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La storia dell’Arculata: l’ultima forma di pane cotta a Pompei

La scoperta di un anello di pane carbonizzato ci lascia con molte domande senza risposta, ma un archeologo culinario ne ha rintracciato le radici

di Farrel Monaco per BBC.com – tradotto ed adattato da Arianna Guastella

La scoperta di un anello di pane carbonizzato ci lascia con molte domande senza risposta, ma un archeologo culinario ne ha rintracciato le radici.

Era poco dopo mezzogiorno quando il fornaio uscì dalla porta principale del suo negozio in una stradina laterale. 

Il suo ultimo lotto di pagnotte era nel forno del panificio, il grano era stato macinato in farina per il pane quotidiano di Pompei. Tutto ciò che restava prima che il fornaio potesse chiudere a chiave e riposarsi un po’, era che il suo venditore ambulante tornasse con la cesta e il denaro per gli anelli di pane venduti per le strade.

Il terreno aveva tremato per tutta la mattinata, come accadeva di tanto in tanto negli ultimi anni, e l’aria aveva un odore particolare.

Nelle successive 18 ore, la città romana di Pompei sarebbe stata sommersa da cenere e pietre pomici. Dopo questa notte buia, fu poi inghiottita da una serie di letali e devastanti flussi piroclastici e ondate di terra durante le fasi finali di una delle più violente e devastanti eruzioni vulcaniche della storia: l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. circa dove 1.800 residenti pompeiani persero la vita nelle loro case, nei loro luoghi di lavoro e per strada.

Le prove raccolte a Pompei

Sulla base delle prove raccolte dalla scoperta di Pompei, non è stato difficile per un archeologo classico che studia e ricrea i pani dell’antica Grecia e di Roma, ipotizzare come sarebbero potuti essere gli ultimi momenti per un fornaio con un bottega piena di pane, o un venditore ambulante, il giorno in cui il Vesuvio eruttò.

“Ho passato gli ultimi sette anni a studiare queste antiche culture del pane e i resti di pane carbonizzato trovati a Pompei ed Ercolano, tra cui le ben documentate pagnotte di panis quadratus pre-segmentate che furono infine scoperte nel 1862 nel forno del panificio abbandonato – ora denominato “Il panificio di Modestus”.

La popolarità di questo pane dalle proporzioni simmetriche tra i pompeiani del I secolo, è magnificamente rappresentata in un affresco che un tempo adornava una parete del tablino all’interno della Casa del Panettiere, una residenza pompeiana situata vicino al panificio. 

Decenni prima della scoperta del Forno di Modesto nel 1862, nel settembre del 1821, un gruppo di archeologi italiani iniziò un’altra giornata nel sito di Pompei continuando i lavori di scavo lungo una stradina laterale a nord del principale foro civico della città. Il 5 settembre la squadra scavò quella che hanno etichettato come una bottega comune, che si trovava tra il Forno di Modesto e il foro del paese.

Gli archeologi si sono fermati a meravigliarsi di qualcosa che avevano trovato all’interno della bottega: una piccola pagnotta a forma di ciambella, perfettamente conservata, accompagnata da una manciata di castagne, fichi secchi e prugne secche.

Carbonizzato eppure intatto, l’anello di pane somigliava a qualcosa che conoscevano nella loro vita quotidiana, e così hanno documentato il ritrovamento come una ciambella, nome generico per pani, pasticcini e biscotti che avevano la forma di un anello che è presente nel vocabolario culinario italiano registrato sin dai libri di cucina dell’era rinascimentale, come L’Opera di M. Bartolomeo Scappi.

Tuttavia, come ci ha mostrato chiaramente la scoperta fatta a Pompei, i prodotti di grano a forma di anello risalgono a molto prima dell’Italia rinascimentale e non erano sempre chiamati ciambelle, lasciandoci con molte domande senza risposta: qual era il loro originale scopo? Come si chiamavano gli anelli di pane di Pompei nel 79 d.C.? E i parenti di questo pane sono ancora oggi presenti nella regione mediterranea?

Nel 1862 gli archeologi scoprirono il Forno di Modesto, compreso il mulino e il forno (VII,I,35-36) (Credit: Farrell Monaco)
Nel 1862 gli archeologi scoprirono il Forno di Modesto, compreso il mulino e il forno (VII,I,35-36) (Credit: Farrell Monaco)

L’anello di pane carbonizzato

L’anello di pane carbonizzato misura circa 7 cm di diametro, è fatto di farina di grano duro o tenero e getta nuova luce sul ruolo che il pane giocava nella vita quotidiana dei romani.

Il fatto che l’anello sia stato scavato accanto a un piccolo numero di castagne carbonizzate, fichi secchi e prugne secche, significa che i reperti potrebbero essere stati acquistati da uno dei venditori di generi alimentari o panetterie nelle vicinanze. Dopotutto, il negozio in cui è stato trovato l’anello di pane si trovava in una strada laterale che non solo era direttamente di fronte al Macellum (un mercato alimentare al coperto), ma si trovava anche vicino a molti altri negozi di alimentari.

A seguito dello scavo completo della bottega nei primi anni del 1800, la via laterale prese il nome di Strada dei Frutti Secchi, poi mutata in Via degli Augustali. Col senno di poi, forse un nome più adatto sarebbe stato Strada dei Panifici, o “Via dei Panifici”, poiché i continui scavi avrebbero infine rivelato che la strada ospitava la più alta concentrazione di panifici commerciali a Pompei.

Oltre al traffico commerciale in generale, “Via dei Panifici” avrebbe visto trasportare una grande quantità di grano, farina e pane da facchini e venditori ambulanti.

Questa scena è stata dipinta su una lapide rinvenuta all’estremità occidentale della strada raffigurante due facchini che trasportano sulle spalle un’anfora per il trasporto di viveri. E un’altra rappresentazione di un food runner al lavoro per le strade di Pompei è stata recentemente scoperta durante gli scavi del 2020

Chiaramente, i portatori di cibo e i venditori ambulanti erano parte integrante della Pompei del I secolo, rendendo la scoperta dell’anello di pane, a pochi passi da diverse panetterie commerciali e negozi con attrezzature per cucinare, tutt’altro che casuale. Altrettanto intrigante, però, era la forma ad anello del pane, che suggeriva che la forma del pane fosse correlata non solo all’estetica culinaria dell’epoca, ma anche alla funzione. 

Inizialmente gli archeologi hanno pensato che la ciambella potesse essere i resti del buccelatum, un biscotto essiccato che si credeva fosse legato con lo spago e prodotto per il consumo militare romano. Tuttavia, oltre alla minima presenza militare attiva a Pompei, non c’erano prove concrete che il buccelatum fosse un pane a forma di anello prima del X secolo d.C.

La prima prova conosciuta di anelli di pane nella documentazione archeologica proviene da un sito preistorico situato sul confine austro-slovacco.

Risalenti al X secolo a.C., tre anelli a base di grano, insieme ad altri 14 anelli fatti di argilla, furono intenzionalmente sepolti insieme alla base di una fossa in una modalità di offerta rituale. Il pioniere europeo della storia del pane, Max Währen, ha registrato la prima prova archeologica di piccoli anelli di pane nella regione mediterranea come scoperta sull’isola egea di Creta: una ciotola per offerte in terracotta minoica di 4000 anni che presentava una serie di piccoli anelli di terracotta che rivestivano la base interna del vaso, a simboleggiare l’offerta votiva di vero pane.

Inoltre, gli archeologi Nicholas Verdelis e John Salmon hanno notato prove archeologiche di pani sacrificali in terracotta a forma di anello nei templi del VI secolo a.C. situati negli insediamenti corinzi di Solygeia e Perachora in Grecia. Verdelis e Salmon hanno spiegato che si credeva che le offerte fossero associate al culto di Hera: la dea greca delle donne, del matrimonio, della famiglia e del parto.

Nell’Italia meridionale invece, le archeologhe Marina Ciaraldi e Milena Primavera hanno portato l’attenzione su un sito del VI secolo a.C. e cinque anelli di pane carbonizzati che furono depositati come offerte in un santuario situato a Monte Papalucio, Oria, che un tempo faceva parte dell’ex Colonie greche dell’Italia meridionale conosciute come Magna Grecia. 

I resti archeologici di anelli di pane in ambienti greci sono affascinanti per due motivi: la loro associazione con divinità femminili e la loro presenza nei santuari dell’Italia meridionale.

La città di Pompei

Pompei non è sempre stata una città romana: molto prima che il generale romano, Lucio Cornelio Silla, installasse i suoi veterani militari in pensione come primi coloni romani di Pompei, la città era fortemente influenzata dalle culture osca, etrusca, sannita e greca. In quanto tale, la pratica di offrire ciambelle sacre osservata nelle ambientazioni rituali greche del VI secolo inizia ad emergere secoli dopo, anche nelle ambientazioni e negli scritti romani.

Ad esempio, nel I secolo a.C., il poeta romano Varrone ci parla di liba, un termine generico per i dolci sacrificali che venivano offerti come “libagioni” agli dei, e dal I secolo d.C., sculture in rilievo di sacrifici di sangue in ambientazioni romane raffigurano le ciambelle come un’altra forma di pane sacro. Nella cultura romana era comune la pratica di offrire “torte” agli dei per compiacerli e chiedere favori. Le focacce stesse erano fatte di grano o orzo, con l’aggiunta talvolta di formaggio fresco o miele, ed erano paragonabili a un moderno biscotto o pane dolce.

Il pane ad anello mantenne il suo ruolo costante di pane sacro fino all’era del cristianesimo nell’antica Roma.

Nel I secolo d.C., il poeta romano Ovidio ci racconta della festa romana di Vestalia, che si teneva ogni anno a giugno in onore di Vesta, la vergine dea del focolare. Nel II secolo d.C., nella sua opera intitolata De verborum significatione, il grammatico romano Sesto Pompeo Festo parla dell’Ottobre Equus, che era un cavallo da guerra sacrificato ogni anno il 15 ottobre nel Campo Marzio a Roma. 

Mentre l’Impero Romano si stava avvicinando al collasso e il cristianesimo stava lentamente emergendo come nuova religione di stato di Roma, il pane ad anello mantenne il suo ruolo costante di pane sacro fino all’era del primo cristianesimo nell’antica Roma.

Ad esempio, un affresco risalente al III secolo d.C. nelle catacombe cristiane di San Callisto raffigura il miracolo dei “pani e dei pesci”, come riportato nel Nuovo Testamento (Matteo 14:13-21), con due pesci e un cesto contenente cinque ciambelle. Questo era il numero esatto di pesci e pani che Gesù moltiplicò durante il pasto comunitario “Nutrizione dei cinquemila”, che spesso viene interpretato come un presagio dell’Eucaristia. La presenza di questi pani storicamente sacri nell’iconografia paleocristiana può anche riflettere il ruolo di questi pani nella chiesa primitiva, come indicato dal papa romano del III secolo, Zefirino, che chiamò il pane sacro corona consacrata.

Il pane Arculata

Con rappresentazioni così ricche di pani ad anello nell’archeologia e nella letteratura antica, la domanda è: come si chiamavano effettivamente questi pani sacri e gli anelli di Pompei nell’antichità?

Festo affermò che “gli anelli fatti di farina per i sacrifici si chiamavano arculata“, che segue la sua definizione di arculum, “un copricapo simile a una corona indossato quando si trasportano vasi sacri durante i sacrifici pubblici”. Per i greci, l’arculata potrebbe essere stata conosciuta come kollyra, che si ritiene sia la radice etimologica del moderno pane ad anello greco noto come koulouri, e la sua controparte dell’Italia meridionale, cuddura.

All’inizio del periodo moderno, il pane ad anello era lentamente migrato dal regno del sacro a quello del profano, come uno spuntino comune venduto per strada ai passanti di tutti i giorni. Ventuno anni dopo lo scavo del primo anello di pane di Pompei, un secondo anello di pane fu scavato a Pompei da una casa lungo Via dell’Abbondanza nel 1842. Questa volta sarebbe stato identificato più specificamente dagli archeologi come un tarallo, un biscotto di pane a forma di ciambella a doppia cottura tipicamente fatto con farina, strutto e pepe nero, che era facilmente reperibile presso i venditori ambulanti per le strade di Napoli (circa 23 km a nord-ovest di Pompei) durante il periodo della sua scoperta.

Questa tradizione di vendere ciambelle per le strade di Napoli continuò per altri tre decenni fino a quando l’ultimo tarallàro di Napoli, Fortunato Bisaccia, ritirò il suo carretto nel 1995. Ma, proprio come i graffiti che adornano gli edifici nella Napoli moderna sono una caratteristica del paesaggio culturale che la città condivide con il suo antico sé, forme di pane radicate e storiche rimangono anche nel tessuto culturale attuale.

La maggior parte delle 10.000 persone che vivevano a Pompei durante il 79 d.C. fuggirono dall’eruzione del Vesuvio e sopravvissero. E la continuità di quelle vite, dei loro costumi e tradizioni, è qualcosa che spesso viene offuscato dall’emozione e dalla devastazione associata alla distruzione della città.

Coloro che sono scampati al disastro, siano essi fornai che abbandonarono il pane o venditori ambulanti che abbandonarono il loro posto, ricominciarono a vivere, integrandosi nei paesi e nelle città circostanti che punteggiano le coste del Golfo di Napoli. E la vita, e il pane, continuarono.

Articolo originale: https://www.bbc.com/travel/article/20230406-arculata-the-bread-that-survived-pompeii

Farrell Monaco is a Classical archaeologist, baker and writer. She is currently an honourary visiting fellow at The University of Leicester’s School of Archaeology and Ancient History. She is the 2019 winner of Best Special Interest Food Blog Award by Saveur Magazine and author of the forthcoming book: Panis: The Story of Bread in Ancient Rome.

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