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Stirling Castle, l’ultimo castello degli scozzesi

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Associato alla regalità scozzese fin dal medioevo, assediato almeno otto volte durante la sua storia, il castello di Stirling passò varie volte di mano tra inglesi e scozzesi. Riconquistato dagli scozzesi nel 1328, durante la prima guerra di indipendenza scozzese, vide le sue difese smantellate per ordine di re Robert the Bruce, con lo scopo di levare agli inglesi ogni utilità nel rioccuparlo.

Il castello di Stirling è particolarmente noto per il ruolo che ha giocato nella storia scozzese ma, in effetti, la sua costruzione risale a ben prima che la Scozia diventasse un concetto politico. Le prime fortificazioni dell’area, infatti, risalirebbero ad oltre 3000 anni fa. Ampliando queste prime fortificazioni la tribù celtica dei Votadini avrebbe costruito una rocca circa 2000 anni fa e, secondo la tradizione locale, i Romani fortificarono ulteriormente la rocca nel 1 ° secolo.

castello di stirling 2

Si dice che Kenneth MacAlpin, noto come il ‘primo re di Scozia’, abbia assediato il castello nel 9 ° secolo ma, secondo gli storici, le storie su MacAlpin sarebbero più mito che realtà. Si tramandano, inoltre, racconti secondi i quali il castello di Stirling sarebbe stato anche la sede della corte di Re Artù.

Nonostante la demolizione delle sue difese ordinate da Robert The Bruce, il ruolo di Castello di Stirling in alcuni dei più importanti eventi storici della Scozia fu ancora determinante. Negli anni successivi, diventò una sontuosa residenza per i monarchi Stewart con Maria, Regina di Scozia e il re Giacomo; ed oggi è una delle più note attrazioni della Scozia: circa un mezzo milione di visitatori è venuto nel 2015.

Testimonianze risalenti al 1110 mostrano che in Scozia il re Alessandro I dispose un pagamento per la manutenzione di una cappella all’interno del castello, segnale che prova un collegamento già forte tra la monarchia scozzese e questo castello. Durante quel periodo, edifici e cortili furono costruiti all’interno dei vecchi bastioni e terrapieni, rendendo il castello una residenza degna di un re, visto che lo stesso re Alessandro vi morì nel 1124. Entro la metà del 12 ° secolo, il castello diventò un centro amministrativo chiave.

Tutti, dai Celti ai Romani ai re scozzesi sono stati attratti dal castello di Stirling, in gran parte a causa della sua posizione.

Il picco scosceso su cui il castello sorge risale ad una eruzione vulcanica di 350 milioni di anni fa. Nel corso dei millenni successivi, la lava è stata sepolta sotto arenaria e ghiaccio. Come gran parte del resto del paesaggio drammatico della Scozia, la roccia deve la sua forma attuale alla fine dell’ultima era glaciale circa 10.000 anni fa: il ghiaccio ritirandosi, scolpì le rocce del territorio scozzese così come ci appaiono ora.

La posizione di questa rocca si rivelò nel tempo particolarmente strategica. Posta a cavallo tra l’intersezione tra le Highlands a nord e ad ovest e Forth Valley Down, con Edimburgo a sud-est, chiunque fece costruire questo castello doveva vederlo come una roccaforte perfetta per il controllo del crocevia tra le due regioni soprattutto potendo controllare il passaggio sull’adiacente e molto frequentato ponte sul fiume Forth, un punto di passaggio chiave tra le Highlands e sud della Scozia. Proprio questa fu la ragione per cui il castello giocò un ruolo chiave in molti del conflitti successivi.

I più noti di questi conflitti furono le guerre di indipendenza scozzesi. Alla fine del 13° secolo, re Giovanni di Scozia si rivelò più rigido del previsto di fronte alle intimazioni del re inglese Edoardo I, arrivando a negoziare un trattato con la Francia contro l’Inghilterra, spingendo Edward ad invadere il territorio e a conquistare il castello di Stirling. Guidati dai leggendari combattenti William Wallace e Andrew Moray, gli scozzesi riconquistarono il castello nella famosa battaglia di Stirling Bridge. Osservando dal castello il sito di quella battaglia si può riconoscere il National Wallace Monument, la torre in pietra costruita in omaggio all’eroe di guerra scozzese.

robert bruce

Ma dopo una pesante sconfitta nella battaglia di Falkirk, gli scozzesi furono costretti a restituire ancora una volta il castello agli inglesi. Le forze scozzesi guidate da Robert the Bruce – futuro re di Scozia – assediarono il castello, riuscendo, infine, a riconquistarlo.

Nel 1304, il castello di Stirling era l’ultimo castello di Scozia ancora detenuto dagli scozzesi, fino a quando Edward, in quell’anno, sconfisse l’esercito scozzese e ne riprese possesso.

Alla morte di Edward, però, avvenuta nel nel 1307, il fratello di Robert the Bruce pose nuovamente assedio al castello di Stirling, con l’intento di riprenderlo per sempre.

Fu in questa occasione che, nel 1314, re Robert the Bruce intercettò i rinforzi inglesi destinati alla protezione del castello a Bannockburn. Stretto tra l’area paludosa Burn Bannock e il fiume Forth, l’esercito inglese fu travolto e distrutto. Questa battaglia è commemorato in quello che è spesso chiamato l’inno nazionale non ufficiale scozzese, Fiore di Scozia.
a pensare di nuovo.

Una statua di Robert the Bruce, insieme alla data della battaglia di Bannockburn – 24 giugno 1314 – è oggi posta nel parco del castello.

Fu a questo punto che re Robert the Bruce fece smantellare le difese del castello per eliminarne l’importanza strategica ed evitare nuove conquista da parte inglese. La guerra di indipendenza scozzese si concluse definitivamente a metà del 14 ° secolo e il primo re Stewart, Robert II, ordinò il ripristino del castello.

I monarchi scozzesi successivi continuarono a rimodellare il sito per le proprie esigenze. Costruttore appassionato fu re Giacomo III (1460-1488), che potrebbe aver posto le basi per la Sala Grande così come la possiamo vedereoggi.

Furono, però, i successori di re a dare al castello il suo aspetto attuale. Cercando di competere con contemporanei come il re d’Inghilterra Enrico VII, Re Giacomo IV fece del vecchio edificio la sua residenza. Recentemente, nel 1999, il castello è stato restaurato completamente anche se il colore il colore mandarino pallido assegnato alla Sala Grande, soprannominato ‘l’oro del re’, ha sollevato qualche controversia ma, secondo gli storici, ripristina in realtà la colorazione che la sala avrebbe avuto nel 1500 sotto James IV.

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Re Giacomo V, che salì al trono a solo un anno nel 1513,costruì qui il suo sontuoso palazzo, come residenza per lui e sua moglie, la nobildonna francese Maria di Guisa – la madre di Maria, Regina di Scozia.

Oggi Stirling castle è uno dei più grandi e imponenti castelli della Scozia, è monumento nazionale ed è diretto dall’Agenzia storica nazionale. È anche il quartier generale del reggimento dell’Argyll and Southerland Higlanders, sebbene tale reggimento non sia più stanziato qui da molto tempo.

 

Ufo: Philiph J. Corso e la tecnologia aliena

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

Philip J. Corso nacque il 22 maggio 1915 a Jupiter in Florida, morì il 16 luglio 1998 ed è stato un ufficiale statunitense.
Prestò servizio nell’esercito degli Stati Uniti dal 23 febbraio 1942 al 1º marzo 1963, e raggiunse il grado di Tenente colonnello.
Ha scritto un libro in cui rivela di essere stato coinvolto nella gestione dei materiali raccolti dopo l’UFO crash di Roswell.

L’otto Giugno 1998 Philip Corso denunciava il cover-up del governo americano su quanto successo a Roswell in una dichiarazione scritta e giurata davanti all’avvocato Peter Gersten, in cui confermava che le informazioni e le affermazioni contenute nel suo libro “The Day After Roswell” erano la pura verità e chiamava in giudizio il Department of the Army. Meno di un mese dopo, il 16 Luglio, il Colonnello Corso moriva stroncato da un attacco cardiaco. Aveva 83 anni.

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Al Pentagono nel 1961, per ordine del suo diretto superiore, il Generale Arthur Trudeau, Corso fu chiamato a valutare quali delle industrie appaltatrici della Difesa USA fosse opportuno coinvolgere per gestire al meglio il “Roswell File”. L’obiettivo della Divisione Tecnologia Straniera che Corso diresse per un anno era ricercare e sviluppare mediante retroingegneria qualsiasi apparato appartenesse a nazioni straniere, alleate o meno degli USA.

Philip Corso dichiarava che dopo Roswell, le conoscenze scientifiche americane vennero utilizzate nel tentativo di costruire un disco volante partendo da un prodotto preesistente, l’aeroplano, cercando di realizzare un’astronave terrestre ma purtroppo il tentativo non andò oltre il miglioramento del prodotto terrestre, facendo spendere molti miliardi di dollari inutilmente. Secondo Corso i Tedeschi c’erano arrivati prima con i Foo Fighters chiaro esempio dell’utilizzazione di tecnologie extraterrestri. I foofhigters erano veicoli elettromagnetici, costruiti dai Tedeschi, i quali stavano progredendo nello studio della teoria elettromagnetica grazie ricerche e collaborazioni con scienziati italiani

Secondo Philip Corso il progresso derivato dalla tecnologia aliena fu scarso ,non superando il dieci per cento delle capacità della macchina aliena..

Non c’era un solo esperto in materia, che potesse progettare qualcosa di simile ai mezzi alieni. Le EBE, le Entità Biologiche Extraterrestri costituivano, secondo il colonnello Corso, parte integrante dei loro oggetti volanti: le EBE, il sistema propulsivo della macchina e lo spazio formano una sola cosa e non possono funzionare separatamente. Il canadese Wilbert Smith è stato l’unico a comprendere il funzionamento della macchina volante recuperata. Grazie al genio di Smith, racconta Corso, fu possibile sviluppare i transistor, i circuiti integrati e degli acceleratori di particelle. Secondo le dichiarazioni di Corso: a bordo delle navicelle non c’è cibo, acqua o altro. gli umanoidi di tipo EBE vivono attraverso pulsazioni elettromagnetiche. Philip Corso conferma l’esistenza di un tipo di alieno che raccontò di aver visto a Fort Riley. Confermò di aver letto solo un documento autoptico, alla Casa Bianca.

Cosa diede lo schianto dell’UFO di Roswell agli americani? Secondo Corso diede la possibilità di creare nuovi materiali come il kevlar, le fibre ottiche, il laser, i transistor e i circuiti integrati. Tutte queste innovazioni secondo i suoi racconti ricordiamolo, fatti sotto giuramento poco prima di morire, provenivano dal relitto extraterrestre recuperato e studiato smembrandone le parti da far analizzare a industrie locali senza raccontare la loro provenienza. Ma questo è possibile? Quanto di vero c’è nei racconti del Colonnello Corso?

Il transistor

Il transistor nasce in USA alla fine del 1947 frutto di una lunga ricerca condotta presso i Bell Laboratories da Shockley, Bardeen e Brattain, che per questo risultato guadagneranno il premio Nobel nel 1956. Negli anni precedenti la II Guerra Mondiale, alcuni ricercatori, studiando il silicio scoprirono l’esistenza di due diversi tipi di semiconduttore, “N” e “P”, a seconda di certe impurità contenute nel reticolo cristallino. Il ricercatore William Shockley dichiarò nel 1939: “Sono certo che un amplificatore che faccia uso di semiconduttori al posto dei tubi a vuoto sia in linea di principio possibile”. La guerra interruppe le ricerche, e solo nel 1945 che venne ristabilito presso i Bell Labs un gruppo di lavoro sui semiconduttori, capeggiato da Shockley. Nei due frenetici anni successivi il gruppo concentrò le sue ricerche sul germanio, invece del silicio utilizzato prima della guerra, e finalmente il 23 dicembre 1947 i tre ricercatori poterono presentare al mondo intero un dispositivo amplificatore completamente nuovo, sotto forma di un intreccio di fili montati su un supporto di plexiglas. Il nome transistor (combinazione di TRANSconductance varISTOR) fu suggerito da un altro ingegnere dei Bell.

La fibra ottica

La prima fibra ottica è stata brevettata nel 1956 per uso medico, nel processo di sviluppo di un gastroscopio. La perdita di segnale subita dalla luce all’interno della fibra ersa però molto alta, fatto che ne limitava l’utilizzo alle sole brevi distanze. La rivoluzione nel mondo delle telecomunicazioni avvenne negli anni Sessanta quando Charles Kao, ricercatore della Standard Telecommunication Laboratory (colosso inglese nella produzione di cavi telefonici), intuì che l’attenuazione delle fibre contemporanee era causata dalle impurità presenti nel vetro. La fibra ottica è un sottilissimo filo di vetro, della dimensione di un capello, nel quale viaggia la luce. Con l’invenzione della fibra ottica si è riusciti per la prima volta nella storia dell’uomo a veicolare e guidare la luce, permettendo a quest’ultima di viaggiare seguendo linee curve. Le fibre ottiche stanno sostituendo i tradizionali cavi telefonici in rame e costituiscono oggi l’infrastruttura attraverso la quale viaggiano più dell’80% delle informazioni Internet, immagini televisive e conversazioni telefoniche di tutto il mondo. Il tutto ad una velocità di poco inferiore a quella della luce (200.000 km/s).

Il kevlar

kevlarLa scoperta del kevlar avviene per caso, nel 1964. Era prevista una diminuzione nella produzione globale di petrolio, il gruppo di ricerca di Stephanie Kwolek stava lavorando alla realizzazione di una fibra leggera ed elastica da utilizzare negli pneumatici delle automobili in quanto veicoli più leggeri consumano meno benzina. Durante un esperimento, due monomeri – molecole semplici in grado di combinarsi tra loro – producono una fibra dalle caratteristiche particolari. Kwolek si rende subito conto delle qualità straordinarie del nuovo materiale e convince Charles Smullen, il tecnico di laboratorio, a eseguire alcuni test. Scopre che il polimero – ovvero la macromolecola prodotta nell’esperimento è incredibilmente resistente. Negli anni successivi vengono condotte ulteriori analisi, finché, nel 1971, la DuPont la immette sul mercato col nome di kevlar. A parità di peso, il kevlar è cinque volte più resistente dell’acciaio, ha una notevole capacità di assorbimento delle vibrazioni e resiste agli impatti, al calore e alla trazione. Oltre che per la fabbricazione di giubbotti antiproiettile, il kevlar è utilizzato: per la realizzazione di elmetti militari e il rivestimento del vano motore degli aeroplani, nelle carene delle canoe e per rinforzare i veicoli blindati, nelle punte delle stecche da biliardo, per l’imbottitura dei vestiti dei motociclisti, nelle tute spaziali, nei telai e nelle carrozzerie di auto e moto da corsa, per il rivestimento di smartphone e cavi USB.

Il laser

laserNel dicembre del 1953 viene realizzato il primo MASER (Molecular Amplification by Stimulated Emission of Radiation), un amplificatore di microonde. Al 1958, invece, risale l’invenzione del LASER (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation). Il 16 maggio del 1960 Maiman, fisico presso gli Hudghes Research Laboratories della Hughes Aircraft, diede vita al primo laser funzionante, si trattava di un dispositivo capace di emettere un fascio di luce coerente e monocromatica. Come spesso accaduto per scoperte di questa importanza, anche nel caso del laser, Maiman è riuscito a concretizzare un’idea che da tempo circolava negli ambienti scientifici, utilizzando scoperte precedenti e modificandole secondo necessità. L’invenzione del laser ha generato moltissime dicerie. Lo studente della Columbia Gordon Gould, l’inventore del termine laser, aveva depositato un brevetto nel 1959, ricercatori dei Bell Labs nel 1960, Maiman ci è arrivato nel 1961. A tutto questo hanno fatto seguito anni di contenziosi legali che hanno consentito a Gould di aggiudicarsi almeno alcuni brevetti dopo il 1977.

Conclusioni

Un affidavit giurato e firmato poco prima del decesso, dichiarazioni eclatanti e un libro che racconta la storia di un UFO crash come tanti, di navette aliene secondo gole profonde, ex militari, scienziati o presunti tali se ne contano a decine. Le dichiarazioni di Corso sono facilmente smentibili, tutte le ricadute da lui citate sono di fattura terrestre ed è tutto documentato. Quanto sarebbe possibile capire da un’eventuale tecnologia aliena? Non lo sappiamo, ma certamente pare strano che Corso citi tecnologie che in quegli anni venivano sviluppate nei laboratori, come mai non hanno replicato, ad esempio, un propulsore extraterrestre? Possibile che un’avanzata nave spaziale che presumibilmente viaggiava per decine di anni luce avesse bisogno dei transistor quando noi stessi, oggi, siamo già oltre tale tecnologia? O, ancora peggio, che dopo un viaggo attraverso gli anni luce subisca un guasto tale da precipitare al suolo?

Misteri ufologici, misteri che tali devono restare per ingolosire i molti appassionati che vogliono crederci e basta.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO Italia, Perle complottare e le scie chimiche sono una cazzata.

Camera a bolle per scovare Materia Oscura

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PICO60run2resultL’ultimo risultato dall’esperimento PICO pone alcuni tra i migliori limiti mai avuti sulle proprietà di alcuni tipi di materia oscura. Il progetto PICO intende rivelare particelle di materia oscura, basandosi su una tecnica semplice: la camera a bolle. Gli esperimenti sono installati ad una profondità di 2 km nel laboratorio sotterraneo SNOLAB a Sudbury, Ontario, Canada. La collaborazione PICO sta effettuanfo due esperimenti alla ricerca di materia oscura: una camera a bolle riempita con ~ 57 kg di C 3 F 8 (octafluoropropano)  ed un’altra con 3 kg . Una versione molto più grande di questo esperimento, con un massimo di 500 kg di massa attiva, è in fase di sviluppo.PICO ha avuto il suo inizio nel 2005 come collaborazione tra l’Università di Chicago e il Dipartimento di Energia del Fermilab (DOE). L’esperimento inizialmente aveva un nome diverso, COUPP, e più tardi si fuse con l’esperimento PICASSO per formare PICO. Nei primi giorni dell’ esperimento gran parte del lavoro degli scienziati del Fermilab è stata dedicata alla re-ingegnerizzazione della camera a bolle. La camera a bolle non è certo un concetto nuovo – è stata inventata nel 1952 –  e la tecnologia obsoleta. E ‘stato un ritorno alla vecchia scuola della fisica delle particelle a bassa tecnologia, quando i collaboratori del Fermilab hanno cominciato a ridisegnare  la camera a bolle di PICO; le camere a bolle sono state ‘dismesse’ alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, perchè troppo lente per tenere il passo con gli esperimenti che richiedevano un alto tasso di dati. Di conseguenza, sono state eliminate con la comparsa degli acceleratori di particelle moderni come il Tevatron del Fermilab e il Large Hadron Collider del CERN, che utilizzando elettronica complessa, sono stati in grado di raccogliere milioni di volte più dati rispetto alle camere a bolle.

Le classiche camere a bolle erano progettate per convertire l’energia depositata da una particella subatomica in una bolla che poteva essere osservata. In un liquido come l’acqua, a temperatura ambiente, le collisioni di particelle non producono nulla di evidente. Per essere sensibile alle particelle, il fluido all’interno della camera viene riscaldato ad appena sopra il suo punto di ebollizione, e quando le particelle entrano nella camera, un pistone ne diminuisce improvvisamente la sua pressione, ed il liquido entra in una fase metastabile surriscaldato. Le particelle cariche creano una traccia di ionizzazione, attorno alla quale il liquido vaporizza, formando microscopiche bolle. In effetti è possibile osservare direttamente la formazione della bolla: mentre in tipici esperimenti di fisica delle particelle con gli acceleratori le informazioni sulle interazioni tra le particelle è data solo attraverso le interfacce del computer, in PICO le interazioni sono visibili ad occhio nudo come bolle.

La  cosa sorprendente di PICO è che viene utilizzato un disegno relativamente semplice del rilevatore rispetto agli altri esperimenti di materia oscura in corso, e a differenza delle camere a bolle tradizionali per il rilevamento di particelle cariche, la camera a bolle di PICO è progettata per cercare sfuggenti WIMP – particella ipotizzata di materia oscura che interagisce debolmente con la materia ordinaria, quindi molto difficile da rivelare – di  carica neutra che potrebbe richiedere anni per la sua rivelazione.

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La forza debole che governa le WIMP è circa 10.000 volte più debole della forza elettromagnetica. Le particelle che interagiscono attraverso la forza debole, come le WIMP e i neutrini, non interagiscono spesso, e questo li rende difficili da catturare. Ma una WIMP che si muove lentamenete può depositare energia sufficiente per essere visibile in un rivelatore. Calibrando attentamente il calore e la pressione del fluido nella camera a bolle di PICO, gli scienziati sono stati in grado di rendere il rivelatore sensibile solo alle interazioni di particelle massive come WIMP. Essi sono stati anche in grado di evitare gran parte del fondo standard, come segnali da elettroni e raggi gamma, che affliggono ad esempio altri rivelatori di materia oscura. Per padroneggiare la tecnologia per fare ciò, ci sono voluti anni. Predecessori di PICO hanno iniziato con poco più che provette riempite con qualche cucchiaino di liquido, per poi diventare recipienti, fino ad utilizzare  telecamere digitali per vedere le bolle e  il pickup acustico per migliorare la capacità di distinguere tra particelle di materia oscura ed altre sorgenti quando analizzano i dati. In altre parole, se una WIMP crea una bolla, PICO sarebbe in grado di vedere non solo la prova della materia oscura, ma ‘udirla’ pure, perchè utilizzando questa tecnologia acustica, i ricercatori sono stati in grado di porre il veto in modo efficace su bolle che non si sarebbero mai potute creare da WIMP, permettendo loro di eliminare lo sfondo.

Come si è visto dagli ultimi risultati dell’esperimeto, PICO non ha visto nessuna bolla creata da WIMP, ma questo  ha aumentato la  capacità di vedere WIMP spin-dipendenti di un fattore 17, rispetto agli esperimenti precedenti. Immissione di limiti di questi fattori può suggerire ai fisici dove andare a cercare successivamente la materia oscura.

La ricerca sulla materia oscura spazia in più direzioni, quindi la varietà di teorie richiede una varietà di diversi esperimenti. Ci sono altri esperimenti che ricercano diverse particelle da diverse sorgenti di materia oscura, come particelle chiamate assioni o neutrini sterili. La ricerca di PICO per WIMP ha un focus specifico sulle cosiddette WIMP  spin-dipendente. La conoscenza di queste particelle è ancora teorica, ma in linea di massima le loro interazioni con la materia normale cadrebbero in due categorie:. una che non è sensibile alla rotazione del nucleo, e l’altra che invece lo è. Lo spin, come la carica, è una quantità intrinseca portata dalle particelle e dai nuclei atomici. PICO si rivolge principalmente per quelle interazioni di WIMP che sono sensibili alla rotazione del nucleo.In sostanza, il risultato di PICO è che queste WIMP  spin-sensibile, se esistono, devono interagire molto di rado – altrimenti PICO avrebbe visto più bolle. Questo risultato, che è di gran lunga il migliore mai visto per WIMP  spin-sensibili che interagiscono con i protoni, non esclude l’esistenza di WIMP. Ci sono molti altri posti  per cercare ancora la materia oscura, ma grazie a PICO, si può nascondere in un minor numero di posti!

PICO ha all’attivo circa 50 fisici da 20 istituzioni in Canada, Europa, India, Messico e Stati Uniti e riceve sostegno da parte del US Department of Energy Office of Science e National Science Foundation.

Dark matter search results fron the PICO-60 C3F8 Bubble chamber – [C. Amole et al. 2017]

Fonte: FermiLab

Stefania de Luca è owner del gruppo facebook Astrofisica, cosmologia e fisica particellare

 

 

I misteriosi dischi di Baian kara ula

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

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I dischi con i piccoli scheletri dalla grande testa

Nel 1938, il professore di archeologia dell’Università di Pechino, Chi Pu Tei fece una scoperta eccezionale. Durante l’esplorazione di alcune grotte nell’impervia catena montuosa di Baian Kara Ula, lungo il confine Cinese/Tibetano, scopri un sistema di gallerie artificiali e interconnesse le cui pareti erano state levigate da sembrare cristallizzate dall’azione di un calore estremo. Sulle pareti erano incisi dei segni che sembravano rappresentare il sistema solare. All’interno delle grotte furono rinvenute delle piccole tombe che contenevano i resti di creature alte circa un metro e trenta centimetri con un cranio enorme in rapporto alle dimensioni del corpo. Nei pressi delle tombe furono trovati ammassati 716 dischi di granito con diametro dai 35 ai 50 cm e con un foro al centro, spessi un centimetro. Questi dischi presentavano su un lato degli strani simboli, mentre sull’altro mostravano un’incisione a spirale che partiva dal centro e terminava sul bordo esterno.

I reperti furono portati in segreto a Pechino e per vent’anni gli scienziati cercarono di tradurre le misteriose iscrizioni dei dischi di pietra.

Fu solo nel 1962 che quando il team guidato dal professor Tsum Um Nui concluse che i manufatti risalivano a 10.000 anni prima e raccontavano la storia di creature aliene chiamate Drog-pa, provenienti da un sistema planetario lontano 12 mila anni luce. Gli indigeni della zona del ritrovamento narrano che in tempi antichi due tribù abitavano in quella zona e che strani esseri giunti dal cielo convissero tra di loro. Le autorità però decisero che il grande pubblico non doveva essere informato delle stupefacenti scoperte e tutto venne messo a tacere. La storia venne divulgata dopo due anni di assoluto silenzio. Le traduzioni dei contenuti dei dischi non furono però prese seriamente da altri luminari e solo dopo altri 25 anni gli archeologi trovarono altre conferme in alcune leggende che circolavano tra gli indigeni del luogo del ritrovamento, leggende che parlavano di piccoli esseri dalle grandi teste e dal colorito giallastro

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dischi e i Dropa

Le ultime analisi dei Dischi, eseguite negli anni 60 da alcuni scienziati sovietici, rivelarono che i dischi facevano parte di una specie di circuito elettrico e se messi in rotazione per mezzo di uno speciale fonografo producevano delle vibrazioni e dei ronzi come se fossero stati sottoposti a un intenso campo elettrico, i dischi rivelarono un’alta concentrazioni di cobalto e altri minerali, il che ne rendeva difficile la lavorazione da parte di esseri umani di 10.000 anni fa.

Nel 1974 un ingegnere austriaco, Ernest Wegwrer fotografò uno dei dischi nel museo Bampo di Kiang a Pechino e, in seguito, un disco simile venne alla luce presumibilmente in Nepal.

il prof. Karil Robin Evansche si accorse che il disco, se posato su una bilancia, apparentemente perdeva e acquistava peso. Lo stesso Evans entrato in contatto con il capo della tribù dei Dzopa scopri che gli esseri che costruirono i dischi provenivano dal pianeta Sirio e che due missioni esplorative partirono per il pianeta Terra, una 20.000 anni fa e una 1014 anni prima di Cristo ma a causa di un incidente non riuscirono più a tornare al loro mondo, secondo la leggenda raccontata dal capo tribù, i Dzopa erano i discendenti degli alieni.

Questa è in sintesi la storia, ricercatori, scienziati, archeologi, antiche tribù, UFO crash preistorici, misteriosi manufatti, linguaggi alieni prontamente tradotti, e esseri alieni che giunti sulla Terra si confondono con popolazioni terrestri generando discendenze miste, come fosse cosi semplice tradurre un messaggio da esseri evoluti in maniera totalmente indipendente dalla nostra.

Come si può vedere, non manca nulla, nemmeno gli esseri dalla grossa testa che si schiantano sul nostro pianeta… Ma cosa c’è di vero?

I famosi dischi sono stati creati nel libro “Sungods in Exile” (1978) da Karyl Robin-Evans, che narra di una sua spedizione in Tibet del 1947 e di come venne a conoscenza dei Dropa e dei loro segreti. Nel 1995, però, venne a galla un’altra storia, lo scrittore David Gamon confessò al Fortean Times, di aver scritto Sungods in Exile per scherzo e per mettere alla berlina le teorie di Erich von Däniken, falsificando anche le prove.

Nonostante le ammissioni, Hartwig Hausdorf nel 1998 scrisse il libro “The Chinese Roswell” dove raccontava che il professor Tsum Um Nui della Beijing Academy, era riuscito a tradurre i dischi, purtroppo, però, mai nessuno ha sentito parlare di questo professore che, infatti, non esiste né in Cina né altrove. Tsum Um Nui non è altro che un cognome giapponese scritto, però, ortograficamente in maniera scorretta. I dischi di pietra sono conservati, a detta degli scrittori in vari musei in tutta la Cina, tuttavia, nessuno di questi musei, una volta contattato, sembra conoscerli.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO Italia, Perle complottare e le scie chimiche sono una cazzata.

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Sogni un castello? Il demanio intende assegnarne diversi in concessione. Ecco cosa fare per partecipare al bando

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E non solo castelli ma anche ville lussuose, pensioni e case d’epoca. L’agenzia del demanio intende assegnare gratuitamente 103 proprietà da ripristinare ed utilizzare come destinazione turistica.

Se sei affascinato da Grande Inverno, Castel Granito o il nido dell’Aquila è la tua occasione.

Tuttavia, c’è solo un problema. L’Agenzia del Demanio si aspetta che chiunque prenda un castello libero (o qualsiasi altro dei 103 oggetti) si impegni a ripristinarlo in modo che possa diventare un’attrazione turistica aperta al pubblico. La cosa positiva è che sarà il soggetto assegnatario a decidere se trasformare il bene assegnato in un albergo, un centro benessere, un ristorante o un’altro tipo di attrazione.

“Il progetto intende promuovere e sostenere lo sviluppo del turismo locale”, ha dichiarato alla stampa Roberto Reggi, dell’Agenzia del Demanio, “L’obiettivo è trasformare, senza aggravio di spese per lo stato, edifici pubblici e privati, abbandonati o non più utilizzati, in strutture per pellegrini, escursionisti, turisti e ciclisti.”

Le autorità pensano che questo progetto sarà utile per alleggerire la pressione sulle aree del paese più popolari e affollate dai turisti come, ad esempio, Venezia.

La scadenza per le domande è il 26 giugno.

I candidati prescelti avranno una concessione di iniziale di nove anni per sviluppare e portare a regime il loro progetto, con la possibilità di estendere la concessione anche per i nove anni successivi.

In caso qualcuno intendesse partecipare al bando ma si vedesse respingere il proprio progetto, niente paura, ci sarà il tempo per rifarsi. Il demanio, infatti, intende assegnare con le stesse modalità altre 200 location entro i prossimi due anni.

Per ulteriori informazioni:  agenziademanio.it

Vediamo alcune delle location oggetto del bando:

In qualche caso c’è davvero tanto lavoro da fare… Crediti Immagine: lianem / 123RF

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Ma che ne dite di questa struttura in cima ad un suggestivo borgo medievale? Crediti immagine: Andrea Pistolesi / Getty Images

Certo, qualche castello sorge in luoghi un po’ impervi… Crediti immagine: Gennaro Leonardi

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Ma una cosa del genere può valere la pena… Crediti immagine: Luca D’Ambra

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In qualche caso potrebbe valere il detto: “È più la spesa che l’impresa…” Crediti immagine: Stefano VIAGGIO

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Non male per un agriturismo o un centro benessere, no? Crediti Immagine: MattC77

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Che dire? Mi sa che ci provo a partecipare… Crediti immagine: Iris van Wolferen

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Una passatina di stucco, due mani di vernice, che ci vuole? Crediti immagine: Iris van Wolferen

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Il nido dell’Aquila… Crediti immagine: TuAnh Nguyen

Avete ancora un mese di tempo per presentare le vostre domande… Cosa aspettate? L’inverno sta arrivando!

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Area 51, tra mito e realtà

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L’area 51 è una della basi militari più segrete e del pianeta e, proprio a causa delle ipotesi e dei misteri che ne circondano l’esistenza, al pari di altre località simili, è fonte di dicerie, teorie e leggende metropolitane, in particolare, il filone dell’ufologia complottista vedrebbe in questa base la centrale operativa di una presunta agenzia governativa, il Majestic 12, che istituita nel 1947 dal presidente Truman, avrebbe ormai trasceso il suo scopo istituzionale e servirebbe un supposto governo ombra degli Stati Uniti, governo ombra impegnato in indicibili accordi con svariate razze aliene.

Questa base militare super segreta ha finito per colpire tanto la fantasia popolare da essere diventata protagonista di film hollywoodiani come, ad esempio, Indipendence day o di molte puntate di serie televisive come, ad esempio, Stargate, finendo per fornire ulteriore materiale ad appassionati e complottisti che, speculando sulle vicende di questi films e telefilms, sono riusciti ad accrescere l’aura di mistero ed incertezza intorno alla base stessa.

area51controlliSecondo tanti ufologi e appassionati di misteri, in questo luogo sarebbero nascosti i resti degli UFO recuperati nei vari incidenti che, secondo la narrazione complottista, sarebbero avvenuti in varie parti degli USA, a cominciare dall’UFO crash di Roswell, dove sono a disposizione degli scienziati impegnati in progetti di retroingegneria atti a comprenderne il funzionamento per riprodurne i sistemi di produzione di energia e propulsione.

Ufficialmente, l’Area 51 è una sezione del poligono nucleare ed areonautico di Nellis, una vasta zona militare che si estende nel deserto del Nevada a circa 150 km da Las Vegas; è situata nel letto del Groom Lake, un lago asciutto da tempo, ed è conosciuta anche con altri nomi, Dreamland, Watertown, The Rach e Skunkworks.
Questo complesso viene utilizzato fin dal 1954, e l’aeronautica militare vi ha condiviso con la CIA diverse strutture sotterranee fino al 1972.

In realtà l’Area 51 è stata spesso utilizzata per sviluppare e realizzare progetti segreti, testandone poi i prototipi. In questo luogo, per esempio, hanno preso il volo, per la prima volta, i ricognitori strategici U-2 e SR-71 Blackbird, forse anche i primi prototipi dei cacciabombardieri STEALTH F-117A e, secondo alcune voci di corridoio, si starebbe ora lavorando al nuovo ricognitore chiamato “Aurora” che raggiungerebbe velocità dell’ordine di svariati Mach. Questi progetti vengono citati negli ambienti ufologici come il prodotto di ricadute tecnologiche dovute all’ingegneria inversa applicata a presunte macchine volanti extraterrestri nascoste e studiate in alcuni hangar del complesso.

l’Area 51 è raggiungibile percorrendo strade sterrate apparentemente abbandonate. Nel 1984, allo scopo di scoraggiare l’osservazione della base da parte di curiosi, i militari sequestrarono circa 89.600 acri di terreno pubblico attorno la base militare ma, nonostante l’espresso divieto di avvicinarsi, restano numerosi gli appassionati e i curiosi che si avventurano nella zona fino ad arrivare a pochi metri dalle barriere metalliche, costringendo i militari a presidiare l’area pattugliandola con gruppi armati a bordo di fuoristrada bianchi, cosa che ha colpito la fantasia dei complottisti che ne hanno attribuito l’appartenenza a qualche corpo speciale non ufficiale.

Tutta questa segretezza sarebbe la prova che l’Area 51 protegge segreti indicibili. Come al solito la realtà è ben diversa: provate ad avvicinarvi ad una qualsiasi zona militare ad accesso limitato senza averne l’autorità e poi raccontate cosa succede. Se è vero che in Area 51 vengono sviluppati e testati velivoli ultrasegretri, il minimo che può capitare è che le autorità ne scoraggino l’avvicinamento con ogni mezzo.

Se l’area 51 è un posto così segreto, come mai lo si può osservare in foto satellitari che ne mostrano l’estensione? Quando e perchè si iniziò ad attribuirgli questo mistero?

Negli anni ’80, Dave L. Dobbs, giornalista ed ufologo di Cincinnati (Ohio), ricevette una lettera da un radiotecnico, tale Mike Hunt. Egli fu tra i primi che associarono le attività dell’Area 51 e gli UFO.

Hunt sosteneva di aver lavorato nel complesso nei primi anni ’60 per conto della Commissione Atomica Statunitense e di aver saputo che un UFO vi sarebbe stato trasportato dalla base aerea di Edwards, in California. Secondo le sue fonti il progetto era denominato “Project Red Light” e doveva occuparsi dello studio della propulsione di almeno tre UFO catturati, cercando di capirne il funzionamento partendo da un prodotto finito e cercando di capire in quale modo gli UFO venivano costruiti. Inoltre dovevano studiare l’anatomia e la fisiologia degli alieni, almeno due, in possesso del governo USA. Altri fecero dichiarazioni più o meno simili ma sempre poco o per nulla credibili.

Un altro personaggio che divenne noto negli anni seguenti era Bob Lazar, un presunto fisico nucleare che raccontò di aver lavorato in una sezione dell’area 51 che si occupava di capire il funzionamento dei propulsori dei dischi volanti.

Lazar nel 1989 raccontò la sua storia in una nota trasmissione televisiva americana, dicendo una serie di cose incredibili sulle reali attività dell’Area 51, dove avrebbe lavorato dal 1988.

Dichiarò di aver studiato il modo in cui gli alieni viaggiavano nello spazio: utilizzando reattori alimentati con un elemento detto “elemento 115” dotato di caratteristiche particolari, grazie alle quali riusciva a piegare lo spazio tempo generando una sorta di curvatura che spingeva la nave a velocità superiori a quelle della luce. Teorie e racconti, però, non provati in alcun modo e che non spiegano perché le forze armate americane continuino a usare mezzi e motori convenzionali.

autopsia
Autopsia alieno

A forza di rivelazioni da parte dei soliti bene informati, all’inizio degli anni novanta il mondo venne a sapere, grazie alla televisione, che gli alieni erano giunti sulla Terra decenni prima ma che il loro viaggio interstellare era finito in uno schianto che fece la fortuna di chi entrò in possesso dei filmati dove rottami e corpi mutilati facevano bella mostra di sé.

Guarda caso, la possibilità di vendere a peso d’oro alla TV e ai giornali filmati e fotografie che mostravano presunte autopsie di presunti alieni fece nascere una nuova professione: quella del ricercatore indipendente impegnato a battersi per ristabilire la verità di fronte alle menzogne dei governi, figura che, con l’avvento di internet, ha cominciato a proliferare nei campi più disparati del complottismo, guadagnando con poca fatica soldi grazie alla vendita di fantasiosi ebooks, click sui banner delle pagine web, visualizzazioni di filmati su you tube e, non ultima risorsa, raccolte di fondi per finanziare questa o quella pseudoricerca ai danni di creduloni ed ignoranti.

L’Area 51 è sempre là, potete visualizzarla su google maps e su google Earth, se vi capitasse di vedervi decollare o atterrare un UFO, fateci un fischio.

Il complotto per insabbiare il fenomeno UFO: il Majestic 12

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

Il Majestic 12 è un documento composto da dieci pagine, con timbro “Top Secret” che ha come oggetto il Progetto Aquarius che istituiva un gruppo di studio relativo al fenomeno UFO.

A dirigere il Majestic era un gruppo segreto formato da 12 membri, politici, militari e scienziati degli Stati Uniti che per decenni avrebbero studiato, in totale segretezza, i rapporti UFO e i relativi crash di dischi volanti. Il gruppo, voluto dal presidente Harry Truman, secondo molti ufologi e complottisti fu creato per insabbiare le prove della presenza aliena nei cieli della Terra che, se fosse diventata di dominio pubblico, avrebbe destabilizzato il sistema a tutti i livelli.

Il Progetto Aquarius aveva il compito raccogliere tutte le informazioni scientifiche sugli Ufo e sui loro piloti, da utilizzare per lo sviluppo della tecnologia spaziale e garantire cosi agli USA il predominio sul pianeta.
Una raccolta di dati conosciuta con nome di Project Blue Planet, comparsa nel 1984, afferma che il Majestic 12 venne creato per ordine del presidente Truman, il 24 settembre del 1947 su consiglio di Vannevar Bush e del Segretario della Difesa James Forrestal. Bush sarebbe stato eletto alla direzione del gruppo. Di seguito,il testo originale, tradotto in italiano, della lettera di accompagnamento di Truman a Forrestal.

« Top secret

Casa Bianca – Washington
24 settembre 1947

Memorandum per il Segretario
Caro Segretario Forrestal,
come dalla nostra recente conversazione su questo argomento, con la presente Lei è autorizzato a procedere con la dovuta celerità e discrezione circa il Suo impegno. In futuro ci si riferirà a proposito solo come «Operazione Majestic-12». Continua a starmi a cuore il fatto che ogni futura considerazione relativa all’ultima disposizione su questa materia resti solamente nell’ambito dell’Ufficio del Presidente seguendo le appropriate discussioni con Lei, il dottor Bush e il direttore della CIA.
Harry Truman »

docLa vicenda MJ-12 fu divulgata nel 1984, quando il produttore televisivo e ufologo amatoriale Jamie Shandera ricevette per posta un filmato da un mittente anonimo in cui erano presentati due documenti: il primo, attribuito a Harry Truman autorizzava la costitizione di una commissione chiamata MJ 12 per la valutazione dell’evento di Roswell, avvenuto proprio del 1947; il secondo risalente al 1952 e attribuito all’MJ-12 era un’informtiva per il neo-presidente Eisenhower in cui si descrivevano le investigazioni e l’insabbiamento del crash del disco volante. Tra i membri, tutti politici e militari figurava anche Edward Teller.

I membri del MJ 12

Contrammiraglio Roscoe H. Hillenkoetter, Vannevar Bush, James Forrestal(sostituito dopo la sua morte dal Generale Waltrr Bedell Smith) ,Nathan Twining, Generale Hoyt Vanderberg, Detlev Bronk, Jerome Hunsaker, Contrammiraglio Sidney Souers, Gordon Gray, Donald Menzel, Generale Robert Montague, Lloyd Berkner.

Il contenuto del manuale

Esiste un documento relativo all’operatività del Majestic 12, redatto sotto forma di manuale, che riporta la data del 1954 e parla di come il gruppo debba gestire le informazioni e il trattamento di entità biologiche e tecnologie extraterrestri recuperate nei crash, al fine di avere la competenza necessaria per trattare con gli UFO. Il Gruppo MJ-12 era preposto al recupero e allo studio di ogni cosa riguardante gli extraterrestri, tecnologie e occupanti alieni compresi. Tali studi, da effettuarsi in località segrete, avevano lo scopo di capire e replicare il più rapidamente possibile la tecnologia aliena, prima che paesi potenzialmente nemici potessero fare altrettanto; l’aeronautica militare era preposta a recuperare l’eventuale tecnologia aliena. Le indicazioni operative, in caso di avvistamenti o crash, erano di usare smentite ufficiali, screditare i testimoni anche fabbricando prove false, il tutto allo scopo di insabbiare e “proteggere” l’opinione pubblica da idee pericolose in grado di scatenare il panico. Per recuperare i mezzi alieni caduti o abbattuti viene usata una “Squadra Rossa MJ-12” addestrata, e fornita di tute di protezione; per il recupero delle entità aliene invece viene usato il personale “OPNAC”. Nel manuale è presente anche una descrizione sia dei mezzi alieni che delle entità biologiche extraterrestri (EBE), che praticamente sono simili a quelle che si potevano trovare nella letteratura ufologica.

Gli esami

Dopo approfondite analisi eseguite sia da esperti civili che militari, il documento è stato dichiarato falso. Gli esperti che lo hanno studiato credono si tratti o di un falso redatto a fine disinformativo o per ingannare il pubblico e impiantare informazioni fasulle nella comunità ufologica, oppure di un falso con lo scopo di guadagnarci con la pubblicazione di libri o documentari, chi tra i vari seguaci non vorrebbe il manuale del perfetto cacciatore di alieni? Sono state rilevate incredibili inesattezze nel manuale del Majestic 12, che ne dimostrano l’assoluta falsità, le elenchiamo brevemente:

  1. Sui documenti non sono presenti i corretti riferimenti di sicurezza, che obbligatoriamente devono essere presenti in tutti i documenti segreti fino a quando vengono bruciati o declassificati. Questi riferimenti consentono la tracciabilità del documento, e nel manuale Majestic 12 questi riferimenti o sono palesemente errati, o non sono conformi alle procedure di sicurezza.
  2. Il manuale del Majestic 12 essendo un manuale operativo per il recupero di astronavi e corpi alieni non ha alcuna ragione di contenere informazioni sulla storia degli UFO, uno schema dei vari tipi di UFO, informazioni riguardanti la tracciabilità radar degli UFO, una lista di fenomeni aerei e naturali che può essere scambiata per UFO, sembra che per la creazione di questo manuale si sia attinto a quello che l’ufologia offriva.
  3. Il manuale non ha nessuna efficienza, non definisce gli standard che devono essere seguiti per raggiungere gli obiettivi, non menziona il grado di qualifica del personale ed i requisiti che l’equipaggiamento deve avere, anche il metodo di recupero del materiale e di messa in sicurezza del sito che è inadeguato e tatticamente scorretto. Le regole, i materiali, i riferimenti citati sono grossolani o completamente assenti. Le informazioni apparentemente accurate, non sono però controllabili, la scarsa qualità delle copie divulgate è fatta forse appositamente per impedire l’esame forensico, che potrebbe dare risposte negative sull’autenticità del documento stesso.

Il manuale fu analizzato anche dalla FBI, che condusse una indagine per capire se i documenti fossero reali, cioè ci fosse stato un trafugamento di materiale classificato, ma alla fine li catalogò come falsi.

Anni dopo, un altro manuale simile, redatto in modo poco credibile, risultò infatti scritto con la stessa macchina da scrivere della persona che aveva dichiarato di averli avuti da fonti anonime. Questo è stato scoperto confrontando i documenti con lettere ad ufologi provenienti da questa persona, nelle quali alcuni caratteri presentavano dei difetti della macchina da scrivere identici a quelli che presenti sui caratteri dei documenti Majestic 12. Ci sono altre prove che indicano che tutta la storia sia stata montata ad arte, ad esempio, il documento dove il presidente americano Truman autorizza la creazione del gruppo Majestic 12, mostrava chiaramente che la firma di Truman è stata fotocopiata ed incollata da un documento dello stesso periodo ma che parla di tutt’altro. Quasi tutta la documentazione che i falsari diffondono fu stata realizzata utilizzando copie di documenti originali dell’epoca cambiandone il testo.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO Italia, Perle complottare e le scie chimiche sono una cazzata.

Per approfondire:

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L’UFO della natività, la Madonna con Bambino e San Giovannino

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

“La Madonna con Bambino e San Giovannino” è un dipinto esposto nella Sala di Ercole di Palazzo Vecchio a Firenze. L’opera viene attribuita a Jacopo del Sellaio (14madonna42-1493), ma nella scheda del catalogo si legge che il dipinto è attribuibile piuttosto a Sebastiano Mainardi (1466-1513), pittore della scuola del Ghirlandaio attivo a Firenze alla fine del ‘400.

Nel dipinto si vedono in primo piano la Madonna che prega davanti al piccolo Gesù, sostenuto dal San Giovannino.Sullo sfondo, un personaggio con una mano sulla fronte, guarda verso un preciso punto nel cielo dove compare un oggetto scuro, color bronzo. Anche il cane che è con lui pare rivolto verso il medesimo oggetto. Inoltre in alto a sinistra appare un altro oggetto, la Stella della Natività, si può notare sotto la stella la presenza di tre fiammelle.

Molti ufologi hanno visto nell’oggetto, dalla forma apparentemente a disco, un’astronave aliena. Il dipinto viene spesso chiamato in causa per dimostrare come il fenomeno “UFO” sia in realtà osservato e riprodotto fin dall’antichità. Alcuni ufologi ritengono che l’uomo sia sottoposto a costante osservazione da parte di misteriose civiltà aliene che, secondo alcuni filoni ufologici, guidano il progresso umano; secondo altri, invece, lo controllano arrivando a compiere anche dei terribili esperimenti su alcuni esseri umani.

1 mainardiMa l’oggetto raffigurato nel dipinto che tanto ha attirato l’attenzione del mondo ufologico è veramente quello che gli ufologi dicono che sia, cioè un disco volante? No, se si studia il dipinto con competenza artistica si arriva a conclusioni che nulla hanno a che fare con gli UFO e le presunte visite extraterrestri nel passato, che arrivano persino a supporre che Gesù non fosse altro che un ibrido umano alieno.

L’ oggetto, scambiato per una navicella spaziale proveniente da un mondo alieno, raffigura il cosiddetto “annuncio ai pastori”. Si tratta di un riferimento a quanto narrato nel vangelo di Luca dove leggiamo quanto segue:

“C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore…”.

Questo particolare è raffigurato in moltissime altre “Natività” del ‘400 e del ‘500.

nubeIn alcune opere è raffigurato l’angelo che esce da una nube. Nella “Madonna con Bambino e San Giovannino” di Palazzo Vecchio, invece, non compare nessun angelo, ma solo la nube luminosa, che ha un significato simbolico. La nube luminosa deriva dal racconto della Natività nell’apocrifo Protovangelo di Giacomo, in cui si legge:

“[19, 2] Si fermarono nel luogo dov’era la grotta, ed ecco una nuvola luminosa adombrava la grotta. E la levatrice esclamò: ‘Oggi è stata magnificata la mia anima, perché i miei occhi hanno visto un prodigio meraviglioso: che è nata la salvezza per Israele’. E subito la nuvola si dissipò dalla grotta e apparve una grande luce nella grotta, tanto che i nostri occhi non la potevano sopportare…” (I Vangeli Apocrifi, a cura di Marcello Craveri, Torino, 1969, p.21).

Anche le tre stelle che sotto la nube più grande della Natività, hanno un significato simbolico. Esse rappresentano la triplice verginità di Maria prima, durante e dopo il parto.

Anche da questo caso risulta, una volta di più, chiaro che molti, supposti, ufologi tendono a forzare le prove per dimostrare le proprie teorie. Qualunque esperto di arte sacra può smontare con poche parole questo ed altri esempi di presunte raffigurazioni di UFO nell’arte del passato.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO Italia, Perle complottare e le scie chimiche sono una cazzata.

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Catastrofe annunciata

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di Mario Tozzi per la Stampa

I Campi Flegrei, il nostro supervulcano, si stanno rimettendo in moto? Come interpretare i segnali che provengono da quel distretto vulcanico che ha dato sempre segni di inquietudine, ma che gli italiani non considerano neppure attivo? Sotto attenzione c’ è soprattutto la Solfatara, forse il cratere vulcanico più famoso del mondo, dove fumarole e mofete hanno fatto da palcoscenico anche per film famosi (Totò, in «47, morto che parla», crede di trovarsi lì nell’ Aldilà). Le fumarole sono aumentate di temperatura e di portata, il terreno si è rigonfiato di 4-5 cm all’ anno dal 2005 (dati Cnr).

scienziati campi flegrei si stanno risvegliando orig main
Fumarole

Insomma, sembra che il magma stia risalendo all’interno della camera magmatica posta a 3 km di profondità. Ma questa non sarebbe una novità: nel 1538 un vulcano nacque e crebbe sotto gli occhi della popolazione (il Monte Nuovo) e oggi fa parte dello scenario flegreo. Così come ne fanno parte le colonne del mercato romano del Serapeo, che recano il segno dell’ innalzamento e dell’ abbassamento del mare negli ultimi secoli. Per non parlare dell’ evacuazione di Pozzuoli negli Anni 80.

Uno scenario che abbiamo considerato, a torto, spento, tanto da costruire basi militari, abitazioni e perfino un ippodromo dentro i 29 crateri di quello che è il secondo supervulcano del mondo, dopo quello di Yellowstone. Molto più pericoloso, considerando che a Yellowstone c’ è un parco nazionale e pochissimi abitanti, mentre qui ci sono, forse, 600 mila persone a rischio. E considerando che l’ ultima eruzione devastante ha creato ex novo lo scenario della Campania, circa 39 mila anni fa.

 Che previsione possiamo fare? In realtà nessuna o, meglio, non si può escludere quella di una possibile eruzione moderata, simile a quella del Monte Nuovo. E, visto il monitoraggio, si saprebbe per tempo: le eruzioni vulcaniche sono più prevedibili dei terremoti, anche se meno del meteo di domani. La domanda, però, è un’ altra: cosa dovrebbero fare i cittadini? Sono pronti a un’ evacuazione? E gli amministratori sanno del rischio?

Il vero problema dei Campi Flegrei, come del Vesuvio, è che l’ emergenza è già oggi, con un traffico da metropoli cinese e un agglomerato di costruzioni che ingombrano ogni via di fuga. E nessuna esercitazione fatta. Eppure sappiamo bene che, in caso di pericolo, non riesci a ragionare e dovresti solo muoverti a memoria, come si fa sulle navi esercitandosi al naufragio, senza che nessuno pensi che porti male. Come invece accade a Napoli (e altrove).

campi flegrei zone 2Nuovi dati dell’ Ingv saranno preziosi anche per una migliore caratterizzazione del rischio vulcanico. In particolare sapere se è una semplice esalazione di fluidi a spiegare il bradisismo oppure se è proprio il magma stesso che si muove verso l’ alto, preludendo a un’ eruzione. Eppure la perforazione-pilota, da cui derivano questi dati (anticipatrice di una più profonda in progetto per scandagliare la camera magmatica), è stata osteggiata da parte della popolazione nel timore di eruzioni indotte, terremoti e disastri.

 Come se non ci si volesse rendere conto che i Campi Flegrei sono uno dei vulcani più attivi del mondo e si preferisse preoccuparsi di un pozzo innocuo. Ma gli uomini sono fatti così: continuano a vivere nelle regioni pericolose del Pianeta, dimenticano i segnali della Terra e, soprattutto da noi, non pianificano diversamente la loro espansione su territori a rischio terremoti, frane, alluvioni o eruzioni, eppure in quelle aree gli italiani hanno costruito a dismisura.

All’inizio era la fame: piuttosto che morirne, si preferiva rischiare un’ eruzione ogni 20 anni e intanto coltivare quei terreni così fertili. Ma oggi? Per quale ragione si colonizzano i crateri ancora attivi dei Campi Flegrei? Sembra che il profitto possa essere l’unica risposta. Almeno fino a quando il nostro supervulcano darà un nuovo perentorio segno della sua esistenza in vita.

Marte, rosso di rabbia…

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

Marte è il quarto pianeta del sistema solare; come la Terra, Venere e Mercurio è un pianeta roccioso e, secondo gli studiosi, c’è stato un tempo, un paio di miliardi di anni fa, in cui il suo ambiente e la sua atmosfera era simili a quelli della Terra. Viene chiamato il Pianeta rosso a causa del colore con cui appare all’osservazione telescopica, colore dovuto alle grandi quantità di ossido di ferro che lo ricoprono.

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Come si vede da questa immagine satellitare, Marte presenta un lieve strato di atmosfera e una superifice butterata di crateri da impatto.

Possiede un’atmosfera rarefatta e temperature medie in superficie comprese tra −140 °C e 20 °C è il pianeta più simile alla Terra tra quelli del sistema solare. Le dimensioni sono: raggio equatoriale 3397 km, circa la metà di quello della Terra e la massa poco più di un decimo. L’ inclinazione dell’asse di rotazione e durata del giorno simili a quelle terrestri. La superficie presenta formazioni vulcaniche, valli, calotte polari e deserti sabbiosi. Sia in passato con l’osservazione telescopica che nel presente attraverso l’invio di sonde robot, su Marte sono state scoperte formazioni geologiche probabilmente dovute all’azione di scorrimento dell’acqua liquida. La superficie del pianeta appare butterata di crateri ben delineati  a causa della scarsa azione di rimodellamento effettuata dalla lieve atmosfera marziana e, per la stessa ragione, è ben evidente anche la presenza di resti di meteoriti.

Su Marte sono presenti strutture geologiche eccezionali, il Monte Olimpo, il vulcano più grande del sistema solare, la Valle Marineris, un canyon di grande estensione.

Marte presenta delle variazioni di colore, un tempo imputate alla presenza di vegetazione stagionale, che cambiava di colore durante l’anno marzianò. Tuttavia, le osservazioni spettroscopiche dell’atmosfera avevano da tempo fatto abbandonare l’ipotesi che vi potessero essere mari, canali e fiumi o un’atmosfera sufficientemente densa. le ipotesi di un pianeta “vivo” fu definitivamente

smontata dalla missione Mariner 4 che, nel 1965, mostrò un pianeta desertico e arido, caratterizzato da tempeste di sabbia particolarmente violente. Gli scienziati, però, ritengono sia possibile che Marte ospiti ancora qualche forme di vita elementare, infatti, di recente, è stata confermata la presenza di ghiaccio, di residui di sali idrati, indice forse dell’effimera presenza di ruscelli di acqua salata, quindi dell’esistenza di acqua in forma liquida sulla superficie del pianeta.

Attorno a Marte orbitano due piccoli satelliti Fobos e Deimos di piccole dimensioni e dalla forma irregolare.

Le stranezze di Marte

I canali

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La mappa di Schiapparelli

Il 5 settembre 1877 si verificò un’opposizione perielica e in quell’anno l’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, utilizzò un telescopio di 22 cm per realizzare la prima mappa dettagliata di Marte la cui nomenclatura è ancora quella ufficiale. l’astronomo descrisse delle strutture che definì “Canali” (che in seguito si dimostrarono illusioni ottiche) in quanto la superficie del pianeta presentava diverse lunghe linee alle quali egli attribuì nomi di celebri fiumi terrestri.

La traduzione in inglese del termine “canali” usato da Schiaparelli, confuso con la parola inglese “canal”, ovvero canale artificiale, portò il mondo scientifico a ritenere che su Marte vi fossero canali artificiali. Influenzato da queste traduzioni l’astronomo statunitense Percival Lowell nel corso di una favorevole opposizione del 1894 e nelle successive osservò i canali e scrisse, in seguito, diversi libri su Marte e la vita sul pianeta, basate anche sull’origine artificiale dei canali, finendo per influenzare l’opinione pubblica. Anche gli astronomi Henri Joseph Perrotin e Louis Thollon si dedicarono all’osservazione dei canali marziani. Nacque l’immagine di un mondo morente dove la siccità costringeva la matura civiltà marziana a immense opere di canalizzazione per portare l’acqua dai poli verso le zone aride del pianeta. Si credette per decenni che Marte fosse un mondo coperto di flora, infatti osservando il mutamento stagionale delle dimensioni delle calotte polari si vedevano delle ampie zone scure sulla superficie del pianeta che venivano interpretate come una fitta vegetazione che si formava grazie allo scioglimento delle calotte polari.

La faccia di Marte

Martian face viking
La famosa “faccia” di Marte ripresa dal Viking 1.

Cydonia Mensae è una regione di Marte situata alle coordinate 33° Nord e 13° Ovest. Il 25 luglio del 1976, nel corso della sua 35ª orbita, la sonda Viking 1 realizzò una fotografia conosciuta come il volto di Marte e ritenuta all’epoca da alcuni come una struttura artificiale. Il “volto” misura approssimativamente 3 km in lunghezza e 1,5 km in larghezza e si trova 10° a nord dell’equatore marziano. La NASA, pubblicò la prima foto sei giorni dopo. Altre immagini furono poi rese pubbliche, ed anche in esse era evidente l’effetto di luci ed ombre che riproduceva i tratti di un volto umano, da cui quest’area prende il nome. La foto raffigura uno dei molti altopiani disseminati nella regione marziana di Cydonia. L’altopiano assume le sembianze di un volto grazie ad una combinazione di angolo d’illuminazione, bassa risoluzione della foto, e tendenza della mente umana a riconoscere motivi familiari, specialmente volti. Infine, un’interruzione nella trasmissione dati inviati sulla Terra dalla sonda creò una macchia nera in corrispondenza dell’ipotetica narice. Altre sonde hanno scattato foto della zona con una risoluzione molto più alta, la zona in questione ricorda molto meno una faccia. Si diffusero diverse teorie in proposito e in poco tempo nacque la leggenda di un monumento sul suolo marziano, un monumento che ricordava un volto umano, il volto di un marziano che forse voleva comunicare con gli esseri umani del pianeta Terra.

Il 21 settembre 2006 l’ESA ha reso pubbliche nuove immagini ad altissima risoluzione della regione di Cydonia in cui compare l’area del volto, in esse un pixel copre una dimensione di soli 14 metri. Dalle immagini appare l’origine naturale della “faccia”. In conclusione, l’origine artificiale del volto di Cydonia, ripresa dalla sonda Viking appariva tale soltanto a causa di una interpretazione visiva di immagini spaziali a bassa risoluzione, si tratta di un fenomeno noto come pareidolia che è la tendenza del cervello umano a cercare rassomiglianze con oggetti familiari.

Le piramidi

Secondo alcuni ufologi e studiosi indipendenti, Cydonia nasconderebbe anche delle piramidi: ne sono state identificate sei, alcune a quattro e altre a cinque lati, insieme a una “una piccola fortezza triangolare”. La ‘costruzioni’ più imponente è alta circa 1600 metri. Richard Hoagland, un ex-collaboratore della NASA, iniziò insieme al suo gruppo una serie di studi molto dettagliati sulle singolari strutture evidenziando alcune relazioni tra le loro posizioni reciproche, le dimensioni e gli orientamenti. La complessità di queste relazioni, secondo lui, rendeva difficile attribuirle al caso: i costruttori, sempre secondo il ricercatore, avrebbero seguito regole geometriche, come fecero le antiche civiltà terrestri. Il complesso sarebbe una sorta di messaggio mandato dai marziani ai terrestri. Ma anche le presunte piramidi con una risoluzione migliore appaiono ciò che sono, delle collinette del tutto naturali…

Alberi marziani

alberi
Gli “alberi” mariziani: una foto suggestiva.

Su Marte sembra ci siano addirittura degli alberi, una sonda statunitense avrebbe mandato una foto che dimostrerebbe la loro esistenza, un campo innevato dove sembrano innalzarsi delle gigantesche piante. Le dimensioni sarebbero colossali, dell’ordine delle centinaia di metri, la foto è stata addirittura presentata all’Astronomy pictures day della NASA. La realtà, come sempre, viene rivelata dagli strumenti sempre più sofisticati montati sulle attuali sonde che operano su Marte, in superficie e in orbita, in grado di inviarci immagini con un dettaglio di risoluzione impensabile fino a qualche anno fa.

Purtroppo, su Marte non c’è nessun albero, solo rivoli di sabbia che scorrono lungo le dune, dalla cresta verso la base. La visuale dall’alto fa perdere la prospettiva: la “base” degli “alberi” è la cresta di una duna, e la “chioma” è l’accumulo della sabbia a valle. Insomma anche gli alberi sono solo il frutto della fantasia del cervello umano che, troppo spesso, viene sfruttata da pseudo ricercatori per promuovere teorie che forse andavano bene a fine ottocento: Canali, monumenti, piramidi, facce e statue frutto solo di interpretazioni di foto a bassa risoluzione o causate da quello che la nostra mente ricostruisce, se su Marte ci fosse stata davvero una civiltà la NASA o il Governo americano non avrebbero avuto nessun interesse ad occultare le foto, anzi, avrebbero avuto tutto l’interesse a coinvolgere il pubblico per avere i finanziamenti necessari a portare al più presto l’uomo sulla superficie del pianeta rosso.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO Italia, Perle complottare e le scie chimiche sono una cazzata.

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