Dien bien phu, la fine dell’avventura coloniale francese in Indocina

La battaglia di Dien bien phu, durata 56 giorni, costituì l'epitaffio sulla politica coloniale francese in Indocina

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Nella guerra d’Indocina i francesi compirono numerosi errori di valutazione che indirizzarono l’esito della guerra, forse il più grave di tutto fu quello che sfocerà nella battaglia di Dien bien phu.

Siamo nel novembre del 1953 ed il Comitato di Difesa degli interessi nazionali della Francia concluse che l’obiettivo strategico era «costringere il nemico a riconoscere l’impossibilità di ottenere un risultato militare decisivo». I politici trasmisero l’ordine al comandante in capo delle forze francesi in Vietnam, il generale Henri Navarre di non tentare niente di ambizioso senza previa autorizzazione.

Il 2 novembre, tuttavia, il generale aveva stabilito di rioccupare in forze un vecchio campo a Dien bien phu, duecentottanta chilometri a ovest di Hanoi e non lontano dal confine con il Laos.

Questa decisione fu presa senza preoccuparsi di capire esattamente dove fossero le forze nemiche comandate da Giap e che intenzioni avessero. L’idea era quella di creare una forte base aerea e terrestre ad ovest da cui contrastare i movimenti nemici. Navarre che all’epoca aveva 55 anni era uomo di austera bellezza, glaciale, con una vena di presunzione che si rivelerà fatale.

In ottemperanza alle disposizioni di Parigi, Navarre preparò l’offensiva verso Dien bien phu impiegando una sola divisione. I primi due battaglioni di paracadutisti francesi e vietnamiti si lanciarono alle 10 e 35 di venerdì 20 novembre. I paracadutisti atterrarono sotto il fuoco nemico, Ho Chi Mhin e Giap avevano infatti deciso di contendere quell’area ai francesi.



Il contingente francese guidato dal quarantaquattrenne Pierre Langlais, che rimarrà ferito durante il lancio, al prezzo di 15 morti e 34 feriti, riuscì a respingere i Vietnamiti, formando un perimetro difensivo della zona. Il giorno dopo diversi C-119 Flying Boxcar lanciarono nell’area di Dien bien phu controllata dall’avanguardia francese delle macchine movimento terra con lo scopo di spianare il terreno e allestire delle piste di atterraggio.

Questo permise l’afflusso di rinforzi che ingrandirono il presidio fino ad un massimo di 12.000 uomini. L’operazione Castore, così era stata codificata la presa di Dien bien phu, si profilava come un successo.

Il comandante designato del campo era il colonnello Christian de Castries, un aristocratico militare di cinquantun anni che vantava una lunga tradizione familiare nell’ambito dell’esercito. Il suo carattere fatalista svolse un ruolo non marginale nella sconfitta francese.

Ma com’era da un punto di vista morfologico Dien bien phu? Si trattava di una serie di collinette al centro di una pianura sovrastata da montagne boscose collegate con una serie di trincee piuttosto sconclusionate. L’intera area rimase incredibilmente poco fortificata.

La battaglia di Dien bien phu

Giap e Ho Chi Minh decisero di affrontare i francesi confortati dalle forniture cinesi di obici da 105 millimetri M2A1 di fabbricazione americana e di mortai da 120 mm e cannoni flak da 37. Giap aveva di fronte una scommessa da far tremare i polsi, trascinare queste armi, ciascuna delle quali pesava oltre due tonnellate, per ottocento chilometri su uno dei terreni più impervi dell’Asia, e garantire per mesi le forniture per una forza d’assedio composta da quattro divisioni.

Per compiere questa impresa proibitiva, Giap coinvolse i contadini con un mix di promesse sulla riforma agraria e di minacce e spostò il suo quartier generale in avanti di oltre 500 km. a soli 15 km da Dien bien phu, in un groviglio di grotte a prova di bombe.

La logistica per preparare l’attacco alla piazzaforte francese fu epica e curata meticolosamente in ogni suo aspetto. Dai rifornimenti di riso e di cibo in generale alle munizioni, niente fu lasciato al caso. La mimetizzazione di uomini, cannoni, ponti di barche, cucine da campo fu ossessiva e costrinse molto spesso i vietminh a cibarsi di riso quasi crudo, per evitare che il fumo delle cucine tradisse la loro posizione.

Sessantamila portatori molti dotati di biciclette rinforzate in grado di sostenere fino a 90 km di carico assicurarono i rifornimenti e gli spostamenti dell’artiglieria. Tra il lancio dei paracadutisti francesi il 20 novembre 1953 ed il primo attacco di Giap passarono 100 giorni, In questo lasso di tempo ogni tentativo francese di muoversi da Dien bien phu verso la zona controllata dai vietminh fu respinto duramente.

A Navarre furono dati ordini espliciti di limitarsi a tenere il perimetro della base di Dien bien phu senza tentare ulteriori sortite. Nell’ultimo scorcio di quel 1953, i francesi si resero conto che intorno a loro i vietminh iniziavano a montare gli obici che avrebbero preparato l’assalto delle truppe di Giap.

Nel frattempo, In Navarre montava la convinzione che la piazzaforte sarebbe stata indifendibile in caso di attacco massiccio dei vietnamiti. Nelle prime settimane del 1954 i francesi lanciarono numerose sortite contro le artiglierie nemiche. Tutte fallirono.

Per un malcelato senso di orgoglio nazionale, probabilmente frutto delle umiliazioni che la Francia aveva dovuto ingoiare nella Seconda Guerra Mondiale, si evitò l’unica cosa ragionevole da fare: evacuare il contingente francese da Dien bien phu.

Giap trascinò la decisione di attaccare fino al periodo delle piogge. La scalcinata aviazione francese non riuscì a contrastare le operazioni di rifornimento dei vietminh e subì pesanti perdite, più per errori umani e guasti tecnici che per il fuoco di contraerea nemica.

Durante l’assedio a Dienbienphu, intanto, in Europa si apriva la strada ad un difficile negoziato per la soluzione della guerra in Indocina. Nel gennaio 1954 un vertice dei Ministri degli Esteri delle superpotenze, teso e difficile, decise di convocare per il 26 aprile una Conferenza Internazionale aperta anche alla Cina comunista per gettare le basi di una soluzione diplomatica al conflitto.

A questo punto sia i francesi che i Vietminh avevano poco tempo per assicurarsi le migliori posizioni possibili prima dell’inizio della conferenza. I primi soprattutto peccando di orgoglio, sconsideratamente rinunciarono a qualunque possibilità per un cessate il fuoco e crearono l’ultimo tassello per il disastro.

La situazione della piazzaforte francese sotto il comando di Christian de Castries si fece drammatica quando Giap contravvenendo agli schemi dell’epoca collocò gli obici sui versanti anteriori delle montagne che circondavano Dien bien phu, così che i fusti guardavano dall’alto in basso le postazioni di de Castries, a una gittata sufficiente per raggiungerne la maggior parte.

Nonostante l’esposizione sul versante visibile delle montagne l’artiglieria di Giap era però quasi invulnerabile perché i cannoni erano custoditi dentro grotte profonde e venivano trascinati all’aperto soltanto quando dovevano fare fuoco. Alla metà di febbraio, nonostante ancora non si fosse registrato alcun attacco Vietminh, il bombardamento dell’artiglieria di Giap mise fuori combattimento il 10% delle forze francesi.

A partire dai primi di marzo ogni atterraggio o decollo sulla pista di Dien bien phu avveniva sotto il cannoneggiamento nemico. Le postazioni francesi si concentrarono su nove colline dell’area di Dien bien phu, a ciascuna delle quali fu attribuito un bel nome di donna. Isabelle e Béatrice erano ritenute le più forti,

Il 13 marzo, alle 17.05 la 312ma divisione di Giap, preceduta da una tempesta di granate e colpi di mortaio, si apprestò all’attacco di Beatrice. Il bombardamento si accanì contro le antenne radio che segnalavano i posti di comando e controllo. All’imbrunire le comunicazioni tra le diverse colline fortificate di Dien bien phu erano praticamente interrotte.

Beatrice era tenuta da un battaglione di 450 uomini della Legione Straniera, a corto di ufficiali. Dopo alcune ore di attacchi i Vietminh presero il controllo della collina infliggendo oltre 100 perdite ai francesi e catturandone più del doppio, in gran parte feriti. Soltanto un centinaio di legionari riuscì a fuggire.

Giap si apprestò a replicare il suo successo contro Gabrielle, più a nord, difesa dal 7º reggimento dei tiratori algerini. Alle 18 del giorno 14, appena prima del tramonto, gli uomini della 308a divisione del Vietminh si scagliarono in avanti.

Appoggiati dall’artiglieria, i difensori resistettero alle ondate di vietnamiti che si scagliavano contro i contrafforti della collina, fino a quando poco dopo le 3 del mattino, una granata centrò in pieno il posto di comando, uccidendo o ferendo, tutti i suoi occupanti.

A quel punto gli algerini iniziarono a vacillare e alle sette di mattina, anche Gabrielle cadde in mani nemiche. Sconvolti dalla perdita di due tra le colline ritenute più forti in meno di 20 ore il Comando francese non trovò niente di meglio che accusare gli ufficiali comandanti della debacle.

Al terzo giorno di battaglia, era già andata consumata la metà della scorta della guarnigione, ventisettemila proiettili. I francesi avevano perduto le loro postazioni di osservazione avanzate, cosicché i cannoni che restavano loro erano costretti a sparare pressoché alla cieca,

La notte del 15 marzo iniziarono le diserzioni di massa dei reparti thailandesi e vietnamiti che facevano parte della guarnigione di Dienbienphu. Le colline Anne-Marie 1 e 2 caddero quasi senza spargimento di sangue nelle mani di Giap, il quale senza perdere tempo riposizionò lì i propri mortai e cannoni senza rinculo.

Il morale dei francesi si era completamente sbriciolato ed ormai si attendeva di ora in ora l’assalto finale. Giap però in onore alla sua meticolosità ed alla sua prudenza, attese l’arrivo di rimpiazzi. 

Le conquiste di Beatrice e Gabrielle infatti erano costate care ai Vietminh, in termine di vite umane perse. 

Nel frattempo la loro artiglieria aveva impedito ogni sorta di collegamento aereo per i difensori di Dien bien phu. Fra gli ultimi ad atterrare e decollare dalla pista martoriata della piazzaforte francese furono i piloti mercenari americani della compagnia aerea CAT, di proprietà della CIA (Central Intelligence Agency) che operarono un numero considerevole di missioni di rifornimento.

L’utilità della pista d’atterraggio era ormai giunta al termine: il “ponte aereo”, su cui si era basato l’intero piano di Dien bien phu, era fallito e la piazzaforte era di fatto isolata. Il 29 marzo iniziarono una serie di piogge torrenziali che si protrassero per tutta la durata della battaglia, trasformando quel territorio in un desolato panorama di morte e di fango.

I pochi rifornimenti che arrivavano provenivano da lanci aerei notturni, imprecisi al punto da finire spesso nelle aree controllate dalla forze di Giap. Gli ultimi rimpiazzi, 4.306 soldati, vennero paracadutati tra il 14 marzo e il 6 maggio e non riuscirono nemmeno a compensare le perdite sofferte in quel periodo, che ammontavano a 5.500 uomini. A quel punto, gli uomini ancora in grado di reggersi in piedi erano meno di un migliaio.

Dopo l’ultima inefficace controffensiva dei francesi avvenuta il 4 maggio, Giap lanciò l’assalto finale. Dopo due giorni di aspri combattimenti gli ultimi capisaldi francesi, “Huguette”, “Dominique”, “Claudine” ed “Elaine”, caddero entro il 7 maggio 1954. Il posto di comando del colonnello de Castries venne attaccato alle ore 17.30 del 7 maggio dalla squadra d’assalto guidata dal capitano Ta Quang Luat ed il comandante delle forze francesi ed i suoi ufficiali furono fatti prigionieri.

La bandiera rossa dei Vietminh venne innalzata sul pennone del posto di comando sostituendo la bandiera bianca issata dai francesi qualche minuto prima.

L’ultimo caposaldo a cadere fu “Isabelle”. Là continuarono a battersi ancora mille uomini della Legione straniera che rifiutavano di arrendersi, posti sotto la guida del colonnello Lalande. Dopo aver esaurito tutte le scorte di munizioni, i sopravvissuti tentarono un’ultima sortita con il favore del buio, ma furono uccisi tutti quanti.

Dopo 56 giorni si concludeva la battaglia di Dien bien phu. Un’area insignificante dal punto di vista strategico, era costata 5.500 morti ai francesi (contro i circa 8.000 dei Vietminh) ma soprattutto consegnato a Ho Chi Minh e Giap un’inaspettata vittoria morale e mediatica, che sancirà l’espulsione della Francia dall’Indocina.

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