Il primo ghetto ebraico della storia

Risale al XVI secolo questo triste primato italiano. Ripercorriamone brevemente la storia.

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Siamo nel 1508 a Cambrai una cittadina francese al confine con il Belgio. Qui in tutta segretezza viene stipulata un’alleanza anti veneziana tra le maggiori potenze europee (Sacro Romano Impero, Francia e Spagna). La coalizione dopo aver sbaragliato le forze veneziane nella battaglia di Agnadello e averne distrutto la flotta nella battaglia di Polesella, giungono quasi sulle coste di Venezia.
Molti abitanti di Mestre, tra cui numerosi ebrei cercarono rifugio in Venezia. La Serenissima aveva un disperato bisogno di soldi per continuare la guerra contro la Lega di Cambrai (il conflitto durerà fino al 1511), gli ebrei avevano bisogno di un posto sicuro dove rifugiarsi. Gli interessi coincidenti fecero si che Venezia non applicasse la legge che permetteva agli ebrei un limite di soggiorno di quindici giorni in città.
La comunità ebraica iniziò a prosperare. Se però essi erano riusciti momentaneamente a sottrarsi alla furia distruttrice della guerra, la loro tranquillità fu messa a dura prova dalla predicazione dei francescani che infervoravano le masse asserendo che Venezia avrebbe perso il conflitto se continuava ad ospitare gli uccisori di Cristo.
Nel frattempo il Papa che aveva sostenuto la Lega di Cambrai si era convinto che il maggior pericolo per i suoi interessi temporali proveniva dalla Francia e con un disinvolto voltafaccia aveva deciso di appoggiare Venezia. La Serenissima pertanto, per ovvie ragioni politiche e militari non poteva ignorare la profonda avversione delle gerarchie cattoliche nei confronti degli ebrei.
Nel Consiglio cittadino iniziarono ad emergere profondi sentimenti antisemiti. Uno degli interpreti maggiori di questi sentimenti era il nobile Zaccaria Dolfin che il 26 marzo 1516 lanciò un durissimo attacco contro gli ebrei accusandoli di essere un corpo estraneo della società veneziana e di essere responsabili di tutte le disavventure ed i mali della città lagunare.
Dolfin propose la sua soluzione: raccogliere tutti gli ebrei in una zona della città delimitata da varchi che rendessero possibili il controllo sugli accessi. Tre giorni dopo il 29 marzo veniva emanato un decreto che istituiva un istituto ed una parola nuova: il ghetto.
Il piccolo quartiere ebraico che avrebbe avuto una triste diffusione in tutto il mondo nei secoli a seguire era recintato e con solo quattro varchi che venivano sbarrati a mezzanotte e riaperti la mattina. Due barche (pagate forzatamente dagli ebrei) pattugliavano nelle ore notturne i canali per controllare il rispetto di questa segregazione.
Pur costretti a vivere in uno spazio delimitato e che con il tempo si rivelerà angusto, il ghetto rappresentava almeno un posto sicuro per gli ebrei dove potevano svolgere in relativa sicurezza i loro riti religiosi ed i loro affari. Inoltre la Serenissima applicò le norme più restrittive con una certa flessibilità perché era cosciente dell’importanza degli ebrei non soltanto nel finanziamento delle numerose guerre intraprese dai veneziani ma anche del loro ruolo strategico all’interno dello sviluppo economico della città.
Il ghetto non era però l’unica misura restrittiva a cui erano costretti gli ebrei, quando uscivano dal loro quartiere dovevano portare una rotella gialla cucita sugli abiti successivamente sostituita da una berretta dello stesso colore. Inoltre nel periodo di Pasqua non potevano uscire dal ghetto per non incorrere nelle ire di coloro che li ritenevano responsabili dell’assassinio di Cristo.
L’idea del ghetto piacque molto a Papa Carafa che salito al soglio pontificio nel 1555 con il nome di Paolo IV né istituì uno anche a Roma, il secondo ghetto più antico del mondo.

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