First in, last out, un’ipotesi in risposta al paradosso di Fermi

Se la vita sulla Terra non è particolarmente speciale e unica, dove sono le altre le civiltà aliene, visto che non ne troviamo traccia?

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La domanda “dove sono tutti?” È il punto cruciale del paradosso di Fermi. Se la vita sulla Terra non è particolarmente speciale e unica, dove sono le altre le civiltà aliene, visto che non ne troviamo traccia?

Sono state proposte molte ipotesi per spiegare perché sembriamo essere soli nel pur vastissimo universo, l’astronomo Frank Drake propose anche un’equazione per calcolare quante possibili civiltà potrebbero esserci nella galassia ma, finora, nessuna sembra essere pienamente convincente.

Il fisico russo Alexander Berezin, della National Research University of Electronic Technology (MIET), ha un’altra idea. La chiama la soluzione “First in, last out” del Paradosso di Fermi. Suggerisce che una volta che una civiltà raggiunge le capacità di diffondersi tra le stelle, finirà per spazzare via inevitabilmente tutte le altre civiltà.

Secondo lo scienziato russo, la sua soluzione non implica necessariamente che una razza che si espande nella galassia debba essere necessariamente malvagia ma, semplicemente, potrebbe, similarmente ad un bulldozer che distrugge un nido di formiche mentre spiana il terreno per costruire una strada, non notare civiltà inferiori e magari distruggerle senza nemmeno rendersene conto.

L’articolo in cui Berezin propone la sua ipotesi è disponibile su arxiv.org e ancora da sottoporre a peer-review .



Il fisico russo suggerisce anche che, se siamo ancora qui, è perché, probabilmente, siamo noi i futuri distruttori di innumerevoli civiltà.

Supponendo che l’ipotesi sopra sia corretta, cosa significa per il nostro futuro? L’unica spiegazione è l’invocazione del principio antropico: siamo i primi ad arrivare allo stadio [interstellare] e, molto probabilmente, saremo gli ultimi a sparire” ha spiegato.

La soluzione di Berezin per il paradosso deriva dalla semplificazione di diverse ipotesi: Ad esempio, la nostra definizione di vita dipende da sette parametri, ma per Berezin ce n’è solo uno che conta: la crescita.

La crescita è la spinta per espandersi oltre il pianeta di origine, e se la spinta all’espansione diventa la forza dominante, nel suo slancio calpesterà ogni altra forma di vita esistente nell’universo. Colonialismo e capitalismo sono due esempi storici di tali forze.

Quindi, il nostro destino come razza è questo? Dovremo andare là fuori e conquistare tutto o essere distrutti? Possibile che non vi sia un’altra soluzione più moderata? In fondo, l’universo è talmente vasto che dovrebbe esserci spazio per tutti.

A mio avviso, questa è un’ulteriore ragione per continuare a cercare la vita vicino a noi: se trovassimo la vita, anche in forme semplicissime, su Marte o su uno dei satelliti del sistema solare saremmo, in questa fase storica, essere portati a proteggerla e preservarla.

Questo potrebbe contribuire a formare nell’umanità una cultura diversa da quella ipotizzata da Berezin. La consapevolezza di non essere soli potrebbe, alla fine, renderci migliori.

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