Mai una così alta concentrazione di CO2 sulla Terra

Oggi la CO2 è ai suoi massimi livelli di intensità sulla Terra, grazie alla massiccia combustione di fossili da parte degli esseri umani negli ultimi due secoli. Un fenomeno che non è avvenuto da un momento all’altro, ma che è frutto di un accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera.

Mai un simile livello era tuttavia stato raggiunto negli ultimi 14 milioni di anni. Ma dove si collocano le 449 parti per milione (ppm), corrispondenti all’attuale concentrazione di gas serra nell’atmosfera, nella storia della Terra?

Questa è una domanda a cui stanno cercando di rispondere gli scienziati di una comunità internazionale, con l’aiuto prezioso dei geologi dell’Università dello Utah, con l’ausilio di una pletora di marcatori nella documentazione geologica, che offrono indizi sul contenuto delle antiche atmosfere. 

Il lavoro degli scienziati sulla CO2

Lo studio iniziale da parte degli scienziati è stato pubblicato sulla rivista Science, ricostruendo le concentrazioni di CO 2 risalenti al Cenozoico, l’era iniziata con la scomparsa dei dinosauri e l’ascesa dei mammiferi 66 milioni di anni fa. I ghiacciai contengono bolle d’aria, fornendo agli scienziati prove dirette di livelli di CO2 risalenti a 800.000 anni fa, secondo il professore di geologia Gabe Bowen, uno degli autori corrispondenti dello studio. Ma questa documentazione non si estende molto in profondità nel passato geologico.

Bowen: “Fare affidamento su prove indirette”

Bowen ha riferito tramite alcune dichiarazioni riportate da SciTechDaily: “Una volta perse le carote di ghiaccio, perdi le prove dirette. Non hai più campioni di gas atmosferico da poter analizzare. Quindi devi fare affidamento su prove indirette, ciò che chiamiamo proxy. Ed è difficile lavorare con questi proxy perché sono indiretti”.

Questi proxy includono gli isotopi dei minerali, la morfologia delle foglie fossilizzate e altre linee di evidenza geologica che riflettono la chimica atmosferica. Uno dei proxy deriva dalle scoperte fondamentali del geologo Thure Cerling, lui stesso coautore del nuovo studio, le cui ricerche passate hanno determinato che gli isotopi di carbonio nei suoli antichi sono indicativi dei livelli passati di CO2.

Ma la forza di questi proxy varia e la maggior parte copre ristrette fette del passato. Il gruppo di ricerca, chiamato Cenozoic CO2 Proxy Integration Project, o CenCO2 PIP, e organizzato dallo scienziato del clima della Columbia University Bärbel Hönisch, si è proposto di valutare, classificare e integrare i proxy disponibili per creare un record ad alta fedeltà della CO2 atmosferica. “Questo rappresenta alcuni degli approcci più inclusivi e statisticamente raffinati all’interpretazione della CO2 negli ultimi 66 milioni di anni”, ha affermato il coautore Dustin Harper, ricercatore post-dottorato presso il laboratorio di Bowen. “Una delle novità è che siamo in grado di combinare più proxy provenienti da diversi archivi di sedimenti, sia nell’oceano che sulla terra, e ciò non è mai stato fatto su questa scala”.

Uno sforzo comunitario 

La nuova ricerca è uno sforzo comunitario che coinvolge circa 90 scienziati provenienti da 16 paesi. Finanziato da dozzine di sovvenzioni da parte di molteplici agenzie, il gruppo spera di ricostruire il record di CO2 indietro di 540 milioni di anni fino agli albori della vita complessa.

La situazione all’inizio dela Rivoluzione industriale

All’inizio della Rivoluzione industriale – quando gli esseri umani iniziarono a bruciare carbone, poi petrolio e gas per alimentare le loro economie – la CO2 atmosferica era di circa 280 ppm. Il gas che intrappola il calore viene rilasciato nell’aria quando questi combustibili fossili bruciano. Guardando al futuro, si prevede che le concentrazioni saliranno fino a 600-1.000 ppm entro il 2100, a seconda del tasso delle emissioni future.

Non è chiaro esattamente come questi livelli futuri influenzeranno il clima. Ma avere una mappa affidabile dei livelli passati di CO2 potrebbe aiutare gli scienziati a prevedere con maggiore precisione come potrebbero essere i climi futuri, secondo il professore di biologia William Anderegg, direttore del Wilkes Center for Climate & Policy.

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