Le malattie, che siano causate da batteri, virus o altro, hanno sempre fatto parte della vita umana. Alcune hanno avuto un decorso su scala globale, diffondendosi attraverso i contagi, per poi sparire così come erano venute. Altre sono ancora tra noi.
La parola pandemie era quasi nuova per noi, a parte ciò che sapevamo sulla tristemente nota “spagnola” del 1918, causa della morte di milioni di persone.
Le pandemie del passato
Un evento lontanissimo, sul quale solo i più curiosi hanno cercato informazioni, dando forse per scontato che una simile catastrofe non si sarebbe mai più ripetuta. Dunque, l’arrivo del covid-19 ci ha colti impreparati.
E così tutti, o quasi, abbiamo cercato di capire, indagare, trovare spiegazioni a un fatto nuovo, mai vissuto prima e denso di incognite. E a cosa significa la parola “pandemia” e tutto ciò che riguarda questo argomento, anche attraverso la storia.
Ci sono state altre pandemie in passato (ad esempio la peste, il colera, la spagnola) che hanno causato milioni di morti in tutto il mondo; ma erano altri tempi, e nel campo della medicina non esistevano ancora i mezzi che abbiamo oggi. Tuttavia, cosa possono insegnarci al riguardo?
L’importanza della storia delle pandemie
Studiando la peste bubbonica, ad esempio, abbiamo ottenuto preziose informazioni sulle origini della quarantena. Il colera ci ha insegnato quanto sono fondamentali i servizi igienico-sanitari nelle nostre città. Le pandemie più recenti, l’influenza spagnola, la SARS e la MERS, hanno dimostrato quanto sono necessarie la comunicazione e la preparazione infrastrutturale nella lotta alle malattie. Dopo aver sottolineato questi importanti traguardi, andiamo a scoprire cos’è esattamente una pandemia.
Definita come una malattia “prevalente in un paese o nel mondo intero”, è ciò che accade quando un focolaio di malattia cresce rapidamente su scala mondiale. Oggi, l’autorità che dichiara lo stato di pandemia è l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per quanto riguarda il coronavirus, è stato annunciato l’11 marzo del 2020 in una conferenza stampa.
Ripercorrendo la storia, andiamo a vedere le pandemie che hanno colpito in passato causando morte e devastazione in tutto il mondo.
La peste bubbonica (1346-1353)
Il fatto che la peste bubbonica abbia devastato la maggior parte del mondo nel 1300, uccidendo tra i 25 e i 50 milioni di persone solo in Europa, ha sicuramente cementato il suo posto nella cultura popolare come archetipo della malattia devastante.
Ma è anche vero che la scienza medica medievale non era neanche lontanamente paragonabile a quella di oggi, in grado di prevenire un numero di vittime così alto. Ma ci ha insegnato comunque qualcosa: lo sapevi che la nascita della pratica della quarantena cosi come la conosciamo oggi è dovuta alla peste bubbonica? Verifichiamo i fatti.
La peste bubbonica è causata dal batterio Yersinia pestis (Y. pestis in breve), un microrganismo che si diffonde agli esseri umani attraverso il morso da pulci che si sono nutrite di piccoli mammiferi infetti, come ad esempio ratti, topi e cani della prateria.
Anche l’esposizione diretta al sangue di un animale infetto può diffondere la malattia. I ratti sono in genere accusati della diffusione della peste bubbonica nel 1300, ma pulci e pidocchi probabilmente si nutrivano di esseri umani infetti e diffondevano l’infezione anche in questo modo .
La peste bubbonica prende il nome dalle bolle piene di pus, chiamate appunto “bubboni”, in aree del corpo con un’alta concentrazione di linfonodi come l’inguine, il collo e le ascelle. Gli altri sintomi includono febbre alta, brividi, mal di testa, difficoltà respiratorie, emorragia, tracce di sangue nell’espettorato, vomito e delirio. Senza un trattamento specifico, il tasso di sopravvivenza di un infetto è di circa il 50%.
La peste polmonare e quella setticemica
Sebbene la bubbonica sia stata storicamente la forma più comune di peste, l’infezione causata da questo batterio può provocarne altri due tipi: polmonare (diffuso tramite goccioline respiratorie che colpisce il sistema respiratorio) e setticemica (in cui i batteri si moltiplicano nel flusso sanguigno). Oggi per fortuna i casi di peste bubbonica sono molto rari, ma abbiamo anche potenti antibiotici per curarla quando si presenta.
Nel XIV secolo, tuttavia, molissime persone furono uccise dalla peste bubbonica (o peste nera). I contagi si propagarono nei primi anni del 1340 attraverso Cina, India, Persia, Siria ed Egitto, ed è arrivata in Europa attraverso i suoi porti diversi anni dopo.
Nel 1347, un gruppo di marinai infetti sbarcarono a Costantinopoli (Istanbul) Marsiglia e sicilia dopo aver lasciato l’avamposto genovese di Caffa (situato sul Mar Nero), portando con sé il contagio. Allo stesso modo, nel 1348, un diverso ceppo di Y. pestis entrò in Italia attraverso Genova.
Negli anni successivi si diffuse in tutta Europa, raggiungendo Norvegia e Scozia, uccidendo circa la metà della popolazione entro il 1353. In seguito la peste sarebbe ricomparsa più volte, sempre con gravissime conseguenze: la Grande Peste di Londra nel 1665, ne è un esempio.
La quarantena nelle pandemie
Per contenere i contagi furono intraprese diverse misure per isolare le persone malate. Nelle città portuali come Venezia, le navi in arrivo dovevano rimanere all’ancora per 40 giorni prima che i loro equipaggi potessero entrare in città. Un periodo di tempo che veniva chiamato “quarantino”, fonte del termine “quarantena”.
Perché durava proprio 40 giorni? Molti storici pensano che nell’Europa medievale questo numero avesse un significato religioso e culturale. Fortunatamente, era un periodo più lungo di quello dell’incubazione, quindi gia con le prime quarantene il diffondersi della malattia fu limitato, portando nel contempo a politiche che persistettero anche quando l’ondata principale di peste era passata.
Allo stesso modo, la città portuale di Ragusa (oggi Dubrovnik, Croazia) approvò una legge nel 1377 in cui veniva affermato che “coloro che provengono da zone infestate dalla peste non devono entrare nel distretto, a meno che non trascorrano un mese sull’isolotto di Mrkan o nella città di Cavtat, a scopo di disinfezione”.
Venezia e Ragusa istituirono anche ospedali specifici, i cui pazienti erano esclusivamente persone affette da peste, separati dai centri abitati. A Ragusa fu allestito nella vicina isola di Mljet, e a Venezia sull’isola di Santa Maria di Nazareth.
Le quarantene potrebbero non aver debellato completamente la peste, ma si sono rivelate comunque utili per proteggere le città portuali. La pratica della quarantena ha mostrato l’inizio della comprensione della società che era importante mantenere i potenziali portatori di malattia isolati dalle persone che stavano bene: anche se i marinai che entravano in un porto sembravano sani, avrebbero dovuto isolarsi comunque se provenivano da un’area in cui c’era la peste.
Il colera (1817)
La storia delle pandemie di colera del XIX secolo mostra gli inizi delle moderne pratiche epidemiologiche, oltre a una crescente comprensione del fatto che cibo e acqua contaminati possono diffondere malattie.
Il colera è causato da alcuni ceppi di un batterio (Vibrio cholerae) che colpisce le cellule del rivestimento dell’intestino, causando una rapida disidratazione e uno squilibrio fluido-elettrolitico. Vettore del batterio, cibo e acqua contaminati dalle feci di una persona infetta: i sintomi includono vomito, diarrea e crampi alle gambe e, se non trattato, può portare alla morte in poche ore.
Mentre oggi può essere trattato con antibiotici e fluidi endovenosi, o addirittura prevenuto con un vaccino, nel XIX secolo si è rivelato devastante in tutto il mondo. La prima pandemia di colera (1817) è iniziata con il consumo di riso contaminato in India e da lì si è poi diffusa attaverso le rotte commerciali in tutto il Medio Oriente e l’Asia.
Nel 1824 la pandemia si era placata, ma una seconda è iniziata 5 anni dopo. Questa volta, però, il colera si è diffuso fino ad arrivare in Europa e America. Questa seconda ondata non terminò “ufficialmente” fino al 1851, il che significava circa vent’anni di epidemie in vari paesi.
Tra il 1852 e il 1859 arriva la terza e più mortale pandemia di colera. Nel 1854, uno scienziato britannico e primo epidemiologo di nome John Snow seguì i casi di colera a Londra e scoprì che un particolare pozzo era l’epicentro dell’epidemia. Snow fece accurate ricerche, attraverso le informazioni fornite dalla gente del posto creò una mappa che lo ha aiutato a rintracciare i casi di colera fino al luogo dell’approvvigionamento idrico.
Inoltre, sebbene la teoria dei germi della malattia non fosse stata completamente sviluppata all’epoca, la conclusione di Snow che bere acqua contaminata stava facendo ammalare le persone, sfidò la teoria comunemente accettata delle esalazioni sulla trasmissione della malattia.
Snow convinse i funzionari locali a rimuovere la maniglia dalla pompa che attingeva acqua dal pozzo contaminato e, in breve tempo, il numero di infezioni da colera nella zona diminuì drasticamente. (Curiosità: il 1854 fu anche l’anno in cui il batterio che causa il colera fu identificato da un microbiologo italiano di nome Filippo Pacini).
La quarta pandemia di colera si verificò dal 1863 al 1875, provocando ancora vittime in numerosi paesi. Durante la quinta pandemia, che durò dal 1881 al 1896, il microbiologo Robert Koch (il cui lavoro si rivelò fondamentale per stabilire la teoria dei germi della malattia ) studiò V. cholerae e dimostrò che il colera era causato dalla sua presenza nell’intestino.
Quando arrivò la sesta pandemia nel 1899, la maggior parte dell’Europa occidentale e del Nord America aveva migliorato i servizi igienico-sanitari pubblici abbastanza da non subire molte vittime, ma tra il 1899 e il 1923 molte persone in Nord Africa, Russia, Medio Oriente e India è morta di colera.
Sebbene tecnicamente siamo nel bel mezzo della settima pandemia di colera, iniziata nel 1961 in Indonesia, la stragrande maggioranza dei casi e delle epidemie di colera si verifica in nazioni senza sistemi sanitari pubblici efficaci.
Quanto alle epidemie di colera del passato, possono insegnarci diverse cose. In primo luogo, ci hanno dimostrato chiaramente l’importanza di tenere l’acqua potabile lontana dai rifiuti. La ricerca del colera alla sua fonte durante la terza pandemia rappresenta anche un significativo passo avanti, sia nel pensiero che nelle tecniche epidemiologiche.
L’influenza spagnola (1918-1919)
L’influenza spagnola è la pandemia del ventesimo secolo più simile al COVID-19. Sebbene il virus che lo causa non sia lo stesso, entrambi i virus si diffondono tramite goccioline respiratorie. La spagnola è nota anche per aver avuto due ondate: una nella primavera del 1918 e una particolarmente devastante nell’autunno dello stesso anno.
Nonostante il nome, la pandemia del 1918 non ha avuto origine in Spagna, ma fu chiamata così perché furono i giornalisti di Madrid quelli che l’hanno portata all’attenzione del mondo.
Come altri ceppi di influenza, la spagnola ha causato sintomi respiratori, brividi, febbre alta e affaticamento. Nell’ondata iniziale di infezione nella primavera del 1918, ha portato alla polmonite per alcuni, ma molti altri si sono poi ripresi completamente.
All’inizio il bilancio delle vittime non era molto alto. Tuttavia, si distingueva dalle altre perché infettava e uccideva i più giovani e sani, in particolare i soldati che combattevano nella prima guerra mondiale.
Non è chiaro da dove provenga esattamente il virus, ma il primo caso noto negli Stati Uniti è stato nel marzo 1918 a Camp Funston a Fort Riley, nel Kansas. La malattia si diffuse rapidamente tra i soldati che vivevano a stretto contatto e viaggiavano insieme: il 36% delle truppe dell’esercito degli Stati Uniti e circa il 40% delle persone che prestavano servizio nella Marina alla fine furono infettati.
Solo negli Stati Uniti, 670.000 persone persero la vita. In tutto il mondo, l’influenza spagnola ha infettato 500 milioni di persone e ucciso tra 50 e 100 milioni di persone.
La seconda ondata di influenza spagnola colpì nell’autunno del 1918, rivelandosi molto più catastrofica della prima a causa di una mutazione nel virus. Le persone giovani e sane potevano essere colpite in appena 24 ore, mentre il loro sistema immunitario reagiva in modo eccessivo in una “esplosione di citochine” che li ha fatti annegare nel liquido dei loro stessi polmoni.
I sintomi erano orribili: i medici di allora, tra i tanti, hanno descritto la pelle dei loro pazienti che diventava blu man mano che venivano privati dell’ossigeno. Ci fu una terza ondata di influenza spagnola, ma non fu così mortale come la seconda, e nell’estate del 1919 la pandemia finì finalmente.
Le pandemie, temibili avversarie
Guardando indietro, il passato ci insegna che le pandemie sono un temibile avversario, sia che la nostra tecnologia e il nostro livello di conoscenza medica siano medievali, oppure moderni. È importante quindi che le esperienze passate dell’umanità, informino quelle presenti e future.