La ricerca delle prime stelle

Fare astronomia sembra semplice, si cerca un obiettivo, si punta lo strumento e lo si osserva. Tuttavia non è sempre cosi semplice, soprattutto se si devono osservare dei fenomeni particolari o cercare le prime stelle che si sono accese nelle prime fasi di vita dell'universo

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Fare astronomia sembra semplice, si cerca un obiettivo, si punta lo strumento e lo si osserva. Tuttavia non è sempre cosi semplice, soprattutto se si devono osservare dei fenomeni particolari o cercare le prime stelle che si sono accese nelle prime fasi di vita dell’universo.

Per questi lontanissimi astri non si può fare affidamento su un normale telescopio, ma serve sviluppare qualcosa di molto più potente, anche del tanto atteso JWST. Anche questo strumento, il futuro telescopio spaziale ella NASA,il James Webb Space Telescope, sarà in grado di vedere le prime galassie che sono composte da miliardi di stelle e finora non ne abbiamo mai visto una. Non sappiamo quando si sono accese le prime stelle, si ritiene però che la data sia molto prossima a 13 miliardi di anni fa, quando l’universo era quasi interamente composto da idrogeno neutro e pochissimo elio.

Appena le prime stelle si accesero riempirono l’universo di radiazioni gamma e raggi X. L’intensa radiazione ruppe l’equilibrio esistente negli atomi lacerandoli e convertendoli in un tenue plasma caldissimo che chiamiamo epoca della reionizzazione che ancora oggi possiamo rilevare, un fenomeno che ha riempito l’intero universo.

Studiare l’universo in queste fasi è possibile, occorre però tracciare i tempi e le modalità attraverso le quali l’idrogeno neutro “svanisce” per effetto della reionizzazione. C’è un’emissione specifica associata alla presenza di idrogeno neutro, una riga spettrale a 21 cm.

Per effetto dell’espansione dell’universo, la frequenza di questa riga viene spostata a frequenze sempre più basse man mano che l’espansione avanza. Mappare in tempo e in spazio la presenza della riga a 21 cm nelle prime fasi dell’universo, aiuterebbe gli astrofisici a capire le tempistiche e le modalità della accensione delle prime stelle e la formazione delle prime strutture cosmiche.

Per estrarre il segnale cosmologico della reionizzazione dal rumore di fondo sono necessarie montagne di dati da setacciare. Al momento non abbiamo le capacità per effettuare il rilevamento, dobbiamo attendere che i radiotelescopi di prossima generazione come lo Square Kilometer Array siano pronti ad operare, anche se gli attuali osservatori come il Murchison Widefield Array nell’Australia occidentale stanno gettando tutte le basi necessarie.

Una prima raccolta di 200 TB di dati nel suo primo passaggio, è attualmente in fase di analisi da parte di alcuni dei supercomputer più potenti al mondo.

Fonte: Universe Today