mercoledì, Maggio 14, 2025
Migliori casinò non AAMS in Italia
Home Blog Pagina 778

Pesci arcobaleno: come sopravvivono nel deserto?

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

Spiegato come i pesci arcobaleno sopravvivono – e prosperano – nel deserto australiano.

rainbow gd874236bf 640
Pesci arcobaleno, un raro esemplare

La combinazione di pesci e deserti non sembra naturale! Tuttavia, un pesce d’acqua dolce australiano ha fatto delle terre aride e, semi-aride, dell’Australia la sua casa.
Uno studio su come tutto questo sia possibile, ha riscontrato che le popolazioni di pesce arcobaleno del deserto (Melanotaenia splendida tatei) prosperano in condizioni in cui la teoria evolutiva suggerirebbe che non dovrebbero.

I risultati non solo rappresentano una buona notizia per le possibilità che questa particolare sottospecie sopravviva in un mondo più caldo, ma potrebbero cambiare il modo in cui concepiamo le altre specie che resistono alle avversità.

Nella parte centrale dell’Australia possono passare anni senza pioggia, seguiti poi da potenti inondazioni. In questo momento alcune parti dell’entroterra australiano sono così allagate che i camion stanno facendo una deviazione di 3.000 chilometri per trovare un percorso asciutto per portare cibo alle comunità isolate.
Il professor Luciano Beheregaray della Flinders University e il suo team erano incuriositi dalla sopravvivenza del pesce arcobaleno in pozze d’acqua isolate. Hanno confrontato la genetica dei pesci arcobaleno in 18 località dell’entroterra australiano. In un articolo sulla rivista Evolution intitolato “Fish out of Water“, Beheregaray e coautori riportano qualcosa di veramente sorprendente.

Beheregaray ha detto a IFLScience che la prova genetica rivela “non ci sono 18 popolazioni, ma otto”. Cioè per migliaia di anni non c’è stato alcun attraversamento dei confini tra gli otto bacini distinti che il pesce abita. All’interno di questi bacini, tuttavia, i pesci si sono recentemente incrociati tra pozze d’acqua di solito separate da centinaia di chilometri di terraferma.

trout g1cf693897 640
Pesci arcobaleno

Pesci arcobaleno, la sopravvivenza alle condizioni ambientali ostili

Nella parte orientale del suo areale, il pesce arcobaleno vive in corsi d’acqua relativamente permanenti – i grandi eventi meteorologici portano ulteriori opportunità, ma anche gli anni secchi lasciano abbastanza habitat per sostenere cospicue popolazioni.

Più a ovest, tuttavia, soltanto le pozze d’acqua più profonde sopravvivono alla siccità, abitate da popolazioni così esigue che ci si aspetta che siano altamente consanguinee. Le piccole popolazioni isolate di solito mancano di diversità genetica.

In tali circostanze, la teoria evolutiva suggerisce, e la maggior parte degli esempi lo conferma, che gli esseri viventi richiedono condizioni stabili, avendo quasi completamente perso la capacità di adattarsi al cambiamento.
Eppure, per il pesce arcobaleno, è il contrario. Anche le popolazioni minori sono geneticamente diverse e capaci di gestire i cambiamenti territoriali.

Questo capovolge il pensiero tradizionale secondo cui le piccole popolazioni sono vicoli ciechi evolutivi. La vita trova un modo, anche negli ambienti più estremi e imprevedibili della Terra“; afferma Beheregaray in una dichiarazione.

rainbow fish g875a3f922 640
Pesci arcobaleno

L’evoluzione sorprendente di questa specie

Il segreto del pesce sta nel cogliere l’opportunità di muoversi tra le pozze d’acqua nelle rare occasioni in cui le inondazioni coprono vaste aree del paesaggio piatto. Gli autori sospettano che si riproducano più pesantemente in questi momenti.

Di conseguenza, mentre un pesce arcobaleno può avere solo fratelli e cugini con cui accoppiarsi per diversi anni, quando arriva l’occasione si disperdono e si riproducono con membri molto più lontani della loro specie, garantendo la diversità genetica per le generazioni a venire.

I pesci arcobaleno dei bacini occidentali sembrano essersi evoluti con caratteristiche che li rendono particolarmente adatti a questi cicli di espansione e contrazione. Possiedono una versione diversa di un gene che controlla il gusto, l’odore e la sensibilità alla luce e dà al pesce la capacità di determinare la salinità.

Beheregaray e i coautori pensano che la varietà del gene occidentale possa spingere i pesci a muoversi di più quando le condizioni sono giuste, mantenendo le connessioni tra le popolazioni. Questo potrebbe rivelarsi un salvavita se introdotto nelle popolazioni orientali sempre più alle prese con un ambiente secco.

fish ga5f4e5075 640
Pesci arcobaleno

Le conclusioni del team

Beheragaray ha detto a IFLScience che accenni di resilienza di piccole popolazioni simili sono stati trovati in alcuni uccelli marini e nel persico pigmeo dell’Australia meridionale, ma mai con la chiarezza vista qui.

La scoperta può suggerire che altre piccole popolazioni possono essere più sane di quanto sembrano, e non dovremmo abbandonare le specie più rare come non sacrificabili, come è stato suggerito. Tuttavia, ha sottolineato Beheregaray a IFLScience, “non dovremmo interpretare questo in modo errato. La maggior parte delle specie ha bisogno di grandi popolazioni”.

Gli Scimpanzé e il modo strano di curare le ferite

Galassie lontane e l’intrinseca materia oscura

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

Galassie lontane e la vera natura della materia oscura.

Al centro delle galassie a spirale – quelle vicine a noi ma anche quelle lontane miliardi di anni luce – c’è una vasta regione sferica costituita da particelle di materia oscura. Questa regione ha due caratteristiche che la definiscono: una densità costante fino a un certo raggio che si espande incredibilmente nel tempo, mentre la densità diminuisce.

Questo suggerisce l’esistenza di un’interazione diretta tra le particelle elementari che compongono l’alone di materia oscura e quelle che compongono la materia ordinaria – protoni, elettroni, neutroni e fotoni.

Anticipiamo che questa ipotesi è in diretto conflitto con l’attuale teoria prevalente usata per descrivere l’universo — nota come Lambda-Cold Dark Matter — che postula che le particelle di materia oscura fredda siano inerti e non interagiscano con nessun’altra particella se non gravitazionalmente.

andromeda g42ee00eca 640
Galassie lontane

Galassie lontane: una nuova ricerca offre potenziale passo avanti nello studio della materia oscura

Queste importanti scoperte sono state riportate in un nuovo studio, recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Astronomy and Astrophysics, che ha studiato un gran numero di galassie lontane, a circa sette miliardi di anni luce.

Lo studio, condotto da Gauri Sharma e Paolo Salucci della SISSA, insieme a Glen Van de Ven dell’Università di Vienna, ha dato un nuovo sguardo a uno dei più grandi misteri della fisica moderna.

Secondo gli autori, questa nuova ricerca rappresenta un passo avanti nella nostra comprensione della materia oscura, l’elemento sfuggente nel nostro universo che è stato teorizzato sulla base dei suoi effetti dimostrabili sui corpi celesti, ma che non è ancora stato direttamente comprovato. Questo nonostante un certo numero di osservazioni astrofisiche mirate ed esperimenti allestiti allo scopo, in laboratori sotterranei dedicati.

ngc 2207 11171 960 720
Galassie lontane

Lo studio della materia oscura nelle galassie lontane

La materia oscura costituisce circa l’84% della massa del cosmo:

“La sua presenza dominante in tutte le galassie deriva dal fatto che le stelle e il gas idrogeno si muovono come se fossero governati da un elemento invisibile“; precisa Gauri Sharma.

Finora, i tentativi di studiarlo si sono concentrati sulle galassie vicine alla nostra; in questo caso, però, si tratta di un elemento invisibile:

“In questo studio, però”, spiega, “per la prima volta, cercavamo di osservare e determinare la distribuzione della massa di galassie a spirale con la stessa morfologia di quelle vicine, ma molto più lontane e quindi precedenti di circa sette miliardi di anni. L’idea è essenzialmente che questi progenitori di galassie a spirale come la nostra, potrebbero offrire indizi fondamentali sulla natura della particella al centro del mistero della materia oscura”.

*****

Paolo Salucci aggiunge: “Studiando il movimento delle stelle in circa 300 galassie lontane, abbiamo scoperto che questi oggetti avevano anche un alone di materia oscura, e che, partendo dal centro di una galassia, questo alone ha effettivamente una regione in cui la sua densità è costante.” Questa caratteristica era già stata osservata in studi che esaminavano galassie vicine, alcuni dei quali erano anche il lavoro della SISSA.

La nuova ricerca ha rivelato, tuttavia, che questa regione centrale aveva qualcosa che era del tutto inaspettata nel contesto del cosiddetto “modello standard della cosmologia”.
Sharma dice che “come risultato del contrasto tra le proprietà delle galassie a spirale vicine e lontane – cioè tra le galassie di oggi e le loro antenate di sette miliardi di anni prima, abbiamo potuto vedere che non solo c’è una regione inspiegabile con una densità costante di materia oscura, ma anche che le sue dimensioni aumentano nel tempo come se fossero soggette a un processo di espansione e diluizione continua”.

spiral g57ca7d04c 640
Galassie lontane
*****

Questa evidenza è molto difficile da spiegare se le particelle di materia oscura non interagiscono, come postulato nel modello Lambda-CDM. “Nella ricerca che abbiamo recentemente pubblicato”, dice Sharma, “offriamo la prova di un’interazione diretta tra materia oscura e materia ordinaria, che nel tempo costruisce lentamente una regione di densità consistente dal centro della galassia verso l’esterno”. Ma c’è di più.

Un processo lento ma inesorabile

“Sorprendentemente, la suddetta regione a densità costante si espande nel tempo. È un processo molto lento, ma inesorabile” afferma Salucci. Una possibile spiegazione?

“La più semplice è che all’inizio, quando la galassia si è formata, la distribuzione della materia oscura nell’alone sferico era quella prevista dalla teoria Lambda-CDM, con un picco di densità al centro”.

“In seguito, si forma il disco galattico che caratterizza le galassie a spirale, circondato da un alone di particelle di materia oscura estremamente dense. Con il passare del tempo, l’effetto dell’interazione che abbiamo ipotizzato fa sì che le particelle vengano catturate dalle stelle o espulse verso l’esterno della galassia”.
Questo processo creerebbe una regione sferica di densità costante all’interno dell’alone di materia oscura, con dimensioni che aumentano proporzionalmente nel tempo e infine raggiungono quelle del disco stellare galattico, come descritto nell’articolo su “Astronomy and Astrophysics”.

andromeda 3009853 960 720
Galassie lontane

In conclusione

“I risultati dello studio pongono importanti domande per gli scenari alternativi che descrivono le particelle di materia oscura (a parte Lambda-CDM), come la Warm Dark Matter, Self-Interacting Dark Matter e Ultra Light Dark Matter”. Spiega ancora Sharma.

Questi modelli devono anche rendere conto della chiara evoluzione temporale registrata nella regione di cui sopra. Le proprietà delle galassie molto distanti nello spazio e nel tempo offrono ai cosmologi una vera porta d’accesso alla comprensione dei misteri della materia oscura”.

È interessante notare “che, in linea con la filosofia di Nietzsche, la verità di questo mistero può essere rivelata non dettagliando lo scenario più bello – quello matematicamente più elegante, semplice e anticipato come un’espansione di teorie da tempo verificate – ma piuttosto attraverso uno scenario “brutto” determinato da una fenomenologia osservativa inelegante e complicata, da una teoria fisica trascurata che è completamente estranea a quella che ci è familiare”. Conclude Salucci soddisfatto.

Rilevata la temperatura dell’universo 13 Mld di anni fa

40 scheletri romani decapitati a Fleet Marston

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

40 scheletri romani decapitati, trovati nel cimitero romano di Aylesbury.

Nel più grande luogo di sepoltura situato in Inghilterra, nel Buckinghamshire, sono stati portati alla luce numerosi scheletri e diversi manufatti durante uno scavo a Fleet Marston, vicino ad Aylesbury, per l’ampliamento della famosa rete ferroviaria multimiliardaria HS2.

L’antica città, vecchia di 2000 anni, è – secondo un team di 50 archeologi che ha lavorato al sito – una scoperta sorprendente, che dice molto sulle usanze di questo popolo. Anche se riconoscono che tutto ciò era un “normale, seppur marginale, rito di sepoltura” all’epoca.

Il collegamento ferroviario – non nuovo a questi straordinari rinvenimenti – in quest’occasione ha portato alla luce 425 corpi, di cui un buon 10% (40) con teste decapitate posizionate tra le gambe o sui piedi.

Quello che, a tutti gli effetti, risulta un cimitero tardo romano, sta facendo chiarezza, secondo gli esperti, sulle usanze di sepoltura di questo antico popolo. Una possibile interpretazione, asseriscono gli archeologi, è che queste persone siano state decapitate perché probabilmente erano criminali, o diversamente, degli emarginati. I manufatti ritrovati, erano un compendio di monete, dadi, pesi di piombo, spille, campanelle, e così via.

Ma non è tutto. La ricerca ha evidenziato altri aspetti di questa recente scoperta. Tutto ciò non è inusuale se si considera la vastità di questo sito funebre romano.

Il cimitero, che è – ribadiamo – il più grande del suo genere mai rinvenuto nella contea, è l’ultima scoperta del controverso progetto di collegamento della ferrovia ad alta velocità HS2.

40 scheletri romani nel più grande cimitero Inglese

Le monete ritrovate, come accennato, sono più di 1.000, (oltre a pesi di piombo), che forse indicano come 2.000 anni fa fosse un luogo di scambi e commercio. Nel frattempo, proprio la scoperta di dadi e campane, suggerisce agli esperti, che la zona fosse un centro di gioco d’azzardo e/o attività religiose.

Screenshot 2022 02 14 at 12 05 01 Archaeologists Find 40 Beheaded Roman Skeletons With Skulls Between Their Legs
IMAGE CREDIT: HS2 – 40 scheletri romani decapitati a Fleet Marston

“Lo scavo è significativo sia per consentire una chiara caratterizzazione di questa città romana, ma anche uno studio su molti dei suoi abitanti“. Dichiara Richard Brown, Senior Project Manager per COPA, la società dietro gli archeologi che lavorano per HS2.

La città di Fleet Marston, lo ricordiamo, si trova vicino al sito dove una serie di uova marce di 1.700 anni fa furono scoperte in uno scavo non collegato nel 2019. Una volta fiancheggiava Akeman Street – una grande strada romana che andava dalla capitale romana di Verulamium (ora St Albans) a Corinium Dobunnorum (ora Cirencester), attraverso la romana Alchester (vicino a Bicester).

Grazie alla sua posizione, il team suggerisce che la città potrebbe essere stata un punto di sosta per i viaggiatori e i soldati che si recavano alla guarnigione di Alchester.

Futuro e nuovi progetti

Tuttavia, a differenza di come si possa pensare,  la scoperta è tutt’altro che unica. Infatti, il sito di Fleet Marston è solo uno degli oltre 100 che HS2 ha individuato dal 2018. Nel 2019, per esempio, il progetto multimiliardario ha scovato i resti dell’esploratore Matthew Flinders a Euston, Londra.

Insieme a diversi nuovi siti di insediamento romano scoperti durante i lavori di HS2 [questo nuovo sito] migliora e popola la mappa del Buckinghamshire romano“. Aggiunge Brown.

La prima fase di HS2 si estende per 225 chilometri (140 miglia) tra Londra e Birmingham ed è il più grande scavo archeologico in Europa. Potrebbe costare ben 44,6 miliardi di sterline (60,3 miliardi di dollari) e sollevare una serie di preoccupazioni ambientali; ma le scoperte archeologiche sono “un sottoprodotto eccitante e gradito”. Dice Neil Redfern, direttore del Consiglio di Archeologia.

Il programma di archeologia dell’HS2 ci ha permesso di imparare di più sulla nostra ricca storia in Gran Bretagna. Il grande cimitero romano a Fleet Marston ci permetterà di ottenere una visione dettagliata dei residenti di Fleet Marston e del più ampio paesaggio della Gran Bretagna romana“. Commenta Helen Wass, responsabile del patrimonio presso HS2 Ltd. Nel corso dei prossimi anni, lo scavo a Fleet Marston sarà analizzato, permettendoci una rara visione della Britannia romana e delle vite di coloro che vi vivevano.

kWagbVB6TwFmHmWpYEyKzJ 970 80 e1644836696555
40 scheletri romani decapitati a Fleet Marston – IMAGE CREDIT: HS2

La mostra di Stephen Hawking spera di svelare i misteri della sua lavagna

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

Una nuova mostra museale spera di svelare i segreti dietro gli scarabocchi, le battute e i messaggi in codice su una lavagna che il leggendario fisico Stephen Hawking ha mantenuto intatto per più di 35 anni.

La lavagna di Hawking esposta al pubblico per la prima volta

La lavagna risale al 1980, quando Hawking si unì ad altri fisici in una conferenza sul superspazio e la supergravità all’Università di Cambridge nel Regno Unito, secondo The Guardian. Durante il tentativo di elaborare una “teoria del tutto” cosmologica – un insieme di equazioni che combinassero le regole della relatività generale e della meccanica quantistica – i colleghi di Hawking hanno usato la lavagna come una gradita distrazione, riempiendola con un miscuglio di equazioni semifinite, giochi di parole sconcertanti e scarabocchi imperscrutabili.

Conservata ancora più di 40 anni dopo, la sconcertante lavagna è appena stata esposta al pubblico per la prima volta in assoluto come fulcro di una nuova mostra sull’ufficio di Hawking, inaugurata il 10 febbraio allo Science Museum di Londra. Il museo accoglierà fisici e amici di Hawking – morto nel 2018 all’età di 76 anni – da tutto il mondo nella speranza che possano essere in grado di decifrare alcuni degli scarabocchi scritti a mano.

Hawking nel suo studio all'Università di Cambridge.
Hawking nel suo studio all’Università di Cambridge.

Cosa significa, ad esempio, “simmetria stupore”? Chi è il marziano con la barba ispida e disegnato in grande al centro della lavagna? Perché c’è un calamaro dal muso floscio che si arrampica su un muro di mattoni? Cosa si nasconde all’interno del barattolo di latta etichettato “Exxon supergravity?” Si spera che le grandi menti mondiali della matematica e della fisica possano essere all’altezza dell’occasione con le risposte.

La lavagna si unisce a dozzine di altri manufatti di Hawking in mostra, inclusa una copia del dottorato di ricerca del fisico del 1966. Tesi sull’espansione dell’universo, la sua sedia a rotelle e una giacca personalizzata regalatagli dai creatori de “I Simpson” per onorare le sue molteplici apparizioni nello show. La mostra andrà avanti fino al 12 giugno allo Science Museum di Londra, prima di fare tappa in molti altri musei del Regno Unito, secondo The Guardian.

Hawking è nato in Inghilterra l’8 gennaio 1942. Mentre studiava cosmologia all’Università di Cambridge nel 1963, gli fu diagnosticata una malattia dei motoneuroni, più comunemente nota come malattia di Lou Gehrig o sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Quindi a soli 21 anni, Hawking avrebbe dovuto vivere solo altri due anni. Ha continuato a vivere e lavorare per più di cinque decenni, pubblicando lavori pionieristici sui buchi neri, la teoria del Big Bang e la relatività generale.

Un razzo si sta per schiantare sulla Luna e non è un Falcon 9. Ma cosa accadrà al momento dello schianto?

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

L’astronomo accreditato di aver scoperto il prossimo impatto, Bill Gray, ha annunciato il 12 febbraio di aver commesso un errore nell’identificare il razzo come un vecchio stadio di un razzo Falcon 9 di SpaceX che ha contribuito a lanciare il satellite Deep Space Climate Observatory nel 2015. 

Piuttosto, Gray ora suggerisce che il frammento potrebbe far parte del razzo Long March 3C che ha lanciato la missione cinese Chang’e 5-T1 sulla luna nell’ottobre 2014. Questa navicella spaziale è stata un predecessore di Chang’e 5, la missione robotica del 2020 che ha restituito un campione di suolo lunare.

Non capita spesso di poter prevedere l’improvvisa comparsa di un nuovo cratere da impatto sulla Luna, ma accadrà il 4 marzo, quando il razzo, che sia uno SpaceX Falcon 9 abbandonato o un Long March 3C cinese, vi si schianterà contro.

Lo stadio superiore esaurito del razzo quando è stato lanciato aveva una velocità insufficiente per fuggire in un’orbita indipendente attorno al Sole ed è stato abbandonato senza la possibilità di tornare nell’atmosfera terrestre. È una pratica normale quella di consentire agli stadi di bruciare al rientro in atmosfera per ridurre il traffico nello spazio vicino alla Terra causato da residui di razzi e satelliti.

Sia come sia, ora possiamo dire che il secondo stadio di razzo colpirà la Luna il 4 marzo a una velocità di circa 2,6 chilometri al secondo. Questo creerà un cratere di circa 19 metri di diametro, una prospettiva che ha provocato indignazione nei circoli dei social media da parte di persone che sono sconvolte dal fatto che la negligenza umana sfigurerà la Luna in questo modo.

Preoccupazione fuori luogo

Tuttavia, è sicuramente più ecologico che un razzo morto finisca sulla Luna piuttosto che essere disperso nell’alta atmosfera terrestre sotto forma di particelle di ossido di metallo, che è ciò che accade quando un razzo brucia al rientro in atmosfera. La Luna manca anche di un’atmosfera che la protegga dai detriti spaziali, quindi accumula continuamente crateri da impatto naturali.

Un impatto naturale sulla luna il 17 marzo 2013 ha creato questo cratere lunare largo 61,7 piedi (18,8 metri).(Credito immagine: NASA/Goddard Space Flight Center/Arizona State University)
Un impatto naturale sulla luna il 17 marzo 2013 ha creato questo cratere lunare largo 61,7 piedi (18,8 metri).(Credito immagine: NASA/Goddard Space Flight Center/Arizona State University)

Il Lunar Reconnaissance Orbiter ha già ripreso un cratere di 19 metri formatosi quando un pezzo di roccia di un asteroide da mezza tonnellata, viaggiando circa dieci volte più velocemente del razzo, ha colpito la superficie nel marzo 2013. Nell’ultimo decennio, centinaia di piccoli impatti, da pezzi di rocce del peso di appena mezzo chilo, sono state individuate dal progetto di monitoraggio dell’impatto lunare della NASA .

Il prossimo impatto sarà sul lato opposto della Luna, quindi non saremo in grado di vederlo accadere. Ma la navicella spaziale in orbita attorno alla Luna sarà in grado di visualizzare il cratere da impatto in seguito. Impareremo qualcosa di nuovo? Ci sono stati diversi precedenti incidenti sulla Luna, quindi sappiamo cosa aspettarci.

Ad esempio, gli stadi superiori considerevolmente più grandi dei razzi utilizzati nelle missioni di atterraggio dell’Apollo si sono schiantati in modo che le vibrazioni rilevate dai sismometri installati sulla superficie potessero essere utilizzate per indagare l’interno lunare. I sismometri Apollo sono stati spenti molto tempo fa e non è chiaro se il sismometro sul lander lunare cinese Chang’e 4 sarà in grado di fornire dati utili questa volta.

Un incidente mirato e deliberato è stato ottenuto anche nel 2009, quando la missione LCROSS della NASA ha inviato un proiettile in un cratere polare costantemente in ombra, creando un cratere più piccolo sul suo pavimento ghiacciato e sollevando un pennacchio che ha dimostrato di contenere il vapore acqueo sperato.

Contaminazione biologica

Quindi la Luna ha già qualcosa come mezzo miliardo di crateri con un diametro di dieci metri o più. Quello di cui dovremmo preoccuparci semmai è contaminare la Luna con eventuali batteri, o molecole che in futuro potrebbero essere scambiate per prove della vita precedente sulla Luna.

La maggior parte delle nazioni ha sottoscritto protocolli di protezione planetaria che cercano di ridurre al minimo il rischio di contaminazione biologica dalla Terra a un altro corpo (e anche da un altro corpo alla Terra). I protocolli sono in atto per ragioni sia etiche che scientifiche. L’argomento etico è che non sarebbe giusto mettere a rischio qualsiasi ecosistema che potrebbe esistere su un altro corpo introducendo organismi dalla Terra che potrebbero prosperare lì. L’argomento scientifico è che vogliamo studiare e comprendere le condizioni naturali dell’altro corpo, quindi non dovremmo rischiare di comprometterle o distruggerle con una contaminazione sfrenata.

La più grande violazione recente dei protocolli COSPAR è stata nel 2019 quando il lander lunare israeliano Beresheet, finanziato privatamente, si è schiantato sulla Luna, trasportando campioni di DNA e migliaia di tardigradi. Questi sono organismi lunghi mezzo millimetro che possono tollerare, anche se non essere attivi, il vuoto dello spazio. Questi, e presumibilmente anche i microbi che vivevano nelle loro viscere, sono ora sparsi sul luogo dell’incidente di Beresheet.

Molto probabilmente nessuno di questi finirà in una nicchia dove c’è abbastanza acqua per farli rivivere e diventare attivi, ma questo non è un rischio che dovremmo correre. Il Long March 3C non era sterile al momento del lancio, ma non trasportava nemmeno un carico biologico. Sono anche passati dai due ai sette anni, secondo cosa sia il frammento, nello spazio, quindi ormai il rischio di biocontaminazione è davvero piccolo, ma più cose inviamo sulla Luna, più dovremo stare attenti e più difficile sarà far rispettare le regole.

Questo articolo è stato pubblicato su The Conversation.

Uomini e donne rispondono in modo diverso ai disastri naturali

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

Le donne sono più veloci a mettersi al riparo o prepararsi ad evacuare durante un’emergenza, ma spesso hanno difficoltà a convincere gli uomini a farlo, suggerisce un nuovo studio dell’Università del Colorado Boulder su come il genere influenza la risposta ai disastri naturali.

La ricerca ha anche scoperto che i ruoli di genere tradizionali tendono a riemergere all’indomani dei disastri, con le donne relegate al ruolo importante ma isolante di casalinga mentre gli uomini si concentrano sulle finanze e sulle attività di comunità.

Anche le agenzie incaricate di fornire assistenza, a volte, chiedono ancora di parlare con “l’uomo di casa“, riferiscono i ricercatori.

“Abbiamo scoperto che ci sono molte barriere che svantaggiano le donne in caso di disastro, lasciandole indietro quando si tratta di prendere decisioni e potenzialmente rallentando la loro guarigione”, ha affermato l’autrice principale Melissa Villarreal, studentessa di dottorato presso il Dipartimento di Sociologia e assistente di ricerca presso il Natural Hazards Center.

Per lo studio i ricercatori hanno analizzato una serie di interviste approfondite con 33 donne e 10 uomini in due città del Texas. Alcuni degli intervistati provenivano da Granbury, che nel 2013 è stata colpita da un tornado EF-4 che uccise sei persone, lasciando una scia di distruzione larga un chilometro e mezzo, danneggiando 600 case. Altri provenivano dall’ovest, dove nello stesso anno un’esplosione in un’azienda di fertilizzanti uccise 15 persone e distrusse 100 case.

Ai residenti è stato chiesto quali fossero le loro esperienze nel mezzo e l’anno successivo al disastro. Sebbene le circostanze che circondano gli eventi fossero molto diverse, sono emersi modelli comuni influenzati dal genere.

“Spesso diamo per scontato che uomini e donne risponderanno allo stesso modo a questo tipo di stimoli esterni, ma stiamo scoprendo che non è proprio così”, ha affermato Meyer, direttore del Hazard Reduction and Recovery Center presso il Texas A&M.

Correlato: Spera nel meglio ma preparati per il peggio

In un’intervista, una donna di Granbury ha raccontato di essersi accovacciata nell’armadio con i suoi figli, implorando suo marito – che stava guardando il tornado fuori dalla finestra – di entrare e unirsi a loro. In un altro caso, una donna ha resistito al piano del marito di salire in macchina e allontanarsi dalla tempesta, preferendo ripararsi sul posto. Alla fine ha ceduto, e sono rimasti bloccati in macchina, i bambini sul sedile posteriore, spinti dal vento mentre il tornado sferzava.

“Le donne sembravano avere una percezione del rischio e un desiderio di azione protettiva diversi rispetto agli uomini, ma gli uomini spesso determinano quando e quale tipo di azione intraprendono le famiglie”, ha scritto Villareal. “In alcuni casi, questo ha messo le donne e le loro famiglie in pericolo maggiore”.

I risultati sono gli ultimi di una serie di studi che hanno rilevato che le donne tendono ad avere una maggiore percezione del rischio, ma poiché sono considerate “paurose”, a volte non vengono prese sul serio.

Le donne nel nuovo studio si sono anche lamentate del fatto che le organizzazioni di recupero tendevano a chiamare gli uomini della famiglia per sapere dove indirizzare gli aiuti, anche quando le donne avevano compilato i moduli che li richiedevano.

“L’eliminazione del modello di capofamiglia maschile è fondamentale per accelerare la ripresa generale della famiglia”, concludono gli autori.

Correlato: I disastri naturali che misero quasi fine al mondo

Durante i soccorsi, le donne vengono spesso incaricate di compiti relativi “alla sfera privata” come riordinare la casa e prendersi cura dei bambini mentre le scuole restano chiuse, ma spesso si sono sentite escluse dai ruoli di leadership nei progetti di recupero della comunità.

“Se la tua prospettiva non viene presa in considerazione e ti senti isolato, ciò può ostacolare il recupero della salute mentale”, ha detto Villareal.

Di recente ha intrapreso uno studio separato, ambientato a Houston, che esamina le sfide uniche che le popolazioni immigrate messicane stanno affrontando all’indomani dell’uragano Harvey, che ha colpito la regione nel 2017.

In definitiva, vorrebbe vedere le agenzie governative considerare le differenze di genere durante la creazione di avvisi di calamità e dare la priorità alla fornitura di assistenza all’infanzia dopo il disastro in modo che le donne possano svolgere un ruolo maggiore negli sforzi della comunità.

“Se riusciamo a mettere da parte le forme di pregiudizio razziale e di genere e ascoltare tutte le persone che raccontano le loro storie su ciò che le sta colpendo, ciò potrebbe fare molto per aiutare le comunità a riprendersi”, ha affermato Villarreal.

Correlato: Catena di approvvigionamento: funzioni e rischi

FINIMONDO D.O.C., annata 1960

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

Da sempre, periodicamente, salta fuori qualcuno che profetizza l’imminente fine del mondo; tutti ricordiamo ad esempio il 21 dicembre 2012 in cui, secondo alcuni interpreti del calendario Maya, terribili cataclismi avrebbero dovuto distruggere la Terra. Sappiamo tutti com’è andata…

Anche nell’ormai lontana estate 1960, la spensieratezza delle vacanze fu offuscata da una cupa profezia: il 14 luglio una catena di esplosioni atomiche incontrollabili (al posto dell’antiquata pioggia di fuoco e di zolfo) avrebbe posto fine alla razza umana, lasciando in vita soltanto 12.000 eletti.

Il menagramo di turno era “Emman il consolatore”, capo carismatico della Comunità Massiccio Bianco, in realtà un pediatra milanese trentottenne di nome Elio Bianca, il cui viso gioviale e la cui barbetta da alpino mal si accordavano colle sue fosche previsioni. Insieme coi suoi adepti, tra cui spiccava Py-a-Dassi, autentico sacerdote tibetano, già da anni trascorreva le vacanze estive in un rifugio alpino a più di duemila metri di quota presso Courmayeur, da loro ribattezzato Pavillon Gehovonise, nome che nella lingua monotematica olosemantica dell’Essere Supremo significava “tenda di Dio.

Come faceva Emman a conoscere questo strano linguaggio?

Semplice: gli era stato insegnato dall’Essere Supremo cioè il Logos, la Sapienza divina in persona, col quale regolarmente dialogava ogni giorno ad ora fissa; alla fine di ogni colloquio i messaggi ricevuti venivano registrati al magnetofono da cui venivano trascritti pazientemente a macchina da sua madre, sorella Wamthar, che ne aveva già composto un libro di ben tredicimila cartelle.

Non solo: volete che l’Essere Supremo fosse il solo a dialogare con Emman? Mai più: Pascoli, Leopardi e D’Annunzio dettavano dall’aldilà tragedie e poesie che venivano diligentemente trascritte dall’infaticabile dattilografa.

Se qualcuno fosse stato tanto ingenuo da crederci, solo leggendole avrebbe cambiato idea: com’era possibile, per esempio, che D’Annunzio (per quanto rimbambito dai tormenti del Purgatorio) componesse versi brutti come: “Trenta uomini dinnanzi – nella forte insurrezione – sia colui che la propone – quel che in testa solo avanzi”?

Nel 1958 Emman ricevette il terribile messaggio: il 14 luglio 1960 ci sarebbe stata la fine del mondo.

Senza perdersi d’animo radunò alcuni adepti, si recò con loro al Pavillon ed iniziarono senza indugio lavori difensivi: le porte interne furono rinforzate e si costruirono tre “camere di decompressione”, cioè tre sgabuzzini comunicanti nei quali entrare uno per volta per “abituarsi gradatamente al nuovo clima post-apocalittico”.

Emman diede subito ai giornali l’annuncio del finimondo.

Via via che la data fatidica si avvicinava, l’opinione pubblica cominciò ad interessarsene sempre più, e quando ai primi di luglio 1960 la comunità si ritirò nel Pavillon, gli italiani si divisero tra coloro che prendevano la cosa semplicemente in ridere, e quelli che, pur alzando le spalle, sentivano un leggero brivido nella schiena. E se Emman avesse avuto ragione?

Ci fu chi tirò in ballo persino il Terzo Segreto di Fatima (poteva mancare?).

Dal canto suo Emman mise le mani avanti: il 10 luglio concesse un’intervista a un inviato di “Oggi” nella quale avanzava l’ipotesi che l’Apocalisse potesse non avvenire, o perlomeno non in quella data esatta, e che le rivelazioni avute fossero soltanto una specie di avvertimento. In questo caso avrebbe sopportato dileggio, beffe ed umiliazioni con animo sereno, come una prova alla quale l’Essere Supremo aveva voluto sottoporlo.

Era però certo del contrario: come stava scritto nella Bibbia (secondo lui, ovviamente) solo l’alta Val D’Aosta si sarebbe salvata, e quando l’inviato di “Oggi” gli disse il nome dell’albergo in cui alloggiava, gli raccomandò di andarsene in quanto quello stava proprio sotto uno dei monti che sarebbero sicuramente crollati.

Ovviamente, quando il 14 luglio passò e non successe nulla, un coro di risate e di sarcasmo percorse l’Italia intera: su questo Emman, alias Elio Bianca, fu veramente buon profeta per la prima (e unica) volta.

Forme di vita di Asgard

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

Quando gli scienziati hanno eseguito l’analisi del DNA su un nucleo di sedimenti prelevato dal fondo dell’oceano artico nel 2010, hanno scoperto un organismo sconosciuto appartenente al dominio dei microbi chiamato Archaea che sembra avere caratteristiche genomiche associate a un dominio totalmente diverso, l’Eucariota.

I ricercatori hanno chiamato la loro scoperta “Lokiarchaeota” dal luogo del suo ritrovamento, il foro idrotermale del castello di Loki vicino alla Groenlandia. Tuttavia un dubbio ha offuscato la scoperta: il campione analizzato poteva essere stato contaminato?

Il dubbio è stato, però, superato grazie al lavoro di un team di scienziati giapponesi che sono riusciti a isolare l’organismo e a coltivarlo in laboratorio.

Questo è stato un passo importante che consentirà di studiare microorganismi Lokiarchaeota “vivi” che potrebbe indicare quali sono i primissimi esseri viventi comparsi sulla Terra.

La ricerca è stata pubblicata lo scorso anno ed è ora disponibile sulla rivista Nature.

Batteri, eucarioti e archei sono i tre domini che compongono la vita sulla Terra.

I batteri sono microbi unicellulari che non hanno un nucleo o organelli legati alla membrana e si muovono grazie a strutture chiamate flagelli.

Gli eucarioti, sono organismi le cui cellule hanno nuclei e membrane. Questo dominio include noi esseri umani, animali, piante e alghe.

Gli Archei sono molto simili ai batteri, non hanno nucleo e organelli e si muovono grazie a flagelli. Tuttavia alcune differenze con i batteri ci sono: ad esempio, gli Archei hanno membrane cellulari strutturate in modo diverso con un Rna che li colloca in una posizione distinta sull’albero filogenetico.

A questi tre domini oggi dobbiamo ora aggiungere Lokiarchaeota, seguito da altri esemplari di archei con caratteristiche eucariotiche. Questi furono chiamati Thorarchaeota, Odinarchaeota e Heimdallarchaeota (per seguire la stessa convenzione di denominazione).

Questi esemplari sono stati denominati archaea di Asgard e alcuni scienziati pensano che potrebbero essere all’origine della vita eucariotica – forse dopo che un archaea ha catturato un batterio.

Questa è solo un’ipotesi, per averne la certezza gli scienziati dovevano isolare e studiare gli organismi. L’analisi è stata portata a termine da scienziati giapponesi dopo aver recuperato un nucleo di sedimenti dal fondo del mare nel Nankai Trough, a 2.533 metri sotto il livello del mare, nel 2006.

Questo è accaduto prima che si sapesse degli archaea di Asgard. Solo più tardi, un’analisi dell’RNA del loro ricco campione ha rivelato la presenza di un organismo simile a Lokiarchaeota.

Gli scienziati giapponesi hanno coltivato i loro campioni per cinque anni, in un bioreattore a flusso continuo alimentato a metano progettato per imitare le condizioni di uno sfiato di metano in acque profonde. Molto lentamente, i microbi hanno proliferato, moltiplicandosi.

Nel passo successivo i campioni, dal bioreattore sono stati posti in provette di vetro con nutrienti per oltre un anno iniziando lentamente a proliferare. Al team di scienziati è servito molto più tempo, in quanto le popolazioni bacteirali comuni di solito impiegano circa mezz’ora per raddoppiare, Lokiarchaeota ha impiegato 20 giorni.

La lentezza del processo è stata sottolineata dai ricercatori che nell’articolo spiegano come la coltura era in ritardo di 30-60 giorni richiedendo oltre tre mesi per raggiungere una crescita piena a prescindere dalla temperatura e dai nutrienti e dalla combinazione dei substrati.

L’esperimento ha richiesto in totale 12 anni. I ricercatori hanno chiamato il loro microbo coltivato Prometheoarchaeum syntrophicum, da Prometheus, il Titano della mitologia greca a cui era stata attribuita la creazione degli esseri umani dall’argilla.

Gli scienziati hanno scoperto che Prometheoarchaeum si sarebbe sviluppato in presenza di solo uno o due altri microbi, l’archaeon Methanogenium e il batterio Halodesulfovibrio. Quando il Prometheoarchaeum scompone gli aminoacidi in cibo, produce idrogeno, che gli altri microbi assimilano.

L’idrogeno non assimilato, spiegano i ricercatori, potrebbe ostacolare ulteriormente la crescita già lenta del Prometheoarchaeum, questo indica che l’arcaea ha una relazione simbiotica con altri microbi, in questo caso sintrofica – il che significa che la crescita di una specie o di entrambe dipende da cosa mangia l’altro.

L’organismo, esaminato al microscopio elettronico, ha rivelato una forma insolita per un archea: lunghi tentacoli che spuntano dal suo corpo, all’interno del quale si annidavano i suoi microbi partner.

Quando l’ossigeno ha iniziato ad aumentare sulla Terra, secondo i ricercatori, questo organismo avrebbe potuto passare a una relazione con i batteri che utilizzavano ossigeno, aumentando le sue possibilità di sopravvivenza e avviandosi verso la vita eucariotica, deduzione plausibile dopo il sequenziamento del DNA che ha rivelato le caratteristiche eucariotiche osservate in altri archaea di Asgard.

Tuttavia, è ovvio che serve approfondire le ricerche, il prometheoarchaeum attuale potrebbe essere molto diverso dagli archaea di miliardi di anni fa. Ed è tutt’altro che una prova definitiva che gli eucarioti si siano evoluti dagli archei.

Lo studio è disponibile in attesa della peer-review, quindi sarà interessante vedere in tempo cosa ne farà la comunità scientifica. Ma qualunque cosa accada adesso, impareremo molto da questo lavoro.

Questo è un documento monumentale che riflette un’enorme quantità di lavoro e perseveranza“, ha detto a Nature nell’agosto del 2019 il microbiologo evoluzionista Thijs Ettema dell’Università di Wageningen, che non era associato al documento.

È un grande passo avanti nella comprensione di questo importante lignaggio“.

Il telescopio James Webb inizia a mettere a fuoco il suo “grande occhio” – video

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

Gli ingegneri stanno regolando i segmenti per farli funzionare all’unisono. Quando i 18 punti saranno mappati perfettamente, James Webb sarà pronto a studiare il cosmo.

Ci vorrà un po’, almeno un paio di mesi, e anche i team scientifici dovranno mettere a punto i quattro strumenti del telescopio. Ma quando tutti i preparativi saranno terminati, James Webb restituirà immagini sorprendenti dello spazio profondo. Dovremmo poter ammirare le prime immagini rilasciate dall’agenzia spaziale statunitense Nasa a giugno o luglio.

La stessa stella ma vista in modo diverso nei 18 segmenti del gigantesco specchio dorato del telescopio spaziale James Webb:

123229384 mosaic

L’immagine che mostra tutti i 18 segmenti, è la vista che lo specchio secondario di Webb ha del riflettore principale. Lo specchio secondario si trova davanti allo specchio principale su aste lunghe 8m e ha il compito di far rimbalzare la luce verso gli strumenti.

Il selfie è stato creato utilizzando un obiettivo di imaging della pupilla specializzato all’interno di NIRCam. Nell’immagine, uno dei segmenti speculari brilla più intensamente degli altri perché era puntato direttamente su una stella luminosa, mentre gli altri 17 non erano allineati allo stesso modo.

Gli astronomi intendono utilizzare l’osservatorio da 10 miliardi di dollari e il suo straordinario specchio primario largo 6,5 m per catturare eventi accaduti solo un paio di centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang. Vogliono vedere le primissime stelle che hanno illuminato l’Universo. Addestreranno il “grande occhio” del telescopio anche a studiare le atmosfere di pianeti lontani per vedere se quei mondi potrebbero essere abitabili.

Il telescopio James Webb è considerato il successore del veterano Hubble Space Telescope, ma molto, molto più grande. È così grande, infatti, che è stato necessario piegarlo per farlo stare nel suo razzo di lancio. E questo includeva lo specchio gigante, che aveva i lati impilati all’indietro come un tavolo a ribalta.

Potrebbe interessarti: Hubble: La doppia galassia lascia gli astronomi perplessi

Naturalmente, una volta nello spazio, lo specchio doveva essere riaperto e i 18 segmenti della struttura in berillio-oro liberati dalle posizioni bloccate in cui erano stati messi per tenerli al sicuro mentre il razzo rombava verso lo spazio.

Ora, gli ingegneri stanno comandando piccoli motori sul retro dei segmenti per riposizionarli. Tirando o spingendo sui puntoni è possibile anche modificare la curvatura dei segmenti. L’obiettivo è quello di portare un disallineamento iniziale misurato in millimetri a uno misurato in semplici nanometri, un fattore di un milione di miglioramenti. Il modo per farlo è fissare una particolare stella luminosa nel cielo e tracciare come il suo riflesso si sposta nei diversi segmenti.

Il lavoro è guidato dalla NIRCam (Near-Infrared Camera) di Webb. Questo strumento ha anche generato una sorta di “selfie” dello specchio primario di Webb. James Webb è un progetto congiunto delle agenzie spaziali statunitensi, europee e canadesi.

Correlato: Webb individua la sua prima stella e si scatta un selfie – video

Ravioli ripieni di piselli freschi con crema di gamberi

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

Sui banchi del mercato si intravedono già i primi piselli freschi, dolci e teneri, e i cipollotti freschi di Tropea. Dunque approfittiamone per farne un ripieno per dei ravioli diversi dal solito, insieme a gamberi ed erbe aromatiche. Non è una ricetta veloce, ma vale la pena di provarla: in famiglia certamente ne saranno entusiasti!

Ingredienti per 4 persone

  • 1 kg di piselli freschi
  • 2 cipollotti di Tropea
  • 3 spicchi d’aglio
  • Olio extravergine d’oliva
  • 1 porro
  • 1 mazzetto di basilico
  • Erba cipollina
  • 500 g di farina bianca
  • 4 uova
  • 1 kg e 1/2 di gamberi
  • Panna da cucina liquida
  • 20 g di parmigiano grattugiato
  • Timo, rosmarino e maggiorana
  • Sale e pepe
  • 1/2 litro di brodo vegetale

Ravioli ripieni di piselli freschi con crema di gamberi: preparazione

Prepara prima il ripieno per i ravioli in questo modo: sgrana i piselli freschi, falli cuocere in acqua poco salata insieme a uno spicchio d’aglio, un cipollotto di tropea, un cucchiaio di olio extravergine d’oliva, sale e pepe. Monda e affetta sottilmente il porro, sbollentalo per pochi minuti. Trita finemente l’altro cipollotto e fallo rosolare a fiamma bassa insieme al porro, uno spicchio d’aglio e le erbe aromatiche basilico, maggiorana, timo, rosmarino ed erba cipollina. Infine frulla tutto insieme ai piselli freschi e tieni da parte in una scodella.

Per la sfoglia: metti la farina a fontana sul piano di lavoro, sguscia dentro le uova e unisci un pizzico di sale. Lavora gli ingredienti con le mani fino a ottenere un impasto morbido e liscio, quindi stendilo sottilmente con il matterello. Ricavane dei quadrati, farciscili con la crema di piselli, sovrapponi su ognuno un altro quadrato di pasta, chiudi i bordi sigillandoli con le dita  (oppure con  l’apposito attrezzo) e lascia riposare i ravioli allineati su un telo infarinato.

Intanto stacca la testa ai gamberi, sgusciali, elimina il budello e sciacquali sotto acqua corrente. Lasciane 4 da parte, serviranno per guarnire alla fine. Rosola testa e polpa in olio extravergine d’oliva, timo, rosmarino, uno spicchio d’aglio, sale, pepe, quindi unisci la panna. Togli a questo punto le teste dei gamberi, l’aglio e il rosmarino, poi frulla tutto diluendo con il brodo vegetale.

Lessa i ravioli al dente, saltali brevemente in padella con un filo d’olio e un pò di parmigiano per mantecare. Stendi la crema di gamberi in piatti individuali e posiziona in superficie i ravioli. Infine decora con quelli messi da parte, saltati brevemente in padella con olio, sale e pepe nero macinato al momento.

Il vino adatto

Il miglior vino da abbinare a un piatto così ricco, a base di gamberi e piselli freschi, è sicuramente un bianco delicato e leggero. Il sapore così caratteristico dei crostacei, pregiati e saporiti, (dalle molte proprietà benefiche, ricchi di omega 3 e 6) infatti si sposa perfettamente con vini “eleganti“. Ad esempio il Franciacorta, uno spumante metodo classico eccellente, brioso, tra i più apprezzati al mondo. Perfetto, con questo gustoso piatto!

Un vero toccasana per l’organismo

Le primizie, ortaggi dalla spiccata azione drenante, depurante e disintossicante che aiuta l’organismo a sgonfiarsi, preannunciano la primavera. La disponibilità di questi prodotti, ricchi di fibre, sali minerali e vitamine, non avviene per caso: infatti arrivano quando molti sentono il peso dell’inverno, fisicamente e spiritualmente, stanchi, privi di energie, sensazioni che la primavera esalta con la tipica sonnolenza del periodo.

Una stagione di “grandi pulizie“, insomma, da attuare nel nostro organismo. Disintossicare, la parola d’ordine! E in questo compito gli ortaggi del momento riescono alla grande, quando si riscopre la voglia di portare in tavola profumi e colori nuovi.

Tra le primizie fave, taccole, fagiolini e piselli freschi

Ogni prodotto della terra ha le sue virtù, da sfruttare in pietanze meno elaborate. Quindi via alle cotture veloci o, meglio ancora, da gustare crudi. Tra le verdure più invitanti a foglia spiccano le fresche insalate: radicchi, indivie, spinaci ed erbe selvatiche – dall’ortica al tarassaco, dalla borragine al crescione – con il loro potere sgonfiante, drenante e rimineralizzante sono un vero e proprio toccasana per il corpo appesantito da cibi pesanti e troppo calorici.

Anche gli asparagi hanno un’alta qualità drenante: verdi o bianchi, sottili o più grossi, questi ortaggi svolgono una particolare azione sui reni, che vengono sollecitati dal loro consumo; un’azione salutare che si riflette anche su tutto l’apparato digestivo.

Per quanto riguarda i legumi, le primizie offrono davvero il meglio: piselli freschi, fagiolini, taccole e fave sono una buona fonte proteica vegetale, un ottimo modo per “fare il pieno” di vitamina C e B. Vanno però consumati dopo una veloce cottura, se vogliamo sfruttarne le doti disintossicanti.

Vantaggio non trascurabile, di alcuni legumi si possono sfruttare anche le bucce (a patto che siano cotte appena acquistate), come ad esempio i piselli freschi. Sono buonissime lessate brevemente e condite con un filo di olio extravergine; oppure saltate in padella con uno spicchio d’aglio e, perchè no, un pizzico di peperoncino.