L’Africa non volta le spalle alla Russia

Oltre a Cina, India e Sudafrica, ben 20 Paesi africani si sono astenuti o hanno votato contro la condanna

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Da Mosca non si vuole sentir parlare di isolamento internazionale. Le sanzioni attuate dall’Europa e dagli Stati Uniti, oltre che da altri Paesi come Giappone e Corea del Sud, hanno spinto la Russia a interrompere rapporti commerciali ed economici con molti storici partner.

Inoltre, sotto il profilo culturale e sportivo, la federazione dopo l’attacco all’Ucraina iniziato il 24 febbraio scorso è stata esclusa da molti eventi, compresi i mondiali di calcio e i gran premi di Formula Uno. Il Cremlino però, pur non minimizzando l’effetto delle sanzioni, non si considera isolato. La diplomazia russa, un po’ come fanno i partiti in parlamento, ha fatto “la conta” durante l’assemblea generale dell’Onu chiamata a condannare l’aggressione all’Ucraina.

Oltre a Cina, India e Sudafrica, ben 20 Paesi africani si sono astenuti o hanno votato contro la condanna. In poche parole, Mosca può contare su una parte di mondo non così marginale in termini di numero di abitanti e Pil che non hanno cambiato i propri rapporti con Putin.

Spiccano le astensioni africane

Il 2 marzo scorso in seno al Palazzo di Vetro di New York si è svolta la votazione sulla condanna alla Russia. Gran parte dei rappresentanti diplomatici presenti si è espressa a favore della risoluzione, puntando quindi il dito contro il Cremlino per l’avvio dell’azione bellica. Solo cinque i contrari. La stessa Russia, la Bielorussia, la Siria, la Corea del Nord e poi, a sorpresa ma non troppo, un Paese africano: l’Eritrea.

Il governo di Asmara negli ultimi anni è stato definito come la “Corea del Nord” d’Africa, dunque non è poi così inverosimile aspettarsi un voto analogo a quello dei rappresentanti di Pyongyang. Analogie e similitudini a parte, l’Eritrea rappresenta una delle nazioni dove la Russia è stata più presente. O, quanto meno, dove Mosca è riuscita a mediare anche nei periodi più bui sia del conflitto contro l’Etiopia e sia durante le fasi più marcate dell’isolamento internazionale di Asmara. Il voto eritreo è comunque solo un esempio di una posizione complessiva del continente africano non così unita nel condannare il Cremlino.

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Al fianco delle cinque votazioni contrarie, all’interno del Palazzo di Vetro sono state contate anche 35 astensioni. Di queste, 19 sono arrivate dall’Africa. Ci sono Paesi importanti a livello economico quali il Sudafrica, così come a livello politico quali l’Algeria, il Sudan, il Senegal. Poi ci sono i produttori di petrolio, tra tutti spicca l’Angola. Anche nel Sahel la linea occidentale anti Mosca non ha fatto breccia in tutti i governi.

Il Mali ad esempio, crocevia regionale nella lotta al terrorismo, si è anch’esso astenuto. Stesso discorso per quanto riguarda la Repubblica Centrafricana e il Sud Sudan. Andando nella parte australe del continente, a spiccare sono state le astensioni di Madagascar, Mozambico e Tanzania, oltre che di Namibia e Zimbabwe.

Si può dire cioè che in Africa è nato un vero e proprio blocco rimasto vicino alle posizioni di Mosca. Una sorpresa forse per l’Europa e gli Usa, per la Russia invece la certezza che il Cremlino per l’appunto non può mai dirsi completamente isolato.

L’avanzata russa in Africa

L’esito del voto del 2 marzo ha mostrato l’attuale scenario africano. Un quadro non certo lusinghiero per il Vecchio Continente. Paesi prima nettamente nell’orbita delle ex madrepatrie oggi invece ascoltano più Mosca che Parigi o Londra. Il Mali è in tal senso il caso più emblematico. Tra il 2012 e il 2013 la Francia ha avviato nel Paese una vasta operazione militare per aiutare Bamako a riprendere le regioni settentrionali finite nell’orbita di improvvisati, ma ben addestrati, califfati islamici. Ne è nata l’operazione Barkhane, chiusa da Macron lo scorso giugno, in seguito quella europea denominata Takuba.

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Ma in Mali la retorica anti francese e anti occidentale è in crescita. E il governo, guidato dopo il secondo golpe in meno di due anni dal generale Assimi Goita, oggi si affida più ai contractors russi della Wagner, con cui è stato stipulato un contratto nel 2021, che ai soldati europei. Stesso discorso nella Repubblica Centrafricana, dove i membri della Wagner sono ben presenti e appaiono molto vicini al governo di Bangui. Due Paesi francofoni quindi che la Russia è riuscita a “strappare” a Parigi e all’Europa.

Se in Mali e in Repubblica Centrafricana è stato l’invio dei contractors a scardinare a favore di Mosca gli equilibri, in altri casi invece è stata l’economia a far smuovere le acque e a far orientare i governi locali verso il Cremlino. In Senegal, come fatto notare dal Corriere della Sera, nel 2023 partirà l’attività in alcuni giacimenti petroliferi grazie a una partnership tra Dakar e il colosso russo Lukoil. In Angola il petrolio dell’ex colonia portoghese è ben pagato dai russi, oltre che dai cinesi.

Nel resto dell’Africa australe miniere e contratti sulle materie prime hanno orientato verso l’astensione il voto dei rappresentanti di diversi Paesi. E a proposito di risorse minerarie, anche il Burundi, definito una piccola “Arabia Saudita delle terre rare”, è risultato tra gli astenuti. Altro importante segnale in tal senso.