Infarto: igiene orale può mitigarne i danni

Un'equipe di studiosi della Tokyo Medical and Dental University ha individuato un batterio che risiede nel cavo orale che potrebbe aggravare ulteriormente i danni causati da un infarto

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Infarto, DSED

Un team di scienziati della Tokyo Medical and Dental University ha individuato nel batterio Porphyromonas gingivalis, che causa malattie gengivali, una funzione pericolosa: può interrompere la fusione di autofagosomi e lisosomi. Questa interferenza aggrava la ristrutturazione del tessuto cardiaco e aumenta il rischio di rottura cardiaca a seguito di un infarto.

Infarto

Gli autofagosomi sono una doppia vescicola legata alla membrana che racchiude i costituenti cellulari e si fonde con i lisosomi che digeriscono questi costituenti cellulari durante l’autofagia.

L‘autofagosoma non nasce da organelli preesistenti ma, piuttosto, si forma attraverso un processo dinamico di espansione della membrana. Durante l’autofagia, una porzione di citoplasma viene sequestrata in un autofagosoma: questo poi si fonde con il lisosoma e i materiali derivati dal citoplasma vengono degradati.

I lisosomi sono organelli racchiusi in una membrana che contengono una serie di enzimi in grado di scomporre tutti i tipi di polimeri biologici: proteine , acidi nucleici, carboidrati e lipidi e funzionano come il sistema digestivo della cellula, servendo sia a degradare il materiale prelevato dall’esterno della cellula, sia a digerire componenti obsoleti della cellula stessa.



Nella loro forma più semplice, i lisosomi sono visualizzati come densi vacuoli sferici, ma possono mostrare notevoli variazioni di dimensione e forma a causa delle differenze nei materiali che sono stati prelevati per la digestione. I lisosomi rappresentano quindi organelli morfologicamente diversi definiti dalla funzione comune di degradare il materiale intracellulare.

Usare regolarmente lo spazzolino e il filo interdentale non solo mantiene il tuo sorriso luminoso, ma sapevi che potrebbe anche aiutarti a proteggere il tuo cuore dai danni causati da un infarto? Ricercatori giapponesi hanno recentemente riferito che una bocca infetta potrebbe portare all’aggravarsi delle conseguenze avute dopo un infarto.

Infarto: ecco perché è importante una buona igiene orale

Lo studio, pubblicato sull’International Journal of Oral Science e condotto dalla Tokyo Medical and Dental University , rivela che un comune agente patogeno orale può ostacolare l’autoriparazione dei miociti cardiaci a seguito di un infarto dovuto a malattia coronarica.

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Il cuore è il primo organo formato nel feto in via di sviluppo. Durante lo sviluppo fetale e postnatale i cardiomiociti diventano cellule muscolari differenziate terminalmente che sono collegate da un’estremità all’altra da giunzioni comunicanti, consentendo un’attività contrattile concertata.

Quando stressati, i cardiomiociti subiscono una crescita ipertrofica e risposte apoptotiche in vivo e in modelli di coltura cellulare. Tali cambiamenti predispongono allo scompenso cardiaco a lungo termine.

L’infarto si verifica quando il flusso sanguigno nelle arterie coronarie viene bloccato, con conseguente apporto inadeguato di nutrienti e ossigeno al muscolo cardiaco e, infine, la morte dei miociti cardiaci. Per evitare ciò, i miociti cardiaci utilizzano un processo noto come autofagia per smaltire i componenti cellulari danneggiati, impedendo loro di causare disfunzioni cardiache.

Studi precedenti hanno dimostrato che il patogeno parodontale Porphyromonas gingivalis , che è stato rilevato nel sito di occlusione nell’infarto miocardico, può esacerbare la fragilità miocardica post-infarto“, afferma l’autore principale dello studio Yuka Shiheido-Watanabe. “Tuttavia, i meccanismi alla base di questo effetto sono rimasti sconosciuti”.

Per studiare più approfonditamente questo fenomeno, i ricercatori hanno creato una versione di P. gingivalis che non esprime gingipain, il suo più potente fattore di virulenza, che uno studio precedente aveva dimostrato può inibire le cellule dalla morte cellulare programmata in risposta alla lesione. Hanno quindi utilizzato questo batterio per infettare miociti cardiaci dei topi.

I gingipain sono proteinasi cisteina simili alla tripsina prodotte da Porphyromonas gingivalis, uno dei principali batteri eziologici della parodontite adulta.

“I risultati sono stati molto chiari“, ha spiegato Yasuhiro Maejima, autore corrispondente. “La vitalità delle cellule infettate dal batterio mutante privo di gingipain era molto più elevata di quella delle cellule infettate dal batterio selvatico. Inoltre, gli effetti dell’infarto miocardico erano significativamente più gravi nei topi infettati con P. gingivalis di tipo selvaggio rispetto a quelli infettati con il P. gingivalis mutante privo di gingipain”.

Un’indagine più dettagliata su questo effetto ha mostrato che gingipain interferisce con la fusione di due componenti cellulari noti come autofagosomi e lisosomi, un processo cruciale per l’autofagia. Nei topi, ciò ha comportato un aumento delle dimensioni dei miociti cardiaci e un accumulo di proteine che normalmente verrebbero eliminate dalle cellule per proteggere il muscolo cardiaco.

“I nostri risultati suggeriscono che l’infezione da P. gingivalis che produce gingipain provoca un eccessivo accumulo di autofagosomi, che può portare a disfunzione cellulare, morte cellulare e, infine, infarto“, afferma Shiheido-Watanabe.

Dato che P. gingivalis sembra avere un impatto sostanziale sulla capacità del muscolo cardiaco di riprendersi dopo un infarto, il trattamento di questa comune infezione orale potrebbe aiutare a ridurre il rischio di infarto fatale.

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In Italia, secondo la fondazione De Gasparis: “Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora la principale causa di morte nel nostro Paese, in particolare muoiono più di 230 mila persone all’anno tra ischemie, infarto, malattie del cuore e cerebrovascolari”.

Secondo i dati ISTAT: ” Sono responsabili del 35,8% di tutti i decessi (32,5% nei maschi e 38,8% nelle femmine). In particolare la cardiopatia ischemica è responsabile del 10,4% di tutte le morti (11,3% nei maschi e 9,6% nelle femmine), mentre gli accidenti cerebrovascolari del 9,2% (7,6% nei maschi e 10,7% nelle femmine)”.

Le malattie cardiovascolari si presentano nelle donne con un ritardo di almeno 10 anni rispetto agli uomini. Fino alla menopausa le donne sono aiutate dalla protezione ormonale; in seguito, le donne vengono colpite addirittura più degli uomini da eventi cardiovascolari, che spesso sono più gravi, anche se si manifestano con un quadro clinico meno evidente: molte volte, infatti, il dolore manca, è localizzato in altra sede o è confuso con quello derivato da altre patologie. Per questo, generalmente, le donne si recano in ospedale più tardi rispetto agli uomini”.

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