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Le pozze salate di Marte potrebbero essere adatte ad ospitare microorganismi

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I ricercatori stanno cercando di ottimizzare le possibilità di ricerca della vita su Marte per il rover Mars 2020 che la NASA lancerà il prossimo anno. Ora, secondo alcuni scienziati, la recente scoperta che Marte ospita, almeno periodicamente, acqua liquida appena appena sotto la sua superficie, apre alla possibilità che il Pianeta Rosso possa essere cosparso di pozzanghere di fango con un’alta concentrazione di sali.

Studiando sulla Terra pozze simili a quelle che, si pensa, sarà possibile trovare su Marte,  fatte di di fango salato, gli astrobiologi della Wichita State University hanno scoperto che la vita batterica potrebbe sopravvivere anche dopo che le pozze si siano completamente asciugate, secondo quanto riporta Space.com. La scoperta non garantisce in alcun modo che ci sia o sia mai esistita la vita su Marte, ma suggerisce che Marte, attualmente, possa essere più ospitale di quanto gli scienziati supponessero.

I ricercatori della Wichita State University che hanno presentato la loro ricerca nei giorni scorsi, durante una conferenza della American Society for Microbiology, hanno messo batteri in barattoli contenenti una soluzione di acqua salata simile a quella che dovrebbe trovarsi su Marte. Poi hanno lasciato asciugare la soluzione e l’hanno poi reidratati mentre l’acqua evaporava e si condensava a temperature variabili, come accadrebbe su Marte.

“Il prossimo step, sarà di ottenere condizioni sperimentali sempre più vicine a quelle di Marte, al fine di testare meglio i limiti di questi batteri particolarmente resilienti.” Ha concluso Schneegurt.

Fonte: Space.com

Lunedì sarà lanciato in orbita il primo veicolo spaziale mosso a fotoni

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Tra qualche giorno, presumibilmente il 24 giugno, un razzo Falcon Heavy di SpaceX, verrà lanciato dalla Florida verso lo spazio, portando in orbita un satellite delle dimensioni di una pagnotta, assolutamente privo di un sistema di propulsione a propellente, solido o liquido che sia.

Questo satellite si muoverà nello spazio utilizzando un’enorme “vela solare” in poliestere.

Anche se può sembrare un’idea folle, se ne parlava da tempo: far muovere nel vuoto dello spazio una sonda senza motore, senza carburante e senza pannelli solari, sfruttando esclusivamente la spinta dei pacchetti di energia luminosa che chiamiamo fotoni. Insomma, la propulsione di questo satellite sarà affidata alla luce emessa dal Sole.

La navicella spaziale che verrà lanciata lunedì, chiamata LightSail 2, è stata sviluppata grazie al crowfunding, dalla Planetary Society, un’organizzazione statunitense che promuove l’esplorazione dello spazio, co-fondata dal leggendario astronomo Carl Sagan nel 1980.

Diciamo subito, però, che non si tratta di un’idea rivoluzionaria. Anzi, in sé circola già da parecchio tempo.

Già nel 1600, Johannes Kepler ha parlato di vele tra le stelle“, racconta Bill Nye, l’amministratore delegato della Planetary Society.

Keplero teorizzò che le vele e le navi potessero essere adattate per “sfruttare le brezze celesti” e, anche se lui probabilmente non immaginava che queste brezze si sarebbero concretizzate nella luce del Sole, “oggi sappiamo che esiste davvero il vento solare. Non è solo poesia“.

In realtà, costruire una vela solare non richiede tecnologie all’avanguardia come si potrebbe immaginare. Una vela solare è, essenzialmente, un grande quadrato fatto con una pellicola molto sottile (meno della larghezza di un capello umano), ultra-leggera e riflettente.

La vela solare del LightSail 2 Ha una superficie di 32 metri quadrati ed è fatto di Mylar, una tipo di poliestere che è sul mercato dagli anni ’50.

Il principio della navigazione sfruttando il vento solare è molto semplice: quando i fotoni rimbalzano sulla vela, trasferiscono il loro slancio nella direzione opposta alla luce che rimbalza.

La spinta fornita dai fotoni è minuscola, ma continua e illimitata. “Una volta che sei in orbita, non rimani mai senza carburante“. L’agenzia spaziale giapponese lanciò una vela solare di test nel 2010, Ikaros, ma rimase una prova fine a sé stessa, fino ad oggi..

È un’idea romantica il cui tempo è finalmente giunto“, ha detto Nye. “Speriamo che questa tecnologia venga ulteriormente sviluppata e migliori“.

Energia illimitata

Nel 2015 fu lanciato il LightSail 1, destinato solo a testare lo spiegamento della vela, la cui missione fu funestata da parecchi problemi. Il LightSail 2 è costato 7 milioni di dollari, una miseria se confrontato ai costi delle normali missioni spaziali. È previsto che il satellite resti in orbita per un anno. “Vogliamo democratizzare l’esplorazione dello spazio“, ha affermato con entusiasmo Nye, che ha invitato università e imprese a riprendere lo sviluppo di questa tecnologia.

Pochi giorni dopo il suo lancio dal Kennedy Space Center, in Florida, LightSail 2 aprirà i suoi pannelli solari incernierati, quindi dispiegherà le quattro parti triangolari della sua vela, che insieme formano un quadrato gigante.

Per questa dimostrazione, i pannelli solari forniranno energia per le altre funzioni del satellite, come la fotografia e le comunicazioni via terra. La sonda aumenterà progressivamente la quota della sua orbita solo utilizzando la pressione della radiazione solare sulla vela.

Bene, a cosa servirà, in futuro, questa tecnologia?

Per cominciare, potrebbe facilitare l’esplorazione dello spazio profondo. Secondo i suoi progettisti, una sonda a vela solare, pur avendo una velocità iniziale molto più bassa di quella di una sonda normalmente alimentata a carburante, continuerà ad accelerare in modo permanente nel suo viaggio attraverso lo spazio, arrivando a raggiungere velocità inimmaginabili per le sonde normali.

Un’altra possibile applicazione potrebbe essere quella di mantenere una sonda stazionaria in un punto stabilito nello spazio, cosa che richiederebbe di apportare correzioni all’infinito. Ad esempio, un telescopio spaziale (Kepler è stato dismesso per avere finito il carburante) oppure un satellite in orbita geostazionaria sopra il Polo Nord.

“Servirebbe un’enorme quantità di carburante per tenere un satellite fermo in un punto stabilito per 10 anni, ma non è pratico”, ha detto Nye.

I fotoni, d’altra parte, sono illimitati e gratuiti.

L’isola dove potrebbe essere abolito il tempo

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A West Tromsø, un isola a nord del Circolo Polare Artico, non ha molto senso considerare il tempo in modo tradizionale. Questo nasce dal fatto che durante i mesi invernali il Sole non sorge mai, al contrario d’estate per 69 giorni non tramonta mai. È un’isola caratterizzata da “estremi”, e adesso i suoi abitanti stanno proponendo un idea altrettanto “estrema”.

La residente locale, Kjell Hveding, una lavoratrice di 56 anni, sta conducendo una petizione per far diventare l’isola la prima zona al mondo senza tempo. “Per molti di noi ottenerlo per iscritto significherebbe semplicemente formalizzare qualcosa che abbiamo praticato per generazioni”, ha dichiarato a Maureen O’Hare della CNN Travel.

Sommarøy, questo nome che in lingua norvegese significa Summer Island, almeno per una frazione dell’anno prende di significato. Hveding descrive questi mesi come se fossero un “free-for-all”, un momento in cui i bambini e gli adulti possono ricevere telefonate alle 2 del mattino, falciare il prato a mezzanotte o fare una nuotata oltre le ore normali.

“Mentre il governo sta discutendo per emanare la nuova legge che riguarda l’ora legale qui ne stiamo ridendo, visto che per noi non ha molto senso”, ha dichiarato Hviding alla conduttrice radiofonica della CBC, Carol Off. Qui a nord del circolo polare artico c’è una vita totalmente diversa.”

La petizione organizzata da Hviding è riuscita a raccogliere circa 100 firme, equivalenti a quasi un terzo della popolazione totale della città, e la scorsa settimana ha consegnato la lista al deputato locale. La proposta fino ad ora risulta un po’ confusa nei dettagli. In effetti alcune persone pensano che sia più un gesto simbolico che altro, mentre i cinici credono che sia una trovata pubblicitaria per aumentare il turismo dell’isola.

Hveding pensa che se il tempo tradizionale fosse abolito la gente sarebbe meno impulsiva e stressata, avendo a che fare con ritmi di vita diversi. Ma nello stesso momento abbandonare completamente l’orologio sarebbe impossibile, i residenti devono andare al lavoro, andare a scuola e organizzare riunioni con amici o vicini di casa, tutte attività basate sull’orario.

Ovviamente questa idea richiede un elaborazione e Hveding promette che non diventeranno fanatici dell’intero processo, ammettendo che passare tutto il tempo senza considerare l’orario risulterebbe troppo complesso“.

Tutti i firmatari sembrano davvero desiderosi di un po’ di autonomia e di flessibilità. Tuttavia, il corpo umano non è regolato da un orologio da polso, infatti i nostri ritmi quotidiani naturali sono sincronizzati con il sole e non con le ore che passano.

Molte delle funzioni del nostro corpo e le normali attività come dormire, svegliarsi, mangiare e andare in bagno, seguono naturalmente questo ciclo di 24 ore. In effetti, le cellule e gli organi del nostro corpo si regolano su un “orologio” interno. La ricerca ha stabilito che se andassimo contro questo ritmo naturale, si potrebbero avere effetti avversi sulla salute, come un aumento del rischio di malattie cardiache, disturbi digestivi, cancro e depressione. Inoltre, anche in assenza di luce sembra che le nostre cellule sappiano cosa fare per funzionare.

Le persone che in passato si sono dovute rintanare nelle caverne e nei bunker per svariato tempo, hanno perso del tutto il senso del tempo, ma il loro corpo ha comunque mantenuto il ciclo di 24 ore. Questo suggerisce che abbiamo un “orologio interno“, che prescinde dal significato umano del tempo.

Che ci piaccia oppure no, noi umani siamo intrinsecamente legati al tempo, e questo resterà vero anche se i residenti di Sommarøy riusciranno nella loro impresa.

“Anche se lasciassi l’orologio sul ponte, lo porteresti comunque con te”

“L’olio d’oliva tra storia, archeologia e scienza”, un libro di Thomas Vatrano e Bakhita Ranieri

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L’olio di oliva tra storia, archeologia e scienza”, un interessante libro scritto da Thomas Vatrano, agronomo, e Bahkita Ranieri, archeologa.

Il libro è stato presentato nei giorni scorsi nel Parco archeologico di Scolacium nell’ambito delle Giornate archeologiche del 7, 8 e 9 giugno e dell’evento “Le 4 stagioni di Scolacium”. L’argomento centrale del libro scritto a quattro mani è l’ulivo e l’olio da questo derivato.

Il testo è diviso in due parti. La prima, composta da dodici capitoli, più letteraria, legata agli usi e alle tradizioni degli antichi popoli legati a questa pianta e all’olio, considerato un vero e proprio oro liquido dagli antichi romani. Riferimenti sono stati presi dalla letteratura e dalle fonti storiche.

La seconda parte è composta da sedici capitoli, presenta una serie di argomenti riguardanti le ultime frontiere sulla tecnologia di estrazione, packaging, effetti salutari, shelf life. L’opera si conclude con un interessante capitolo riguardante il germoplasma olivicolo calabrese, degno di interesse e divulgazione scientifica.

Già 2000 anni fa” hanno spiegato al folto pubblico Vatrano e Ranieri si conoscevano ottime tecniche per la produzione di olio. Oggi in Italia si vive una fase di confusione legata alla volontà, spesso, di emulare la produzione spagnola, basata pero’ su modelli di coltivazione sub-intensiva con manodopera ridotta quasi a zero. Ma orograficamente l’Italia non è la Spagna, di conseguenza non si possono raggiungere quei numeri in termini di quantità della produzione. Occorre, invece, puntare decisamente sulla qualità”.

Attribuita ad Alberto Angela la Laurea magistrale honoris causa in Archeologia

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L’università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli ha deciso di attribuire la laurea magistrale honoris causa in Archeologia ad Alberto Angela.

Proprio un anno dopo l’attribuzione della cittadinanza onoraria  attribuitagli dalle città di Napoli e Pompei, Alberto Angela riceve un importante riconoscimento accademico per il suo grande lavoro, ormai trentennale, di divulgazione scientifica.

In commissione di laurea Paola D’Agostino e Massimo Osanna, il vicedirettore di Rai Uno Rosanna Pastore, l’ex Ministro Massimo Bray, il soprintendente Luciano Garella e illustri docenti di numerose discipline che spaziano dalla storia alla scienza.

Comunicato Stampa

“La straordinaria capacità di sintesi tra competenza e comunicazione, ovvero tra i valori della conoscenza scientifica e i metodi della trasmissione del sapere nell’era dei nuovi media”.Èquesta la sintesi delle motivazioni con cui l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, che nel 1993 è stato il primo Ateneo italiano ad avviare un percorso formativo sulla conservazione e la valorizzazione dei beni culturali,ha scelto di conferire la laurea magistrale honoris causa in Archeologia ad Alberto Angela.
Classe 1962, natali parigini,Alberto Angela, dopo la laurea in Scienze Naturali all’Università La Sapienza di Roma,si specializza in paleontologia e in paleoantropologia in alcune della più prestigiose Università americane (da Harvard alla Columbia)fino a diventare, negli ultimi trent’anni, con il suo impegno televisivo ed editoriale,uno dei più importanti divulgatori scientifici internazionali (con servizi e documentari realizzati in tutti i continenti: dalle Ande peruviane al Vietnam, dalla Tanzania al Congo).
Martedì 25 Giugno alle ore 16.30 nella Sala degli Angeli dell’Università Suor Orsola Benincasa ad un anno di distanza dallecittadinanze onorarie di Napoli e di Pompeila laurea honoris causa in Archeologia saràun altro riconoscimento al suo impegno particolare per la divulgazione scientifica e culturale del grande patrimonio artistico, storico e archeologico della Campaniaper il quale è diventata ormai cult la puntata di“Ulisse”dedicata a“I mille segreti di Napoli”, uno straordinario viaggio tra alcuni dei luoghi più suggestivi della città(dalla Cappella Sansevero al Tunnel Borbonico).
Dalla laudatio di Emma Giammattei alla lectio magistralis di Alberto Angela sul racconto ‘moderno’ dell’antico: il programma della cerimonia e la composizione della Commissione
A rappresentare la straordinaria variegatura delle sue competenze e delle sue conoscenze per la laurea honoris causa ad Alberto Angela ci sarà una commissione di laurea di grandissimo prestigio in rappresentanza dei diversi settori accademici che abbracciano il suo lavoro di divulgazione scientifica:dalla storia all’arte, dalla scienza alla letteratura.Una commissione nella quale ci saranno, tra gli altri,Massimo Bray, direttore generale dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Piero Craveri, presidente dell’Ente Morale Suor Orsola Benincasa,Paola D’Agostino, direttore del Museo Nazionale del Bargello di Firenze, Luciano Garella, Soprintendente al patrimonio archeologico del Comune di Napoli, Pierluigi Leone De Castris, direttore della Scuola di Specializzazione in Beni storici artistici del Suor Orsola, Massimiliano Marazzi, direttore del Centro Euromediterraneo per il beni culturali del Suor Orsola, Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologico di Pompei, Rosanna Pastore, vicedirettore di Rai Uno,Marco Salvatore, direttore scientifico dell’IRCCS SDN e Laura Valente, presidente della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee.
Nella Sala degli Angeli del Suor Orsola (l’antica chiesa seicentesca della cittadella orsolina impreziosita da cinque grandi tele d’autoredi alcuni dei più celebri pittori napoletani del XVII secolo, dal Malinconico al Vaccaro) la cerimonia di conferimento della laurea magistrale honoris causa in archeologia ad Alberto Angela sarà aperta da Lucio d’Alessandro, Rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa e vicepresidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, che anticipa come“questo importante riconoscimento vuole sottolineare la rilevanza pedagogica della sapiente interconnessione tra la conoscenza e i nuovi metodi della sua trasmissione che in Angela viene esaltata da una peculiare visione comunicativa capace di appassionare al bene culturale e al culto non inerte del passato anche i fruitori più giovani”.

Ad accompagnare, in qualità di presentatore, Alberto Angela sarà l’archeologo Antonio De Simone, professore straordinario di Storia dell’Architettura antica dell’Università Suor Orsola Benincasa, che con Angela ha lavorato per lunghi anni alla divulgazione delle scoperte di numerosi cantieri di scavo (dalla Villa dei Papiri di Ercolano fino alla Villa di Augusto di Somma Vesuviana). La laudatio sarà affidata ad Emma Giammattei, direttore del Dipartimento di Scienze Umanistiche del Suor Orsola.

La lectio magistralis di Alberto Angela sarà dedicata al tema “Raccontare l’antico: immagini e storie dell’archeologia”.

L’evento si terrà martedì 25 Giugno 2019 ore 16.30, presso la Sala degli Angeli dell’Università Suor Orsola Benincasa
Via Suor Orsola 10, Napoli

Rilevata, per la prima volta, la polarizzazione delle onde radio in un Gamma Ray Burst

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La fortuna e le attrezzature scientifiche all’avanguardia hanno permesso agli scienziati di osservare un’emissione di Gamma Ray Burst con un radiotelescopio e di rilevarne per la prima volta la polarizzazione delle onde radio, un fatto che potrà avvicinarci alla comprensione di ciò che causa le esplosioni più potenti dell’universo .

I Gamma Ray Bursts (GRB) sono le esplosioni di più potenti dell’universo, emissione di  potenti getti che percorrono lo spazio ad una velocità oltre il 99,9% della velocità della luce.

Studiare la luce proveniente dai Gamma Ray Burst mentre la rileviamo è la nostra migliore speranza di capire come questi potenti getti si formano, ma gli scienziati devono essere veloci per mettere in posizione i loro telescopi e ottenere i dati migliori. Il rilevamento di onde radio polarizzate da una emissione di GRB può offrirci nuovi indizi per capire quale sia l’orgine di questi potentissimi scoppi di energia. Oggi è possibile rilevare nuove informazioni grazie ad una nuova generazione di radiotelescopi avanzati.

La luce di questo particolare evento, noto come GRB 190114C, avvenuto circa 4,5 miliardi di anni fa, ha raggiunto il Neil Gehrels Swift Observatory della NASA il 14 gennaio 2019.

L’immediato avviso degli strumenti ha permesso al team di ricerca di dirigere il telescopio Atacama Large Millimeter / Sub-millimeter Array (ALMA) in Cile per osservare lo scoppio appena due ore dopo che Swift l’aveva scoperto. Altre Due ore dopo il team è stato in grado di osservare il GRB dal telescopio VLA (Karl Very Large Array) di Karl G. Jansky quando è diventato visibile nel New Mexico, negli Stati Uniti.

La combinazione delle misurazioni di questi osservatori ha permesso al team di ricerca di determinare la struttura dei campi magnetici all’interno del getto stesso, struttura che influisce sul modo in cui i segnali radio all’interno del getto sono polarizzati. Le teorie prevedono diverse disposizioni dei campi magnetici all’interno del getto, a seconda dell’origine dei campi, quindi catturare i dati radio ha permesso ai ricercatori di testare queste teorie con osservazioni dai telescopi per la prima volta.

Il gruppo di ricerca, costituito di scienziati dell’Università di Bath, della Northwestern University, dell’Open University of Israel, dell’Università di Harvard, la California State University di Sacramento, del Max Planck Institute di Garching e il Liverpool John Moores University hanno scoperto che solo lo 0,8% del getto di luce era polarizzato, il che significa che il campo magnetico del getto è risultato ordinato solo su zone relativamente piccole, ciascuna inferiore a circa l’1% del diametro del getto. Patch più grandi avrebbero prodotto una luce più polarizzata.

Queste misurazioni suggeriscono che nei getti GRB, i campi magnetici possono giocare un ruolo strutturale meno significativo di quanto si pensasse in precedenza.

Questo ci aiuta a restringere le possibili spiegazioni su quali siano le cause e le potenze di queste straordinarie esplosioni. Lo studio è pubblicato su Astrophysical Journal Letters.

Il primo autore, il dott. Tanmoy Laskar, del gruppo di Astrofisica dell’università di Bath, ha dichiarato: “Vogliamo capire perché alcune stelle producono questi getti straordinari quando muoiono e il meccanismo con cui questi getti sono alimentati, i flussi più veloci noti nell’universo, muovendosi a velocità prossime a quelle della luce e splendendo con l’incredibile luminosità di oltre un miliardo di soli combinati.

È stato un caso fortuito che l’obiettivo fosse ben piazzato in cielo per le osservazioni sia con ALMA in Cile che con il VLA nel New Mexico.Tutte le strutture hanno risposto rapidamente. A quel punto abbiamo trascorso due mesi in un meticoloso processo di analisi per assicurarci che le misurazioni effettuate fossero genuine e prive di effetti strumentali: tutto è andato a buon fine, ed è stato emozionante”.

La dottoressa Kate Alexander, che guidava le osservazioni VLA, ha dichiarato: “I dati a frequenza più bassa del VLA hanno contribuito a confermare che stavamo vedendo la luce dal jet stesso, piuttosto che dall’interazione del jet con il suo ambiente.”

Il dott. Laskar ha aggiunto: “Questa misura apre una nuova finestra sulla scienza dei GRB e, in generale, sugli studi dei getti energetici. Vorremmo capire se il basso livello di polarizzazione misurato in questo evento è caratteristico di tutti i GRB e, in tal caso, che cosa potrebbe dirci delle strutture magnetiche nei getti GRB e del ruolo dei campi magnetici nei getti energetici in tutto l’universo“.

La professoressa Carole Mundell, responsabile di Astrofisica presso l’Università di Bath, ha aggiunto: “La grande sensibilità di ALMA e la rapida risposta dei telescopi ci hanno permesso, per la prima volta, di misurare in con precisione il grado di polarizzazione delle microonde di un GRB afterglow solo due ore dopo l’individuazione  dell’esplosione e sondare i campi magnetici che, si pensa, guidino questi potenti, ultraveloci getti di energia“.

Il team di ricerca prevede di cercare altri GRB per continuare a svelare i misteri delle più grandi esplosioni nell’universo.

Lo studio “Rilevazione ALMA di uno shock inverso linearmente polarizzato in GRB 190114C” è pubblicato su Astrophysical Journal Letters, DOI: 10.3847 / 2041-8213 / ab2247.

Fonte: Phys.org 

I giovani stanno sviluppando spine craniali anomale a causa di smartphone e tablet

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A quanto pare, il nostro apparato scheletrico sta tentando di adattarsi agli particolari stress cui è sottoposto dalla vita moderna. Per esempio, i ricercatori un gruppo di ricercatori australiani ha trovato prove che i giovani sembrano presentare sempre più spesso sporgenze ossee alla base del cranio, proprio sopra il collo.
Esaminando 1.200 immagini a raggi X di adulti australiani, i ricercatori hanno scoperto che il 41% di quelli tra i 18 ed i 30 anni ha sviluppato questi speroni ossei, ovvero l’8% in più rispetto alla media generale.

Alcune di queste sporgenze hanno lunghezze di soli 10 millimetri e sono appena percettibili, mentre altre arrivavano fino a 30 mm.

Sono medico da 20 anni, e negli ultimi dieci anni ho constatato che sono sempre più numerosi i miei pazienti che presentano questa crescita sul cranio“, ha dichiarato alla BBC l’autore dello studio David Shahar, che opera presso l’Università The Sunshine Coast.

eops scientifici ampliati(Shahar e Sayer, Scientific Reports, 2018)

Queste escrescenze appaiono e crescono in una zona molto particolare del cranio: nella parte bassa della nostra testa abbiamo una grande placca conosciuta come l’osso occipitale, e verso il suo centro c’è una piccola protuberanza chiamata protuberanza occipitale esterna (EOP), dove sono attaccati alcuni legamenti e muscoli del collo.

La posizione dell’EOP è tecnicamente un’entesi. Questi punti dei nostri scheletri possono essere soggetti allo sviluppo di crescite spinose chiamate entesofiti, tipicamente in risposta a stress meccanici – ad esempio, eccessivo affaticamento muscolare. Come indicano Shahar e il suo collega Mark Sayers, c’è una prevalenza di EOP che crescono più a lungo nei giovani.

Secondo gli autori queste ossa sono diventate più evidenti sin dagli albori della “rivoluzione tecnologica della mano” a causa della cattiva postura che questi dispositivi provocano.

Di solito, le caratteristiche degenerative dello scheletro si presentano come sintomi dell’invecchiamento, ma in questo caso l’EOP ingrandito si presenta in soggetti giovani, in correlazione con il sesso del soggetto e al grado di protrazione della testa in avanti.

I maschi hanno molte più probabilità di avere un EOP più lungo oltre cinque volte il normale; ciò si allinea con le evidenze storiche  sull’EOP più sviluppato nei maschi, e potrebbe essere spiegato da una maggiore massa della testa e del collo, insieme ad una maggiore forza muscolare.

E, mentre la protrazione media della testa in avanti registrata in questo studio era di 26 mm, gli autori dicono che è significativamente più grande di quanto registrato nel 1996. Riconosciamo che fattori come la predisposizione genetica e l’infiammazione influenzano la crescita degli entesofiti“, scrivono gli autori. Tuttavia, ipotizziamo che l’uso delle moderne tecnologie e di dispositivi portatili come gli smartphone, possa essere la causa principale delle posture scorrette e del successivo sviluppo di spine craniali più robuste come caratteristica adattativa nel nostro campione.

Si tratta di risultati affascinanti e preoccupanti allo stesso tempo, tanto più che si tratta di idee supportate da un’ampia ricerca su come i dispositivi mobili possono alterare il nostro sistema muscolo-scheletrico.

Tra gli utenti dei dispositivi portatili, ad esempio, una recente revisione sistematica ha rilevato che le patologie relative al collo sono oggi più comuni del 67% rispetto a qualsiasi altra regione della colonna vertebrale.

Altri studi hanno rilevato che il 68% del personale e degli studenti riporta dolore al collo dopo aver usato dispositivi mobili per, in media, 4,65 ore al giorno. La cattiva postura, ovviamente, non è una novità, ma questo è molto più tempo di quanto noi umani abbiamo mai speso su libri o a scrivere fino a solo pochi decenni fa.

Per essere chiari, questi EOP allungati non sono necessariamente dannosi di per sé, ma potrebbero essere un sintomo di un problema più grande. I modi in cui il nostro corpo compensa una cattiva postura potrebbero aggiungere ulteriore stress a certe articolazioni e muscoli, aumentando le nostre possibilità di infortuni o problemi muscoloscheletrici in futuro.

Sebbene la rivoluzione dei tablet e degli smartphone sia pienamente ed efficacemente radicata nelle nostre attività quotidiane, dobbiamo ricordare che questi dispositivi hanno solo un decennio e che i disturbi sintomatici correlati stanno emergendo solo ora“, concludono gli autori.

I nostri risultati suggeriscono che il gruppo di età più giovane nel nostro studio ha sperimentato carichi posturali che sono atipici in tutti gli altri gruppi di età testati“.

La ricerca è stata pubblicata in Scientific Reports.

L’agopuntura può causare il collasso del polmone

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Per un’anziana paziente, un sottile ago per agopuntura inserito nella parte posteriore del torace è stato la causa di fitte lancinanti per due giorni, finché in ospedale hanno scoperto che aveva con un polmone collassato. Anche se casi come questo capitano raramente, non si tratta di un evento senza precedenti.

L’agopuntura non è esente da rischi e gli operatori che praticano questo trattamento tradizionale cinese potrebbero non avere sempre la necessaria familiarità con l’anatomia. Questo è evidente nel caso sopra, quello di una donna portoghese di 79 anni, recentemente riportato dai medici del Centro Hospitalar Universitário de Lisboa Central.

La donna anziana si era presentata una prima volta in ospedale lamentando moderate difficoltà respiratorie. Una radiografia ne aveva rivelato la causa: il suo polmone destro era collassato in quello che tecnicamente viene definito pneumotorace.

I polmoni, semplicemente, non collassano da soli. Perché ciò avvenga, è necessario che entri aria cavità pleurica, lo spazio che separa il polmone dalla parete del torace. A volte l’aria può provenire da un polmone danneggiato o malato. In questo caso, la causa è risultata essere una sottile fessura provocata da un ago che era stato brevemente inserito nella schiena del paziente due giorni prima, nel tentativo di curare il suo mal di schiena cronico.

L’agopuntura è comunemente promossa come un’antico sistema di cura della medicina tradizionale cinese in grado di alleviare una serie di disagi, curare malattie o promuovere la salute e la fertilità.

L’età esatta e le origini della pratica sono poco conosciute, così come sono abbastanza discutibili la maggior parte dei benefici che porterebbe. Per quanto riguarda il trattamento del dolore e altri disagi personali, le prove della sua efficacia non sono schiaccianti, diciamo che “potrebbe essere qualcosa in alcuni casi“.

Nonostante tutti i dubbi sollevati dalla scienza ufficiale, però l’agopuntura resta un trattamento molto popolare. Insieme ad altre forme di medicina tradizionale cinese, l’agopuntura ha rapidamente preso piede in tutto il mondo.

Molto dell’interesse suscitato da questa pratica sta nel fatto che appare come un’alternativa a basso rischio all’assunzione di farmaci o altre forme di intervento medico. Per quanto riguarda il basso rischio, è abbastanza vero che nella maggior parte dei casi non si registrano effetti collaterali al di là di qualche sanguinamento e dolore localizzato, ma è anche vero che i problemi più seri non sono molto reclamizzati.

Uno studio effettuato in Germania su circa 230.000 pazienti sottoposti ad agopuntura nel 2009 ha rilevato solo due casi di pneumotorace, ma una revisione effettuata dall’OMS su articoli scientifici cinesi ha permesso di individuare 201 casi di questa patologia riportati in letteratura negli ultimi 30 anni.

Nel caso in esame, l’ago era stato inserito in uno spazio vicino alla scapola del paziente dove il polmone può arrivare a pochi centimetri dalla pelle. In quel punto, un ago inserito con l’angolo e la profondità sbagliati può facilmente bucare la cavità pleurica e provocare uno pneumotorace che fa collassare il polmone.

La buona notizia è che la donna è sopravvissuta alla prova. Essendo anche la sua prima esperienza con l’agopuntura, non sarebbe sorprendente se non tornasse agli aghi. Anche quando si tratta di qualcosa di così raro come questo evento, i pazienti hanno il diritto di sapere quali rischi corrono. La signora, in questo caso,  non aveva idea che uno pneumotorace era uno dei possibili effetti collaterali indesiderati del trattamento a base di agopuntura. È anche possibile che non ne fosse al corrente nemmeno il suo agopuntore.

Gli operatori che eseguono qualsiasi tipo di trattamento medico hanno la responsabilità non solo di essere informati su tutto ciò che riguarda il trattamento che eseguono, ma anche di informare correttamente i loro pazienti. Gli agopuntori devono conoscere le strutture anatomiche e gli strati che si trovano sotto tutti i punti di agopuntura, specialmente per i punti di agopuntura ad alto rischio“.

Vorremmo tutti poter fruire di alternative a basso costo e basso rischio all’assistenza sanitaria canonica, ma, sfortunatamente, il meglio che possiamo fare è usare la scienza per sapere quali sono le probabilità di complicazioni e chiederci se siamo preparati al peggio.

Questo case study è stato pubblicato su BMJ Case Reports.

Proposta una nuova struttura per la tavola periodica

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La tavola periodica è un modo confortante di catalogare l’Universo, scomporlo nei suoi elementi e organizzarli in belle scatole ordinate. Ciò che potresti non sapere è che non è l’unico modo di organizzare gli elementi – e potrebbe anche non essere il modo migliore.

Nel tempo abbiamo visto diversi precedenti bizzarri e meravigliosi tentativi di riprogettazione, spesso con forme organiche fluide, come spirali e nastri arricciati e persino un “fiore” 3D.

Ora i matematici dell’Istituto Max Planck hanno stabilito dettagliati metodi matematici per catalogare gli elementi, creando una serie di ipergrafi complessi, piuttosto che la tavola periodica più basilare attualmente in uso universale.

In questo modo, dicono, la tavola periodica può essere adattata in molti modi, fornendo molte interpretazioni diverse della classificazione degli elementi a seconda di come sono ordinati – senza che un modo sia più corretto di altri.

Puoi vedere un’immagine di questa nuova organizzazione della Tavola periodica in fondo a questo articolo.

La tavola periodica che usiamo è stata ideata nel 1869, dal chimico russo Dmitri MendeleevOrdinò i 63 elementi conosciuti in quel momento in base al loro peso atomico.

Oggi sono assortiti per numero atomico, cioè il numero di protoni all’interno del nucleo, da uno per l’idrogeno fino a 118 per l’oganesson.

Sono inclusi anche il peso atomico dell’elemento, il simbolo atomico e un colore che simboleggia il gruppo con particolari proprietà chimiche e fisiche in comune a cui un elemento appartiene. E gli elementi nella stessa colonna tendono ad avere lo stesso numero di elettroni nel loro guscio esterno.

Ma la realtà non si adatta sempre a scatole belle e ordinate. Ad esempio, osserva il team di matematici, gli scienziati non sono sempre d’accordo su collocare il lantanio e l’attinio.

Ma la soluzione con gli ipergrafi consente configurazioni più flessibili. Secondo il team, anche se organizzati per numero atomico, gli elementi possono essere raggruppati secondo un numero di modi diversi all’interno di un ipergrafo organizzato: la loro solubilità in acqua, per esempio, oppure i tipi di depositi geologici in cui si trovano.

Il matematico Guillermo Restrepo ha confrontato la soluzione del team con una scultura. L’ombra che proietta dipende da dove viene la luce.

Le varie ombre che la figura proietta sono le tavole periodiche“, ha detto. “Ecco perché ci sono tanti modi per creare queste tabelle: in un certo senso, le tabelle dei periodi sono proiezioni della struttura interna della tavola periodica“.

Le tre condizioni definite necessarie per stabilire una tavola periodica sia tale: deve essere ordinata, cioè, con elementi di catalogazione; deve essere organizzato secondo una particolare proprietà, come il numero atomico o la massa atomica; e i raggruppamenti devono avere un criterio, come la somiglianza chimica.

Se queste tre condizioni sono soddisfatte, possono essere create tavole periodiche per altri oggetti chimici e anche per oggetti al di fuori della chimica“, ha detto Restrepo .

Abbiamo esaminato circa 5.000 sostanze costituite da due elementi in proporzioni diverse, quindi abbiamo cercato delle somiglianze all’interno di questi dati: ad esempio, sodio e litio sono simili perché si combinano con gli stessi elementi nelle stesse proporzioni (ad esempio con ossigeno o cloro, bromo e iodio). Abbiamo quindi trovato i modelli che possiamo usare per classificare gli elementi“.

Questo sistema, basato sui legami chimici, riorganizza gli elementi in un modo nuovo. Alcuni elementi rimangono raggruppati insieme, come gli alogeni, perché si uniscono allo stesso modo; ma altri sono separati, come il silicio e il carbonio, che, una volta uniti, formano composti molto diversi.

Si tratta di un sistema flessibile, hanno affermato i ricercatori, che può essere personalizzato in più discipline, non solo in chimica, ma anche in ingegneria, scienze ambientali e idrologia.

I nostri risultati contribuiscono alla generalizzazione in atto della teoria della rete verso gli ipergrafi, dove la tradizionale descrizione della rete come un grafico viene sottratta a quella degli ipergrafi come mezzo per modellare relazioni complesse tra più entità“, hanno scritto i matematici nel loro articolo.

Dimostriamo che gli ipergrafi possono essere ordinati e che la struttura risultante è stata al centro della chimica per oltre 150 anni“.

immagine 4(Guillermo Restrepo, MPI for Mathematics in the Sciences)

Il documento è stato pubblicato in Proceedings of the Royal Society A: Mathematical, Physical and Engineering Sciences

Nuovi esopianeti simili alla Terra scoperti intorno ad una nana rossa a 12,5 anni luce da noi

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Migliori casinò non AAMS in Italia

Un team internazionale guidato dall’Università di Göttingen (Germania) con la partecipazione di ricercatori dell’Istituto di Astrofisica di Canaria (IAC) ha scoperto, utilizzando lo spettrografo ad alta risoluzione CARMENES presso l’Osservatorio di Calar Alto (Almería), due nuovi pianeti come la Terra intorno a una delle stelle più vicine nel nostro quartiere galattico.

La stella di Teegarden è a soli 12,5 anni luce di distanza. È una nana rossa che si trova in direzione della costellazione dell’Ariete. La sua temperatura superficiale è di 2.700 gradi C e la sua massa è solo di un decimo di quella del sole. Pur essendo così vicina, è stata scoperta solo nel 2003 per via della sua bassa luminosità.

Abbiamo osservato questa stella per tre anni per cercare variazioni periodiche della sua luminosità, spiega Mathias Zechmeister, ricercatore dell’Università di Göttingen, il primo autore del documento: le osservazioni hanno dimostrato che vi orbitano intorno due pianeti, entrambi sono simili ai pianeti nella parte interna del Sistema Solare: sono leggermente più grandi della Terra e si trovano nella ‘zona abitabile‘ dove l’acqua può esistere come allo stato liquido. “È possibile che i due pianeti siano parte di un sistema più ampio“, afferma Stefan Dreizler, un altro ricercatore dell’Università di Göttingen e coautore dell’articolo.

Le campagne fotometriche su questa stella sono state realizzate con strumenti come il Muscat2 del Telescopio Carlos Sánchez presso l’Osservatorio del Teide (Tenerife) e con la rete di telescopi dell’Osservatorio Las Cumbres, tra gli altri. “Questi studi dimostrano che i segnali dei due pianeti non possono essere dovuti all’attività della stella, anche se non siamo stati in grado di rilevare i transiti dei due nuovi pianeti“, afferma Victor Sánchez Béjar, ricercatore della IAC e altro autore dell’articolo che è stato pubblicato sulla rivista Astronomy and Astrophysics .

Nuove terre scoperte attorno a una stella molto piccola
Credito: Instituto de Astrofísica de Canarias

Affinché l’individuazione con il metodo del transito sia fattibile, i pianeti devono passare attraverso la faccia del disco stellare e bloccare per un certo tempo parte della luce della stella, il che significa che deve trovarsi su una linea diretta con il Sole e la Terra. Bisogna anche che i pianeti orbitino intorno alla stella (il loro “anno”) con tempi ragionevoli per l’osservazione. Questo fortunato allineamento si verifica solo per una piccola frazione di sistemi planetari.

Cacciatori di pianeti

Il tipo di stella a cui appartiene la stella di Teegarden è il più piccolo per il quale i ricercatori possono misurare le masse dei loro pianeti con la tecnologia attuale. “Questa scoperta è un grande successo per il progetto CARMENES, che è stato ideato per cercare pianeti attorno a stelle di bassa massa“, afferma Ignasi Ribas, ricercatore presso l’Institut d “Estudis Espacials (IEEC) della Catalogna e coautore del articolo.

Dal 2016, scienziati tedeschi e spagnoli hanno cercato i pianeti attorno alle stelle vicine usando CARMENES, che si trova sul telescopio da 3,5 metri dell’Osservatorio di Calar Alto (Almería). Questi nuovi pianeti sono il 10 e l’11 scoperti dal progetto.

Fonte: Phys.org