Galileo al tempo della peste

La peste giocherà un ruolo non marginale nella vita del grande scienziato pisano soprattutto nella fase della pubblicazione del suo trattato più famoso, Dialogo sui due massimi sistemi del mondo...

0
2031
Indice

Galileo Galilei, uno dei padri della scienza moderna, nasce a Pisa il 15 febbraio 1564 e quindi un bambino durante la pestilenza che infuriò nell’Italia del Nord tra il 1575 e il 1577 e che causò circa 50.000 vittime. Da studente di medicina a Pisa apprese molte conoscenze (quelle dell’epoca ovviamente) su questa terribile malattia che nel corso della storia aveva imperversato più volte.
Abbandonati gli studi di medicina per l’astronomia e la matematica Galileo continuò però ad informarsi sulla peste che aveva segnato anche la sua infanzia. Nel frattempo grazie ai suoi studi rivoluzionari la sua fama cresce e nel 1610 pubblica il Sidereus nuncius dove riferisce le scoperte fatte grazie al telescopio, che lui chiama “cannone”.
Nello stesso anno un amico gli invia copia di un trattatello sulla peste che aveva da poco pubblicato. Che si tratti di un argomento che suscita estremo interesse in Galilei lo si evince da quanto questo tema appaia nella sua corrispondenza, soprattutto dopo che in Toscana, nel 1630, scoppia una pestilenza.
L’epidemia di peste inciderà anche sulla pubblicazione del più famoso trattato di Galileo, Dialogo sui due massimi sistemi del mondo. Quell’anno infatti lo scienziato pisano si era recato nella primavera a Roma per cercare attraverso l’Accademia dei Lincei, di cui era membro, di pubblicare il suo trattato.
L’insorgere della pestilenza a Firenze nell’estate, lo indusse a pubblicare il Dialogo nella sua città natale, Pisa, complicando così di molto le procedure relative al nulla osta della censura. Finalmente nel 1632 il Dialogo viene stampato a Firenze, la peste aveva influito pesantemente sulla consegna delle copie del trattato a Roma. A giugno ne erano arrivate solo due copie.
Quando iniziarono a circolare più copie queste giunsero all’attenzione di Papa Urbano VIII e della Compagnia di Gesù suscitando rabbia ed indignazione per le “libertà” che Galileo si era preso nel Dialogo sui due massimi sistemi del mondo e che urtavano la dottrina ufficiale della Chiesa.
Il 5 settembre, secondo l’ambasciatore fiorentino Francesco Niccolini, il Papa adirato accusò Galileo di aver raggirato i ministri che avevano autorizzato la pubblicazione dell’opera. Il 23 settembre l’Inquisizione romana sollecitava quella fiorentina perché notificasse a Galileo l’ordine di comparire a Roma entro il mese di ottobre davanti al Commissario generale del Sant’Uffizio.
Così mentre l’epidemia iniziava a scemare, iniziava il processo a Galileo. Lo scienziato cercò di ottenere che si svolgesse a Firenze ma l’Inquisizione gli ordinò perentoriamente di presentarsi a Roma immediatamente, altrimenti vi si sarebbe stato condotto in ceppi.
Il 20 gennaio 1633 quindi Galileo partì per Roma, il viaggio durò più di tre settimane, compresa la quarantena indispensabile in tempi di peste. Sei mesi dopo il processo terminò con l’ammissione da parte di Galileo dei propri “errori”. In questo modo lo scienziato ebbe salva la vita ma passò il resto della propria esistenza agli arresti domiciliari nella sua villa di Arcetri, sulle colline fiorentine.
In quei lunghi anni Galileo fu curato a distanza dalla figlia, monaca di clausura a Santa Chiara. Suor Maria Celeste gli preparava medicamenti che poi inviava al grande vecchio nel suo isolamento di Arcetri. Poté tuttavia mantenere corrispondenza con amici ed estimatori, anche fuori d’Italia: a Elia Diodati, a Parigi, scrisse il 7 marzo 1634, consolandosi delle sue sventure che «l’invidia e la malignità mi hanno machinato contro» con la considerazione che «l’infamia ricade sopra i traditori e i costituiti nel più sublime grado dell’ignoranza»
Negli ultimi anni di vita, Galilei intraprende un’affettuosa corrispondenza con Alessandra Bocchineri, di trenta anni più giovane di lui, che riteneva donna di non comune intelligenza. L’ultima lettera mandata ad Alessandra il 20 dicembre del 1641 di “non volontaria brevità” precede di poco la morte di Galilei che sopraggiungerà 19 giorni dopo nella notte dell’8 gennaio 1642 ad Arcetri.