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Vestito bianco e oro o nero e blu? Spiegato perché vedevate lo stesso vestito con colori differenti

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Qualcuno forse ricorderà quella storia, diventata virale sui social qualche anno fa, in cui un vestito veniva visto in due colori diversi da persone diverse senza che si capisse come mai. Forse ora c’è la spiegazione.

Un interessante  studio in proposito è stato condotto da Pascal Wallisch alla New York University e pubblicato sul  Journal of Vision.

Quando il vestito bianco e oro è salito alla ribalta nel febbraio 2015, non si capiva la ragione per cui alcune persone lo vedevano bianco e oro e altri nero e blu. La teoria predominante era che aveva qualcosa a che fare con il modo in cui il nostro cervello percepisce le ombre ma non c’era nessuna sicurezza.

Wallisch ha fatto un passo avanti: egli suggerisce che la causa principale di questa strana impressione risieda in come le persone pensavano fosse illuminato dalla luce solare il vestito. Wallisch ha provato a mostrare il vestito a persone appena sveglie e ha notato che i più mattinieri sono più propensi a vederlo bianco e oro mentre chi si sveglia tardi tende a vederlo nero e blu.

Abbiamo dimostrato che la nostra ipotesi secondo la quale tutto dipendeva dalla percezione dell’illuminazione del vestito.” Ha scritto Wallis, “la percezione del colore sembra proprio dipendere dalla differenza tra luce naturale e artificiale che influenza fortemente l’interpretazione personale degli osservatori, rispetto a fattori demografici, come l’età o il sesso, che hanno un’influenza minore“.

I suoi risultati sono basati su uno studio condotto su 13.417 persone che prendono parte a sondaggi online. 8.084 hanno risposto nel marzo 2015, mentre ulteriore campione di 5333 persone ha preso parte ad una replica dello studio l’anno dopo. Guardando fattori come sesso ed età non si trova nessuna correlazione mentre tenendo conto dei modelli di sonno-veglia si è potuto stabilire un collegamento.

Nel primo sondaggio, si è dimostrato che è più probabile di circa l’11% che i mattinieri vedano il vestito colorato in bianco e oro rispetto a chi si alza a giornata inoltrata.

Nella seconda indagine, questa differenza è salita al 40 per cento. La differenza, secondo l’ipotesi di Wallisch, potrebbe dipendere dal minore interesse verso l’argomento, ormai sparito dai social dopo un anno, che ha permesso ci fossero meno “troll”.

Insomma la causa principale della differenza di percezione sembra proprio che sia l’illuminazione, Chi vede l’immagine alla luce del sole la percepisce bianco oro mentre, per chi la vede alla luce artificiale, appare nero e blu.

Nell’indagine si è notato anche un forte incremento delle persone che vedevano il bianco oro tra gli ultra sessantacinquenni, forse dovuto alle diverse abitudini di sonno e veglia dei pensionati e alla loro maggiore tendenza a restare più tempo in casa, utilizzando la luce artificiale.

Secondo Wallisch, però, la faccenda non è ancora del tutto risolta e ha pianificato una successiva indagine statistica online.

Ancora non sappiamo come si sono concluse le ricerche di Wallish ma non è detto che qualche novità sulla diversa percezione dei colori alla luce solare, rispetto alla luce artificiale non esca fuori presto.

OOPArts: la pila di Baghdad

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OOPArts: la pila di Baghdad
OOPArts: la pila di Baghdad

Pila di Baghdad è il nome attribuito ad un oggetto probabilmente scoperto nel 1936 nel villaggio di Khuyut Rabbou’a, nei pressi di Baghdad, in Iraq. Il manufatto venne poi rinvenuto, in un mucchio di reperti depositati in uno scantinato, nel 1938, da Wilhelm König, del Museo Nazionale dell’Iraq che scrisse un libretto ipotizzando potesse trattarsi di una cella galvanica primitiva, forse utilizzata per placcare con una sottile patina d’oro alcuni manufatti d’argento; da allora l’oggetto fu conosciuto come pila di Baghdad.

Se questa ipotesi fosse corretta, la batteria di Baghdad anticiperebbe l’invenzione di Alessandro Volta della cella elettrochimica di circa 1800 anni.

Davvero i Parti avevano inventato la supposta pila, che König datò nel periodo tra il 250 aC e il 224 dC? Siamo innanzi a un OOPArts?

E’ difficile capire se effettivamente ci troviamo davanti ad una batteria. Secondo St. John Simpson la pila avrebbe una datazione più recente essendo un esempio di ceramica Sassanide, riconducibile a un periodo di tempo tra il 224 e il 640 dC.
Tuttavia, molti esperimenti hanno provato a dimostrare le capacità elettriche di questo artefatto.

La pila di Baghdad era davvero una batteria?

La pila di Baghdad, come qualsiasi oggetto composto da due metalli differenti, può funzionare da rudimentale pila se immerso in una soluzione acidula, composta ad esempio da aceto o succo di limone ma, in questo modo, la corrente generata è minima. Non è possibile ottenere una corrente di intensità ragionevole, e far sì che la pila funzioni più di qualche minuto quando i due metalli sono rame e ferro, a meno di non usare soluzioni acide sconosciute all’epoca.

In una pila, la corrente viene generata tramite due reazioni differenti che avvengono vicino ai due elettrodi tra questi e opportune sostanze disciolte nel liquido in cui sono immersi. Sono stati proposti vari tipi di elettroliti, basati su sostanze conosciute al tempo ma la pila di Baghdad è un cilindro chiuso ermeticamente che avrebbe potuto funzionare al massimo per pochi minuti.

Candidati più promettenti della pila di baghdad sono alcuni oggetti simili trovati in Seleucia. W.F.M. Gray ha provato ad utilizzarli con solfato di rame e la pila, in questo modo, riesce a funzionare per un breve tempo, finché l’elettrodo di ferro non viene ricoperto da uno strato di rame. Jansen e altri ricercatori hanno usato benzochinone, una sostanza che si trova nelle secrezioni di alcuni centopiedi, mescolato con aceto. Tutti questi processi non funzionano granché in quanto manca nella pila di Baghdad qualcosa che separi gli elettroliti che reagiscono con i due elettrodi. Comunque la possibilità, lontana, che l’oggetto fosse una rudimentale batteria esiste e non è al di fuori delle possibilità tecniche del tempo.

Sono stati provati altri esperimenti per capire se il manufatto possa essere utilizzato come batteria. Nel 1980 nella serie televisiva “Il misterioso mondo di Arthur C. Clarke”, l’egittologo Arne Eggebrecht creò una cella voltaica utilizzando un vaso riempito di succo d’uva, ottenendo la produzione di mezzo volt di energia elettrica e dimostrando di poter placcare d’argento una statuetta in due ore, utilizzando una soluzione di oro e cianuro.

Tuttavia, recentemente, sono nati molti dubbi sulla validità di questi esperimenti.
Su Discovery Channel, nel programma MythBusters, sono state costruite repliche delle giare per capire se era possibile utilizzarle per la galvanotecnica; dieci vasi di terracotta sono stati usati come delle batterie e del succo di limone è stato scelto come elettrolita per attivare la reazione elettrochimica tra il rame e il ferro. Collegati in serie, hanno agito da batterie producendo 4 volt di energia elettrica.

La teoria della pila galvanica per placcare gli oggetti non gode di particolare stima oggi, infatti, come asserisce Paul Craddock del British Museum, “Gli esempi che vediamo da questa regione e periodo sono di doratura convenzionale e doratura a mercurio. Non c’è mai stata alcuna prova a sostegno della teoria galvanica“.

Anche la prova citata da König nel suo testo, ovvero che ancora oggi gli artigiani di Baghdad usino una particolare tecnica di doratura galvanica, è stata esclusa in quanto la tecnica usata in Iraq è molto simile a quella utilizzata nel secolo scorso in Inghilterra, paese colonizzatore, ed è comunque molto differente dall’elettrochimica presente nella pila in quanto contiene zinco, molto più ossidabile del ferro, e sali di cianuro, sconosciuti in epoca antica.

L’asfalto che copre il “vaso” lo isola totalmente tanto che bisogna modificare l’oggetto per far si che gli elettroni possano circolare; inoltre avrebbe bisogno anche di una manutenzione costante per funzionare. L’ archeologo Ken Feder fa notare come il manufatto non possieda eletttrodi o fili esterni conduttori che possano indicare collegamenti tra i vasi per il loro uso.

In molti hanno notato la somiglianza tra il manufatto ed i contenitori usati per trasportare i rotoli sacri nella vicina Seleucisa, presso il fiume Tigri.

Insomma, la pila di baghdad potrebbe essere una pila solo nel caso in cui venisse forzata a esserlo. I soli metalli chiusi in una giara non bastano e non abbiamo nessun altro indizio che ci indichi che in quel tempo conoscessero l’elettricità, magari per usarla a scopi mistici – rituali o per impressionare il popolo.

Fosse stato cosi avremo certamente avuto qualche indizio in più.

Gli OOPart

OOPArt è l’acronimo inglese di Out Of Place ARTifacts, “manufatti, reperti fuori posto“. Il termine fu coniato dal naturalista e criptozoologo americano Ivan Sanderson per indicare una categoria di oggetti che sembrerebbero avere una difficile collocazione nella storia. Vengono classificati come OOPArt tutti quei reperti archeologici e paleontologici che, secondo comuni convinzioni riguardo al passato, si suppone non sarebbero potuti esistere nell’epoca a cui si riferiscono le stime cronologiche.

Questi ritrovamenti hanno dato vita a un filone complottista detto “archeologia misteriosa” e, nel tempo, gli OOPArts sono stati presi come prova per supportare bizzarre teorie ufologiche e/o creazioniste ma anche come prova di supposti viaggiatori temporali e quant’altro.

Alcuni “esperti” di OOPArt sostengono che alcuni di questi oggetti metterebbero in crisi le teorie scientifiche e le conoscenze storiche consolidate. Tuttavia, solo in rari casi, tali affermazioni hanno un qualche sostegno scientifico. Solitamente, alla luce di nuove scoperte, gli oggetti trovano una corretta collocazione nell’epoca di fabbricazione e, molto spesso, molti finiscono per rivelarsi come mere contraffazioni senza che alcuna conoscenza dei fatti storici possa essere messa in discussione.

La Terra è piatta?

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di Oliver Melis

Da qualche anno, tra le tante teorie complottiste che spopolano in rete, ha trovato un certo seguito l’idea che il nostro pianeta sia, in realtà, una grande tavola piatta. Ma da dove vengono idee del genere?

I Greci nel periodo arcaico ritenevano che la terra fosse piatta.

flat earthAnassimandro la concepì come un corto cilindro introducendo il concetto di antipodi: ma cosa c’era dall’altra parte? e l’altra parte era raggiungibile? C’era qualcuno e viveva a testa in giù? Questo portò alla nascita di un dualismo, alto – basso, sopra – sotto, che proseguirà anche con la concezione della Terra sferica. Questa dualità turbava i filosofi e i pensatori che ritenevano che i due mondi non potessero entrare in collegamento e anche con l’introduzione del concetto di terra sferica si riteneva impossibile attraversare le zone equatoriali perché troppo calde.

Non sappiamo con certezza chi fu il primo a ritenere la Terra sferica, alcuni sostengono sia stato Pitagora nel VI secolo AC, nonostante i pitagorici sostenevano che la Terra fosse piatta. Pitagora, pur basandosi su canoni estetici, tenne conto anche della sfericità degli altri corpi celesti. Secondo altre fonti sarebbe stato Parmenide a scoprire la sfericità della Terra. Anche Aristotele considera la Terra sferica perché questo implica, con il geocentrismo, che nulla debba sostenere la Terra nello spazio, e fu il primo a fornire evidenze scientifiche di una Terra non piatta ne “il coelo”, dove egli notò che i viaggiatori che si spostano verso sud vedono le costellazioni salire più in alto rispetto all’orizzonte, cosa possibile solo se l’orizzonte di chi sta a sud forma un certo angolo con l’orizzonte di chi sta a nord, concludendo, così, che la Terra non poteva essere piatta.

Aristotele notò inoltre che l’ombra della Terra sulla Luna è sempre circolare, indipendentemente da quanto sia alta la Luna sull’orizzonte, fatto giustificabile con una Terra sferica e non a forma di disco piatto,; in tal caso, infatti, l’ombra sarebbe stata ellittica.

Platone nei suoi scritti, invece, reputa la Terra un dodecaedro.

Ai tempi di Plinio il vecchio, nel primo secolo, la Terra era generalmente considerata sferica, lo stesso Tolomeo disegnò le mappe considerandola una sfera. Inventò inoltre il sistema di latitudine e longitudine. Tolomeo notò che, navigando verso le montagne, queste paiono emergere come fossero nascoste dall’acqua, portandolo, quindi, ad asserire che le montagne venissero nascoste dall’acqua incurvata sulla superficie della sfera terrestre.

Lucrezio nel primo secolo riteneva invece che la Terra fosse piatta perché pensava fosse assurdo il concetto di antipodi.

Il primo a misurare la circonferenza terrestre fu Erastotene nel 240 DC. Egli sapeva che a Siene, oggi Assuan, il giorno del solstizio d’estate, il Sole si trovava allo zenit mentre ad Alessandria, le ombre, nello stesso giorno, formavano un certo angolo e, nonostante stime rozze e numeri arrotondati, Erastotene si avvicinò molto alla misura esatta della circonferenza oggi nota.

La teologia cristiana riteneva assodata la sfericità della Terra e dibatteva unicamente sulla possibilità che gli antipodi potessero essere popolati perché si riteneva impossibile che i discendenti di Adamo ed Eva avessero potuto arrivarci. Gli stessi autori dell’alto medio evo, ritenevano la Terra piccola e insignificante al centro della sfera del cosmo (Boezio). Un’indicazione grafica che nel medioevo si ritenesse sferica la terra, sta nell’utilizzo del globo crucigero nelle insegne di molti reami. Tommaso D’Aquino, nel suo Summa Theologiae, usa l’idea della Terra sferica per dimostrare che le varie branche delle scienze si distinguono per il metodo e non per l’argomento trattato.

Come abbiamo visto, in questo breve excursus storico, anche in passato si cercava di dare una risposta certa alla forma della Terra utilizzando il metodo deduttivo. L’osservazione diretta senza senza nessun confronto e senza nessun tentativo di interpretazione di quello che si osserva può trarrei in inganno. Il Sole sembra muoversi nel cielo, apparentemente, sorge e si sposta durante il giorno da est verso ovest percorrendo la volta celeste, lo stesso fanno le stelle, le quali, apparentemente, attraversano il cielo facendoci vedere nelle diverse stagioni diverse costellazioni. Un altro esempio potrebbe essere l’acqua che occupa una superficie in modo omogeneo, formando una superficie perfettamente piana. Sappiamo che la Terra è un’enorme sfera che ruota attorno al proprio asse e gira attorno a una stella, il Sole. Noi sappiamo anche che è grazie alla forza di gravità che gli oceani rimangono sulla Terra e dall’altra parte non cadono essendo “a testa in giù”.

Ma, allora, perché c’è ancora tanta gente che non crede alla sfericità della Terra?

flat earth flood
Terra piatta

Qui entrano in gioco altre considerazioni, il complottismo, ad esempio, cioè qualcuno vuole impedire che determinate cose si sappiano e la teoria della Terra piatta è una di queste informazioni che qualcuno, in questo caso la NASA, ente che si occupa di gestire l’esplorazione dello spazio, ci tiene nascosta inscenando false missioni spaziali e producendo filmati, foto e dati “taroccati” per ingannarci.

Non tutti i complottisti, ovviamente, sono d’accordo. Alcuni vedono in questa teoria il tentativo di inquinare il loro lavoro in un campo specifico, insomma qualcuno creerebbe teorie fasulle da spacciare come vere, in modo che tutte le teorie del complotto, correlate o meno siano considerate tutte fasulle.

Perché, alla luce delle conoscenze moderne,  la Teoria della Terra piatta non ha senso?

– Come ci insegnano i Greci, grandi osservatori, la Terra deve essere una sfera perché la sua ombra proiettata sulla luna è un cerchio e questo prova che la Terra sia una sfera perché se fosse un disco schiacciato la sua ombra sarebbe un’ellisse.

– Chi non è stato in spiaggia e magari ha fatto un’osservazione, cioè ha visto un’imbarcazione “emergere” dal mare? Le imbarcazioni non emergono ma percorrono la curvatura della Terra diventando visibili, se la Terra fosse piatta vedremo invece un puntino lontano ingrandirsi lentamente.

– Se piantiamo due bastoni perpendicolari al terreno in luoghi distanti l’ombra che proiettano sarà differente, se la Terra fosse piatta le ombre sarebbero uguali, visto che sarebbero paralleli tra loro.

– Più salgo di quota, più vedo lontano, questo perché l’orizzonte è solo una linea immaginaria e salendo posso vedere oggetti che da una quota più bassa restano nascosti dietro la curvatura della Terra.

– Se la Terra fosse piatta si potrebbe vedere il Sole illuminarne la porzione diurna della Terra.

– la forza di gravità. Per i Terrapiattisti non esiste e al suo posto ci sarebbe un’accelerazione di 9,81 m/s che ci terrebbe saldamente al terreno. A che velocità si muove la Terra piatta? se la Terra esiste da 4,5 miliardi di anni a che velocità ci spostiamo?

– Le foto e i filmati fatti dagli astronauti e dai satelliti dall’orbita terrestre o sulla luna sarebbero un falso? Chi lo ha indubbiamente dimostrato? Nessuno. Perché scienziati e organizzazioni come la NASA mentirebbero? A quale scopo? Non si capisce bene cosa ci guadagnino, anzi, chissà le spese per montare tutto il circo delle missioni spaziali. La teoria Terrapiattista sconfina nel complotto e chi la reputa una teoria corretta accusa chiunque definendolo “indottrinato”. La scienza, però, non è dottrina e chi la rifiuta o la calpesta deve ricordare che la sua vita dipende da essa e ne trae comunque benefici di ogni sorta.

In realtà, come per ogni teoria complottista, c’è sempre chi specula e guadagna sulla credulità di alcuni, ad esempio, vendendo libri o facendosi pagare per partecipare a conferenze ed eventi o anche solamente grazie ai click collezionati sui siti web.

Oliver Melis è owner dei gruppi facebook NWO Italia e Perle Complottare

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Islanda, grandi attrazioni e segreti nascosti: il Golden Circle

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L’Islanda è un’isola che, fino a non molto tempo fa, era al di fuori dei normali percorsi turistici. Negli ultimi anni, grazie ai suoi meravigliosi paesaggi incastonati in una natura particolarmente incontaminata, questa situazione è cambiata e questa isola al confine con l’estremo nord del mondo è entrata di prepotenza nei circuiti turistici. Il modo migliore per visitare l’Islanda è farlo seguendo il Golden Circle tour.

Si tratta di un anello di circa 300 chilometri che percorre siti archelogici vichinghi, geyser impressionanti, lagune, cascate e molte altre cose.
Tra l’altro, l’intero tour è percorribile in un solo giorno, permettendo, quindi, anche a turisti in transito tra Europa e America di fare un breve sosta per visitare quelle meraviglie.
Ma il turista provvisto di tempo e pazienza può accedere a meraviglie che una visita mordi e fuggi non consente di vedere. Di seguito vi elenco alcune di queste meraviglie

Parco Nazionale di Thingvellir

Þingvellir , o Thingvellir come molte persone lo pronunciano, è un parco nazionale e una straordinaria prima tappa del tour Golden Circle.
In questo punto, apparentemente solido, la placca tettonica eruasiatica e quella del nord america si stanno separando di qualche centimetro l’anno e, un giorno, questa isola meravigliosa si spaccherà in due isole separate.
Þingvellir detiene anche valore culturale e storico per gli islandesi. In questo posto fu fondato, nel 930 d.C.,  il parlamento nazionale dell’Islanda, il primo parlamento vichingo.

Gullfoss

waterfall
Il Gullfoss (Golden Falls) è una cascata che deve il suo nome al fatto che, nei giorni di sole, l’acqua sembra emettere riflessi  dorati.
In questo punto il fiume Hvítá si immerge nella profonda gola sottostante,ed è difficile vedere la cascata da lontano poichè  il fiume semplicemente svanire nella terra prima di raggiungere il bordo della gola.
Avvicinandosi, però, si assiste ad uno spettacolo epico con l’acqua che precipita nella gola generando un rumore quasi assordante.
Il terreno intorno alla cascata è oggi zona protetta.

Strokkur Geysir e al Haukadalur

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Geyser in Iceland while blowing water

La zona geotermica di Haukadalur offre un paesaggio di geyser fumanti che attraggono l’attenzione di tutti i turisti.
I geyser più grandi e famosi sono Strokkur e Geysir stesso, che dà il suo nome a tutte le altre sorgenti esplosive di acqua calda in tutto il pianeta.
Strokkur è il più affidabile ed erutta ogni cinque o 10 minuti.
Ci sono circa 40 piccole sorgenti calde e pozze di fango nelle vicinanze.
Le guide turistiche amano sfoggiare il calore del suolo che permetterebbe di cuocere il pane direttamente sulla terra calda.

Cattedrale Skálholt

cattedrale

E ‘anche il sito della fine cruenta del cattolicesimo in Islanda nel 1550, quando l’ultimo vescovo cattolico fu giustiziato insieme con i suoi due figli, aprendo la strada alla chiesa luterana.
La cattedrale attuale è grande rispetto alla maggior parte delle chiese islandesi, e le sue pareti bianche e la torre si vedono lontano.
I visitatori possono pernottare in dormitori e cottage in estate l’amministrazione locale offre concerti di musica classica nel mese di luglio.

La centrale geotermica di Nesjavellir

Nesjavellir

Molte strade di Reykjavik sono riscaldate in inverno grazie ai campi geotermici intorno alla città che, oltre al riscaldamento, offrono una fornitura di acqua calda direttamente dal sottosuolo.
Una parte dell’acqua proviene da ai piedi della montagna Hengill, sulla rotta del Golden Circle.
Le aree geotermiche islandesi vengono elaborate dalla centrale di Nesjavellir.
Arroccata sulle colline, sembra più simile a una base lunare che a una centrale elettrica.
Se sentirete odore di zolfo nell’acqua delle doccia del vostro albergo a Reykjavik, probabilmente quall’acqua arriva da Nesjavellir.

La laguna segreta

laguna

 Un tuffo nelle acque geotermiche della laguna segreta è da provare assolutamente. È una piscina pubblica costruita su sorgenti calde naturali nel piccolo villaggio di Fludir.
Il nome è fuorviante. Oggi non è sicuramente un luogo segreto ma resta un modo rilassante per terminare una giornata intensa.
L’acqua qui rimane a 38-40 C (100-104 F) durante tutto l’anno e c’è anche un piccolo geyser visibile dalla piscina che erutta ogni cinque minuti.
In inverno, dalla piscina, è anche possibile vedere l’aurora boreale.

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UFO, il caso Mantell

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Nel 1948, il capitano Thomas F. Mantell, pilota della guardia aerea nazionale del Kentucky, precipita durante l’inseguimento di un oggetto volante non identificato. Si tratta di uno dei primi casi di avvistamento collettivo di un UFO.

Il capitano Mantell, inviato ad investigare da vicino l’oggetto, muore, a soli 25 anni, nell’impatto con il suolo.

Cronaca di un evento misterioso

Era il 17 gennaio del 1948 e, alle ore 13:00, decine di persone osservarono un oggetto circolare che emanava una luce rossa sorvolare la città di Maysville (Kentucky). La base militare di Fort Knox alle 13:45 fece decollare tre caccia militari, i P 51D, comandati dal capitano Mantell, nel tentativo di intercettare l’oggetto volante.

Altre fonti citano invece quattro aerei, guidati da Mantell, in transito sulla rotta tra gli aeroporti di Marietta e Standford diretti a Godmane alle 14:20. Contattati dalla torre di controllo, vennero mandati alla caccia dell’oggetto.

Solo tre aerei proseguirono, il quarto a corto di carburante fece rotta verso Standford.

Alle 15:15 Mantell, a una quota di 4.000 metri, disse di vedere l’oggetto sopra di lui che si muoveva a metà della velocità del suo aereo. A 6.000 metri di quota affermò di vedere un grosso oggetto metallico che aumentò la velocità scomparendo dietro le nuvole. Gli altri due aerei non avevano riserve di ossigeno sufficienti per affrontare il volo a quelle quote e decisero di rientrare alla base, i piloti erano i sottotenenti Hammond e Clements.

Mantell decise di proseguire la caccia ma, pochi minuti dopo, i contatti con il caccia vennero persi. Alle 15:40, il colonnello Hix, comandante della base, fece decollare due aerei per cercare il capitano Mantell.

I resti dell’aereo di Mantel vennero trovati attorno alle 17:00, nei pressi della città di Franklin, sparpagliati in una vasta area. Venne trovato anche il corpo del capitano, il suo orologio si era fermato alle 15:19. La strumentazione di bordo recuperata indicava una quota di 9.000 metri

Il capitano Thomas F. Mantell era un esperto pilota dell’air force, veterano della seconda guerra mondiale, con alle spalle 2.867 ore di volo. Aveva anche ricevuto la decorazionne  flying cross.

– Altri che videro l’oggetto.

Presumibilmente i due piloti che volavano agli ordini di Mantell, i sottotenenti Hammond e Clements.

Il sergente Quinton Blackwell che dichiarò: ” Sembrava un cono gelato guarnito di rosso“.

I caccia che inseguirono l’oggetto volante, i North American P 51 D.

Il North American P 51 D, un areo prodotto a partire dal 1941, fu uno dei caccia più versatili della seconda guerra mondiale, fu usato come caccia di scorta ai B 17 e anche come bombardiere e nelle ultime versioni sfiorò i limiti massimi per una macchina con motore a pistoni. Il P 51 D era un monoplano ad ala bassa, interamente metallico, monoposto e mono motore. Il motore era il Packard V1650 della Rolls Royce a 12 cilindri prodotto su licenza negli Stati Uniti, la potenza al decollo era di 1511 cavalli. I sebatoi contenevano 927 litri di carburante. La forma a goccia del tettuccio dava al pilota una ottima visibilità. Era armato con sei mitragliatori da 12,7 mm, poteva portare bombe e razzi. Aveva un’autonomia di 3.350 Km o otto ore e trenta di volo. Raggiungeva una velocità massima di oltre 700 km/h e una tangenza pratica di 12.771metri.

I palloni sonda

In quegli anni la marina americana varava un progetto segreto chiamato Skyhook che contemplava l’utilizzo di grandi palloni sonda che raggiungevano quote molto elevate per rilevare i raggi cosmici. Questi palloni sonda raggiungevano quote di circa 18.000 metri e somigliano alla descrizione data dal sergente blackwell, cioè la forma di un cono gelato.

Lo schianto e i rottami

I rottami vennero recuperati in una vasta area nei pressi della città di Franklin, l’orologio di Mantell segnava le 15:19 e dagli strumenti di bordo si dedusse che il velivolo era precipitato da un’altezza di 9.000 metri. Probabilmente il pilota perse i sensi per mancanza di ossigeno e precipitò senza avere la possibilità di riprendere i comandi.

Illazioni e notizie infondate

Il caso Mantell è stato ampiamente inquinato da notizie infondate o non verificate, come in molti altri casi, se non in tutti. Circolarono voci che il velivolo si fosse schiantato dopo una caduta verticale ricadendo sul ventre in una radura senza “spezzare nemmeno un ramoscello“, si legge che i rottami erano pieni di forellini e che l’aereo fu abbattuto dall’energia elettromagnetica o da una vampata di calore; circolarono voci sulle condizioni del corpo del capitano Mantell “ridotto a una poltiglia”. L’ufologo Lissoni, in un suo libro, scrive che Mantell avrebbe detto delle misteriose frasi prima di interrompere i contatti radio, la frase sarebbe stata: “Mio Dio c’è della gente la dentro“, frase simile a quella che, sicuramente ricorderete, fu citata nel film 2001 Odissea nello spazio: “Mio Dio, è pieno di stelle” quando il pilota della Discovery si ferma sopra il monolito.

Illazioni sulla traiettoria dell’UFO che avrebbe toccato diverse cittadine, l’ultima proprio Fort Knox nel Kentucky, non lontano dall’area S4, una fantomatica base dove si effettuerebbero esperimenti su navicelle di provenienza aliena.

Queste notizie non provengono da nessuna fonte ufficiale e tutti i rapporti declassificati non le citano, l’unica vera informazione è quella sulla forma dell’oggetto osservato, cioè a forma di cono gelato con la parte superiore di colore rosso come aveva dichiarato il sergente Quinton Blackwell.

Ci furono tentativi di dare spiegazione al fenomeno osservato, venne tirato in ballo il pianeta Venere e i cani solari, ma i piloti certamente non si sarebbero lasciati trarre in inganno da fenomeni celesti di quel tipo.

L’errore sta anche nel voler spiegare qualsiasi fenomeno per non avvallare nessuna tesi ufologica o per mostrare l’infallibilità della logica e del metodo scientifico.

In casi del genere, e soprattutto a distanza di anni, l’unica cosa da fare è quella di usare il rasoio di Occam, cioè eliminare tutte le ipotesi e le tesi non verificabili, tutte le voci di corridoio, cosi da lasciare spazio solo ai dati di fatto cioè alla possibilità che l’oggetto osservato poteva essere un pallone sonda e nulla più.