L’enigma del disco di Festo

Risale a 1700 anni fa il primo documento dell'umanità che abbia utilizzato la tecnica della stampa a caratteri mobili. Il disco costituisce ancora un enigma

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Siamo nel luglio del 1909. Esattamente il 3 luglio e il capo della Missione italiana a Creta, l’archeologo Luigi Pernier sta sovrintendendo come fa da tre anni i lavori di scavo nell’antico palazzo minoico di Festo.

Pernier, di famiglia agiata, si era laureato in lettere e poi si era specializzato alla Scuola di Archeologia di Roma, conseguendo il diploma nel 1901, dopo aver trascorso dei periodi di formazione a Creta presso la Missione Archeologica Italiana diretta da Federico Halbherr.

E proprio di Halbeherr aveva preso il posto come Capo Missione nel 1906. Quell’afoso sabato di luglio, Pernier si imbatte in uno degli oggetti più enigmatici della storia dell’archeologia.

Si tratta di un disco, piatto e non dipinto, di terracotta del diametro di una quindicina di centimetri. Ma a un esame più attento, si vide che su entrambi i lati erano impressi i segni di una scrittura, disposti lungo una linea a spirale che in cinque giri convergeva verso il centro. I segni erano 241, ed erano raggruppati in modo variabile da lineette verticali, che forse erano un modo di suddividere le parole. Il disco sembrava progettato ed eseguito con cura, in modo che la scritta iniziasse sul bordo e finisse esattamente al centro utilizzando tutto lo spazio disponibile.

Fin dal giorno del suo ritrovamento il “disco di Festo” costituì un vero e proprio rompicapo per gli archeologi. Il numero dei segni distinti individuati (45) fa propendere per l’ipotesi che si trattasse di un sillabario piuttosto che un alfabeto; il loro significato è però ancora oscuro, e la forma dei segni non assomiglia a quella di nessuna altra scrittura nota.



La datazione più accreditata di questo reperto fa risalire il disco di Festo ad un periodo prossimo al 1700 a.e.v. Purtroppo nessuno dei tentativi di decrittazione è andato a buon fine ed attualmente la maggioranza della comunità scientifica ritiene che senza altri elementi di riscontro non sia possibile giungere ad una “traduzione” dei contenuti del disco.

La straordinarietà di questo reperto è che si tratterebbe del primo documento stampato al mondo; infatti i segni non sono incisi a mano, come in tutti gli altri esempi di lineare A e B ritrovati sull’isola, ma impressi nella creta morbida tramite degli stampi a rilievo.

Evidentemente, dovevano esistere almeno 45 di questi stampi, ognuno dei quali fu sicuramente costruito con grande cura. Il disco di Festo anticipa di 3000 anni la stampa europea a caratteri mobili, tanto che qualcuno ha avanzato l’ipotesi (anche perché nessun altro disco o documento è stato ritrovato) che possa essersi trattata di una sofisticatissima e ben congegnata burla. Non ci sono al momento prove che però suffraghino questa interpretazione.

La domanda che da oltre un secolo non trova risposta è: come mai di questa tipologia di scrittura non soltanto non si è ritrovato alcun ulteriore reperto e non abbia influenzato decisamente le scritture successive orientandole verso la stampa a caratteri mobili che per altri millenni rimarrà un miraggio?

Secondo il saggio  “Armi, acciaio e malattie” di  Jared Diamond  il disco sarebbe un esempio di avanzamento tecnologico fatto in un periodo storico sbagliato.

Diamond nota l’assenza di ogni successivo progresso del tipo a carattere mobile nella cultura minoica, citando questo come prova della imprevedibilità della invenzione.

Nello specifico, Diamond sostiene che gli esseri umani inventino ovviamente cose senza certezze di un effettivo sviluppo, come è il caso del disco di Festo: talvolta tali invenzioni hanno uno sviluppo successivo, mentre altre volte rimangono isolate dal contesto tecnologico dell’epoca.

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