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La prima civiltà extraterrestre che incontreremo sarà più vecchia della nostra

In media, una civiltà extraterrestre che potremo rilevare sarà circa due volte più vecchia della nostra

Recentemente, l’autore Matt Williams, esamionando la possibilità dell’esistenza di civiltà aliene, ha scritto una serie chiamata “Beyond Fermi’s Paradox“, (oltre il paradosso di Fermi) che guarda a possibili soluzioni a una delle domande più famose e discusse della scienza: “Dove sono tutti quanti?”.

Come spiega Matt Williams ci sono molteplici soluzioni ipotetiche, ma alla fine potrebbe arrivare il giorno in cui risponderemo in maniera definitiva alla domanda posta tanti anni fa da Enrico Fermi.

La domanda di Fermi apre la strada ad una serie di domande ulteriori, non ultima quella su come sarà la prima civiltà intelligente che troveremo.

Carl Sagan ha reso popolare l’idea che è molto improbabile che qualsiasi civiltà extraterrestre abbia prodotto un progresso tecnologico equivalente al nostro. La domanda non ha affrontato quale possa essere l’età relativa della civiltà e cosa ciò potrebbe significare in termini di interesse a comunicare con noi.

Capire che civiltà aliena incontreremo

Un team di astronomi ha risposto a questa domanda utilizzando uno degli strumenti matematici più sottovalutati: la statistica. Il modello che hanno sviluppato fornisce una risposta semplice: qualsiasi civiltà intelligente che incontreremo sarà, probabilmente, più vecchia della nostra.

Il lavoro è descritto dettagliatamente in un articolo sull’International Journal of Astrobiology, a guidare lo studio il dottor David Kipping della Columbia University.

Kipping e i suoi coautori, il dottor Adam Frank del Flatiron Institute e il dottor Caleb Schraf dell’Università di Rochester, hanno considerato come gli esseri umani potrebbero rapportarsi con una specie extraterrestre intelligente vecchia di miliardi di anni.

Per comprendere l’importanza della  domanda bisognerebbe capire quanto è probabile che esista una razza tecnologica cosi longeva. Non è una domanda alla quale è semplice rispondere, non abbiamo nessuna prova dell’esistenza di civiltà vecchie di miliardi di anni e per trovare una risposta possiamo attingere a due tipi di set di dati estrapolati dalla documentazione storica, anche se centrati su scale temporali inferiori: quanto tempo sono durate le civiltà storiche e quanto durano le specie stesse.

Gli autori dello studio hanno tentato di trovare un modello statistico che si adattasse alle informazioni disponibili. I due set di dati aderiscono a un modello statistico simile, noto come distribuzione esponenziale.

Le distribuzioni esponenziali sono molto comuni in statistica e richiedono una singola variabile per determinare la forma della curva. In questo modello, l’intera distribuzione è descritta dalla vita media di una civiltà. I dati storici sono stati nuovamente preziosi durante la ricerca di valori ragionevoli di quel parametro, con la vita media più adatta che è circa il doppio dell’età attuale della nostra civiltà.

Il dottor Kipping e i suoi coautori sottolineano che questa distribuzione esponenziale, è una semplificazione di quello che molto probabilmente è un calcolo molto complesso. Nonostante la semplificazione, il documento è in grado di trarre diversi spunti molto interessanti.

L’età media di qualsiasi potenziale specie intelligente extraterrestre è una di queste intuizioni. Gli autori calcolano che, in media, una civiltà che potremmo rilevare sarà circa due volte più vecchia della nostra. Un avvertimento interessante è che non affermano direttamente quanti anni ha la nostra civiltà e sottolineano che la matematica funziona indipendentemente dall’età utilizzata.

Ad esempio, se una persona definisce l’età della nostra civiltà come i 12.000 anni trascorsi dalla scoperta dell’agricoltura, è probabile che le civiltà continueranno a coltivare in modo rilevabile in media per 24.000 anni. Tuttavia, ciò non significa che la civiltà perisca alla fine di quel periodo di tempo, ma semplicemente che non stanno più facendo la cosa che è stata utilizzata per definirla “civiltà”.

Un altro esempio mostra come potrebbe funzionare il modello: secondo le stime dell’autore, la durata della vita di una civiltà che emette onde radio nello spazio è probabile che sia solo di 200 anni, circa il doppio dei 100 anni già trascorsi per la nostra civiltà. Trascorso quel periodo di tempo, una civiltà che utilizza le onde radio molto probabilmente inizierà a utilizzare tecnologie più avanzate come i laser. Quindi, sebbene abbia cessato di esistere come civiltà “che emette onde radio“, i suoi membri sono ancora vivi e stanno usando una nuova tecnologia, un po’ meno rilevabile.

L’articolo fornisce, inoltre, ulteriori informazioni sull’argomento “rilevabilità“. Ai tempi di Sagan la ricerca dell’intelligenza extraterrestre (SETI) era concentrata quasi esclusivamente sulle onde radio, perché quella era la forma più comune di onde elettromagnetiche che noi come specie emettevamo nello spazio. Con l’avanzare della tecnologia, tuttavia, siamo diventati sempre meno dipendenti dalle onde radio, il che significa che ora inviamo trasmissioni radio più deboli di quanto facevamo ai tempi di Sagan.

Oggi, però, abbiamo un’alternativa per fare ricerca, siamo diventati più bravi nell’osservare altre caratteristiche distintive di una civiltà tecnologica aliena. Prese tutte insieme, queste caratteristiche sono oggi note come “tecnosignature” e vanno dagli impulsi laser diretti alle mappe termiche di esopianeti.

Il dottor Kipping sottolinea che una nuova generazione di telescopi sarà in grado di rilevare alcune di queste tecnofirme su esopianeti vicini, donandoci la possibilità di osservare firme tecnologiche che non siamo mai stati in grado di osservare prima.

Un’altra delle domande che il documento affronta è la probabilità che una civiltà rilevata sia più vecchia o più giovane della nostra. Ciò potrebbe avere implicazioni di vasta portata su come, o anche se, decideremo di avviare un primo contatto. La conclusione a cui giunge l’articolo è affascinante e non è intuitivamente ovvia a un primo sguardo.

Le curve esponenziali hanno una grande fetta dell’area sotto la curva (cioè il numero totale di civiltà) nella parte inferiore della curva, con un numero sempre decrescente in una “coda” più estesa. Utilizzando questa curva di distribuzione esponenziale, circa il 60% delle civiltà è probabilmente più giovane della nostra, mentre il 40% sarà probabilmente più vecchia. A prima vista, ciò implicherebbe che abbiamo maggiori probabilità di incontrare una civiltà più giovane di noi. Tuttavia, questo non tiene conto di un fenomeno noto come bias temporale.

Il dottor Kipping usa un’analogia con le vacanze per descrivere i bias temporali. Se sei in vacanza nella Repubblica Dominicana, hai maggiori probabilità di incontrare qualcuno che è lì in visita per due giorni o due settimane? La risposta ovvia è di due settimane, poiché ci sono semplicemente più possibilità che tu sia in vacanza contemporaneamente a loro.

Lo stesso vale per le civiltà co-temporali. Anche se vi fossero più civiltà che hanno una vita più breve della nostra, il fatto che abbiano una vita più breve significa che è molto meno probabile che finiremo per esistere contemporaneamente a loro.

Questo risultato è la conclusione principale dell’articolo: qualsiasi civiltà che rileveremo è più probabile che sia più vecchia della nostra piuttosto che più giovane.

In effetti la matematica mostra che c’è una probabilità del 10% che una civiltà che riusciremo a trovare sia più di 10 volte più vecchia di quanto lo sia la nostra. Se queste civiltà avranno seguito la curva di crescita tecnologica esponenziale che l’umanità ha seguito negli ultimi secoli, “la mente rimane sbalordita su quanto potrebbe essere più avanzata una tale civiltà” osserva il dottor Kipping.

Lo studio ha sottolineato che questi modelli statistici hanno l’impatto più pratico quando si considerano civiltà di ambigue capacità tecniche. Se una specie extraterrestre fosse notevolmente più avanzata della nostra, come quella che può costruire sfere di Dyson, non ci saranno molti dubbi su quali siano le loro capacità tecnologiche rispetto alle nostre.

Tuttavia, se riusciremo a rilevare un’isola di calore su un esopianeta vicino, potrebbe significare sia che i suoi abitani si stanno spostando dall’età della pietra sia che potrebbero avere già sviluppato una IA a tutti gli effetti.

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