giovedì, Ottobre 24, 2024
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Come fanno balene e delfini a usare l’ecolocalizzazione?

Un nuovo studio pubblicato su Diversity cerca di spiegare come delfini e odontoceti sono riusciti nel tempo a comunicare tra loro utilizzando l'ecolocalizzazione

Un nuovo studio pubblicato su Diversity suggerisce una spiegazione su come odontoceti e delfini siano riusciti a comunicare tra loro nel mondo sottomarino utilizzando la ecolocalizzazione.

L’ecolocalizzazione, chiamata anche biosonar, è un sonar biologico usato da alcuni mammiferi quali pipistrelli (sebbene non da tutti), delfini ed altri Odontoceti. Il termine è stato coniato da Donald Griffin nel 1944, che fu il primo a dimostrarne l’esistenza nei pipistrelli. Anche i guaciari, uccelli che vivono nelle grotte, utilizzano questo sistema.

Gli animali ecolocalizzatori emettono suoni nell’ambiente e ascoltano gli echi che rimbalzano da diversi oggetti. Gli echi sono usati per localizzare, identificare e stimare la distanza degli oggetti. L’ecolocalizzazione è usata anche per l’orientamento e la ricerca del cibo o la caccia in vari ambienti.

Balene e delfini utilizzano questa tecnica soprattutto quando si muovono e cacciano nell’oscurità. Questi animali emettono suoni acuti che rimbalzano sugli oggetti e si riflettono su di essi, permettendo loro di poter mappare l’ambiente che li circonda. I loro crani e i loro tessuti molli all’interno dello sfiatatoio sono asimmetrici, il che significa che una struttura su un lato è più grande o ha una forma diversa rispetto alla sua controparte sull’altro lato. Lo “sbilanciamento” consente la produzione del suono. Allo stesso tempo, l’osso mascellare inferiore, pieno di grasso, conduce le onde sonore all’orecchio interno, consentendo agli animali di individuare la provenienza dei suoni (udito direzionale). Tuttavia, il modo in cui balene e delfini hanno evoluto questo sofisticato “sonar integrato” non è del tutto chiaro.

Ecolocalizzazione, la ricerca pubblicata

La ricerca è stata redatta dal coautore Jonathan Geisler, Ph.D., professore e presidente di anatomia presso il New York Institute of Technology, e dal primo autore Robert Boessenecker, Ph.D., paleontologo e ricercatore associato presso il Museo di Paleontologia dell’Università della California. Lo studio fornisce indizi vitali sulla geolocalizzazione. I ricercatori hanno analizzato una vasta collezione di fossili che includeva due antiche specie di delfini del genere Xenorophus, una delle quali è nuova alla scienza. Queste specie sono alcuni dei membri primitivi degli odontoceti, il sottordine dei mammiferi marini che comprende tutte le balene e i delfini viventi ecolocalizzati.

Che cos’era lo Xenorophus

Lo Xenorophus era una grande creatura lunga circa tre metri che nuotava nelle acque del Nord America orientale 25-30 milioni di anni fa e probabilmente si nutriva di pesci, squali, tartarughe marine e piccoli mammiferi marini. Esternamente somigliava ai delfini moderni ma aveva diversi denti simili a molari intrecciati, proprio come un mammifero terrestre ancestrale. Simile agli odontoceti odierni, lo Xenorophus presentava un’asimmetria attorno allo sfiatatoio, sebbene non così pronunciata come i suoi parenti viventi. In particolare, presentava anche una netta torsione e spostamento del muso di diversi gradi a sinistra.

Precedenti studi su altre balene antiche (archeoceti) suggeriscono che questa “curvatura del muso” potrebbe essere collegata al posizionamento asimmetrico dei corpi grassi nella mascella, aumentando le capacità uditive direzionali. Tuttavia, lo Xenorophus ha fatto un ulteriore passo avanti. I corpi grassi nelle mascelle inferiori, che funzionavano come le orecchie esterne nei mammiferi terrestri, erano inclinati, esagerando ulteriormente l’udito direzionale. Questa flessione del muso e l’inclinazione dei corpi grassi potrebbero essere simili alle orecchie asimmetriche dei gufi, che possono rilevare la posizione precisa della preda in base ai loro suoni.

Una transizione fondamentale

Le nuove prove suggeriscono che lo Xenorophus, con un’asimmetria meno pronunciata vicino allo sfiatatoio, potrebbe non essere stato così abile nel produrre suoni acuti o nell’udire le alte frequenze come gli odontoceti viventi. Tuttavia, era in grado di determinare la posizione dei suoni. Pertanto, lo Xenorophus probabilmente segnò una transizione chiave nella storia del modo in cui balene e delfini arrivarono a utilizzare l’ecolocalizzazione.

Bossenecker ha spiegato tramite alcune dichiarazioni riportate da PHYS.ORG: “Sebbene l’asimmetria focalizzata sullo sfiatatoio negli odontoceti odierni possa essere fatta risalire allo Xenorophus e ad altri parenti, la torsione e lo spostamento del muso non si vedono più oggi. Ciò suggerisce che Xenorophus è un pezzo cruciale del puzzle per comprendere come le balene e gli i delfini hanno evoluto le loro capacità di ecolocalizzazione”. Inoltre, mentre molti scienziati si concentrano sulla simmetria in natura, Geisler afferma che il loro nuovo studio dimostra l’importanza di esaminare anche l’asimmetria.

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