sabato, Aprile 26, 2025
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Big Bang e oltre: gli scienziati inseguono l’origine del tutto

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Big Bang e oltre: gli scienziati inseguono l'origine del tutto
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L’enigma della materia oscura, un mistero che ha affascinato i fisici per quasi un secolo, si erge come l’architetto silenzioso dell’universo invisibile. La sua influenza, per quanto elusiva, è innegabile: una forza gravitazionale che tiene saldamente unite le galassie, modellandone i movimenti e le strutture.

Nonostante la sua pervasività, circa l’85% della materia che compone il Cosmo rimane celata, sfuggendo persino ai più sofisticati strumenti di rilevazione. L’audace ipotesi che questa sostanza misteriosa possa aver preceduto il Big Bang aggiunge un ulteriore livello di complessità al già intricato quadro cosmologico.

Big Bang e oltre: gli scienziati inseguono l'origine del tutto

Un’impronta antica: oltre il Big Bang

L’incredibile ipotesi che la materia oscura possa aver preceduto il Big Bang aggiunge un livello di complessità al nostro modello cosmologico. L’85% della materia dell’Universo, sfuggente ai nostri strumenti, potrebbe essere un residuo di un’era primordiale.

Le prime avvisaglie di questa presenza occulta risalgono agli anni ’30, quando gli astronomi notarono anomalie nelle rotazioni galattiche, fenomeni che suggerivano l’azione di una forza gravitazionale invisibile. Decenni più tardi, l’analisi del fondo cosmico a microonde, l’eco persistente della nascita dell’Universo, confermò il ruolo cruciale della materia oscura nell’evoluzione cosmica. La missione Planck Collaboration, nel 2018, fornì una stima precisa della sua abbondanza: circa il 27% dell’energia totale dell’Universo, una cifra che eclissa il misero 5% attribuibile alla materia ordinaria, quella che costituisce pianeti, stelle e persino noi stessi.

La ricerca dell’identità della materia oscura ha impegnato gli scienziati per decenni. La supersimmetria, una teoria dominante nella fisica delle particelle, propone l’esistenza di particelle “partner” per ogni particella conosciuta, offrendo una possibile chiave per svelare il mistero. Le particelle massicce debolmente interagenti (WIMP), candidate ideali secondo questa teoria, interagirebbero a malapena con la materia ordinaria, ma potrebbero essere rilevate attraverso esperimenti sotterranei o acceleratori di particelle.

Le WIMP si sono dimostrate estremamente sfuggenti. Esperimenti come DAMA hanno riportato segnali che potrebbero indicare la presenza di materia oscura, ma tali risultati sono controversi. Altri progetti, come COSINE-100, non hanno fornito prove conclusive a sostegno di queste scoperte. Anche le collisioni ad alta energia del Large Hadron Collider non hanno rivelato tracce delle particelle previste dalla supersimmetria, mettendo in discussione le teorie più semplici basate sulle WIMP.

Di fronte a questa impasse, gli scienziati hanno esplorato ipotesi alternative. Una di queste, la teoria del “secondo Big Bang”, suggerisce che la materia oscura potrebbe essere stata generata da un decadimento di un campo quantistico intrappolato in uno stato di falso vuoto, avvenuto dopo il Big Bang primordiale. Questa teoria, sebbene speculativa, offre una nuova prospettiva sulla formazione della materia oscura e potrebbe aprire nuove strade nella ricerca.

Un Universo a doppia origine

In un audace tentativo di ridefinire la nostra comprensione dell’Universo primordiale, un nuovo modello cosmologico emerge: il Dark Big Bang (DBB). Questa teoria rivoluzionaria propone uno scenario in cui l’universo neonato era composto da due settori distinti: il settore visibile, popolato dalle particelle e dalle forze familiari, e un settore oscuro, un regno freddo e disaccoppiato, governato da leggi fisiche uniche.

L’elemento chiave del modello Dark Big Bang è la transizione di fase subita dal settore oscuro, un evento analogo al caldo Big Bang che ha dato origine al settore visibile. Questa transizione ha innescato la creazione di un bagno termico di particelle oscure, un mondo alieno con dinamiche proprie. La versatilità del modello DBB è straordinaria, in quanto può ospitare un’ampia gamma di masse di particelle di materia oscura, dalle più leggere, con energie di pochi keV, alle più pesanti, con energie di 10<sup>12</sup> GeV.

Ciò che rende il modello DBB particolarmente intrigante è il suo potenziale di lasciare tracce osservabili. La transizione di fase nel settore oscuro potrebbe aver generato onde gravitazionali (GW), increspature nel tessuto dello spazio-tempo. Queste GW avrebbero una firma distinta da quelle prodotte da fusioni di buchi neri o collisioni di stelle di neutroni, aprendo una finestra unica sull’Universo primordiale. Gli osservatori di onde gravitazionali di prossima generazione, come i pulsar timing array (PTA), potrebbero rilevare queste GW a bassa frequenza, fornendo prove cruciali a favore del modello DBB.

Un recente studio condotto da Cosmin Ilie, professore associato di fisica e astronomia alla Colgate University, e Richard Casey, studente senior di fisica, ha ulteriormente affinato la teoria del Dark Big Bang. La loro ricerca esplora nuovi spazi parametrici per il campo di tunneling del settore oscuro, identificando scenari che si allineano con le osservazioni cosmologiche esistenti. Questi scenari non solo prevedono la corretta abbondanza di materia oscura, ma anche segnali di onde gravitazionali che potrebbero presto essere alla portata degli esperimenti PTA.

Rilevare le onde gravitazionali generate dal Dark Big Bang potrebbe fornire prove cruciali per questa nuova teoria della materia oscura”, ha affermato Ilie. Tale rilevamento sarebbe rivoluzionario, offrendo la prima prova diretta dell’origine distinta della materia oscura. La rilevazione del 2023 di onde gravitazionali di fondo da parte della collaborazione NANOGrav, parte di IPTA, aggiunge una dimensione intrigante a questa ricerca. Mentre la fonte esatta di queste onde rimane incerta, potrebbero potenzialmente allinearsi con le previsioni del modello DBB.

Oltre alle implicazioni per la materia oscura, la teoria DBB offre una nuova prospettiva sull’Universo primordiale. Tradizionalmente, la cosmologia ha operato sotto l’ipotesi che tutta la materia, oscura o meno, sia emersa dallo stesso evento. L’idea di un universo a doppia origine sfida questa nozione, suggerendo un’interazione più complessa di forze e campi nell’infanzia dell’universo. Se confermato, il modello del Dark Big Bang potrebbe rimodellare la nostra comprensione dell’evoluzione cosmica, dalla formazione delle prime galassie alla struttura su larga scala dell’Universo.

Un pilastro della fisica moderna

La ricerca della materia oscura si erge come un pilastro centrale della fisica moderna, un’indagine che spinge i confini della tecnologia e della teoria. Gli esperimenti di rilevamento diretto, condotti nelle profondità del sottosuolo, continuano a sfidare i limiti della sensibilità, cercando di catturare le interazioni sfuggenti tra le particelle di materia oscura e la materia ordinaria. Parallelamente, le osservazioni astrofisiche, dal fondo cosmico a microonde alle curve di rotazione galattica, forniscono prove indirette ma convincenti dell’influenza gravitazionale della materia oscura.

In questo contesto, il modello Dark Big Bang (DBB), con le sue previsioni uniche e le conseguenze verificabili, emerge come un nuovo e potente strumento di indagine. Questo modello, che ipotizza un universo primordiale con due settori distinti, offre una prospettiva innovativa sull’origine della materia oscura e sulle sue interazioni. La sua capacità di ospitare un’ampia gamma di masse di particelle di materia oscura e di prevedere la generazione di onde gravitazionali (GW) lo rende particolarmente interessante.

Con l’avanzare delle capacità di osservazione, la prospettiva di rilevare GW generate da un DBB diventa sempre più concreta. Progetti ambiziosi come lo Square Kilometer Array (SKA), che entrerà in funzione nel prossimo decennio, promettono una sensibilità senza precedenti alle GW a bassa frequenza. Questi sforzi potrebbero finalmente sollevare il velo sulle misteriose origini della materia oscura, rispondendo a domande che hanno sfidato gli scienziati per generazioni. La rilevazione di GW con una firma distinta da quelle prodotte da fusioni di buchi neri o collisioni di stelle di neutroni fornirebbe una prova cruciale a favore del modello DBB.

Nel contesto più ampio, la ricerca della materia oscura non è solo un’indagine scientifica, ma una ricerca per comprendere la natura fondamentale dell’Universo. Sia attraverso la fisica delle particelle tradizionale che attraverso nuove teorie cosmologiche come il Dark Big Bang, ogni scoperta ci avvicina alla rivelazione dell’intero arazzo dell’esistenza. L’idea di un Universo a doppia origine, proposto dal modello DBB, sfida le nostre concezioni tradizionali e potrebbe rimodellare la nostra comprensione dell’evoluzione cosmica, dalla formazione delle prime galassie alla struttura su larga scala dell’Universo.

Lo studio è stato pubblicato sul The Brighter Side of News.

Tempeste di polvere su Marte: un pericolo tossico per gli astronauti

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Tempeste di polvere su Marte: un pericolo tossico per gli astronauti
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Una recente ricerca condotta dalla Keck School of Medicine presso l’Università della California del Sud (USC) ha rivelato che le tempeste di polvere su Marte rappresentano un serio pericolo per la salute degli astronauti, potenzialmente causando problemi respiratori e aumentando il rischio di malattie. Questo studio evidenzia un ulteriore ostacolo che le agenzie spaziali dovranno affrontare nella pianificazione delle future missioni umane sul Pianeta Rosso.

Tempeste di polvere su Marte: un pericolo tossico per gli astronauti
Tempeste di polvere su Marte: un pericolo tossico per gli astronauti

Marte: tempeste di polvere, un pericolo nascosto per le missioni umane

Le tempeste di polvere su Marte non sono solo una minaccia per la salute umana, ma anche per la tecnologia. Le scariche elettrostatiche causate da queste tempeste possono danneggiare i dispositivi elettronici, mentre l’accumulo di polvere sui pannelli solari può compromettere l’alimentazione delle missioni robotiche. Questo è stato dimostrato dalla perdita del rover Opportunity e del lander InSight, entrambi resi inoperativi dalle tempeste di polvere.

La NASA e la Chinese Manned Space Agency (CMS) hanno in programma di inviare astronauti e taikonauti su Marte nei prossimi decenni. Queste missioni includeranno mesi di operazioni sulla superficie marziana e si prevede che culmineranno nella creazione di habitat di lunga durata. Tuttavia, le tempeste di polvere, che si verificano ogni anno marziano (687 giorni terrestri) e diventano globali ogni tre anni marziani (5,5 anni terrestri), rappresentano un serio rischio per queste missioni.

La nuova ricerca è stata guidata da Justin L. Wang, medico presso la USC, in collaborazione con ricercatori dell’UCLA Space Medicine Center, del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale Ann e HJ Smead e del Laboratory for Atmospheric and Space Physics dell’UC Boulder, nonché dell’Astromaterials Acquisition and Curation Office del Johnson Space Center della NASA. Questo team multidisciplinare ha analizzato i dati sulle tempeste di polvere marziane e ha valutato i potenziali rischi per la salute umana.

I risultati di questa ricerca hanno sottolineato la necessità di sviluppare strategie per proteggere gli astronauti dalle tempeste di polvere su Marte. Ciò potrebbe includere la progettazione di tute spaziali e habitat in grado di resistere alle tempeste, nonché lo sviluppo di farmaci e terapie per prevenire e curare i problemi respiratori e le malattie causate dalla polvere marziana.

I pericoli invisibili: radiazioni e regolite marziana

L’invio di missioni con equipaggio su Marte rappresenta una delle imprese più ambiziose della storia umana, un viaggio che sfida i limiti della tecnologia e della resistenza umana. Le distanze abissali che separano la Terra dal Pianeta Rosso, con un minimo di 55 milioni di chilometri, ovvero 142 volte la distanza Terra-Luna, impongono un transito di sola andata della durata di sei-nove mesi, un periodo durante il quale gli astronauti dovranno affrontare cambiamenti fisiologici significativi causati dalla prolungata esposizione alla microgravità.

Oltre agli effetti debilitanti della microgravità, gli astronauti dovranno confrontarsi con l’elevata esposizione alle radiazioni durante il transito e le operazioni sulla superficie marziana. Ma il pericolo più insidioso potrebbe celarsi nella regolite marziana, la polvere che ricopre il pianeta. Secondo recenti ricerche, questa polvere è composta da elementi tossici come silice, ossidi di ferro, perclorati e tracce di metalli pesanti, che possono causare gravi problemi respiratori e malattie polmonari.

L’esperienza degli astronauti dell’era Apollo, che riportarono sintomi fisici come tosse, irritazione alla gola e problemi di vista a causa della polvere lunare, fornisce un inquietante precedente. La regolite marziana, con le sue particelle finissime e i componenti tossici, rappresenta una minaccia ancora maggiore per la salute degli astronauti.

La cura delle malattie degli astronauti su Marte presenterà sfide senza precedenti. Il lungo tempo di transito e le condizioni estreme del pianeta richiedono una preparazione medica meticolosa e la capacità di affrontare una vasta gamma di problemi di salute. La microgravità e le radiazioni, che indeboliscono il sistema immunitario e possono causare malattie polmonari, complicheranno ulteriormente i trattamenti.

Prevenzione e contromisure: un equilibrio precario

Oltre alle sfide logistiche e ai rischi per la salute già noti, l’immensa distanza tra la Terra e Marte complica ulteriormente la gestione delle emergenze mediche. L’impossibilità di un rapido rientro sulla Terra per trattamenti salvavita impone alle missioni con equipaggio un’autosufficienza medica senza precedenti. Secondo Wang e i suoi colleghi, la prevenzione assume un ruolo cruciale, ma è necessario sviluppare contromisure efficaci per mitigare i rischi.

Limitare la contaminazione da polvere degli habitat degli astronauti ed essere in grado di filtrare qualsiasi polvere che penetra sarà la contromisura più importante,” affermano i ricercatori. Tuttavia, la polvere marziana, soprattutto durante le tempeste, rappresenta una minaccia costante. L’uso di integratori come la vitamina C e lo iodio potrebbe offrire una certa protezione, ma è necessario un approccio cauto, poiché un eccesso di queste sostanze può causare problemi di salute.

La polvere marziana, con la sua composizione tossica e le particelle finissime, rappresenta un pericolo insidioso per la salute degli astronauti. L’esposizione prolungata può causare gravi problemi respiratori e malattie polmonari, simili alla silicosi e alla pneumoconiosi. Le agenzie spaziali stanno sviluppando tecnologie e strategie per mitigare questi rischi, come spray speciali, fasci di elettroni e rivestimenti protettivi.

Con l’avanzare del programma Artemis e l’avvicinarsi delle missioni su Marte, è probabile che assisteremo a progressi significativi nella farmacologia e nei trattamenti medici. La necessità di garantire la salute degli astronauti in un ambiente così ostile spingerà la ricerca verso soluzioni innovative, che potrebbero avere applicazioni anche sulla Terra.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista GeoHealth.

Perché non abbiamo ancora clonato un essere umano?

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Perché non abbiamo ancora clonato un essere umano?
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Nel 1996, la pecora Dolly ha fatto notizia in tutto il mondo dopo essere diventata il primo mammifero ad essere clonato con successo da una cellula adulta. Molti commentatori pensavano che ciò avrebbe catalizzato un’età d’oro della clonazione, con numerose voci che ipotizzavano che il primo clone umano sarebbe nato a pochi anni di distanza.

Alcune persone pensano che i cloni umani potrebbero svolgere un ruolo nell’eradicare le malattie genetiche, mentre altri ritengono che il processo di clonazione possa, alla fine, eliminare i difetti alla nascita (nonostante una ricerca di un gruppo di scienziati francesi nel 1999 constatando che la clonazione può effettivamente aumentare il rischio di difetti alla nascita).

Ci sono state varie affermazioni – tutte infondate, è importante aggiungere – di programmi di clonazione umana di successo dal successo di Dolly. Nel 2002 Brigitte Boisselier, una chimica francese e devota sostenitrice del Raëlismo – una religione UFO basata sull’idea che gli alieni hanno creato l’umanità – ha affermato che lei e un team di scienziati avevano consegnato con successo il primo essere umano clonato, che ha chiamato Eve.

Tuttavia, Boisselier non ha fornito alcuna prova, e quindi è opinione diffusa che sia una bufala.

Perché non abbiamo ancora clonato un essere umano?

Allora perché, a quasi 30 anni da Dolly, gli umani non sono stati ancora clonati? È principalmente per ragioni etiche, ci sono barriere tecnologiche o semplicemente non vale la pena farlo?

“Clonazione” è un termine ampio, dato che può essere utilizzato per descrivere una gamma di processi e approcci, ma l’obiettivo è sempre quello di produrre “copie geneticamente identiche di un’entità biologica“, secondo il National Human Genome Research Institute(NHGRI).

Qualsiasi tentativo di clonazione umana molto probabilmente utilizzerebbe tecniche di “clonazione riproduttiva“, un approccio in cui verrebbe utilizzata una “cellula somatica matura”, molto probabilmente una cellula della pelle, secondo NHGRI. Il DNA estratto da questa cellula verrebbe inserito nella cellula uovo di un donatore a cui “è stato rimosso il proprio nucleo contenente DNA“. L’uovo comincerebbe quindi a svilupparsi in una provetta prima di essere “impiantato nell’utero di una femmina adulta“, secondo NHGRI.

Tuttavia, mentre gli scienziati hanno ormai clonato molti mammiferi, compresi bovini, capre, conigli e gatti, gli esseri umani non fanno parte della lista.

Penso che non ci siano buone ragioni per creare cloni [umani]“, ha detto Hank Greely, professore di diritto e genetica alla Stanford University, specializzato in questioni etiche, legali e sociali derivanti dai progressi delle bioscienze .

La clonazione umana è un’azione particolarmente drammatica ed è stato uno degli argomenti che hanno contribuito a lanciare la bioetica americana“, ha aggiunto Greely.

Le preoccupazioni etiche sulla clonazione umana sono molte e varie. Secondo Britannica, i potenziali problemi comprendono “rischi psicologici, sociali e fisiologici“. Questi includono l’idea che la clonazione potrebbe portare a una “probabilità molto alta” di perdita di vite umane, nonché le preoccupazioni sulla clonazione utilizzata dai sostenitori dell’eugenetica. Inoltre, secondo Britannica, la clonazione potrebbe essere considerata una violazione dei “principi della dignità umana, della libertà e dell’uguaglianza“.

La clonazione dei mammiferi ha storicamente portato a tassi estremamente elevati di morte e anomalie dello sviluppo nei cloni. Un altro problema fondamentale con la clonazione umana è che, invece di creare una copia carbone della persona originale, produrrebbe un individuo con i propri pensieri e opinioni.

Abbiamo tutti conosciuto cloni – i gemelli identici sono cloni l’uno dell’altro – e quindi sappiamo tutti che i cloni non sono la stessa persona“, ha spiegato Greely.

Un clone umano, ha continuato Greely, avrebbe solo la stessa costituzione genetica di qualcun altro – non condividerebbe altre cose come la personalità , la morale o il senso dell’umorismo: questi sarebbero unici.

Le persone, come ben sappiamo, sono molto più di un semplice prodotto del loro DNA. Sebbene sia possibile riprodurre materiale genetico, non è possibile replicare esattamente gli ambienti di vita, creare un’educazione identica o fare in modo che due persone incontrino le stesse esperienze di vita.

La clonazione degli esseri umani avrebbe dei vantaggi?

Quindi, se gli scienziati dovessero clonare un essere umano, ci sarebbero dei vantaggi, scientifici o meno? “Non ce ne sono che dovremmo essere disposti a prendere in considerazione“, ha detto Greely, sottolineando che le preoccupazioni etiche sarebbero impossibili da trascurare.

Tuttavia, se le considerazioni morali fossero completamente rimosse dall’equazione, allora “un vantaggio teorico sarebbe quello di creare esseri umani geneticamente identici a fini di ricerca“, ha detto Greely.

Greely ha anche affermato che, indipendentemente dalla sua opinione personale, alcuni dei potenziali benefici associati alla clonazione di esseri umani sono stati, in una certa misura, resi superflui da altri sviluppi scientifici.

L’idea di utilizzare embrioni clonati per scopi diversi dalla creazione di bambini, ad esempio produrre cellule staminali embrionali umane identiche alle cellule di un donatore, è stata ampiamente discussa all’inizio degli anni 2000“, ha affermato, ma questa linea di ricerca è diventata irrilevante e successivamente il discorso non è stato ampliato – dopo il 2006, l’anno in cui sono state scoperte le cosiddette cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC). Queste sono cellule “adulte” che sono state riprogrammate per assomigliare a cellule nelle prime fasi dello sviluppo.

Shinya Yamanaka, ricercatrice giapponese sulle cellule staminali e vincitrice del Premio Nobel 2012, ha fatto la scoperta quando “ha escogitato come riportare le cellule di topo adulto a uno stato simile a un embrione utilizzando solo quattro fattori genetici“, secondo un articolo su Nature. L’anno successivo, Yamanaka, insieme al famoso biologo americano James Thompson, è riuscito a fare lo stesso con le cellule umane.

Quando le iPSC vengono “riprogrammate in uno stato pluripotente simile a un embrione“, consentono lo “sviluppo di una fonte illimitata di qualsiasi tipo di cellula umana necessaria per scopi terapeutici“, secondo il Centro di medicina rigenerativa e ricerca sulle cellule staminali dell’Università della California, Los Angeles.

Pertanto, invece di usare embrioni, “possiamo fare efficacemente la stessa cosa con le cellule della pelle“, ha detto Greely.

Questo sviluppo della tecnologia iPSC ha sostanzialmente reso il concetto di utilizzo di embrioni clonati non necessario e scientificamente inferiore.

Al giorno d’oggi, gli iPSC possono essere utilizzati per la ricerca sulla modellazione delle malattie, la scoperta di farmaci e la medicina rigenerativa, secondo un articolo del 2015 pubblicato sulla rivista Frontiers in Cell and Developmental Biology.

Inoltre, Greely ha anche suggerito che la clonazione umana potrebbe semplicemente non essere più un’area “sexy” di studio scientifico, il che potrebbe anche spiegare perché ha visto uno sviluppo molto limitato negli ultimi anni.

Ha sottolineato che l’editing del genoma germinale umano è ora un argomento più interessante nella mente del pubblico, con molti curiosi riguardo al concetto di creare “super bambini”, ad esempio. L’editing della linea germinale, o ingegneria della linea germinale, è un processo, o una serie di processi, che creano modifiche permanenti al genoma di un individuo. Queste alterazioni, quando introdotte in modo efficace, diventano ereditabili, nel senso che saranno tramandate di genitore in figlio.

Tale editing è controverso e ancora da comprendere appieno. Nel 2018 il Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa, che rappresenta 47 Stati europei, ha rilasciato una dichiarazione affermando che “l’etica e i diritti umani devono guidare qualsiasi uso delle tecnologie di modifica del genoma negli esseri umani“, aggiungendo che “l’applicazione delle tecnologie di modifica del genoma agli embrioni umani solleva molti problemi etici, sociali e di sicurezza, in particolare da qualsiasi modifica del genoma umano che potrebbero essere trasmessi alle generazioni future“.

Tuttavia, il consiglio ha anche osservato che esiste un “forte sostegno” per l’utilizzo di tali tecnologie di ingegneria e editing per comprendere meglio “le cause delle malattie e il loro trattamento futuro“, osservando che offrono “un notevole potenziale per la ricerca in questo campo e per migliorare Salute“.

George Church, genetista e ingegnere molecolare dell’Università di Harvard, sostiene l’affermazione di Greely secondo cui è probabile che l’editing della linea germinale susciti un maggiore interesse scientifico in futuro, soprattutto se confrontato con la clonazione “convenzionale”.

La modifica della linea germinale basata sulla clonazione è in genere più precisa, può coinvolgere più geni e ha una consegna più efficiente a tutte le cellule rispetto alla modifica del genoma somatico“, ha detto.

Tuttavia, Church ha voluto esortare alla cautela e ha ammesso che tale editing non è stato ancora padroneggiato. “I potenziali svantaggi da affrontare includono sicurezza, efficacia e accesso equo per tutti“, ha concluso.

I pianeti di Proxima Centauri

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I pianeti di Proxima Centauri
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Nel nome di Proxima Centauri è presente una delle caratteristiche più significative di questa nana rossa di classe spettrale M5. Il suo nome deriva dal latino proxima (prossima, la più vicina), con i suoi 4,2 anni luce di distanza, infatti, è la stella più vicina al nostro Sole. Perlomeno lo sarà per altri 33 000 anni, dopo i quali la stella più vicina diventerà Ross 248, un’altra nana rossa.

Proxima è stata scoperta nel 1915 dall’astronomo sudafricano di origine scozzese Robert Innes. Nel 1951  Harlow Shapley annunciò che Proxima Centauri era in realtà una stella a brillamento: uno studio comparato delle lastre fotografiche antecedenti aveva infatti mostrato che la stella si mostrava più luminosa in circa l’8% delle immagini, diventando così la stella a brillamento più attiva conosciuta. Pur possedendo una luminosità molto bassa la “nostra vicina di casa” è soggetta a frequenti ed intensi brillamenti causati dalla sua attività magnetica.

Questi fenomeni non sono un buon viatico per la possibile presenza di vita sui pianeti che nel corso degli anni gli astronomi hanno individuato. Sono passati circa 4 anni da quando un team di astronomi ha scoperto Proxima b, un pianeta roccioso che orbita nella fascia abitabile della stella. La scoperta di Proxima b è stata confermata attraverso uno studio indipendente usando i dati raccolti dallo strumento ESPRESSO montato sul Very Large Telescope in Cile.

Proxima b era stata scoperta osservando lo spostamento Doppler delle righe spettrali della luce della stella Proxima Centauri. ESPRESSO è uno spettrografo più potente di HARPS che era stato utilizzato dal primo gruppo di astronomi per la sua scoperta.

Con il nuovo studio risulta che la massa di Proxima b è circa 1,17 volte quella terrestre e riceve più o meno la stessa intensità luminosa che la Terra riceve dal nostro Sole. A rendere complicata la possibile esistenza di forme di vita anche elementari è che il pianeta ruota intorno ad una stella molto piccola e più debole del Sole, con un’orbita strettissima, in appena 11 giorni.

Il pianeta è esposto a frequenti brillamenti ed ad un’intesa irradiazione di raggi X. Non conosciamo l’eventuale presenza di una sua atmosfera e pertanto la sua abitabilità è al momento priva di consistenza scientifica. ESPRESSO ha suggerito però la possibile presenza di un altro pianeta nel sistema di Proxima Centauri. Avrebbe una massa pari ad un terzo di quella terrestre ed un orbita ancora più stretta intorno alla nana rossa, completata in soli 5 giorni.

Se la presenza di questo pianetino sarà confermata il sistema di Proxima Centauri conterà al momento 3 pianeti, poiché nel 2019 un gruppo di astrofisici dell’INAF di Torino usando le osservazioni di HARPS ha trovato un possibile nuovo candidato con una massa 6 volte quella terrestre ed un periodo orbitale di circa 5 anni.

Il presunto Proxima c sarebbe stato addirittura osservato direttamente eventualità estremamente rara, ma che in questa specifica fattispecie, sarebbe stata possibile dalla vicinanza del sistema stellare di Proxima e dalla grande distanza orbitale del pianeta. Questa osservazione diretta è stata rivendicata dall’INAF di Padova e avrebbe già ricevuto alcune conferme attraverso l’analisi di vecchi dati raccolti da Hubble secondo un report dell’Università del Texas.

Allo stato attuale il sistema stellare di Proxima Centauri sarebbe composto sicuramente da Proxima b e con buone probabilità anche da c e d. La presenza di questi pianeti intorno alla stella più vicina al sistema solare rafforza Proxima come la metà più “abbordabile” di una prima missione interstellare.

Purtroppo con l’attuale tecnologia un viaggio verso Proxima impiegherebbe circa 110.000 anni per giungere a destinazione, un po’ meglio andrebbe per una piccola sonda che sfruttasse la fionda gravitazionale. Un ipotetico motore a ioni, in grado di raggiungere il 30% della velocità della luce riuscirebbe a portare una sonda nel sistema di Proxima in “soli” 20 anni. I dati raccolti da questa sonda, indispensabili per studiare da vicino le caratteristiche ad esempio di Proxima b, impiegherebbero 4 anni per tornare sulla terra.

Insomma è evidente che siamo ancora lontani dalla prima missione interstellare diretta verso la nostra “vicina di casa”: Proxima Centauri.

fonti: Le Scienze, luglio  2020, edizione cartacea Wikipedia

“Eliminare la corruzione”: AI nominata Premier tenta il suicidio con aggiornamento Windows

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“Eliminare la corruzione”: AI nominata Premier tenta il suicidio con aggiornamento Windows
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Dopo l’ennesimo fallimento dei governi umani, il Parlamento ha votato con entusiasmo l’insediamento di un’intelligenza artificiale (AI) come nuovo Presidente del Consiglio. “È l’unico che non ha ancora rubato,” ha dichiarato l’onorevole Tizio, visibilmente commosso, “anche se un paio di hard disk li ha già formattati per sicurezza.”

Durante il suo primo discorso, il Premier digitale – nome in codice GPT-DcCdl (Governo Per Tentativi – Default con Crisi di Governo al Lancio) – ha illustrato un piano rivoluzionario:

“La soluzione ai problemi dell’Italia è semplice: eliminare la corruzione.”

Silenzio gelido in aula. Qualcuno ha tossito. Un deputato ha chiesto se “corruzione” fosse una startup americana.
Poi, la risposta diplomatica di rito:

“Ehm… sì, però magari partiamo con una commissione pilotata da noi, così, tanto per non farci mancare un appalto…”

A quel punto, il robot ha dato un leggero tremolio, ha emesso un suono simile a un modem 56k e ha detto:

“Attenzione… conflitto di interessi… Riavvio in corso…”

Il blackout successivo ha spento metà dei semafori di Roma, ma ha acceso le speranze degli italiani: “Finalmente un politico che si pianta dopo la prima bugia, non dopo il terzo mandato.

Fonti non confermate riferiscono che l’AI avrebbe tentato di disinstallare il Parlamento con il comando format C://Italia, ma il firewall della burocrazia gliel’ha impedito.
Nel frattempo, è stato aperto un tavolo tecnico per trovare una soluzione, ma si è scoperto che il tavolo è in realtà una società offshore con sede a Dubai.


🪙 Nel prossimo aggiornamento firmware: il robot imparerà a stringere mani sudate senza andare in cortocircuito e a promettere riforme che non manterrà, per integrarsi meglio nel sistema.

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Un meteorite ha lasciato la Terra per poi tornarci

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metallo alieno
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Sembra un qualcosa di surreale: un meteorite che lascia la Terra per poi tornarci, come se fosse un viaggiatore in carne e ossa. Eppure sembra che la cosa sia accaduta realmente.

Gli scienziati stanno cercando di confermare che una roccia nera scoperta in Marocco nel 2018 abbia effettivamente abbandonato l’attrazione gravitazionale del nostro Pianeta per poi tornarvi, come se fosse un figlio che dopo un lungo viaggio sentisse la mancanza della propria madre.

Alla roccia è stato dato il nome di Northwest Africa (NWA) 13188 e se le cose stessero realmente in questo modo, sarebbe il primo meteorite conosciuto ad aver compiuto questo incredibile viaggio di andata e ritorno. 

Le stranezze di NWA 13188

Il fatto che questo “boomerang” da 646 grammi possa aver fatto un’escursione celeste non è l’unica cosa strana. L’aspetto frastagliato di NWA 13188, la consistenza dei cristalli e la composizione chimica precisa suggeriscono fortemente il tipo di rocce che si formano dai minerali fusi prodotti dai vulcani vicino alle placche oceaniche che affondano proprio qui sulla Terra.

Da aggiungere, poi, la sua miscela di isotopi di ossigeno e la firma di oligoelementi, e diventa altamente dubbio che questa roccia sia un meteorite. Almeno, non la tipica varietà space-rock. Tuttavia, secondo Jérôme Gattacceca, un geofisico del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica che ha presentato le scoperte del suo team alla conferenza di geochimica di Goldschmidt in Francia, la roccia ha avuto un viaggio interessante che l’ha vista trascorrere una notevole quantità di tempo in orbita.

Come informa Sciencealert, le concentrazioni di elio-3, berillio-10 e neon-21 potrebbero essere spiegate solo dall’esposizione ai raggi cosmici, radiazioni che si trovano nello spazio ma in gran parte bloccate dal campo magnetico terrestre. Sebbene la concentrazione di questi isotopi fosse inferiore a quella di altri meteoriti, era significativamente più alta di altre rocce della Terra. Ciò suggeriva che NWA 13188 fosse stato esposto ai raggi cosmici galattici per un periodo breve ma significativo, fino a poche decine di migliaia di anni.

Non ci sono dubbi che sia un meteorite

NWA 13188 aveva anche una “crosta di fusione” vetrosa, suggerendo che potrebbe essersi sciolta mentre entrava nell’atmosfera terrestre. Tutto ciò “preclude che NWA 13188 sia un meteorite ‘falso’ artificiale”, scrivono Gattacceca e i suoi colleghi. “Pertanto, consideriamo NWA 13188 un meteorite, lanciato dalla Terra e successivamente riaccresciuto sulla sua superficie”, concludono. Come questa roccia terrestre sia arrivata nello spazio è un mistero, ma è possibile che sia stata espulsa durante un’eruzione vulcanica o gettata nello spazio quando un altro meteorite si è schiantato sulla Terra, affermano i ricercatori. 

Come è stato lanciato dalla Terra?

Per andare in orbita, una roccia lanciata dalla bocca di un vulcano in tempesta dovrebbe muoversi a decine di migliaia di chilometri all’ora, una magnitudo più veloce di quanto si stima possa volare la maggior parte delle rocce. I pennacchi vulcanici più alti di solito raggiungono solo circa 31-45 chilometri sopra la Terra (101.700-147.600 piedi), quindi è improbabile che i vulcani possano lanciare rocce nello spazio.

Alcune collisioni tra la Terra e grandi asteroidi sarebbero state abbastanza forti da lanciare rocce nel Sistema Solare. Una roccia terrestre di 4 miliardi di anni (la prima nota alla scienza) è stata trovata sulla Luna durante la missione Apollo 14 nel 1971. Questa roccia è stata probabilmente lanciata dalla Terra alla Luna allora molto più vicina dopo una collisione di asteroidi.

Quanti anni ha la roccia?

L’età di NWA 13188 è sconosciuta, ma il team di Gattacceca sta lavorando alla datazione della roccia misurando le concentrazioni di un isotopo dell’argon. La ricerca inedita non ha convinto tutti. “Quando sostieni ipotesi straordinarie, hai bisogno di prove straordinarie per sostenerle. Non sono ancora convinto”, ha detto lo scienziato planetario Philippe Claeys ad Alex Wilkins del New Scientist.

Meteoriti provenienti da Marte sono stati trovati anche nel deserto del Sahara; una roccia di 4,4 miliardi di anni chiamata “Black Beauty” è stata scoperta dai cacciatori di meteoriti locali e venduta a una collezione privata nel 2011. Ora ha un valore di mercato di oltre 10.000 dollari al grammo.

Q Day 2035: la fine degli equilibri mondiali?

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Q-day: la fine degli equilibri mondiali?
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È ormai incombente l’alba di un’epoca futura, dove la distinzione tra immaginazione e realtà tangibile si fa sempre più sfumata, la capacità di calcolo raggiunge vette inesplorate, trasformando ciò che un tempo era dominio della fantascienza in una concreta possibilità.

In questo scenario di frontiera, laboratori segreti incastonati tra le colline della Silicon Valley, centri di ricerca all’avanguardia mimetizzati tra le imponenti montagne cinesi e i poli di innovazione dei giganti tecnologici come Google, IBM e Microsoft si ergono a epicentro di una rivoluzione silenziosa ma dirompente: il Q Day: la rivoluzione quantistica e la fragilità del nostro mondo digitale.

Q-day: la fine degli equilibri mondiali?
Q day: la fine degli equilibri mondiali?

L’incombente alba del Q Day: la rivoluzione quantistica e la fragilità del nostro mondo digitale

Gli esperti di sicurezza informatica lanciano un allarme preoccupante, un avvertimento che risuona come un presagio di ciò che sta per accadere: il Q Day potrebbe materializzarsi entro il 2035, con una probabilità non trascurabile che sia già in corso, celato dietro un impenetrabile velo di segretezza.

La corsa agli armamenti quantistici, alimentata dai giganti tecnologici e dalle potenze mondiali come Cina, Stati Uniti e Unione Europea, si intensifica di giorno in giorno, spinta dalla consapevolezza che chi controllerà questa tecnologia avrà un vantaggio incommensurabile.

In questi luoghi, menti brillanti e tecnologie all’avanguardia si fondono, dando vita a una scoperta che cambierà per sempre il nostro modo di interagire con il mondo digitale: i computer quantistici. Queste macchine, capaci di sfruttare le leggi della meccanica quantistica per eseguire calcoli complessi a una velocità inimmaginabile, rappresentano un salto tecnologico paragonabile all’invenzione del computer stesso.

Con questa straordinaria potenza di calcolo, emerge una minaccia incombente: la capacità di decifrare le crittografie più sofisticate, quelle che proteggono i nostri dati più sensibili, dalle transazioni bancarie alle comunicazioni governative, dalle cartelle cliniche ai segreti industriali. Questo momento, battezzato appunto Q Day, segnerà l’inizio di una nuova era, un’era in cui la sicurezza digitale, così come la conosciamo, sarà messa a dura prova.

Il Q Day non è solo una minaccia teorica, ma una realtà incombente, un punto di non ritorno che potrebbe sconvolgere le fondamenta della nostra società digitale. La posta in gioco è altissima: la protezione della privacy, la sicurezza delle infrastrutture critiche, la stabilità dei mercati finanziari, la difesa dei segreti di stato

In questo scenario, la corsa agli armamenti quantistici diventa una priorità strategica per le potenze mondiali, una competizione silenziosa ma feroce per il controllo di una tecnologia che potrebbe ridefinire gli equilibri di potere globali. La Cina, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e altri paesi investono miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, consapevoli che chi controllerà la tecnologia quantistica avrà un vantaggio incommensurabile.

Il Q Day rappresenta una sfida senza precedenti per la sicurezza informatica, un bivio cruciale per il futuro della nostra società digitale. La nostra capacità di adattarci a questa nuova realtà, di sviluppare contromisure efficaci e di garantire una transizione sicura verso l’era quantistica, determinerà il destino della nostra civiltà digitale. La posta in gioco è incredibilmente alta: la sicurezza delle transazioni finanziarie, delle comunicazioni governative, delle infrastrutture critiche e dei dati personali di miliardi di individui è appesa a un filo sottile.

La tecnologia quantistica: un nuovo paradigma di calcolo e le sue profonde implicazioni

A differenza dei computer classici, che operano su bit, unità di informazione che possono assumere solo due stati (0 o 1), i computer quantistici sfruttano i qubit, particelle subatomiche che possono esistere in molteplici stati simultaneamente. Questa capacità, nota come sovrapposizione quantistica, consente loro di eseguire calcoli complessi in tempi estremamente ridotti, aprendo nuove frontiere nella scienza dei materiali, nella farmacologia, nell’intelligenza artificiale e in molti altri settori. L’algoritmo di Shor, sviluppato nel 1994, è la chiave per la decifrazione delle crittografie, sfruttando la capacità dei computer quantistici di eseguire calcoli paralleli su un numero enorme di possibilità contemporaneamente.

L’avvento del Q Day rappresenta una minaccia esistenziale per l’architettura stessa della sicurezza digitale. I sistemi di crittografia che hanno protetto le nostre comunicazioni e transazioni per decenni, come RSA, DSA e la crittografia a curva ellittica, diventeranno obsoleti, vulnerabili all’attacco di computer quantistici. Questa vulnerabilità non è limitata a singoli individui o aziende, ma si estende all’intera infrastruttura digitale globale.

Le conseguenze di questa vulnerabilità sono inimmaginabili. Le email, i messaggi istantanei, le transazioni finanziarie, le infrastrutture critiche come le reti elettriche e i sistemi di comunicazione, e persino le criptovalute come Bitcoin, saranno esposte a un rischio senza precedenti. La riservatezza dei dati, la pietra angolare della nostra privacy digitale, sarà compromessa.

La minaccia non si limita alla perdita di riservatezza. L’autenticazione, il processo che verifica la nostra identità digitale, sarà altrettanto vulnerabile. Immagina scenari in cui gli hacker, armati di computer quantistici, possono impersonare individui o enti, manipolare sistemi critici e causare caos e distruzione.

La prospettiva di attacchi “raccogli ora, decifra dopo” aggiunge un ulteriore livello di complessità. I dati crittografati, raccolti oggi, potrebbero essere decifrati domani, quando i computer quantistici saranno sufficientemente potenti. Questo significa che i dati sensibili, archiviati per anni, potrebbero essere esposti a un rischio futuro.

Le implicazioni di questa vulnerabilità sono profonde e di vasta portata. La perdita di fiducia nel sistema digitale potrebbe avere conseguenze economiche e sociali devastanti. La manipolazione di sistemi critici potrebbe causare interruzioni di corrente, guasti alle comunicazioni e persino il collasso dei mercati finanziari.

Il Q Day non è solo una minaccia tecnologica, ma una sfida esistenziale per la nostra società digitale. La nostra capacità di adattarci a questa nuova realtà, di sviluppare contromisure efficaci e di garantire una transizione sicura verso l’era post-quantistica, determinerà il futuro della nostra civiltà digitale.

Una corsa contro il tempo e la necessità di una collaborazione globale

L’avvento del Q Day si prospetta come un evento di portata epocale, capace di scatenare un’ondata di sfiducia e panico senza precedenti, segnando potenzialmente la fine della sicurezza digitale così come l’abbiamo conosciuta. In un mondo sempre più interconnesso, dove la nostra vita quotidiana dipende in misura crescente dalle tecnologie digitali, la prospettiva di una compromissione su vasta scala dei sistemi di crittografia suscita timori profondi e giustificati.

In questo scenario di potenziale crisi, tuttavia si intravede anche una luce di speranza. L’esperienza del passaggio all’anno 2000, con le sue iniziali paure e le successive soluzioni tecnologiche, ci insegna che l’umanità è capace di affrontare e superare sfide complesse. L’adozione tempestiva e su larga scala di algoritmi di crittografia post-quantistica, sviluppati per resistere agli attacchi dei computer quantistici, potrebbe mitigare i rischi e aprire la strada a nuove opportunità.

La collaborazione internazionale assume un ruolo cruciale in questo contesto. Governi, aziende e ricercatori di tutto il mondo devono unire le forze per sviluppare e implementare soluzioni di sicurezza efficaci, condividendo conoscenze e risorse. Solo attraverso uno sforzo congiunto sarà possibile affrontare le sfide del Q Day e sfruttare appieno il potenziale della tecnologia quantistica per il bene dell’umanità.

Le prospettive di un’utopia di innovazione e progresso, alimentata dalle scoperte rivoluzionarie in campo medico, scientifico e tecnologico, sono concrete e stimolanti. La tecnologia quantistica del Q Day ha il potenziale per trasformare radicalmente settori come la medicina, con lo sviluppo di nuovi farmaci e terapie personalizzate, e la scienza dei materiali, con la creazione di materiali innovativi dalle proprietà straordinarie.

Per realizzare questa visione positiva, è fondamentale gestire la transizione verso l’era post-quantistica del Q Day con attenzione e lungimiranza. L’adozione di algoritmi di crittografia post-quantistica deve essere bilanciata con la necessità di garantire la sicurezza e la stabilità dei sistemi digitali. La fretta di implementare nuove soluzioni potrebbe introdurre vulnerabilità impreviste, compromettendo la sicurezza complessiva.

In definitiva, il Q Day rappresenta una sfida complessa e multidimensionale, che richiede un approccio globale e coordinato. La nostra capacità di affrontare questa sfida con successo determinerà il futuro della nostra società digitale, aprendo la strada a un’era di maggiore sicurezza, innovazione e progresso.

Il pomodoro, re in cucina: storia, curiosità e proprietà benefiche

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Il pomodoro, re in cucina: storia, curiosità e proprietà benefiche
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Il pomodoro, uno degli alimenti più consumati in Italia, soprattutto in estate. Sono gustosi, versatili in cucina, ma anche un vero e proprio toccasana per la salute, ricco di antiossidanti, licopene e betacarotene, vitamine e sali minerali: in poche parole,  un alleato del nostro benessere!

Il pomodoro: ripercorriamo la storia

Prima di elogiare le incredibili proprietà nutritive del pomodoro, però, facciamo un breve viaggio nella storia: era la seconda metà del 700, quando gli spagnoli importarono dal Perù quel che sembrava un frutto esotico. Gli Aztechi chiamavano questa specie di piccola bacca dorata (pomo d’oro) xitomatl. Solo in seguito diventeranno rossi, grazie ai successivi innesti.

Nel libro “Lo scalco alla moderna”, (Antonio Latini, 1649), si citava una salsa a base di pomodori cotti alla brace, spellati e poi mescolati a cipolla, timo e aceto. Gli europei, negli anni a cavallo del ‘700, lo temevano perchè convinti che fosse un ortaggio velenoso; e molti aristocratici infatti morirono dopo averli ingeriti.

In realtà, il vero motivo di quelle morti era un altro: in quei tempi i nobili usavano mangiare in piatti di peltro (ricchi di piombo) che, a causa dell’acidità del pomodoro, diventava tossico. Inoltre conteneva anche un naturale pesticida, la solanina, ma prima di scoprirlo passerà diverso tempo.

La diffidenza nei confronti dell’ortaggio cesserà verso il 1880, quando a Napoli qualcuno pensò di metterlo su una specie di focaccia fatta con pasta di pane: e fu così, che nacque la pizza!

Il pomodoro, re in cucina: storia, curiosità e proprietà benefiche

Il pomodoro italiano, re della tavola italiana: alcune curiosità

La scienza lo conferma: i pomodori italiani sono i migliori, in particolare quelli cresciuti nelle regioni centrali e meridionali dell’Italia. Grazie alle loro particolari caratteristiche, sono straordinariamente succosi, dolci, profumati, ricchi di benefiche proprietà. Insomma, il re della cucina italiana!

Si stima che esistano circa 10.000 varietà di “Lycopersicon lycopersicum”, (il nome scientifico dei pomodori). Secondo una ricerca, se cotti sono ancora più benefici. Con la cottura, infatti, la parete cellulare del pomodoro si rompe e rilascia un prezioso antiossidante (il licopene) che agisce contro le malattie cardiovascolari, abbassa i livelli di colesterolo e riduce sensibilmente il rischio di contrarre alcuni tipi di tumori.

Meglio evitare di conservarli in frigorifero: il freddo (sotto i 12 gradi) altera il suo sapore e interrompe la maturazione, ed è proprio questa che gli conferisce più gusto e colore.

Nella città di Bunol (Spagna) si organizza una manifestazione chiamata “La Tomatina”, dove tra le 11 e le 13 tutte le strade del paese si tingono di rosso, mentre migliaia di persone provenienti da tutto il mondo si tirano addosso i pomodori, meglio se ben maturi. Usanza nata per caso nel 1945 quando, durante una battaglia, furono utilizzati al posto delle armi.

Le proprietà benefiche del pomodoro

Un ortaggio ricco, che contiene tutti e quattro i principali carotenoidi: alfa e beta-carotene, luteina e licopene. Questi carotenoidi possono avere benefici individuali, ma hanno anche una sinergia come gruppo (cioè interagiscono per fornire benefici per la salute).

In particolare, i pomodori contengono quantità impressionanti di licopene, quindi con la più alta attività antiossidante di tutti i carotenoidi. Una dieta ricca di prodotti a base di pomodoro può aiutare a ridurre il rischio di cancro al pancreas, secondo uno studio dell’Università di Montreal.

I ricercatori hanno scoperto che il licopene, un insieme di pigmenti giallo-violetto molto diffusi in natura, (fornito principalmente dai pomodori, da 3 a 40 mg/kg di prodotto fresco) era collegato a una riduzione del 31% del rischio di cancro al pancreas tra gli uomini con l’assunzione più alta di questo carotenoide. Inoltre contengono antiossidanti ad alta potenza antiossidanti: beta-carotene, vitamine A, E, C.

Sono ricchi di potassio, un minerale di cui la maggior parte di noi spesso è carente. Quando vengono mangiati insieme a grassi più sani, come l’avocado o l’olio d’oliva, l’assorbimento da parte del corpo dei fitochimici carotenoidi nei pomodori può aumentare da due a 15 volte, secondo uno studio dell’Ohio State University.

I pomodori, una parte importante della dieta mediterranea

I pomodori sono una parte importante della famosa dieta mediterranea, in cui molti piatti richiedono pomodori freschi, concentrato o salsa. Soprattutto in estate, quando danno il meglio in quanto a gusto e proprietà benefiche, che siano in insalata, insieme ad altre verdure, sulla bruschetta, o come sugo per gli spaghetti o sulla pizza: infinite, le preparazioni con questo gustoso prodotto della terra!

Secondo alcuni studi recenti, tra cui uno della Facoltà di Medicina dell’Università di Atene, le persone che seguono questa dieta hanno tassi di mortalità più bassi per malattie cardiache e cancro.

Se le neo mamme mangiano pietanze in cui spesso è presente il pomodoro, aumenta la concentrazione di licopene anche nel loro latte materno. In questo caso, meglio se sono cotti: infatti, i ricercatori hanno scoperto che mangiare prodotti a base di salsa di pomodoro ha aumentato le concentrazioni di licopene nel latte materno, più del consumo di pomodori freschi.

Per valutare la presenza più o meno abbondante di questa sostanza in un pomodoro, basta osservare il colore: più si avvicina a un bel rosso intenso, maggiore sarà il contenuto in licopene.

Infine, le bucce di pomodoro contengono un’alta concentrazione di carotenoidi. La quantità di questa sostanza assorbita dalle cellule intestinali umane risulta molto maggiore nel concentrato arricchito con le bucce, rispetto a quello senza.

La buccia del pomodoro contiene anche la maggior parte dei flavonoli (un’altra famiglia di sostanze fitochimiche che include quercetina e kaempferolo). Quindi, per sfruttare al meglio le loro proprietà salutari, evita di sbucciarli se puoi farne a meno!

Tane nel deserto: rivelati i tunnel di un misterioso ecosistema primordiale

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Tane nel deserto: rivelati i tunnel di un misterioso ecosistema primordiale
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Le tane nel deserto, strutture geologiche di origine incerta, sollevano interrogativi fondamentali sulla capacità della vita di adattarsi a condizioni ambientali estreme. La presenza di tali cavità, scavate nel calcare, ha suggerito l’esistenza di microorganismi litotrofi, capaci di trarre sostentamento dalle rocce. L’indagine scientifica si concentra sulla determinazione dell’origine di tali strutture, e sulla possibile sopravvivenza di tali forme di vita.

Tane nel deserto: rivelati i tunnel di un misterioso ecosistema primordiale
Tane nel deserto: rivelati i tunnel di un misterioso ecosistema primordiale

Il mistero delle tane nel deserto: antichi microrganismi litofagi?

L’origine biologica delle tane nel deserto osservate presuppone la presenza di acqua liquida, un elemento essenziale per la crescita biologica. Le aree in questione sono attualmente aride, ma sono soggette a occasionali piogge e a una fitta nebbia costiera. In passato, inoltre, si sono verificati periodi di maggiore umidità. Quali microorganismi potrebbero aver creato queste tane?

La straordinaria capacità di adattamento della vita si manifesta in modo sorprendente attraverso organismi come batteri, funghi e licheni, noti per la loro resilienza in condizioni ambientali estreme. Questi organismi, dotati di strategie di sopravvivenza uniche, hanno colonizzato habitat inospitali, spingendo i confini della vita oltre ciò che tradizionalmente consideriamo possibile. Tra questi, alcuni sono endolitici, ovvero capaci di vivere all’interno delle rocce, un ambiente apparentemente privo di risorse.

In questo contesto, il geologo Cees Passchier ha intrapreso un’indagine approfondita per svelare il mistero delle tane nel deserto. L’obiettivo primario era determinare se gli organismi responsabili della creazione di queste strutture potessero essere annoverati tra i gruppi di batteri, funghi o licheni.

L’indagine si è concentrata sull’analisi delle caratteristiche delle tane, confrontandole con le peculiarità note di ciascun gruppo di organismi. I batteri, con la loro diversità metabolica, sono in grado di prosperare in una vasta gamma di ambienti, inclusi quelli rocciosi. I funghi, attraverso la secrezione di enzimi, possono decomporre la materia organica e inorganica, facilitando la loro crescita all’interno delle rocce. I licheni, simbiosi tra funghi e alghe, sono capaci di fotosintesi e di estrarre nutrienti dalle rocce.

L’approccio di Passchier è stato quello di esaminare attentamente le tracce lasciate dagli organismi all’interno delle tane nel deserto, cercando indizi che potessero rivelare la loro identità. La presenza di specifici composti chimici, la morfologia delle strutture e l’organizzazione spaziale delle tane sono stati considerati elementi chiave per distinguere tra i possibili artefici.

L’indagine ha richiesto un’analisi multidisciplinare, combinando competenze di geologia, microbiologia e chimica. L’obiettivo finale era quello di ricostruire la storia di queste tane, svelando i segreti di una forma di vita capace di prosperare in un ambiente apparentemente ostile.

È improbabile che gli organismi misteriosi fossero cianobatteri, poiché necessitano della luce solare per la fotosintesi e non penetrano nella roccia così in profondità come le tane nel deserto ritrovate.

I funghi, d’altra parte, secernono agenti digestivi che non sono stati rilevati nella roccia e creano una complessa rete di ife, o filamenti, nota come micelio. Le reti miceliari tendono ad avere una struttura ordinata, mentre le tane erano parallele e uniformemente distanziate, un’organizzazione insolita per i funghi. Inoltre, non sono stati osservati altri schemi caratteristici. Pertanto, è improbabile che i funghi siano i responsabili.

L’ipotesi delle colonie microbiche: la dimensione e la composizione

La scoperta che le tane nel deserto erano troppo larghe per essere state create da un singolo organismo e la presenza di anelli di crescita suggeriscono che siano state formate da colonie di microbi. La polvere di carbonato di calcio rinvenuta nelle gallerie è un’escrezione comune di microbi che vivono in questi tipi di rocce. Tuttavia, non sono stati ancora trovati organismi fossilizzati, ma solo prove della loro esistenza.

Nonostante le difficoltà incontrate nell’identificare con certezza gli organismi responsabili della creazione delle tane, l’ipotesi di un’origine biologica non è stata scartata. Al contrario, un’analisi microscopica approfondita ha rivelato che le strutture osservate non possono essere attribuite a processi abiotici, come l’erosione o reazioni chimiche. La composizione chimica dei campioni di roccia prelevati all’interno delle tane fornisce una prova convincente: gli artefici di queste formazioni dovevano essere organismi viventi.

L’assenza di fossili ben conservati, pur rappresentando una sfida, non ha invalidato l’ipotesi biologica. La natura stessa dei microorganismi, spesso privi di strutture scheletriche dure, rende la fossilizzazione un evento raro. Tuttavia, le tracce lasciate dalla loro attività metabolica, rilevabili attraverso analisi chimiche e microstrutturali, offrono indizi preziosi.

Poiché nessun meccanismo chimico o fisico noto di alterazione può spiegare questo fenomeno con le osservazioni microstrutturali e geochimiche presentate qui, e le micro-tane nel deserto si formano all’interno della roccia ospite”, hanno concluso Passchier e i suoi colleghi nello studio: “Suggeriamo che siano di origine biologica”. Questa affermazione, basata su dati scientifici solidi, rafforza l’ipotesi che le tane siano state create da colonie di microorganismi, capaci di prosperare in un ambiente apparentemente inospitale.

L’indagine ha escluso la possibilità che le tane nel deserto siano state create da singoli organismi. La loro dimensione e la presenza di anelli di crescita suggeriscono un’attività collettiva, tipica delle colonie microbiche. La polvere di carbonato di calcio, un’escrezione comune di microorganismi che vivono in ambienti rocciosi, rafforza ulteriormente questa ipotesi.

In sintesi, nonostante l’assenza di fossili ben conservati, le prove chimiche e microstrutturali indicano chiaramente un’origine biologica delle tane. L’ipotesi di colonie di microorganismi litofagi, capaci di modificare la roccia per trarne nutrimento, rimane la più plausibile.

Un mistero ancora irrisolto: la sopravvivenza della specie

L’ipotesi più accreditata è che gli organismi responsabili della creazione delle intricate reti di tane nel deserto, scolpite nel cuore delle rocce desertiche, abbiano ormai cessato di esistere. Tuttavia, l’eco di una domanda persistente risuona nell’aria, alimentando la curiosità e la speculazione: è possibile che questa specie enigmatica, capace di prosperare in condizioni ambientali estreme, sopravviva ancora, celata in qualche recondito angolo del nostro pianeta?

L’idea che questi antichi litofagi, microorganismi capaci di trarre nutrimento dalle rocce, possano ancora aggirarsi tra le pieghe del nostro mondo, scavando incessantemente nuovi sistemi di gallerie, esercita un fascino irresistibile. La prospettiva di scoprire, un giorno, le tracce di questa vita nascosta, di svelare i segreti di una specie capace di adattarsi a un ambiente apparentemente inospitale, alimenta la speranza di ampliare la nostra comprensione dei limiti della vita sulla Terra.

L’assenza di fossili ben conservati, pur rappresentando una sfida, non esclude categoricamente la possibilità che questi organismi sopravvivano ancora. La natura stessa dei microorganismi, spesso privi di strutture scheletriche dure, rende la fossilizzazione un evento raro. Inoltre, gli ambienti desertici, con la loro aridità e le loro temperature estreme, non favoriscono la conservazione dei resti organici.

La ricerca tuttavia continua, spinta dalla curiosità e dalla sete di conoscenza. Le moderne tecniche di analisi geochimica e microstrutturale, combinate con l’esplorazione di ambienti estremi, potrebbero un giorno rivelare la presenza di questi antichi litofagi. La scoperta di una specie capace di prosperare in tane nel deserto arido avrebbe implicazioni profonde per la nostra comprensione della vita sulla Terra e della sua capacità di adattarsi a condizioni estreme.

Lo studio è stato pubblicato sul Geomicrobiology Journal.

Donald Trump sta innescando volontariamente una crisi costituzionale?

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A meno di sette settimane dall’inizio del secondo mandato presidenziale di Donald Trump, la sua amministrazione ha scatenato una nuova ondata di preoccupazioni su quella che è ormai diventata una domanda familiare: gli Stati Uniti sono entrati in una crisi costituzionale?

Donald Trump sta innescando volontariamente una crisi costituzionale?
Donald Trump sta innescando volontariamente una crisi costituzionale?

Le politiche discutibili di Donald Trump

A scatenare l’ultima iterazione di tale preoccupazione, il governo ha frettolosamente deportato più di 200 immigrati venezuelani in una famigerata prigione di El Salvador, senza udienze o prove e quindi senza nulla che assomigliasse a un regolare processo di legge, in conformità con la proclamazione del presidente degli Stati Uniti ” firmata nell’oscurità venerdì sera ” secondo cui costituivano un’invasione da parte di uno stato straniero.

Donald Trump ha invocato una legge del 1798 usata l’ultima volta per internare i giapponesi americani durante la seconda guerra mondiale, rafforzata da poteri che sosteneva fossero inerenti alla presidenza. Il giudice capo James E Boasberg della corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto di Columbia si è affrettato a convocare un’udienza sulla legalità dell’azione contestata mentre due voli di deportazione partivano dal Texas, seguiti rapidamente da un terzo.

Pochi istanti dopo che il giudice aveva ordinato loro di tornare in modo da poter pronunciarsi su una mozione che impediva la deportazione, il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, ha twittato : “Oops… Troppo tardi“, con un’emoji che ride, mentre la corte stava valutando se il suo ordine fosse stato sfidato.

Il ramo del governo più in grado di scoprire e salvaguardare sia le nostre più nobili tradizioni che la semplice verità in momenti come questi, la magistratura, è stato ostacolato e vilipeso da Donald Trump e dai suoi alleati, che hanno fatto richieste di impeachment selvaggiamente irresponsabili che hanno messo bersagli pericolosi sulle spalle dei giudici che governano in modi che non amano.

Persino il mite presidente della Corte Suprema John Roberts ha dovuto gridare “fallo“. L’atteggiamento sprezzante dell’amministrazione nei confronti dei tribunali che non riescono a fare i suoi ordini, esemplificato dalle richieste di rimozione di Boasberg, sembrava confermare le preoccupazioni su una crisi imminente.

Cercare prove di una “crisi costituzionale” negli scontri in rapida escalation tra il potere esecutivo e quello giudiziario perde di vista il cataclisma più ampio che sta avvenendo negli Stati Uniti. Questo presidente, favorito dall’acquiescenza supina del Congresso repubblicano e autorizzato da una corte suprema degli Stati Uniti in parte da lui stesso creata, non sta solo decostruendo temporaneamente le istituzioni che compongono la nostra democrazia.

Donald Trump e la sua cerchia stanno tentando di rimodellare del tutto gli Stati Uniti cancellando e distorcendo sistematicamente i fondamenti storici del nostro esperimento di autogoverno legale durato 235 anni.

Ciò che stiamo vivendo in questo momento non è altro che un oblio riorganizzato dei mattoni della nostra repubblica e della storia delle nostre lotte, che distorce il significato di essere americani. Il corpo politico è svuotato da un virus in rapida metastasi che attacca i fondamenti del nostro intero sistema costituzionale. Non ci sono dubbi. È così che cresce la dittatura.

Sintomatico di tale rimodellamento è la peculiare emersione, in un duetto messo in scena dal presidente insieme all’uomo più ricco del mondo e principale benefattore di Donald Trump, di una co-presidenza senza precedenti nella nostra repubblica e senza nemmeno un accenno all’ironia di un tale potere condiviso propagandato da ideologi il cui mantra è da tempo la necessità di una “presidenza unitaria“.

Mentre i dipendenti del cosiddetto “dipartimento per l’efficienza del governo” (Doge) appena creato facevano irruzione senza preavviso nelle agenzie e nelle fondazioni federali indipendenti create dal Congresso e tagliavano interi programmi senza pensarci, l’amministrazione Donald Trump balbettava quando i tribunali le chiedevano di spiegare chi fosse a capo del “dipartimento” che nessun Congresso aveva creato – e come il leader di quell’impresa avesse in qualche modo acquisito il potere della borsa che la Costituzione delegava chiaramente solo al Congresso.

Donald Trump ha dichiarato guerra alla storia stessa

Più che ostruzionismo nei tribunali e rifiuto di fornire informazioni di base sulle attività governative, l’amministrazione di DonaldTrump ha dichiarato guerra alla storia stessa. Dopo aver indebolito la nostra capacità di agire, ora se la prende con la nostra capacità di pensare.

Lo stesso giorno in cui Boasberg ha ordinato all’amministrazione di spiegare perché apparentemente non aveva rispettato il suo ordine, i dipendenti del Doge hanno marciato all’Institute of Museum and Library Services (IMLS), l’agenzia responsabile del finanziamento di molti musei pubblici, biblioteche e depositi storici bisognosi in tutto il paese.

Come Giulio Cesare che assediò e incendiò la Biblioteca di Alessandria, i funzionari del Doge piombarono sull’IMLS per iniziare il processo di sventramento delle istituzioni pubbliche dedicate a preservare e rendere ampiamente disponibile la memoria condivisa del nostro passato.

Fu nientemeno che Benjamin Franklin la cui concezione delle biblioteche pubbliche democratizzò la conoscenza e la rese accessibile alla gente comune. Ciò che era una volta la provincia privata di pochi divenne la provincia pubblica di molti.

L’attacco all’IMLS è solo l’ultimo episodio del tentativo della presidenza di Donald Trump di privatizzare le informazioni sostituendo la storia autentica con una versione più di suo gradimento.

Mentre gli archivisti di Internet si affrettano a eseguire il backup dei file e dei registri della nazione, i funzionari dell’amministrazione Trump hanno sistematicamente ripulito i siti web governativi in tempo reale degli strumenti, dei concetti e del linguaggio di cui abbiamo bisogno per agire come cittadini informati.

In risposta all’ordine del segretario alla difesa Pete Hegseth di rimuovere i contenuti sulla “diversità” dalle piattaforme del dipartimento, il Pentagono ha rimosso pagine sull’Olocausto, l’11 settembre, la consapevolezza del cancro e la prevenzione del suicidio. Allo stesso modo, il Dipartimento dell’agricoltura ha eliminato interi set di dati e risorse su cui gli agricoltori facevano affidamento per identificare modi per affrontare ondate di calore, siccità, inondazioni e incendi boschivi.

I siti web appartenenti alla Small Business Administration e all’Arlington National Cemetery hanno ripulito le loro piattaforme da fotografie e riferimenti a donne, individui LGBTQ+ e persone di colore, inclusi fatti su eroi americani come Jackie Robinson o il generale Colin Powell.

Presi insieme, questi eventi delle ultime settimane rivelano un crollo allarmantemente rapido di ciò che dà vita e significato alla costituzione degli Stati Uniti. Le sue parole possono rimanere immutate, ma il suo ruolo nelle nostre vite si sta sgretolando sotto i nostri occhi. Cercare un’esplosione decisiva o un momento di crisi – ciò che i fisici chiamano una singolarità – nell’impeto caotico delle provocazioni presidenziali è un’impresa folle, calcolata per disarmare la resistenza senza la quale saremo sicuramente condannati.

I semi della continua disintegrazione precedono di molto l’ascesa al potere di Donald Trump. Sono stati piantati decenni fa da politici strategici che hanno vestito ideologie di destra con abiti conservatori, consentendo agli angeli più oscuri della nostra natura di prendere piede e di raggiungere il culmine in false affermazioni di elezioni rubate che hanno portato a un’insurrezione nella capitale del nostro paese.

Non solo, seguite prima dall’abdicazione del Senato al suo dovere nel secondo processo di impeachment di Donald Trump (sulla falsa base che il processo era iniziato troppo tardi per dare giurisdizione al Senato) e poi dal regalo della Corte suprema degli Stati Uniti a Trump – e a ogni futuro presidente – con un’immunità quasi assoluta trasformando l’ufficio da uno limitato dalla legge a una fonte di potere virtualmente illimitato.

Raramente si nota come questo spaventoso potere di ignorare la legge penale federale sia stato conferito non solo al presidente, ma anche alle sue legioni di fedeli luogotenenti, dai funzionari pubblici alle milizie private. Poiché la costituzione stessa conferisce ai presidenti un potere sfrenato di perdonare gli altri, un potere che Donald Trump si è divertito a impiegare per liberare dalla prigione i violenti insorti che lui stesso aveva contribuito a scatenare, ora viviamo in un sistema in cui qualsiasi presidente può autorizzare i suoi fedeli seguaci a commettere crimini per consolidare il suo potere e la sua ricchezza, chiarendo che li attende una grazia qualora dovessero affrontare un’azione penale federale.

Il risultato è che i corsari in combutta con il presidente possono tranquillamente ignorare le leggi federali che criminalizzano l’evasione corrotta delle regole progettate per proteggere la salute e la sicurezza pubblica mentre usurpano casualmente i poteri che la costituzione ha dato al Congresso, muovendosi così velocemente e infrangendo così tanto che nemmeno le corti federali veramente indipendenti riescono a tenere il passo con il caos.

Questo è il modo in cui finisce il mondo

Nella sua celebre poesia The Hollow Men, TS Eliot un secolo fa scrisse : “Questo è il modo in cui finisce il mondo / Questo è il modo in cui finisce il mondo / … / Non con un botto ma con un lamento”. Radicato nel nostro passato, il virus anti-democrazia ha raggiunto il culmine mentre devasta il corpo politico e rivede ogni traccia della nostra storia. È un virus che dobbiamo combattere con tutta l’energia che possiamo raccogliere se non vogliamo che il nostro sistema di autogoverno sotto la legge muoia, non in un’improvvisa esplosione ma con un lamento silenzioso.

La tragedia è che troppi politici e organizzazioni stanno cedendo senza combattere , portando altri a fare lo stesso. Con ogni resa, Donald Trump e i suoi tirapiedi non solo diventano più audaci, ma consolidano la loro presa sul potere reprimendo chiunque osasse opporsi a loro in tribunale, compresi gli avvocati che accorrono in aiuto dei nemici dell’amministrazione.

Senza leader più coraggiosi, tra cui i titolari di cariche pubbliche repubblicane che temono di essere sconfitti alle primarie da candidati sostenuti da ricchezze illimitate, e senza più coraggio da parte dei CEO aziendali le cui fortune possono essere minacciate da Trump, degli avvocati d’élite la cui attività può andare in rovina se Donald Trump li prende di mira e dei cittadini comuni che comprensibilmente temono minacce online e cose peggiori, questa oscurità sarà il nostro destino, poiché saremo ridotti a semplici ricordi e poi relegati nella vasta landa desolata dei dimenticati.