidi l’oggetto (quando pensavo che fosse un’auto), osservai quelle che sembravano essere due gambe. In quel momento non feci molta attenzione a questo particolare — pensavo infatti che fosse un incidente — la mia attenzione era sulle persone, non facevo certo attenzione a due gambe. Queste erano situate nella parte bassa dell’oggetto, inclinate verso l’esterno rispetto al terreno e sopra di esse l’oggetto era sollevato a circa 1-1,5 m da terra. Non ricordo la seconda volta per quanto tempo vidi l’oggetto: dal momento in cui scesi dall’auto, lo osservai, corsi verso di lui, saltai sul bordo della collina, ritornai all’auto e alla radio, ed infine dalla sua scomparsa, passarono forse 20 secondi. Il microfono dall’emozione mi cadde, scesi dall’auto a mi incamminai a piedi verso l’area dell’evento e sentii, in poco meno di un secondo, circa due o tre suoni come dei “tonfi”, come se qualcuno stesse usando un martello, o stessero chiudendo con difficoltà una porta. Questo prima di sentire il frastuono. Non vidi più nessuno sul luogo dell’atterraggio. Poco prima che arrivasse il sergente Chavez, presi una penna e disegnai le insegne che avevo osservato sull’oggetto. »
L’avvistamento di Zamora raggiunse i notiziari in brevissimo tempo e quindi le tante persone all’ascolto in quel momento vennero a conoscenza dell’avvistamento, notizia che non colse certamente impreparati tanti giornalisti che in quegli anni erano molto attenti al tema degli UFO. Pochi giorni dopo, infatti, i reporter dell’Associated Press e del United Press International giunsero a Socorro, raggiunti due giorni dopo dai membri dell’APRO, un gruppo di specialisti di ufologia composto da civili. Furono presenti anche ufficiali rappresentanti dell’U.S.Air Force responsabili del Progetto Blue Book. Arrivarono da li apoco anche gli esperti del NICAP altra organizzazione ufologica.
Ray Stanford pochi mesi dopo scrisse un libro per raccontare l’evento di Socorro e raccontò di un gran numero di testimoni, secondo lui attendibili, nonché di due turisti, Paul Kies e Larry Kratzer, che in auto stavano avvicinandosi a Socorro da sud-ovest, a meno di 1.609 m dal luogo dell’atterraggio. Apparentemente furono anche loro testimoni dell’atterraggio e riferirono di aver osservato delle fiamme e della polvere brunastra. La loro storia fu diffusa dal Telegraph-Heral di Dubuque, Iowa, dopo pochi giorni.
Sempre nel libro di Stanford altri affermarono di aver osservato un velivolo a forma di uovo che emetteva fiamme bluastre più o meno alla stessa ora e nella stessa zona dell’avvistamento di Zamora.
Anche una famiglia di turisti provenienti dal Colorado videro un oggetto ovale volare, ad una quota molto bassa che procedeva da est ad ovest, verso la città di Socorro. L’oggetto passò pochi metri sopra la loro auto. Non si sa nulla sulla loro identità, la storia fu raccontata da tale Opal Grinder che riconfermò tre anni dopo in una deposizione giurata. Secondo il Grinder, uno di loro testimonò: «Strano, i velivoli volano molto basso da queste parti!», infatti l’oggetto aveva sfiorato il tetto della loro auto. L’uomo era preoccupato, in quanto il velivolo non giungeva dal vicino aeroporto, ma dalla highways situata ad est. Vide anche un’auto della polizia diretta verso la più vicina collina.
Sempre secondo Stanford, un altro testimone ha chiamato la televisione di Albuquerque attorno alle 17:30, per segnalare un oggetto ovale a bassa quota, che viaggiava lentamente verso la città di Socorro (Stanford, p. 82). Stanford seganla la presenza di molti testimoni che udirono un forte boato.
Nell’ottobre 2009, Stanford, ha rivelato che il sergente Chavez, il primo poliziotto che venne in aiuto a Zamora, gli aveva confidato di aver visto l’oggetto rapidamente ripartire verso ovest, in direzione delle montagne Inoltre, quando Chavez arrivò per primo sulla scena, entro un minuto o due la partenza dell’oggetto, notò che i cespugli stavano ancora bruciacchiando, e che Zamora appariva sotto shock. Chavez aggiunse che qualcosa aveva prodotto sul terreno dei segni rettangolari a forma di cuneo.
Zamora la sera stessa dell’avvistamento venne interrogato dal capitano dell’Esercito, T. Holder, e dall’agente dell’FBI, Arthur Byrnes Jr. La presenza del capitano e dell’agente del FBI non è però certa. Circolò anche voce del ritrovamento di sabbia fusa ma anche il noto Hynek non confermò mai tale diceria.
L’astronomo Allen Hynek, consulente del progetto Blue Book, arrivò il 28 aprile, incontrò Zamora e Chavez. Hynek e il maggiore dell’Air Force, Hector Quintanilla, inizialmente avevano pensato che l’avvistamento fosse un test del modulo lunare Apollo, ma esclusero tale ipotesi dopo una approfondita investigazione (Druffel, 213). Secondo Hynek «Zamora e Chavez erano prevenuti nei confronti dell’Air Force, che riteneva il caso una burla e Zamora non intendeva essere preso per un bugiardo. Per Hynek e altri esperti non era possibile che si trattasse di un prototipo segreto dei militari.
In un’intervista del 1968, un fisico e ricercatore UFO James E. McDonald apprese da Mary G. Mayes studentessa del laboratorio di biologia delle radiazioni che le chiesero di “analizzare del materiale e delle piante provenienti dal sito di Socorro”dei campioni però non si seppe più nulla.(Druffel, 218). La Mayers disse di aver lavorato alle evidenze fisiche del caso Zamora e affermò che le piante si presentavano “completamente rinsecchite” (Druffel, 219). La Mayes non trovò contaminazioni radioattive, ma “due sostanze organiche”, che non fu in grado di identificare (Druffel, 219). Mayes ha confidato a McDonald che nel luogo dell’atterraggio vi era della sabbia fusa forse a causa del calore di un motore a reazione, non si seppe se altri indagarono e studiarono la zona di atterraggio e non ci sono riscontri materiali del vetro fuso.
Secondo l’astronomo Donald Menzel, Zamora sarebbe stato vittima di uno complicato scherzo messo in scena da ingegneri di una scuola di specializzazione che “pianificarono l’intero affare per ‘fregare’ Zamora”
Un anno più tardi Menzel ipotizzò che Zamora avesse identificato erroneamente un turbine di sabbia.
Philip J. Klass, parlò di un fulmine globulare e poi cambiò idea affermando che Zamora in combutta con il maggiore Holm Bursum Jr ordirono lo scherzo per attrarre turisti nella zona, Bursum era il proprietario delk terreno del presunto atterraggio. Zamora e Bursum però respindero al mittente ogni accusa.
Il caso è ancora citato da molti siti ufologici come inspiegabile ma la storia nel 2009 ha preso un’altra piega. I dettagli della storia sono raccontati dal blog The UFO Iconoclast(s)
il Dr. Etscorn professore dell’università New Mexico Tech (inventore del cerotto alla nicotina) disse pochi anni fa di sapere che alcuni suoi ex studenti erano da ritenersi coinvolti in questo caso che è da ritenersi una bufala. Tempo dopo uno degli studenti, Dave Collis, oggi considerato uno dei massimi esperti mondiali nella ricerca di esplosivi e negli effetti correlati ad essi, ammise che con i suoi amici, aveva programmato uno scherzo “paranormale” e di aver condiviso il piano con uno dei suoi “professori di fiducia”. La bufala, spiegò Collis, era nata poichè Lonnie Zamora aveva la reputazione di “perseguitare” gli studenti del Tech, più volte Zamora è stato visto arrabbiarsi con gli studenti apparentemente senza ragione. Questo sembrò quindi un buon motivo per fargli uno scherzo elaborato e complesso, peccato che lo scherzo prese una piega ben diversa e sopra ogni aspettativa coinvolse anche il governo, questo indusse i burloni a tacere tutti questi anni, fino a che il loro “professore di fiducia” non confessò durante un’intervista cosa veramente era successo.
Il 30 marzo del 1990 al confine con l’Olanda, centinaia di persone, e tre pattuglie della polizia osservarono le evoluzioni di un oggetto di forma triangolare. I radar di Glons e Semmerzake attivi nel controllo del traffico aereo della zona, captarono qualcosa in transito. Alle 00:05 l’Aeronautica militare belga ordina il decollo immediato di due F16 con il compito di intercettare i misteriosi segnali. I due F16 agganciano il bersaglio che viene definito “oggetto volante non identificato”.
Vari siti e diverse riviste e libri riportano quanto accaduto, il contatto radar degli F16 e le straordinarie prestazioni del presunto oggetto volante che passò dai 300 piedi di quota ai 1700 piedi accelerando da 280 Km/h fino a 1700 Km/h in un secondo, sparendo dai radar. Questa manovra sarebbe impossibile per un mezzo terrestre pilotato da un essere umano, un’accelerazione del genere genererebbe una tale forza G sul corpo da uccidere il pilota.
Ci fu un’inchiesta, al termine della quale, il colonnello De Brouwer, capo della sezione operazione dell’aviazione belga, rilasciò una dichiarazione inquietante: “Quando degli scienziati seri dicono che bisogna avere il coraggio di affrontare l’ipotesi di fenomeni di origine extraterrestre lei come reagisce? Siamo sempre prudenti perché noi abbiamo bisogno di prove concrete, ma questa ipotesi, è chiaro, rimane aperta.”
I fatti del marzo 1990 furono il culmine di un’ondata di avvistamenti partita nel novembre dell’89. Secondo molti scettici, i vari avvistamenti potevano attribuirsi all’osservazione di un elicottero SA 330 Puma (29 nov.1989). Lo psicologo belga Jean-Michel Abrassart, ha sostenuto che la lunghezza dell’ondata di avvistamenti si può spiegare con l’ipotesi psicosociale sugli UFO: le segnalazioni dei primi avvistamenti riportati da giornali e televisioni avrebbe incoraggiato la gente a osservare e segnalare i vari fenomeni.
Lo scettico statunitense Brian Dunning ha analizzato il caso dei caccia F16: secondo le sue indagini, i piloti in realtà non avrebbero detto, come è stato raccontato, che gli oggetti scomparivano e ricomparivano, si muovevano troppo velocemente e salivano e scendevano di quota. Per il SOBEPS, gli avvistamenti radar furono nove , ma in realtà fonti ufficiali riportano tre soli segnali coincidenti e diversi echi radar probabilmente dovuti da interferenze atmosferiche.
Dunning ha infine contestato il numero di 2.600 testimoni fornito dalla SOBEPS; inizialmente i testimoni sarebbero stati 143 e il loro numero sarebbe aumentato per effetto della pubblicità dell’evento sui mezzi di comunicazione e delle ripetute sollecitazioni della SOBEPS, che invitava i testimoni a denunciare gli avvistamenti.
Una foto divenne il simbolo dell’ondata UFO del Belgio, un enorme oggetto volante triangolare fotografato il 4 aprile del 1990, l’immagine divenne celebre ma la sua autenticità è stata molto dibattuta. Alcuni ricercatori dell’Università di Liegi, hanno espresso l’opinione che sia un falso. Il 26 luglio del 2011 l’autore della foto, Patrick – questo il nome del falsario, ha confessato il trucco alla televisione Rtl-TV.
Con degli amici, Patrick, che all’epoca aveva 18 anni, aveva costruito «per divertirsi» un modellino triangolare con un pannello di frigolite. Poi l’aveva appeso in aria e fotografato di sera. l’UFO triangolare in realtà non era altro che un modellino costruito con un pezzo di polistirolo dipinto e alcune lampadine, ma questo non ha mai scoraggiato le diverse organizzazioni ufologiche e i tanti appassionati che qualcosa di misterioso successe durante quei mesi in Belgio.
Come al solito, però, un avvistamento che potrebbe avere una certa credibilità viene ammantato del crisma della bufala per colpa di qualcuno in cerca di notorietà.
Chi era in possesso di armi da fuoco sulla Terra decine di migliaia di anni fa? C’è chi ha visto in un teschio in possesso dello Smithsonian Institution un foro di proiettile. Il teschio venne trovato nel 1921 da un minatore svizzero, Tom Zwiglaar, in una miniera di ferro e zinco a Broken Hill nell’allora Rhodesia del Nord. La località attualmente viene chiamata Kabwe e si trova nello Zambia, oltre al cranio furono ritrovati la mascella superiore di un altro individuo, un osso sacro, una tibia e due frammenti di femore. Al momento della scoperta fu chiamato H. rhodesiensis, cioè “Uomo della Rhodesia”; oggi viene indicato anche come “Uomo di Broken Hill” o “Uomo di Kabwe” la datazione lo collocherebbe tra i 300 e i 125 mila anni fa, fu il primo fossile scoperto in Africa ad mostrare caratteristiche tipiche dell’homo sapiens.
La relazione tra le ossa non è ancora stabilita con assoluta certezza, ma la tibia e il femore hanno in genere delle relazioni precise con il cranio.
La capacità cranica è stata calcolata in 1 300 cm³, coerente con le dimensioni attese per la datazione di assegnazione. Il cranio, intermedio tra quello dell’Homo sapiens e quello dell’Homo neanderthalensis, presenta un viso largo con un grande naso e arcate sopracciliari imponenti, simili all’H. neanderthalensis. L’H. rhodesiensis apparterrebbe al gruppo dell’Homo heidelbergensis e sono state proposte classificazioni come H. sapiens arcaico o H. sapiens rhodesiensis. Tim D. White ritiene che l’Homo rhodesiensis sia l’antenato dell’Homo sapiens idaltu, a sua volta all’origine dell’Homo sapiens sapiens.
Il fossile presentava una caratteristica curiosa che lo rendeva speciale, un piccolo foro di forma perfettamente circolare sul lato sinistro e la piastra parietale frantumata sul lato opposto, come se un qualcosa fosse penetrato con una forza sufficiente a frantumarlo.
Queste carateristiche non sarebbero però descritte sulla pagina dello Smithsonian nel Museo di Storia naturale di Londra, nonostante il foro sia ben visibile.
Il foro potrebbe essere la causa di un colpo inferto con una lancia, ma in un articolo apparso su The Shields Gazette si esclude questa possibilità.
Le indagini effettuate spiegarono che:
“Quando un teschio viene colpito a bassa velocità da un oggetto come una freccia o una lancia produce le cosiddette fratture radiali o striature, cioè delle microfratture che partono dal luogo dell’impatto”, scrive l’autore dell’articolo. “Vista l’assenza di tali fratture, si è concluso all’unanimità che il proiettile deve aver avuto una velocità molto, molto più alta di una freccia o di una lancia”.
L’opinione del ricercatore Rene Noorbergen, che ha condotto delle indagini sul mistero in Secrets Of The Lost Races, “questa caratteristica è visibile nelle moderne vittime di ferite dalla testa provocate da colpi di fucile ad alta potenza”.
Se il foro fosse stato prodotto da un’arma da fuoco bisognerebbe rivedere alcune cose, o il teschio non sarebbe antico come si sostiene si antico ma sarebbe stato colpito in tempi moderni o il cranio avrebbe subito un colpo in tempi antichi con tecnologie più evolute di quanto possiamo immaginare.
La prima e la seconda ipotesi sarebbero da scartare, il teschio è stato trovato a metri di profondità ed è stato datato. La terza ipootesi potrebbe essere plausibile? I nostri antenati erano in possesso di armi simili ai nostri fucili o pistole?
Molti si sono sbizzarriti in teorie purtroppo indimostrabili e fantasiose, come quella proposta da The Shields Gazette, la teoria parla di ipotetici viaggiatori del tempo che avrebbero “ucciso” un nostro antenato, storia simile al paradosso del tizio che torna indietro nel tempo è uccide il nonno, un paradosso appunto o teorie che vedrebbero cacciatori alieni nel nostro passato che effettuavano battute di caccia sulla Terra, terie fantasiose che sicuramente possono andare bene per la trama di qualche film di fantascienza.
Ma allora, il foro presente sulla tempia sinistra del cranio, un foro perfetto, privo di linee radiali, come se gli avessero sparato con una pistola od un fucile da cosa è stato causato?
Secondo un sito di balistica, nelle lesioni craniche dovute ad armi da fuoco il tramite appare essere cilindrico con piccole fratture radiali. Più la velocità di impatto è elevata e più le fratture saranno estese. In caso di impatto a bassa velocità il proiettile può essere ritenuto dentro all’osso colpito. In questo caso, invece, ai bordi del foro del cranio in questione le fratture radiali sono assenti e gli esperti di balistica lo spiegano, prosaicamente, come una ferita probabilmente inferta dal canino di un grosso predatore oppure, considerando le usanze dell’epoca, potrebbe trattarsi di una foratura rituale inferta con uno strumento molto acuminato, una pratica spesso utilizzata per scacciare gli spiriti maligni.
Certezze non ne possiamo avere ma, tutto sommato, l’idea di un foro provocato da un predatore o da uno sciamano a caccia di spiriti sembra meno impossibile di un foro di proiettile e, come diceva Sherlock Holmes: ” Una volta eliminato l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità.”
La premessa a tutto il discorso è che ci sono alcune prove convincenti che il sangue dei giovani è in grado di rallentare l’invecchiamento negli esseri umani da una certa età in avanti. Questo sembra bastare ad alcune organizzazioni per comprare il sangue da giovani donatori, adolescenti o poco più, per farne una specie di cura per la vecchiaia.
Come raccontato dal The Sunday Times, negli Stati Uniti è in forte crescita la domanda di sangue di adolescenti con prezzi che arrivano fino a 7940 dollari per una singola trasfusione. A cosa è dovuto questo fenomeno?
Nel 2016, una società denominata Ambrosia, dal nome della mitica bevanda degli dei greci apportatrice di immortalità, ha annunciato di voler commercializzare trasfusioni di sangue da giovani ad anziani con la scusa di volerne studiare l’effetto biologico.
Al momento, molti studi sembrano confermare che, in effetti, questo processo funziona nei topi, ma pochi sono gli studi che confermano che questa cosa funzioni anche sugli esseri umani.
Ambrosia ha avviato al raccolta di sangue e ha cominciato a raccogliere adesioni per il suo progetto stabilendo che l’età minima per partecipare allo studio deve essere 35 anni. La partecipazione volontaria al progetto implica il versamento di un contributo di 8000 dollari a testa. Curiosamente per uno studio, non si è stabilito nessun gruppo di controllo.
Bene, alla fine il progetto è partito e sono circa un centinaio i volontari che hanno aderito e che stanno ricevendo la loro donazione periodica di sangue giovanile.
A quanto è dato sapere, Il sangue utilizzato viene da banche di sangue registrate ed è quasi certo che il denaro versato dai volontari sta pagando almeno in parte, queste fiale insolitamente preziose.
Parlando ai giornalisti, il medico responsabile del progetto Jesse Karmazin ha affermato che il processo è attualmente in corso, spiegando che si tratta di “una specie di chirurgia plastica, solo, praticata all’interno invece che esteriormente“.
Secondo Karmazin, “non si può dire con certezza che questo fornirà l’immortalità, ma credo che ci andrà molto vicino“.
Non è chiaro se queste inoculazioni di sangue giovanile possano effettivamente prolungare la vita e mantenere la giovinezza; quello che, però, appare evidente è che, se dovesse essere confermato un qualche effetto positivo, andremo incontro a grossi rischi etici, con tanti giovani adolescenti che potrebbero essere trasformati in forzati della produzione ematica allo scopo di favorire questi vecchi, ricchi, vampiri che non si rassegnano al ciclo naturale delle loro vite.
Sotto molti punti di vista, appare una prospettiva terrificante.
Buone notizie per gli amanti della caffeina: ci sono nuove prove che indicano i benefici per la salute del caffè. Una nuova ricerca dimostra che l’assunzione di caffè può ridurre drasticamente il rischio di morte. L’aspetto particolarmente interessante di questo studio è quanto sia drammatico questo effetto.
La ricerca presentata alla Società Europea di Cardiologia della scorsa settimana, riunione del Congresso ESC del 2017, ha esaminato la relazione tra bere il caffè e la mortalità negli adulti mediterranei di mezza età e Hanno scoperto che coloro che consumavano almeno quattro tazze di caffè al giorno avevano un rischio inferiore di 64 per cento di mortalità per tutte le cause.
“Il caffè è una delle bevande più consumate in tutto il mondo“, ha detto il dottor Adela Navarro, cardiologo presso l’Ospedale Navarra di Pamplona, in Spagna, in una dichiarazione . “Studi precedenti hanno suggerito che il bere il caffè potrebbe essere inversamente associato a tutte le cause mortali, ma questo non era ancora stato indagato in un paese mediterraneo“.
Circa 20.000 partecipanti sono stati intervistati nell’ambito del progetto SUN (Studio di follow-up dell’Università di Navarra). All’inizio dell’esperimento i partecipanti dovevano compilare un questionario sulla frequenza alimentare in modo che i ricercatori potessero raccogliere informazioni sul loro consumo di caffè, Lo stile di vita e le caratteristiche sociodemografiche, le misurazioni antropometriche e le condizioni sanitarie. Tutti i soggetti inclusi nello studio sono stati seguiti con check-in regolari per una media di 10 anni.
In questo periodo, 337 persone – la cui età media all’inizio dello studio era di 37,7 anni – sono morte.
Lo studio ha però evidenziato che coloro che bevevano quattro tazze di caffè al giorno hanno avuto il 64 per cento in meno di probabilità di morire nel corso dello studio rispetto a quelli che non consumavano caffè. Per ogni due tazze aggiuntive al giorno, il rischio è diminuito di un altro 22%.
Il sesso e l’adesione alla dieta mediterranea hanno avuto poca influenza sull’esito, ma risulta che l’età fa la differenza. Gli over 45 che hanno bevuto due tazze di caffè extra al giorno hanno avuto un rischio di mortalità inferiore del 30 per cento. L’impatto dell’assunzione del caffè sui partecipanti più giovani sembra essere stato, però, molto più basso.
“Nel progetto SUN abbiamo osservato un’associazione inversa tra il caffè e il rischio di mortalità per tutte le cause, in particolare nelle persone di età superiore a 45 anni. Questi risultati sembrerebbero essere dovuti ad una maggiore protezione indotta dal caffè tra i partecipanti più anziani”, ha affermato il dottor Navarro.
“I nostri risultati suggeriscono che bere quattro tazze di caffè al giorno come parte integrante della dieta giornaliera potrebbe essere fondamentale per il mantenimento della salute“.
Insomma, si moltiplicano gli studi i cui risultati sembrano indicare una importante incidenza del consumo di caffè nel ridurre il rischio di morte improvvisa precoce. Attenzione, però, che le 4 tazze di cui si parla nello studio corrispondono a molto più di 4 tazzine di espresso giornaliere così come consumate da noi.
Ancora sull’eclissi solare di alcuni giorni fa e sulle reazioni dei seguaci della teoria della Terra piatta.
Spulciando qua e là sui siti internet e nei gruppi frequentati da terrapiattisti sui social emergono alcune perle.
Ad esempio, su twitter alcuni terrapiattisti americani sostenevano che la NASA ha fatto una grande campagna per convincere la gente ad osservare l’eclissi utilizzando particolari occhiali schermati non tanto per proteggere la retina che rischia di restare bruciata dall’osservazione diretta del sole ma, soprattutto perchè, grazie a questi occhiali, è stato possibile rendere credibile l’effetto tridimensionale del passaggio della Luna davanti al Sole.
In un gruppo di appassionati irlandesi si è arrivati a sostenere che da loro la giornata nuvolosa era dovuta alla volontà della NASA di nascondere i veri meccanismi alla base dell’eclissi artificiale e per dimostrarlo hanno perfino pubblicato un video in cui si vedeva un cielo… nuvoloso.
Qualcuno è arrivato a chiedersi come mai l’ombra dell’eclissi avrebbe dovuto viaggiare da est ad ovest quando la terra ruota da ovest verso est: per chi se lo chiedesse la risposta è semplice: la Luna orbita intorno alla terra muovendosi verso est per chi osserva dalla superficie del pianeta a circa 3.400 chilometri l’ora mentre la Terra ruota su sé stessa molto più lentamente, a circa 1670 chilometri l’ora. ecco perché l’eclissi si muoveva da est verso ovest.
Su Youtube è stato pubblicato un video che tenta di spiegare come è possibile che le due lampadine (il sole e la luna) finiscono per oscurarsi tra loro ogni tanto e per farlo vanno a scomodare la mitologia indù.
Ve lo proponiamo per farvi quattro risate:
Insomma, nemmeno l’evidenza dell’eclissi è riuscita a scuotere dalle loro certezze i seguaci di questa antiquata teoria. Per loro la terra è piatta e immobile e sono la Luna ed il Sole, sostanzialmente due lampadine a girargli intorno, così come le stelle sono solo dei led luminosi posizionati sullo sfondo.
Ancora nessuno, però, ci ha spiegato cosa ci sarebbe alla fine del mondo ad impedire di cadere oltre il bordo e, soprattutto, su cosa sarebbe poggiato questi disco che è la Terra piatta.
Forse la famosa tartaruga di tante illustrazioni….
Atlantide sarebbe stata un’isola leggendaria sede di un’altrettanto leggendaria civiltà del passato caratterizzata da uno straordinario sviluppo tecnologico, pari, se non superiore, all’attuale, almeno secondo molti ricercatori indipendenti cosiddetti ben informati. Il mito di Atlantide nasce da una menzione presente nei dialoghi di PlatoneTimeo e Crizia nel IV secolo a.C.
Secondo il racconto di Platone, Atlantide sarebbe stata una potenza navale situata “oltre le Colonne d’Ercole“, novemila anni prima del tempo di Solone (approssimativamente, quindi, nel 9600 a.C.). Atlantide sarebbe poi sprofondata “in un singolo giorno e notte di disgrazia” per opera di Poseidone. Il nome dell’isola deriva da quello di Atlante, leggendario governatore dell’Oceano Atlantico, figlio di Poseidone, che sarebbe stato anche, secondo Platone, il primo re dell’isola.
Ovviamente, non esistono riscontri archeologici di questa storia e, trattandosi di una storia funzionale ai dialoghi di Platone, Atlantide è generalmente ritenuta un mito concepito dal filosofo greco per illustrare le proprie idee politiche. Benché la funzione di Atlantide sembri chiara alla maggior parte degli studiosi, essi disputano su quanto e come il racconto di Platone possa essere ispirato da eventuali tradizioni più antiche. Alcuni argomentano che Platone si basò sulla memoria di eventi passati come l’eruzione vulcanica di Thera o la Guerra di Troia, mentre altri insistono che egli trasse ispirazione da eventi contemporanei come la distruzione di Elice nel 373 a.C. o la fallita invasione ateniese della Sicilia nel 415–413 a.C.
Quasi ignorata nel Medioevo, la storia di Atlantide fu riscoperta dagli umanisti nell’era moderna. La descrizione di Platone ha ispirato le opere utopiche di numerosi scrittori rinascimentali, come La nuova Atlantide di Bacone. Al tema sono state dedicate alcune migliaia di libri e saggi. Atlantide ha ispirato moltissima letteratura contemporanea, soprattutto quella fantasy, ma anche la fantascienza, i fumetti, i film, i videogiochi, essendo divenuta sinonimo di ogni e qualsiasi ipotetica civiltà perduta nel remoto passato.
Al di fuori dei dialoghi Timeo e Crizia di Platone, non esistono riferimenti antichi di prima mano su Atlantide, in pratica tutti gli autori che ne fanno riferimento sembrano essersi ispirati alle parole di Platone.
Nonostante alcuni nell’antichità avessero ritenuto un fatto storico il racconto riportato da Platone, il suo allievo Aristotele non diede peso alla cosa, liquidandola come un’invenzione del maestro. Ad Aristotele è infatti attribuita la frase “L’uomo che l’ha sognata, l’ha anche fatta scomparire.”
Riscoperta, come detto, dagli umanisti nell’era moderna, la storia di Platone ha ispirato le opere utopiche di numerosi scrittori dal Rinascimento in poi. La scoperta dell’America, inoltre, pose subito il problema di una qualche sua conoscenza previa, e dunque anche il problema della discendenza e dell’origine della umanità americana del tutto inaspettata nella cultura europea dell’epoca. Così, la prima Atlantide moderna è stato il Nuovo Mondo.
La nuova Atlantide di Francesco Bacone del 1627 descrive una società utopica, chiamata Bensalem, collocata al largo della costa occidentale americana. Un personaggio del libro sostiene che la popolazione proveniva da Atlantide, fornendo una storia simile a quella di Platone e collocando Atlantide in America. Non è chiaro se Bacone intendesse l’America settentrionale o quella meridionale.
Lo scienziato Olaus Rudbeck (1630 – 1702) scrisse nel 1679-1702 Atlantica (Atland eller Manheim), un lungo trattato dove sostenne come la propria patria, la Svezia, fosse la perduta Atlantide, la culla della civiltà, e come svedese fosse la lingua di Adamo da cui si sarebbero evoluti il latino e l’ebraico
Alla metà e nel tardo Ottocento numerosi rinomati studiosi mesoamericani, a partire da Charles-Etienne Brasseur de Bourbourg, tra i quali anche Edward Herbert Thompson e Augustus Le Plongeon proposero l’idea che Atlantide fosse in qualche maniera correlata alla civiltà Maya e alla cultura azteca.
La pubblicazione nel 1882 di Atlantis: the Antediluvian World di Ignatius L. Donnelly stimolò un notevole interesse popolare per Atlantide. Donnelly prese seriamente il resoconto di Platone su Atlantide e tentò di stabilire che tutte le antiche civiltà conosciute discendessero da questa progredita cultura del Neolitico.
Nel corso della fine dell’Ottocento le idee sulla natura leggendaria di Atlantide si combinarono con storie di altre ipotetiche “terre perdute” nate nel frattempo come Mu e Lemuria. Helena Blavatsky, riprendendo parzialmente e sviluppando le tesi di Bailly, scrisse nel suo libro La dottrina segreta (1888) che gli Atlantidei nordici erano eroi culturali (contrariamente a Platone, che li descrive dediti principalmente alle cose militari), e che erano la quarta “razza radicale” (Root Race), a cui successe la “razza ariana“.
Rudolf Steiner scrisse a sua volta dell’evoluzione culturale di Mu o Atlantide. Il sensitivo americano Edgar Cayce menzionò Atlantide per la prima volta nel 1923, asserendo in seguito che essa era collocata nei Caraibi e proponendo che fosse un’antica civiltà, altamente evoluta, ora sommersa, dotata di forze navali e aeree mosse da una misteriosa forma di cristalli di energia. Egli predisse inoltre che delle parti di Atlantide sarebbero riemerse nel 1968 o 1969. La Bimini Road, una formazione rocciosa sommersa con pietre rettangolari appena al largo di North Bimini Island, è stata descritta come una possibile prova di questa civiltà.
Si è sostenuto che prima del tempo di Eratostene (250 a.C. circa), autori greci avessero collocato le Colonne d’Ercole nello Stretto di Sicilia, ma non ci sono prove di tale ipotesi. Secondo Erodoto (c. 430 a.C.) una spedizione fenicia circumnavigò l’Africa con il benestare del faraone Necho II, navigando a sud sotto il Mar Rosso e l’Oceano Indiano e verso nord nell’Atlantico, facendo ritorno nel Mediterraneo attraverso le Colonne d’Ercole. La sua descrizione dell’Africa nord-occidentale rende molto chiaro che localizzò le Colonne d’Ercole precisamente dove sono oggi. Malgrado questo, la credenza che le Colonne fossero collocate nello Stretto di Sicilia prima di Eratostene è stata citata in alcune ipotesi sulla collocazione di Atlantide.
Il concetto di Atlantide attrasse anche i teorici nazisti. La teoria del ghiaccio cosmico (1913) di Hanns Hörbiger (1860-1931) aveva infatti conquistato un vasto appoggio popolare in Germania e venne promossa dal regime nazista per le sue implicazioni razziali. Hörbiger riteneva che la Terra fosse soggetta a periodici cataclismi provocati della caduta di una serie corpi celesti che da comete erano diventati satelliti; la sommersione di Atlantide e di Lemuria sarebbero state provocate dalla cattura dell’attuale satellite della Terra, la Luna. I periodi di avvicinamento dei satelliti avrebbero provocato (per diminuzione della gravità) la nascita di stirpi di giganti di cui parlano la varie mitologie. Alfred Rosenberg (Mito del XX secolo, 1930) parlò di una razza dominante “nordico-atlantiana” o “ariano-nordica“. Nel 1938 l’alto ufficiale Heinrich Himmler (allora capo supremo delle forze dell’ordine del Terzo Reich) organizzò una ricerca in Tibet allo scopo di trovare le spoglie degli Atlantidei bianchi.
Julius Evola, in Rivolta contro il mondo moderno (1934), riprendendo chiaramente le tesi di Bailly, identifica in Atlantide uno dei molti riferimenti presenti nelle opere antiche alla sede di Iperborea, luogo d’origine di esseri “più che umani” regnanti durante l’età dell’oro, a sua volta ritenuta essere il polo nord, ancora non colpito da un clima rigido, ma anzi regione definita “solare”.
Le ipotesi sulla collocazione
Alcuni hanno cercato di immaginare Atlantide come un luogo realmente esistito, o quantomeno di identificare gli elementi storici e geografici che possono avere originato il racconto di Platone.
Si tratta, a volte, di ipotesi di accademici o archeologi, mentre altre si devono a sensitivi o ad altri ambiti parascientifici. Molti dei siti proposti condividono alcune delle caratteristiche della storia originale di Atlantide (acque, fine catastrofica, periodo di tempo rilevante), ma nessuno è stato né può essere dimostrato come la “vera” Atlantide storica o platonica.
Le ipotesi sull’effettiva collocazione di Atlantide sono le più svariate. Se è vero che Platone nei suoi due dialoghi parla esplicitamente di “un’isola più grande della Libia e dell’Asia Minore messe insieme” (cioè il Nord Africa conosciuto al tempo e l’Anatolia) oltre le Colonne d’Ercole (che si suppone fossero sullo Stretto di Gibilterra), alcuni studiosi, vista l’effettiva difficoltà nell’immaginarsi un’isola-continente nell’Atlantico scomparsa in breve tempo senza lasciare pressoché nessuna traccia, hanno scelto collocazioni alternative, vediamo quali:
America
Dapprima si è pensato all’America, che in effetti è un continente in mezzo all’Oceano (Atlantico) che però ai tempi di Platone non era per nulla conosciuto e che, per quanto se ne sappia, non ha conosciuto cataclismi recenti.
Alcuni hanno voluto vedere, male interpretando le mappe turche dell’America meridionale del primo Cinquecento come la mappa di Piri Reìs, la rappresentazione di Atlantide nell’estremo Sud, proprio dopo la Terra del Fuoco, fra l’America meridionale e l’Antartide. Secondo costoro infatti è probabile che l’Antartide, un tempo terra fertile e rigogliosa, sia stata la sede di Atlantide. I sostenitori di questa ipotesi parlano di resti di vegetazione datati all’analisi al carbonio 14 come risalenti a 50.000 anni fa, lasciando supporre che l’Antartide fosse sgombro dai ghiacci, ma questi dati sono riconosciuti come pseudoscientifici e mai replicati, anche perché tutta la ricerca sull’Antartide (e in particolare i carotaggi nei depositi glaciali) conferma come 50.000 anni fa il continente di ghiaccio fosse prossimo al picco glaciale, e quindi notevolmente più freddo di oggi. Tutta la ricerca storico-scientifica ha visto nelle stesse mappe solo delle rappresentazioni dell’America Meridionale, con alcuni errori (anche voluti) assai ben spiegabili nella prassi dell’epoca. Infine altri ancora identificherebbero Atlantide con un altro ipotetico continente perduto, Lemuria, situato fra l’Africa e l’India.
Alcuni, sulla base dell’assonanza dei nomi e di una somiglianza etimologica, hanno accostato Aztlán, la leggendaria terra d’origine degli Aztechi, all’Atlantide narrata da Platone. Il Codice Boturini descrive Aztlán come “un’isola in mezzo a una distesa d’acqua“. La teoria, come molte altre analoghe, non ha avuto alcun riscontro scientifico.
Altra ipotetica collocazione è, secondo alcuni tra cui il sensitivo Edgar Cayce, nel Mar dei Sargassi: i fenici, secondo lui, conoscevano le Azzorre e lungo la faglia atlantica non sono sconosciuti casi di emersione e affondamento di isole, anche in tempi storici recenti; si tratta comunque di piccole isole e non di continenti che potessero ospitare fiumi navigabili come nel racconto di Platone.
Polo Nord
Il primo ad elaborare l’ipotesi di un Atlantide nordica fu, molto probabilmente, lo svedese Olaus Rudbeck che, nel XVII secolo, posizionò – soprattutto per motivi nazionalistici – il continente perduto in Svezia. Le sue idee furono riprese, modificate e razionalizzate dall’astronomo e letterato francese Jean Sylvain Bailly che, nella seconda metà del Settecento, arrivò a posizionare Atlantide nelle remote regioni siberiane, in prossimità dell’isola di Spitzbergen.
L’eredità lasciata da Bailly continuò a vivere anche dopo la sua morte. La sua tesi di una “Atlantide Iperborea” era stata comunque sonoramente respinta in un primo momento. Ad esempio, Jules Verne in qualche modo voleva anche prendere in giro Bailly in 20.000 leghe sotto i mari (1869), quando i suoi personaggi scoprirono la “vera” Atlantide nell’Oceano Atlantico.
Anche un’esoterista, Helena Blavatsky, prese molto sul serio le idee di Bailly. Blavatsky fu una delle teorizzatrici della teosofia, una dottrina mistico-filosofica, il cui credo era precisato nel suo libro La dottrina segreta(1888). In quest’opera ermetica, Blavatsky rispolverò la teoria di Bailly e incorporò l’ipotesi di una “Atlantide Iperborea” all’interno di una pseudostoria che coinvolgeva vari continenti e varie razze umane e semiumane. Atlantide era rappresentata da Blavatsky come un continente polare che si estendeva dall’attuale Groenlandia fino alla Kamčatka e il cui destino si legò indissolubilmente a quello di una razza particolarmente controversa: gli ariani, che secondo Blavatsky erano una razza superiore, seconda in ordine cronologico tra le razze umane, costituita da giganti androgini dalle fattezze mostruose. Nell’ipotesi pseudostorica di Blavatsky, quando gli ariani migrarono a sud verso l’India, scaturì da loro una “sotto-razza”, quella dei semiti. Il mito di una “Atlantide Iperborea” fece così ingresso all’interno delle ideologie ariane e antisemite della fine del XIX secolo.
La teoria di Bailly-Blavatsky trovò sostegno tra alcuni degli ideologi ariani viennesi più fantasiosi. Furono proprio questi circoli, come la società Thule (che prendeva proprio il nome della mitica capitale di Iperborea), a derivare molte teorie antisemite e ariane dal lavoro mitologico di Blavatsky, e indirettamente da Bailly (il quale, in realtà, nei suoi lavori, mostrava chiare posizioni antirazziste). I membri della società Thule, in particolare, prestarono un aiuto fondamentale ad Adolf Hitler nel fondare il NSDAP, il partito nazista. La tesi di Bailly fu anche ripresa dal filosofo italiano Julius Evola il quale identificava, in Atlantide, un riferimento sulla sede di Iperborea.
Nel Mediterraneo
La maggior parte delle ipotesi avanzate di recente indicano la collocazione della mitica isola non più nell’Oceano o in altri luoghi troppo remoti (ormai scartati per motivi geologici, cronologici e storici), ma più vicino, nel Mediterraneo o nei suoi immediati dintorni, dove Platone più probabilmente poteva avere tratto i vari elementi per costruire il suo racconto. Le conoscenze geografiche dei greci all’epoca di Platone erano infatti molto vaghe e limitate al bacino del Mediterraneo, ed erano in realtà sufficientemente precise solo nell’ambito dell’Egeo.
È stato ipotizzato che Platone potesse avere tratto qualche ispirazione dai terremoti e maremoti che non molti anni prima, nel 373 a.C., avevano ingoiato le isole di Elice e Bura. Fu distrutta anche un’isola di nome Atalante, vicino Locri in Calabria.
Alcuni identificano con l’isola di Cipro i resti del continente di Atlantide. Altri hanno pensato al Sahara, che in periodi molto remoti (30 000 anni fa) non era desertico ma ricoperto da foreste lussureggianti e che fu abitato fin dalla preistoria, ma che non trova particolari corrispondenze nel racconto di Platone.
Creta
Una tra le teorie più singolari, studiata e approfondita nella prima metà del Novecento, sostiene che il mito di Atlantide non sarebbe altro che la memoria, deformata e ingigantita, della Civiltà minoica (civiltà cretese dell’età del bronzo), che ebbe fine intorno al 1450 a.C., in circostanze non ancora ben chiarite. La causa potrebbe essere l’esplosione del vulcano dell’isola di Tera o Thera, attualmente Santorini, che provocò lo sprofondamento parziale dell’isola e giganteschi terremoti: l’esplosione di Thera avrebbe propagato nel Mediterraneo un terrificante maremoto in grado di spazzare via gli insediamenti lungo le coste (le onde si sarebbero diffuse in tutto il bacino dell’Egeo in sole due ore, raggiungendo un’altezza di circa trenta metri), a cui sarebbero seguite entro due-tre giorni le ceneri riversate dall’esplosione vulcanica. Uno studio recente ha inoltre evidenziato delle analogie letterarie tra il testo platonico su Atlantide e alcuni canti dell’Odissea di Omero. Altri studiosi ritengono comunque improbabile il riferimento al vulcano di Thera, perché mille anni sono troppi per mantenere il ricordo preciso di un evento.
Monte Argentario
Ulteriore teoria è stata avanzata da Costantino Cattoi, ex colonnello della Regia Aeronautica, collaboratore di Gabriele D’Annunzio e stimato amico di Italo Balbo. Lo studioso, nel 1955, riportò alla luce una serie di opere pre-etrusche, fra le quali un’enorme roccia alta una decina di metri con i lineamenti del volto distintamente abbozzati e il classico copricapo egizio, ritenuta legata alla figura del dio Thot. I ritrovamenti, ritenuti importanti dagli esperti del settore, portarono Cattoi a collaborare con l’antropologo statunitense George Hunt Williamson, l’esoterico peruviano Daniel Ruzo e il francese Denis Saurat, che pur lavorando in modo autonomo, giunsero alle medesime conclusioni, collegando le sculture rupestri italiane, alle simili scoperte a Marcahuasi in Perù, rafforzando la loro convinzione sull’esistenza di un legame tra il promontorio dell’Argentario, quale parte superstite di Atlantide, e il lontano Perù.
Sardegna
Una teoria analoga è stata avanzata anch’essa dal giornalista italiano Sergio Frau nel suo libro Le colonne d’Ercole (2002): le “colonne” di cui parla Platone andrebbero identificate con il canale di Sicilia (che è assai turbinoso, come descrive Platone le Colonne), dunque l’isola di Atlantidesarebbe in realtà la Sardegna: il popolo che edificò i nuraghi coinciderebbe allora con il misterioso popolo dei Shardana o Šerden (dai quali appunto si vorrebbe che la Sardegna abbia preso il nome), citati tra i “popoli del mare” che secondo le cronache degli antichi egizi tentarono di invadere il Regno d’Egitto. Un passo della descrizione platonica si vuole coincida con la forma della Sardegna: “Una pianura (il Campidano) che attraversa l’isola in senso longitudinale (ha coste ad est e ad ovest), situata tra due zone montuose a nord e a sud; le coste sono alte e rocciose, scoscese“. Del resto, la Sardegna possiede ancora oggi zone pianeggianti situate alcuni metri sotto il livello del mare e ciò farebbe pensare che, essendo una terra geologicamente troppo antica per subire o aver subito catastrofi naturali di dimensioni catastrofiche, possa invece esser stata soggetta in passato a cataclismi legati al mare, il cui territorio probabilmente non avrebbe potuto respingere a causa appunto dell’altezza della sua superficie rispetto a quella marina. Oltretutto la mancanza di terremoti avrebbe permesso una grande espansione edilizia all’interno dell’isola, che all’epoca sarebbe potuta apparire in maniera notevolmente diversa. La “fine” di Atlantide viene anche fatta coincidere con la diffusione della malaria nell’isola.
Sicilia
Tra i numerosi luoghi in cui viene collocata la formidabile minaccia marittima di Atlantide ve ne sono due che riguardano da vicino la Sicilia,l’omonimo canale e Malta. Questa vicinanza ha indotto il maltese Giorgio Grognet de Vassé – fautore della teoria che vede in Malta un residuo di Atlantide – ad asserire che nel museo di Siracusa si conservava un reperto di Atlantide: un capitello. Grognet de Vassé era infatti convinto che gli atlantidei dopo la distruzione della loro isola si fossero divisi in colonie (lo stesso Antico Egitto, secondo il maltese, non era altro che una colonia atlantidea) e quel capitello richiamava il particolare stile egizio (a suo dire prova inconfutabile della presenza atlantidea in quei luoghi).
Al capitello aggiungeva un idoletto, rinvenuto nei pressi di Scicli e una medaglia rinvenuta a Naxos; anch’essi di presunta provenienza atlantidea. Il maltese tuttavia è stato spesso coinvolto in falsificazioni di iscrizioni o travisamenti di reperti.
Spagna
Una tra le molte teorie collocherebbe Atlantide in Spagna, precisamente in Andalusia, vicino Cadice. È l’opinione dello studioso tedesco Rainer Kuehne che si avvale di rilevazioni satellitari, attribuite però a Georgeos Dìaz-Montexano. Qualcosa combacia, come la forma delle strutture rilevate e l’ambientazione vicino a montagne (in questo caso la Sierra Morena e la Sierra Nevada), come le descrizioni di Platone, in cui sono anche presenti ricche miniere di rame. Tuttavia, se avesse ragione Kuehne, non si tratterebbe di un’isola, come vuole la tradizione, e le dimensioni rilevate dal satellite non combaciano con quelle di Platone.
Un’altra teoria vuole Atlantide nelle isole Canarie, nell’oceano Atlantico (che sono effettivamente oltre le Colonne d’Ercole ovvero lo Stretto di Gibilterra), malgrado la più antica civiltà di quell’arcipelago sia stata quella neolitica.
Il mito di Atlantide continuerà a lungo ad affascinare soprattutto i molti cultori di verità storiche alternative che vorrebbero rileggere la storia dell’umanità come un succedersi di crescite e cadute in un perpetuo nuovo inizio o nella ricerca di conferme circa supposte influenze subite dall’umanità in tempi pre storici ad opera di esseri con conoscenze scientifiche e tecnologiche superiori provenienti dallo spazio.
I miti legati all’esistenza di Atlantide, come quelli legati al ciclo Bretone su Re Artù, altrettanto diffusi e altrettanto privi di riscontri storici se non tirati per i capelli, hanno ispirato una quantità enorme di letteratura e di films a tema fantastico e probabilmente continueranno a farlo.
Nel 2009 viene pubblicato su youtube un video prelevato dal portale messicano “Tercer Milenio“, tratto da un documentario “Los grandes misterios del tecer milenio“, coordinato dal giornalista ed ufologo messicano Jaime Maussan che con il reporter Johanan Díaz sostiene la tesi che nel luglio del 1961, mentre si trovavano a passeggiare nei Giardini della Città del Vaticano, il Papa Giovanni XXIII ed il segretario particolare Loris Francesco Capovilla, avrebbero incontrato un alieno, disceso da un’astronave atterrata proprio all’interno della Città del Vaticano.
Questa storia, poi riportata anche da altri siti racconta che i due, il Papa e il suo segretario particolare vissero un’avventura particolare:
“Camminavamo uno accanto all’altro, come due amici, come avevamo fatto tante volte in quegli splendidi pomeriggi d’estate. Come persone qualsiasi che hanno voglia di starsene un po’ in disparte, fuori dalla routine quotidiana. A un tratto, sopra le nostre teste apparvero luci colorate, arancio, ambra, azzurro e poi accadde l’imponderabile che è difficile da raccontare: le luci si fermarono per qualche minuto sulle nostre due figure che camminavano fianco a fianco, poi il contatto. Una delle astronavi si staccò dallo stormo atterrando nel lato sud del giardino. Il portellone si aprì e dalla carlinga uscì fuori qualcosa… […] Un essere dall’aspetto assolutamente umano solo che presentava una luce intorno che lo avvolgeva.”
(Fonte: Altra realtà)
Ci sarebbero addirittura le dichiarazioni ufficiali rilasciate, secondo quanto riportato in un video, da Higinio Alas Goméz, Arcivescovo per il Centro America della Chiesa Cattolica Ecumenica di Gesù Cristo, che avrebbe dichiarato “… quando il Papa stava per morire qualcuno gli chiese di quell’evento e lui disse che questo se lo portava nel cuore e che non l’avrebbe ancora rivelato“ sarebbero, se vere comunque dichiarazioni di seconda mano, rilasciate in un congresso ufologico, quindi da prendere con il beneficio del dubbio, come minimo.
Una seconda testimonianza rilasciata è quella dall’architetto Santiago Aranegui, professore alla “Escuela de Arquitectos de la Universidad de Miami Dade College” a “Tribuna Virtual” che, in un’intervista videoripresa, ha narrato dell’episodio occorso al Papa e al suo assistente sostenendo però che a rivelare la vicenda fosse stato lo stesso segretario personale di Giovanni XXIII. L’architetto sostiene che il segretario particolare avrebbe rivelato l’incontro tra il Papa e l’essere alieno a vent’anni dalla morte di Giovanni XXIII, lo avrebbe fatto per iscritto ad un quotidiano inglese sconosciuto e in seguito, sarebbe stata pubblicata da una rivista americana nel 1985: il The Sun.
Non abbiamo fonti che riportino la notizia datata 1985, una notizia che vede il Papa impegnato in un incontro con un extraterrestre avrebbe dovuto smuovere il Vaticano ma a quanto pare da quelle parti hanno altri problemi più pressanti.
La prima fonte certa è datata 24 giugno 1997, quando la rivista The Sun magazine, che è una rivista web, pubblica un articolo oggi non più disponibile che racconta: “According to the June 24, 1997 issue of Sun Magazine, Pope John XXIII predicted in 1962 that visitors from outer space will arrive in chariots of flaming steel in the year 1999, and will share their advanced knowledge with umanity. Our life span will be increased to 150 years or longer and most diseases will be wiped out …“.
“nel 1962 Papa Giovanni XXIII predisse che nell’anno 1999 dei visitatori sarebbero giunti dallo spazio esterno, in carri di acciaio fiammeggianti e avrebbero poi condiviso con l’umanità le loro avanzate conoscenze. La nostra breve vita sarà aumentata a 150 anni o anche più e il maggior numero di malattie gravi o infettive saranno debellate”.
La storia assume contorni nebulosi, le fonti scarseggiano e quando ci sono, come quella datata 24 giugno 1997 raccontano una storia diversa, premonizioni che tra l’altro non si sono nemmeno avverate. Ma la storia come mai non è stata smentita? Il Vaticano non si è mai pronunciato in merito e i protagonisti sono ormai defunti, Giovanni XXIII nel 1963 e il suo segretario particolare nel 2016 e fu per oltre un decennio, dal 15 marzo 1953 al 3 giugno 1963 il suo segretario particolare.
A onor del vero, il CUN di Ferrara, la mattina del 6 marzo 2010, alle ore 10 in punto, telefona direttamente l’Arcivescovo Loris Francesco Capovilla il quale risponde subito dopo il primo squillo di telefono. L’interlocutore del CUN di Ferrara espone la faccenda all’arcivescovo che: “con voce fresca, nitida e sicura, ci ha gentilmente risposto, usando parole semplici e cordiali, che nessuno lo aveva ancora avvisato della presenza di tale materiale video presente su Internet e che della vicenda egli non ne sapeva assolutamente nulla.” (Fonte: CUF, Centro Ufologico Ferrarese)
Per la cronaca il giornalista e ufologo messicano Jaime Maussan è noto per aver divulgato moltissime bufale.
Con la messa in onda dell’ultima puntata della settima stagione di game of thrones (il trono di spade, nella versione italiana) inizia ora la lunga attesa per la stagione finale. Nella prossima stagione si chiuderanno, in qualche modo, le decine di sottotrame avviate nelle stagioni precedenti e capiremo, finalmente, chi salirà, alla fine, sul trono di spade.
Questa settima stagione ha avuto molti meriti e diversi difetti. I nodi sono cominciati a venire al pettine e dopo la spettacolare battaglia dei bastardi che ha chiuso di fatto la sesta stagione, anche in queste ultime sette puntate abbiamo visto cominciare a sfoltirsi il numeroso gruppo dei protagonisti secondari, buon ultimo, nella puntata finale della stagione, le sorelle Stark hanno giustiziato il famigerato ditocorto.
L’uscita di scena di Petyr è stata quantomeno inattesa e, a mio modesto parere, errata nel metodo. Così come poco credibile è apparsa la rottura tra Cercei e Jaime, anche se qualche avvisaglia, nonostante la nuova gravidanza della regina Lannister, l’avevamo avuta nelle ultime puntate su più di un dubbio dell'”uccisore di re” sul comportamento della sorella-amante.
Insomma, nelle sette puntate di questa settima stagione ci siamo persi, un po’ troppo sbrigativamente, la regina di Spine, giustiziata con il veleno da Jaime, i Tarly (padre e fratello si Samwell) che schierati con i Lannister non accettano di sottomettersi a Danaerys che li fa incenerire dal drago Drogon, Petyr Baelish, condannato da Sansa Stark e giustiziato da Arya, più qualche altro personaggio secondario.
In compenso, sappiamo che tutti i personaggi principali della serie, al seguito di Jon Snow, che ora sappiamo chiamarsi in realtà Aegon Targarien, e Danaerys Targarien stanno convergendo verso Grande Inverno. I due, nel frattempo, sono diventati amanti ma, ovviamente, ancora non sanno di essere zia e nipote.
Quale sarà il ruolo che alla fine rivestiranno questi personaggi?
L’impressione è che molto sarà nelle mani di Samwell tarly e di Bran Stark e, forse, della strega rossa Melisandre che, a sua volta, sta tornando a Grande Inverno rischiando l’ira di Jon Snow. Sicuramente saranno ancora fortemente protagonisti Tyrion Lannister e Varis ma il loro, temo, sarà un ruolo drammatico, così come drammatico sarà il finale della storia per Jaime Lannister, costretto, in nome dell’onore, a schierarsi contro la sorella.
Speriamo di non rivedere ancora Benjen Stark che appare davvero improbabile sia sopravvissuto alla sua apparizione nella storia e, inoltre, di Deus ex machina, probabilmente, ci basteranno Bran e Melisandre.
Cersei Lannister è rimasta quasi sola tra i principali protagonisti della serie ma sappiamo che ha ancora alcune potenti frecce al suo arco, tra cui un misterioso esercito di mercenari, e, mentre i suoi nemici dovranno scontrarsi con l’esercito dei morti lei se ne resterà dietro le quinte ad ordire altre trame.
Danaerys è rimasta con soli due draghi, il che la indebolisce notevolmente, nonostante disponga di un esercito enorme e potente, soprattutto perchè il drago morto è entrato nelle fila dell’esercito del re della notte e, come abbiamo visto nel finale di stagione, è ora un’arma formidabile nelle mani degli estranei.
Altri personaggi apparentemente secondari potrebbero avere un ruolo fondamentale nella stagione finale: Theon Greyjoy ha avuto un sussulto di dignità e ha convinto quel che resta degli uomini della sorella ad aiutarlo ad andare in soccorso di lei. Arya Stark potrebbe continuare ad essere una scheggia impazzita mentre Brienne appare troppo simile a Jaime per non finire per avere a che fare con lui.
Particolare non secondario, i metalupi Spettro e Nymeria sono ancora in giro e, come si è visto, almeno Nymeria non ha dimenticato al sua padrona Arya, forse avranno anche loro qualcosa da dire nella stagione finale.
Insomma, una settima stagione che, al netto di alcune assurdità come i corvi viaggiatori diventati improvvisamente istantanei e come gli spostamenti dei personaggi da un luogo all’altro ormai degni del teletrasporto dell’Enterprise, pur essendo sostanzialmente interlocutoria ha cominciato a stringere le trame del tessuto e a cominciare a diventare più leggibile.
Certo, la chiusura di alcune sottotrame appare decisamente affrettata ma è anche vero che la produzione, probabilmente, non potendo aspettare i tempi biblici di Martin, probabilmente ha deciso di non lasciare sospesi in attesa degli svariati spin off della serie già previsti e ha dato un taglio netto alle fin troppo numerose storie in corso per concentrare le ultime puntate, quella della prossima stagione, esclusivamente sui personaggi principali.
L’interrogativo è se gli sceneggiatori senza il supporto del canovaccio scritto da Martin saranno in grado di mantenere le attese evitando colpi di scena ridicoli (come l’improvvisa esecuzione di Baelish). Le battaglie finora sono state all’altezza di un colossal cinematografico, gli effetti grafici, particolarmente quelli legati ai draghi sono spettacolari e credibili e, sotto questo aspetto, dovremmo essere al sicuro.
Possiamo solo sperare in un finale di serie credibile e all’altezza della complessissima trama sviluppata finora.
Non ci resta che aspettare un anno e mezzo per saperlo.