Curare le malattie dell’occhio riportando indietro le lancette dell’orologio

Uno studio sui topi ha permesso di restituire loro la vista ripristinandone le funzioni grazie alla terapia genica. Un approccio che in futuro potrebbe essere usato anche sugli uomini, e per altre malattie legate all'invecchiamento

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Spostare indietro le lancette dell’orologio per contrastare l’invecchiamento di alcune cellule: è quanto è riuscito agli scienziati della Harvard Medical School, che sono stati capaci di restituire la vista a dei topi facendo ringiovanire le cellule oculari nella retina e, di conseguenza, permettendo loro di recuperare le funzioni che avevano in giovinezza.

Uno studio importante, di cui ha parlato la rivista Nature il 2 dicembre scorso, e che rappresenta la prima vera e propria dimostrazione che è possibile “riprogrammare” dei tessuti complessi, come appunto le cellule nervose dell’occhio, in modo sicuro. E non solo si può resettare l’orologio biologico delle cellule, ma i ricercatori hanno anche invertito con successo la perdita della vista negli animali con una condizione simile al glaucoma umano, una delle principali cause di cecità nel mondo.

Il risultato ottenuto è straordinario, perché rappresenta il primo tentativo di successo di invertire la perdita della vista provocata dal glaucoma, invece di arginarne semplicemente l’avanzamento, così come ha spiegato il team di ricercatori. Se questo traguardo venisse replicato, approfondendolo anche con altri studi, potrebbe fare da apripista ad altre terapie che promuovano la riparazione dei tessuti di diversi organi, invertendone l’invecchiamento e le malattie ad esso legate negli uomini.

“Il nostro studio dimostra che è possibile invertire in sicurezza l’età di tessuti complessi come la retina, ripristinandone le sue funzioni biologiche dell’età più giovane” ha detto uno degli autori dello studio, David Sinclair, professore di genetica al Blavatnik Institute alla Harvard Medical School.

Se da una parte lo studio rappresenta un traguardo significativo nel contrasto a numerose malattie legate all’invecchiamento, dall’altra, prima che si possano utilizzare questi risultati sull’uomo, tanti altri studi dovranno essere portati a termine e dare risultati positivi. Comunque, resta il fatto che la strada intrapresa dai ricercatori sembra essere quella giusta per la cura di molte malattie dell’uomo legate all’età, una su tutte il glaucoma, e non solo.



I FATTORI YAMANAKA

Ma come si sono mossi gli scienziati? Come sono arrivati a questo risultato? Per il loro studio, hanno utilizzato un virus adeno-associato (AVV) come veicolo per introdurre nella retina dei topi tre geni capaci di ripristinare la giovinezza – Oct4, Sox2, e Klf4 – che normalmente si attivano durante lo sviluppo dell’embrione. I tre geni, insieme a un quarto, non utilizzato però in questo studio, sono universalmente conosciuti come fattori Yamanaka.

Il trattamento ha numerosi effetti benefici sull’occhio: innanzitutto, ne promuove la rigenerazione nervosa in caso di nervo ottico danneggiato nei topi; inoltre, inverte la perdita della vista negli animali affetti da una condizione simile al glaucoma umano. E infine, inverte anche la perdita della vista negli animali causata dall’avanzare dell’età, quindi anche non in presenza di glaucoma.

L’approccio del team si è basato su una nuova teoria che mette in discussione i motivi per cui invecchiamo: la maggior parte delle cellule contengono le medesime molecole di DNA, ma hanno funzioni ampiamente differenti, e per raggiungere queste capacità, devono leggere solo geni specifici per il loro tipo; questa funzione regolatrice è competenza dell’epigenoma, un sistema che accende o spegne i geni secondo schemi ben definiti, senza però alterarne la sequenza DNA base del gene.

Questa teoria suppone che i cambiamenti che avvengono all’epigenoma nel corso del tempo, portano le cellule a leggere i geni sbagliati, conducendo a malattie legate all’invecchiamento. Uno dei cambiamenti più importanti per l’epigenoma è la metilazione del DNA, ovvero un processo per cui gruppi di metile sono attaccati al DNA. Modelli di metilazione del DNA sono rilasciati durante lo sviluppo embrionico affinché producano diversi tipi di cellule. Nel tempo, i modelli “giovanili” di metilazione del DNA vanno persi, e i geni dentro le cellule che dovrebbero attivarsi invece si spengono e viceversa, con il risultato di avere delle funzioni cellulari compromesse. Alcune di questi cambiamenti di metilazioni di DNA sono prevedibili, e sono state utilizzate per determinare l’età biologica di una cellula o di un tessuto.

Inoltre, se la metilazione del DNA guidi o meno i cambiamenti legati all’età nelle cellule, è ancora da capire. Nello studio di cui ci stiamo occupando in questo articolo, i ricercatori hanno ipotizzato che se la metilazione del DNA controlla l’invecchiamento, allora cancellare alcune sue tracce potrebbe invertire l’età delle cellule negli organismi viventi e ripristinare di conseguenza le funzioni che avevano “in gioventù”, se così si può dire. In passato altri studi sono riusciti a dimostrare quanto sinora detto, ma solo in laboratorio, e mai su organismi viventi, sebbene ora forse la strada è spianata anche per un utilizzo sugli animali.

Yuancheng Lu, uno dei ricercatori a capo dello studio, ha sviluppato una terapia genetica che davvero potrebbe invertire l’età delle cellule in animali vivi. Il suo lavoro si basa sulla scoperta di Shinya Yamanaka, valsagli il Premio Nobel per la Medicina nel 2012, che ha identificato i quattro fattori di trascrizione, Oct4, Sox2, Klf4 e c-Myc, che potrebbero cancellare i marcatori epigenetici sulle cellule, facendole tornare al loro stato embrionico originale, da cui poi possono svilupparsi in qualsiasi altro tipo di cellula.

Studi successivi comunque, hanno incontrato due grosse battute d’arresto: la prima, quando usati su topi adulti, i quattro fattori Yamanaka hanno mostrato che potrebbero portare allo sviluppo di tumori, rendendo l’esperimento non sicuro. Inoltre, si è visto che i quattro fattori potrebbero resettare lo stato cellulare riconducendolo al suo livello più primitivo, portando quindi alla cancellazione totale dell’identità delle cellule.

Lu e i suoi colleghi hanno superato questi ostacoli modificando leggermente l’esperimento: essi infatti hanno messo da parte il gene c-Myc, usando solo i tre geni Yamanaka rimanenti, ossia Oct4, Sox2 e Klf4: in questo modo l’invecchiamento delle cellule è avvenuto con successo, senza provocare sviluppo di tumori o perdita di identità.

Dunque nello studio in questione, i ricercatori hanno mirato a cellule nel sistema nervoso centrale perché è la parte del corpo che invecchia per prima: già infatti da subito dopo la nascita, la capacità del sistema nervoso centrale di rigenerarsi declina rapidamente.

Per testare se la capacità rigenerativa di animali giovani potesse essere testata su topi adulti, i ricercatori hanno introdotto la combinazione modificata dei tre geni attraverso un AVV (un virus adeno-associato) nelle cellule ganglionari della retina di topi adulti con lesioni al nervo ottico. Per questo lavoro, Lu e Siclair si sono avvalsi della collaborazione del professor Zhigang He, studioso di rigenerazione della spina dorsale e del nervo ottico.

Il trattamento ha portato a un aumento del doppio del numero di cellule ganglionari della retina sopravvissute dopo una lesione, e di cinque volte nella ricrescita del nervo.

In seguito a questi risultati così incoraggianti conseguiti sui topi con lesioni al nervo ottico, il team di ricercatori, insieme ai colleghi Bruce Ksander, dello Schepens Eye Research Institute of Massachusetts Eye and Ear, e Meredith Gregory-Ksander, assistente professoressa di oftalmologia, hanno pianificato due tipi di esperimenti: uno per verificare se il cocktail di tre geni potesse ripristinare la perdita della vista provocata dal glaucoma, e un altro per vedere se si potesse invertire la perdita della vista dovuta al normale avanzamento dell’età.

Su un modello di glaucoma dei topi, il trattamento ha condotto all’aumento dell’attività elettrica della cellula nervosa, e a un notevole miglioramento dell’acutezza della vista, misurata dall’abilità degli animali di vedere linee verticali in movimento su uno schermo. E così è stato nei casi di perdita della vista dovuta a glaucoma.

Il trattamento ha anche funzionato bene in topi più anziani, con vista abbassata per il normale invecchiamento. In seguito al trattamento, i geni e i segnali di attività elettrica delle cellule del nervo ottico erano simili ai topi giovani, e la vista era stata recuperata.

Quando i ricercatori hanno analizzato i cambiamenti molecolari nelle cellule trattate, hanno rinvenuto modelli invertiti di metilazione di DNA – e questo suggerisce che la metilazione del DNA non è solo un marker dell’avanzare dell’età, ma un agente attivo che lo porta avanti.

“Ciò che questi risultati ci dicono, è che l’orologio non rappresenta soltanto il tempo, ma è il tempo stesso” ha detto Sinclair “Se mandiamo indietro l’orologio, anche il tempo torna indietro”.

I ricercatori hanno detto che se le loro scoperte verranno confermate in altri studi su animali, potrebbero iniziare studi, nei prossimi due anni, per testare l’efficacia dell’esperimento sulle persone affette da glaucoma. Nello studio in questione, un trattamento sui topi durato un anno intero e con l’uso dei tre geni non ha mostrato alcun effetto collaterale.

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