In occasione del diciassettesimo anniversario dell’ 9/11 riportiamo questa intervista pubblicata dal sito ad un detective del NYPD che intervenne durante la tragedia del WTC.
Il link all’articolo originale è https://undicisettembre.blogspot.com/2018/09/world-trade-center-intervista-allex.html
World Trade Center: intervista all’ex detective di New York Michael Greene
In occasione del diciassettesimo anniversario degli attentati dell’11 settembre 2001, Undicisettembre offre ai suoi lettori la testimonianza dell’ex detective di New York Michael Greene, che intervenne sulla scena del World Trade Center dopo i due schianti e visse da vicino i crolli delle due torri.
Ringraziamo Michael Greene per la sua cortesia e disponibilità.
Undicisettembre: Ci puoi fare un racconto generale di ciò che hai visto e vissuto l’11/9?
Michael Greene: Ero un detective della polizia nell’NYPD e lavoravo nell’unità dei detective di midtown Manhattan; la nostra area di competenza era Times Square e Hell’s Kitchen. Lavoriamo molte ore, la gente non si rende conto di quante ore lavoriamo. Di norma la gente lavora quaranta ore a settimana negli Stati Uniti, a quei tempi lavoravamo forse ottanta o cento ore a settimana. Avevo finito di lavorare per 24 ore consecutive e stavo per lavorarne altre otto. Avevamo un piccolo soggiorno nella nostra stazione di polizia dove potevamo fare una pausa, guardare la televisione, mangiare, qualunque altra cosa, e avevamo anche un dormitorio, così potevamo dormire lì. Alle otto e quarantacinque del mattino ero l’unica persona lì, mentre tutti gli altri si stavano vestendo, preparandosi per il lavoro, e vidi in televisione che un aereo si era schiantato contro il World Trade Center.
Tutti i canali televisivi lo stavano mostrando. Si vedeva il fumo che usciva dal palazzo. Salii le scale e dissi a tutti gli altri, al mio sergente, al mio supervisore “Ehi, un aereo si è schiantato contro il World Trade Center!” e loro iniziarono a fare più in fretta. Siamo detective, investighiamo. Investighiamo omicidi, furti, stupri, terrorismo, spionaggio, qualunque cosa; ma siamo investigatori, non soccorritori, lavoriamo in giacca e cravatta. Praticamente senza che nessuno ci dicesse nulla decidemmo di andare là perché sapevamo che probabilmente ci sarebbe stato bisogno d’aiuto.
Prendemmo due auto civetta della polizia, eravamo sei o sette. Io guidavo quella davanti e mentre partivamo dai nostri uffici mi accorsi che il traffico era già congestionato, molto peggio della norma, ed era molto difficile muoversi nel traffico. Svoltai per prendere la West Side Highway, il World Trade Center è proprio accanto ad essa, e devo riconoscere che gli addetti al traffico dell’NYPD fecero un buon lavoro, perché chiusero immediatamente l’intera autostrada riservandola ai veicoli di emergenza e quindi era sgombra. Mentre la percorrevamo chiamai mia madre; lei non sapeva nemmeno cosa fosse successo, glielo dissi e le dissi che stavo andando ad aiutare della gente.
Mentre mi stavo avvicinando, il secondo aereo colpì. Immediatamente capimmo che era un atto di terrorismo, che era intenzionale. Parcheggiai la macchina della polizia ad alcuni isolati di distanza, e camminammo fino là. Sul lato opposto della strada rispetto alle torri c’era un edificio dell’American Express. In quel momento nessuno dei nostri cellulari funzionava; il nostro comandante, che stava cercando di guidarci, ci disse di andare lì dentro perché stavamo cercando di contattare il nostro quartier generale per capire cosa avremmo dovuto fare, quale fosse il piano d’azione. Quindi entrammo nel palazzo dell’American Express per usare i loro telefoni fissi, e ogni chiamata che facemmo dava segnale occupato. Quindi nessuna telefonata ebbe successo.
C’era una ragazza, di circa ventidue anni, che era spaventata ma non sapeva cosa stesse succedendo, perché il palazzo non aveva finestre e mi chiese “Cosa dovrei fare?” Le dissi “Se fossi in te, me ne andrei.” Nei miei pensieri mi chiedo sempre se se ne sia andata, perché un pezzo della torre cadde su quel palazzo. Uscimmo e andammo verso la Torre Sud. Tutti stavano scappando da ogni lato del palazzo e da ogni lato qualcuno si lanciava, si sentivano le forti esplosioni dei corpi. Sono un detective e anche un negoziatore di ostaggi, ho visto gente lanciarsi dagli edifici, ho visto quello che succede alla gente che si lancia e di solito c’è un corpo, anche se ha le ossa rotte, ma c’è; ma qui la differenza era che la gente si lanciava da piani talmente alti che quando colpiva il suolo esplodeva e non ne restava nulla. La persona colpiva il suolo e “boom”, nient’altro che una piccola pozza di sangue, non restava niente del corpo. Ed era continuo. C’erano due persone che si lanciavano da un lato, poi una che si lanciava da un altro lato, e così via.
Salutai due uomini dell’NYPD, che erano dell’unità del servizio per le emergenze, fanno ogni tipo di salvataggio e operazioni SWAT, stavano indossando il proprio equipaggiamento e i respiratori, ci salutammo con una stretta di mano e un sorriso dicendo “Hey, fate attenzione”, “Anche tu, anche tu”, ma non ne uscirono vivi. Vidi centinaia di pompieri entrare nelle torri, molti di loro non ce la fecero a uscire.
Entrando e uscendo dal palazzo dovevi guardare in alto, perché cadevano cose e persone; alcune persone uscirono vive dal palazzo ma furono uccise da altre persone che si erano lanciate. Due persone, e poi nulla. Vidi un uomo uscire, riuscì a uscire e poi cadde un pezzo molto grande di vetro che lo tranciò in due: una persona che cammina, un gigantesco pezzo di vetro che cade, e le due metà di quella persona che cadono al suolo.
Quindi, ero con la mia squadra e decidemmo di contarci, così nel caso in cui qualcuno si fosse allontanato avremmo saputo chi era con noi. Guardammo in alto e c’era una donna in abiti da lavoro che cadeva, indossava un tailleur, ricordo i suoi capelli biondi, aveva una gonna e una giacca da lavoro, su un piede aveva ancora la scarpa con i tacchi alti, mentre cadeva agitava le braccia e le gambe. Cadendo colpì un palo della luce, e fu spaccata in due, ed entrambe le metà caddero al suolo. Questa cosa rimarrà con me per sempre. Non potevamo farci nulla.
Ci contammo, prendemmo i nomi di tutti, e stavamo per entrare, guardammo in alto e vidi la sommità della torre che cominciava a muoversi. Stava crollando. Urlai “Correte!”, eravamo proprio vicino alla lobby, quindi non potevamo andare lontano. Una delle ultime cose che vidi prima che la torre venisse giù era il mare di gente che era arrivata nella lobby che ne usciva ordinatamente. Ma non ce la fecero.
Uno dei miei sergenti, Jerry Beyrodt, fu lanciato dall’impatto venti o trenta metri in aria e un furgone della polizia che si stava allontanando passò involontariamente sopra la sua gamba. Quando la torre crollò, le macerie e il fumo lo investirono. Tutti i miei altri compagni erano due o tre metri dietro di me e io pensai che fossero morti. Non era mai successo niente del genere, quindi non sapevamo cosa aspettarci. C’era una macchina nera, penso che fosse un’auto civetta della polizia ma era così buio che non vedevo all’interno, volevo entrare per ripararmi in qualche modo. Tirai la maniglia della macchina, ma era chiusa, tirai fuori la pistola e stavo per sparare al vetro per entrare, ma pensai “E se c’è qualcuno già nascosto all’interno? Non voglio uccidere nessuno.”Durante il crollo si sentivano colpi di pistola perché c’erano poliziotti che sparavano alle finestre per entrare nei palazzi, per esempio nei negozi.
Andai davanti alla macchina, mi inginocchiai e mi coprii la testa e il torso dietro l’auto; l’unica parte esposta erano le mie gambe e i miei piedi. Pensai “Questa nuvola di macerie mi taglierà le gambe e i piedi. Ho gambe e piedi molto buoni, mi mancheranno.”
La nuvola delle macerie mi avvolse e mi coprì e pensai “Wow! Ho ancora le mie gambe!” Presi la mia giacca e me la legai davanti alla faccia come filtro per l’aria ed era tutto nero come la pece, non si vedeva nulla. Il mio cuore batteva all’impazzata perché avevo appena corso al massimo della velocità possibile. Quindi mi fermai per prendere fiato. Era come se qualcuno avesse preso una secchiata di sabbia e me l’avesse lanciata in bocca. Improvvisamente la mia bocca e il mio naso erano completamente impastati ed è allora che capisci “Wow, non posso deglutire!” E tu e io possiamo deglutire ora, lo facciamo involontariamente tutto il giorno. E capisci che non puoi nemmeno respirare, perché non c’era aria: zero. Mentre capivo queste cose, il silenzio calò su tutto. All’improvviso era così silenzioso che avresti potuto sentire cadere uno spillo.
Sentii la voce di una donna, camminava vicino a me. C’era un silenzio totale, e lei diceva “Aiuto! Aiuto!”. Sono un poliziotto, un detective, salvo le persone, ma ricordo che in quel momento non potevo aiutare me stesso, non potevo aiutare lei e non la potevo neanche vedere. Sentii “Boom!” e lei cadde al suolo. Di nuovo, non potevo respirare, non potevo vedere. Ricordo di avere pensato “Tra un minuto sarò un uomo morto”perché non c’era aria. Mi dissi “Dovrei stendermi e morire in pace o dibattermi, impazzire e morire così?” Mi sedetti per strada, era tutto nero, le macerie erano ancora attaccate ovunque e sentivo che l’aria nei polmoni mi si stava esaurendo. Iniziai ad arrabbiarmi, pensai “Fottuti terroristi, fottuto bin Laden!” Studio terrorismo internazionale dal 1989, era un campo che mi interessava davvero tanto. Ero furibondo che i terroristi avessero appena ucciso migliaia di noi. Iniziai a pregare e improvvisamente un pochino d’aria inizio ad arrivare; secondo dopo secondo, un po’ più di aria e poi ancora un po’ più di aria.
Iniziai a vedere circa un metro e mezzo avanti a me e per prima cosa volevo vedere dove fosse quella donna, camminai per qualche metro verso la mia destra e la donna era lì, era stesa sulla schiena ed era morta, soffocata. La sua bocca e il suo naso erano completamente impastati, era morta.
C’era silenzio ovunque ma si sentivano dei cinguettii, perché i pompieri avevano dei dispositivi che fanno questo suono se restano fermi per più di sessanta secondi.
Camminai un po’ verso sud e trovai un autobus di linea, c’erano a bordo due poliziotti e l’autista, il condizionatore era acceso. Pensai “Questo è ciò di cui ho bisogno, posso ancora aiutare gli altri, ma devo prima aiutare me stesso, ho bisogno di respirare.”Entrai e l’aria era pulita, riuscii a respirare. Scesi dall’autobus e cominciai a indicare a quante persone potevo di salire sull’autobus. C’era una donna sull’autobus che era un paramedico, era traumatizzata e piangeva, piangeva, piangeva. Un uomo che era pure lui sull’autobus la guardò e le disse “Devi smettere, devi ricomporti.” La schiaffeggiò sul viso e lei disse “Sì, hai ragione. Hai ragione.”
A quel punto potevamo vedere per circa tre metri. Iniziai a vedere i miei compagni, erano tutti sopravvissuti, li vidi camminare e poi vidi di nuovo il mio sergente, aveva 58 anni, un metro e novantacinque, era un poliziotto da più di trent’anni, aveva anche lavorato nella Terrorism Task Force anni prima. Era stato lanciato in aria e la sua gamba era stata schiacciata da un veicolo che passava, ma stava portando un sergente donna sulla schiena perché le scarpe di lei le erano state strappate dai piedi. La portammo sull’autobus. Caricammo l’autobus, quindi dissi all’autista “Senti, vai lungo questa via. Non entrare nel tunnel laggiù, non andare in nessun tunnel. Sta’ in superficie, gira indietro, vai verso l’East Side di Manhattan, c’è un ospedale all’incrocio tra la ventunesima strada e la seconda avenue. Vai là, fai scendere queste persone e da lì torna alla tua stazione degli autobus.” Mi disse “Ok” e partì.
Noi che eravamo rimasti lì andammo verso la punta meridionale di Manhattan, quella che guarda verso la Statua della Libertà; non ci sono moli per le navi, solo un muro da cui si vede l’acqua. Migliaia di persone si erano raccolte là in quell’area verde. Alcune era ferite, altre no. Si erano sdraiate sull’erba a riposarsi, senza sapere cosa fare. Non c’erano moli per le navi, ma solo un muro, e cominciammo a fare segno alle navi di avvicinarsi.
La gamba del sergente era blu, rosa, viola, nera e gonfia fino a tre volte la dimensione normale, quindi gli dicemmo “Senti, devi andare all’ospedale o perderai la gamba.” Ma lui era un uomo grosso e forte e voleva continuare ad aiutare, e così due detective lo costrinsero a salire su una barca della polizia che lo portò a un ospedale nel New Jersey. Rimase lì per quattro mesi, fu operato dieci volte e gli salvarono la gamba. Morì tre anni fa di cancro in conseguenza all’11 settembre. Oltre che nell’NYPD era stato anche nella Marina ed era stato un pompiere volontario nella sua città.
All’estremità sud di Manhattan, insieme a migliaia di persone, c’erano medici, con infermieri in turno e fuori dal turno; notai che c’erano due uomini mediorientali che camminavano in giro, avevano espressioni serie, e non stavano aiutando nessuno, stavano solo camminando in giro. Una parte di me voleva fermarli, ma non lo feci; ancora oggi ci ripenso e vorrei averlo fatto, ma non lo feci. Era fuori luogo che guardassero in giro senza aiutare.
Mentre eravamo lì, la Torre Nord crollò. Non potevo sopportare un’altra nube; saltai dall’altra parte del muro per saltare nel fiume se i detriti fossero arrivati fino a dove eravamo, ma non successe. Continuammo a segnalare ai battelli di avvicinarsi, iniziammo a far passare donne, bambini e feriti oltre il muro e sui battelli. C’erano migliaia di persone, le facemmo evacuare tutte dall’isola sui battelli. Devo riconoscere l’ottimo lavoro che fecero i piloti e i capitani, perché non c’era un molo, era come un argine. Noi facemmo la nostra parte nel caricare le persone, ma loro fecero la loro parte per tenere i battelli vicini, nessuna imbarcazione si scontrò, nessuno si ferì; fecero un ottimo lavoro.
Riuscimmo a caricare tutti sulle imbarcazioni, quindi camminammo verso nord tra le macerie per vedere se potevamo trovare dei sopravvissuti. Arrivammo a Church Street ed era deserta, non c’era nessuno. Le macerie erano ovunque, spesse più di due centimetri al suolo. C’era un buco nella strada dal quale uscivano fiamme, sembrava l’inferno. Andai alla pila dove c’erano le torri e non c’era nessuno da salvare. Alla fine continuammo a camminare finché non arrivammo allo stesso ospedale a cui avevo detto all’autobus di andare.
Tra le persone del mio distretto, cinque sono morte per tumore causato dall’11/9, dieci hanno il tumore ma sono ancora vive. Ma se guardi tutto il dipartimento di polizia, ce ne sono centinaia e centinaia e centinaia; io ero proprio lì con loro, quindi prima o poi potrebbe arrivare anche il mio giorno.
Undicisettembre: Hai anche investigato sull’11/9 dopo gli eventi? Che ruolo hai avuto nell’investigazione?
Michael Greene: Sì, ne ho fatto una porzione. La parte che feci fu il resoconto di chi era sopravvissuto e chi no. C’erano persone che commettevano frodi, che dicevano “Oh, mia moglie è morta!” e dopo scoprivamo che la persona non era morta; stavano cercando di prendere i soldi dell’assicurazione. Succedevano cose di questo genere e almeno una di queste arrivò sui giornali, si trattava di una coppia canadese. La donna disse che il marito era rimasto ucciso nella torre ma non era vero, era ancora vivo, stava solo cercando di prendere i soldi dell’assicurazione dalla sua morte.
Quindi la parte che io investigai fu chi era morto davvero, chi erano i visitatori e così via. Istituimmo una hotline dove le persone potevano segnalare gli scomparsi; praticamente dovevamo rendere conto di ogni persona. Questo durò molti mesi.
Undicisettembre: Cosa hai fatto nei giorni seguenti?
Michael Greene: Beh, l’NYPD è piuttosto speciale. Probabilmente da qualunque altra parte avremmo ricevuto cure immediate, consulenza o qualunque altra cosa; nell’NYPD no, torni al lavoro il giorno dopo e alla luce di quanto era successo non ci importava. Eravamo lì per aiutare e per soccorrere, fare ciò che dovevamo fare. Non ci importava. Quindi tornai al lavoro, e il lavoro era misto. Lavorai su quella che è chiamata “the pile” [la catasta], cercando tra le macerie per salvare le persone, per vedere se c’era qualcuno vivo. Portavano anche le macerie a Staten Island in una discarica, vi lavoravamo in turni da dodici ore, ventiquattro ore al giorno, scavando tra le macerie alla ricerca di prove, resti umani, qualunque cosa.
Un giorno trovai un intero mazzo di badge per l’accesso al palazzo. A quel tempo se volevi visitare il World Trade Center dovevi andare alla reception e la security avrebbe preso il tuo nome e ti avrebbe fatto una foto. Scavando tra le macerie trovai circa quaranta badge di uomini mediorientali. Poteva significare qualcosa, poteva non voler dire niente. Erano quaranta, li trovai tutti nello stesso posto.
Quando trovavi qualcosa, lo mettevi in un secchio e alla fine della giornata andava in mano agli uomini della Terrorism Task Force.
Parlai con uno dei miei sergenti, il giorno dopo l’11/9. Non era nel mio gruppo. Appena prima del crollo della Torre Sud, lui stava per entrare. Disse di aver visto un agente in uniforme dell’NYPD, con un uomo mediorientale in manette. Mi disse che l’agente lo stava portando fuori, ma nel crollo della torre nessuno dei due era sopravvissuto.
Era una missione di salvataggio, in quel momento, non una missione di arresto. Un poliziotto con un uomo in manette, doveva esserci un’ottima ragione. Di nuovo, potrebbe essere qualcosa, potrebbe non essere nulla.
Undicisettembre: Essendo stato anche un soccorritore nell’attentato del 1993, ti aspettavi che i terroristi sarebbero tornati?
Michael Greene: Sì.Il sindaco al tempo era Giuliani, fu un ottimo sindaco per quei tempi, avevamo bisogno di lui, ma ci sono aspetti positivi e aspetti negativi. Dal lato negativo, ricordo il giorno che decise di mettere l’ufficio di New York per la gestione delle emergenze dentro il World Trade Center, dopo il 1993. Pensai “Il World Trade Center è ancora un obiettivo dei terroristi, perché vuoi mettere un centro di comando per le emergenze in quel palazzo?” Lui lo fece e l’11/9 nessuno poté usarlo. Fu una mossa stupida. Sapevo perfettamente che avrebbero cercato di nuovo di colpire lì.
Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo le quali l’11/9 sarebbe un inside job?
Michael Greene: Non credo che sia stato un inside job. Credo che fu fatta un’enorme quantità di giganteschi errori che permisero che tutto questo accadesse. Ma un inside job? No, assolutamente.
Undicisettembre: Cosa pensi della sicurezza negli USA oggi? La nazione è più sicura che nel 2001?
Michael Greene: Per quanto riguarda il terrorismo direi di sì, mantenere questo livello costa molti soldi e non so se sarà sostenibile. Ma l’ISIS ha fatto qualcosa che al-Qaeda non ha fatto, che rende le cose più difficili per noi: al-Qaeda diceva “Ehi, vieni nei nostri campi di addestramento”, mentre l’ISIS dice “Non serve che vieni nei nostri campi di addestramento, dobbiamo solo entrare nella tua testa e renderti un simpatizzante da quindicimila chilometri di distanza e ti faremo venire voglia di commettere atti di terrorismo con la tua automobile o con qualunque altro oggetto normale che di norma non è un’arma.” Questo rende le cose più difficili, perché se sei una persona dalla mente debole che guarda i video dell’ISIS a casa ogni giorno, non sei sul radar di nessuno che può trovarti nel caso in cui tu stia progettando un attacco terroristico.
Quindi è un po’ più complicato, ma in termini di un grande attacco terroristico, come l’11/9, siamo certamente più al sicuro oggi di quanto lo fossimo allora. Questi attacchi di lupi solitari sono più prevenibili, non dal governo o dall’FBI, ma dalla polizia locale, perché la polizia locale può vedere se una persona sembra un po’ depressa o se si comporta in modo un po’ strano o se sta comprando delle pistole. Credo anche che la polizia locale sia maggiormente attrezzata contro il terrorismo e abbia oggi un ruolo nell’antiterrorismo.