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Il 23 settembre l’ennesima fine del mondo ma state tranquilli, sarà di nuovo rimandata…

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26 settembre 2017 – Aggiornamento: Davide Meade, visto che il mondo non è finito il 23 settembre né si è visto in giro Nibiru, ha, come previsto, corretto la sua previsione, spostando la fine del mondo al 21 ottobre. La faccenda è ormai scaduta in farsa e abbiamo ritenuto sufficiente pubblicare questo breve aggiornamento in questo articolo senza pubblicarne uno nuovo.

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Il teorico delle cospirazioni David Meade ha sostenuto che l’eclissi che avverrà dopo questo mese segnerà l’inizio della fine del mondo. L’autore di classici del cospirazionismo come Rapture 2015 Planet X e la fuga di Hitler in Argentina afferma che il pianeta X colliderà con la Terra poco dopo l’eclissi solare, di fatto, anticipando la sua precedente previsione che situava l’impatto nel mese di ottobre.

I teorici della cospirazione credono da lungo tempo all’esistenza del pianeta “Nibiru”, o “Planet X”, che, si suppone, arrivi dal limite esterno del sistema solare e che, sempre secondo loro, spazzerà via l’umanità quando colliderà con la Terra.

L’esistenza di Nibiru fu proposta per la prima volta nel 1995 da Nancy Lieder, la fondatrice del sito cospirazionista Zetatalk, nel quale sostiene di avere un impianto cerebrale che le permette di parlare con gli alieni. Secondo la Lieder il pianeta Nibiru avrebbe dovuto collidere con la Terra già nel 2003, cosa che, ovviamente non è accaduta.

 

Successivamente Nibiru fu collegato alla presunta profezia Maya che prevedeva la fine del mondo per il 21 dicembre 2012. Ancora una volta non è successo niente.

Ora David Meade pensa di avere stabilito la data definitiva della fine del mondo: il 23 settembre 2017.

David ha riferito al Daily Star  che l’eclissi che si svolgerà questo mese è un “il segnale” dell’apocalisse. La sua convinzione si baserebbe sul Libro di Isaia nell’Antico Testamento della Bibbia, che comprende passaggi che parlano dei peccatori che saranno distrutti, come:

“Vedi, il Giorno del Signore è venuto – una giornata crudele, con rabbia e feroce rabbia – per rendere il paese desolato e distruggere i peccatori dentro di essa” e “Il sole in aumento sarà oscurato e la luna non darà la sua luce “.

Nel suo ultimo libro, Planet X – The 2017 Arrival, Meade afferma che Nibiru sarò portato verso la Terra dalla gravità di una stella “gemella” del Sole, la famigerata compagna scura del sole, nota come Nemesis. Sulla base dell’allineamento delle stelle, Meade afferma che lo scontro di pianeti avverrà 33 giorni dopo l’eclissi solare del 21 agosto.

Quindi dobbiamo prepararci alla fine del mondo, raccomandare le nostre anime ed espiare i nostri peccati? Saremo davvero spazzati via da Nibiru? No e no. Ma esiste Nibiru? Ancora, no.

L’osservazione e alcune prove basate sulle anomalie gravitazionali ci dicono che deve esistere un Planet Nine  e altri oggetti all’interno del nostro Sistema Solare, nella zona della nube di Oort ma niente può fare ciò che, secondo i cospirazionisti, dovrebbe fare Nibiru. Tanto per dirne una, le principali cause dei cambiamenti climatici sulla Terra sono antropiche e non hano alcuna relazione con l’avvicinamento di un pianeta che non esiste.

Nibiru e altre storie su pianeti invisibili sono una truffa diffusa su Internet. Non c’è nessuna base scientifica a supporto di queste affermazionispiegò la NASA nel 2012. “Se Nibiru esistesse e fosse in rotta di collisione con la Terra, gli astronomi lo avrebbero individuato e tracciato da almeno una decade e sarebbe ormai visibile ad occhio nudo”.

Insomma, si tratta delle solite balle messe in giro da chi ci specula sopra guadagnando con libri, filmati, eventi e pubblicità su internet. Ovviamente, la fine del mondo sarà ancora una volta rimandata a data da destinarsi.

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Mappata al CERN l’impronta digitale dell’antimateria

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L’esperimento ALPHA in corso al CERN cerca di rispondere a una delle questioni fondamentali della fisica: perché c’è più materia che antimateria nell’universo? Si tratta di uno studio complicato perché l’antimateria è notoriamente difficile da contenere e non appena un atomo di antimateria tocca la materia comune, entrambi entrambi gli atomi si annichiliscono.

Ciononostante, sono state fatte delle misure per capire meglio l’inusuale struttura e il comportamento dell’antimateria, e una nuovo poster pubblicato di recente su Nature spiega cosa è stato fatto e capito. Utilizzando tecniche all’avanguardia, un team internazionale di fisici è riuscito a osservare, per la prima volta, un qualcosa in un atomo di antidrogeno – la controparte dell’idrogeno comune – denominato “struttura iperfina”.

Gli atomi di materia sono circondati da elettroni, al contrario, gli antiatomi di antimateria antimateria sono circondati da positroni (detti anche antielettroni). Quando le particelle e le antiparticelle vengono energizzate, saltano “in su” ad uno stato di energia più elevato e quando perdono energia, cadono “in basso” in uno stato di energia più basso.

Visto da una prospettiva “ingrandita”, questo fenomeno è noto come struttura raffinata; Zoomato ad un livello più dettagliato, è conosciuto come struttura iperfina.

Questo fenomeno è stato osservato nei comuni atomi di idrogeno da molti decenni e il CERN afferma ora di averlo osservato in atomi di anti-idrogeno. nonostante sembrasse una cosa ovvio, per la prima volta si è potuto osservare nei fatti che non esiste alcuna differenza nelle strutture iperfine tra idrogeno e anti-idrogeno.

Per effettuare l’osservazione, sono stati creati anti-atomi di anti-idrogeno attraverso una serie di collisioni ad alta energia.

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Questo è solo l’inizio di una ricerca molto lunga e ardua per capire l’antimateria. Agnieszka Skalska / Shutterstock

Per ogni milione di collisioni di particelle, vengono create all’incirca quattro coppie protone-antiprotone. Utilizzando campi magnetici estremamente potenti, questi antiprotoni vengono quindi allontanati e portati all’Antiproton Decelerator, per ridurre la loro velocità dal 96% al 10% della velocità della luce.

Un atomo di idrogeno tipico contiene solo un protone, un anti-atomo anti-idrogeno contiene solo un antiprotone. Isolando questi nell’ALPHA  e utilizzando esplosioni mirate di energia a microonde per eccitarli energeticamente, si è potuta osservare con notevole precisione la struttura iperfina dell’antimateria.

Alcuni hanno identificato questa come “l’impronta digitale” spettrale dell’antidrogeno, una caratteristica identificativa chiave unica. Ora che l’esperimento è stato documentato, si potranno ripetere gli stessi esperimenti per campioni più pesanti di antimateria, incluso l’antihelium.

Infine, l’intero spettro atomico sconosciuto sarà completamente mappato dai cartografi del CERN e forse uno dei più grandi enigmi del nostro tempo sarà più vicino all’essere risolto.

Un’antica area artigianale di origine romana ritrovata nei pressi di Benevento

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Il nostro paese si arricchisce continuamente di nuove scoperte archeologiche che contribuiscono a rendere sempre più interessante e unico il nostro patrimonio culturale accrescendone il già grande interesse per studiosi e turisti.

Questa volta è stato scoperto un quartiere artigianale romano adibito alla produzione di ceramica. Risale all’epoca compresa tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C. ed è stato individuato lungo il tracciato dell’Appia Antica, nei pressi di Masseria Grasso, a pochi chilometri da Benevento. La scoperta si deve agli archeologi dell’Università di Salerno guidati dal prof. Alfonso Santoriello (Cattedra di Archeologia dei Paesaggi) nell’ambito del progetto Ancient Appia Landscapes, nato nel 2011 in seguito a una convenzione stipulata tra il Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università degli Studi di Salerno e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta e Benevento. Con questo progetto l’università di Salerno supporta la Rete dei Comuni dell’Appia, che punta a realizzare il Museo lineare dell’Appia, ideato dall’Associazione Iconema. Il progetto prevede un museo diffuso lungo il tratto da Benevento a Mirabella Eclano (Avellino), con il coinvolgimento anche dei territori di San Giorgio del Sannio, San Nicola Manfredi, Calvi, Bonito, Venticano e Apice.

Il progetto Ancient Appia Landscapes invece interessa, con attività di ricerca, il territorio compreso tra il ponte Leproso (Benevento) e il ponte Rotto (nel comune di Apice). Attraverso la verifica di segni e tracce archeologiche sul terreno, “vuole ricostruire non solo il tracciato della strada consolare, ma anche un contesto più vasto, in cui possano essere messe in valore le dinamiche insediative e le caratteristiche ambientali nel loro complesso, dando forma e vita ai paesaggi del passato, intesi come interazione dell’uomo con l’ambiente” ha detto l’archeologo Santoriello.

Prima dello scavo gli archeologi hanno studiato tutta l’area con campagne annuali di indagine di superficie e indagini stratigrafiche di verifica, condotte con un approccio multidisciplinare, ossia attraverso georadar, analisi geomagnetiche, immagini satellitari, foto aeree e da drone. Queste analisi hanno permesso di ricostruire un quadro dettagliato delle trasformazioni del paesaggio nel corso del tempo e individuare strutture nascoste nel sottosuolo, messe in luce poi dal successivo scavo. Il primo rinvenimento riguarda un tratto dell’antica Via Appia, venuto alla luce in località Masseria Grasso. La strada, delimitata ai bordi da elementi lapidei di varia pezzatura, misura circa 5,60 metri ed è compatibile con le ampiezze delle strade consolari. Poco distante invece è stato individuato un quartiere artigianale articolato su diversi ambienti, disposti attorno ad almeno due fornaci. È stato verosimilmente utilizzato per la produzione di ceramica tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C. La dismissione dell’attività produttiva è avvenuta successivamente ed è documentata dall’accumulo di scarti di lavorazione e di reperti con difetti di cottura nei punti di accesso alle fornaci. ”Una delle due fornaci – ha detto Santoriello – era certamente adibita alla produzione di ceramica a pareti sottili, con forme come bicchieri e boccaletti”. Sull’altra, gli esperti, stanno invece facendo ancora le valutazioni. L’intero sito è stato frequentato a partire almeno dal IV sec. a. C. Secondo l’archeologo Santoriello tutte le tracce individuate sembrano finora confermare l’identificazione della stazione Nuceriola, distante quattro miglia romane, o chilometri 5,924 dall’antica Porta Somma, dove oggi è la Rocca dei Rettori. Gli esiti delle indagini lasciano supporre quindi che il percorso della via Appia dopo l’uscita da Benevento all’altezza della Rocca dei Rettori potesse attraversare questo settore per poi giungere alla successiva statio ad Calorem posta dalle fonti nei pressi di Ponte Rotto.

Le ricerche sono state condotte grazie ai fondi stanziati dall’Università di Salerno-Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici, al contributo di Unpli (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia) Regione Campania e Genti delle Alture, anche l’agriturismo “I Tufini” sostiene il progetto attraverso la messa a disposizione di locali destinati alle ricerche.

Oltre agli aspetti strettamente scientifici, il progetto punta alla promozione e alla condivisione della conoscenza, finalizzate alla valorizzazione delle risorse culturali ed economiche del territorio interessato dal passaggio dell’Appia.

Near Death Experience, le esperienze di pre morte

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Inizia tutto con una luce bianca, abbandoni il tuo corpo, sali verso l’alto e rimani a osservarlo su un letto d’ospedale o la barella di un’ambulanza. Dopo, risucchiato a velocità vertiginosa all’interno di un tunnel, ti ritrovi in un luogo di pace e serenità, in uno stato di beatitudine assoluta incontri persone che un tempo hai amato sulla Terra. Però non è ancora arrivata la tua ora, non puoi restare in questo posto beato ma sappi che alla fine ne farai parte“.

L’esperienza di pre morte è un insieme di sensazioni e visioni che persone in punto di morte hanno l’impressione di vivere. In questa esperienza si sperimenta l’uscita fuori dal corpo che viene visto da angolazioni diverse, spesso dall’alto e si ha in genere anche memoria dei fatti che in quel momento stanno succedendo attorno al moribondo, medici che si affannano attorno al malato, infermieri, parenti. Altra visione ricorrente è quella del tunnel, una sorta di passaggio tra la nostra dimensione e quella ultraterrena, un tunnel che nel suo ultimo tratto mostra una luce che una volta raggiunta porta una sensazione di benessere e di pace.

Ci sono anche dei casi di N.D.E. che raccontano di esperienze negative, di presenze demoniache, di visioni di inferni danteschi che ci attenderebbero oltre questa vita.

Molti ritengono che queste esperienze, sorprendentemente simili, siano la prova dell’esistenza dell’anima che si dirige in un posto che molti non faticano a chiamare paradiso.

Ma ci sono spiegazioni? Perché chi sperimenta una N.D.E. vede il proprio corpo come se ne fosse uscito? cosa rappresenta il tunnel e la luce? Possono essere spiegate in qualche modo?

Esistono situazioni simili a quelle appena descritte spiegabili attraverso i normali processi neurofisiologici e psicologici. Una spiegazione alla visione del tunnel ad esempio è lo stato in cui si trova il cervello dopo un minor apporto di ossigeno come può accadere in un trauma cranico, che inibisce l’attività delle cellule nervose che causano un restringimento del campo visivo dando la sensazione di guardare da dentro un tunnel.

Le esperienze di uscita dal corpo sperimentate durante una N.D.E. vengono vissute da altri soggetti in particolare stato di affaticamento o in situazioni di stress emotivo.

Il meccanismo che spiega l’uscita dal corpo è chiamato depersonalizzazione somatopsichica e appartiene alla sfera dei disturbi dissociativi. In presenza di un grande stress emotivo, dopo un incidente, prima di un’operazione chirurgica, la paura può creare allucinazioni che depersonalizzano il vissuto come se appartenesse ad un’altra persona. Il resto contribuiscono a crearlo le nostre credenze religiose che portano i soggetti che vivono un’esperienza cosi forte ad aggiungere involontariamente immagini di fantasia.

La N.D.E. è certamente suggestiva ma si accorda pienamente con i processi psicofisiologici conosciuti.

Il progetto blue book

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Il Project Blue Book fu uno studio condotto dall’aeronautica militare statunitense (USAF), avviato nel 1951 e concluso nel 1969 sui casi di avvistamento di UFO avvenuti tra il 1947 e il 1969 nel territorio statunitense e in buona parte delle Americhe e dell’Europa.

Lo scopo delle indagini era quello di determinare se gli UFO costituissero una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

La decisione di interrompere il progetto maturò in seguito alla pubblicazione del rapporto conclusivo (intitolato “Scientific Study of Unidentified Flying Objects”, ma più noto come Rapporto Condon) che aveva concluso che 21 anni di studi sugli UFO non avevano prodotto nulla di rilevante dal punto di vista scientifico.

Nonostante tanti ufologi e appassionati del fenomeno UFO accusino i vari Governi di insabbiare il fenomeno, possiamo trovare su internet il sito “https://www.archives.gov/research/military/air-force/ufos.html” che raccoglie i 12.618 casi documentati in oltre 130 mila pagine, catalogati dall’ Air Force che studiava e catalogava tutte le segnalazioni UFO cercando di capire se il fenomeno potesse essere di origine esogena alla Terra e se in tal caso fosse potenzialmente pericoloso.

Fino a poco tempo fa, i documenti erano consultabili solo presso il National Archives di Washington. I documenti sono stati rilasciati grazie alla perseveranza del curatore del sito The Black Vault, John Greenewald che, avvalendosi del Freedom of Information Act, ha chiesto e ottenuto dal Governo statunitense di avere tutti i documenti.

Nonostante la mole dei dati raccolti, gli ufologi contestarono le conclusioni dello studio concluso nel 1969.

Lo studio concludeva che solo 701 segnalazioni su 12.618 non potevano essere spiegate in termini conosciuti, cioè con aerei, palloni, satelliti, meteore, uccelli o comunque fenomeni riconducibili alla natura o a attività umane. I 701 casi non potevano essere spiegati in nessun modo e restavano quindi non identificati, UFO nel vero e proprio senso del termine, nessuna attività aliena era quindi presente sul pianeta Terra secondo le conclusioni dello studio.

Quando Ike incontrò i grigi…

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Per tanti ufologi e moltissimi sostenitori dell’ufologia gli UFO sono ordigni pilotati da esseri alieni che visitano la Terra da tantissimo tempo, tutti gli avvistamenti, i rapporti e le documentazioni declassificate lo proverebbero e per loro, soprattutto, questo basta.

Da tempo circola una storia, quella che vede come protagonista niente meno che il 34° Presidente degli Stati Uniti, e che vede, di tanto in tanto, sbucare nuovi testimoni, per dovere di cronaca, indiretti e questo a noi scettici basta per farci una prima idea di massima sulla credibilità di certe affermazioni.

Timothy Good, ufologo, violinista anche nella Royal Philarmonic Orchestra, ha collaborato alle musiche di serial televisivi, film, pubblicità, oltre ad aver partecipato alla registrazione di album di Phil Collins, Depeche Mode, George Harrison, Elton John, Paul McCartney, Rod Stewart e U2, raccontò in un programma televisivo che Dwight D. Eisenhower, incontrò per ben tre volte una delegazione di extraterrestri appartenenti alla specie dei Grigi. Gli incontri, mai confermati da esponenti del governo, si sarebbero tenuti nel febbraio del 1954, all’interno della Holloman Air Force Base, nel New Mexico. All’incontro parteciparono anche alti dirigenti della FBI.

Tutte le volte che il Presidente doveva incontrare la delegazione aliena, veniva detto che egli si trovava in vacanza a Palm Springs. L’idea pare però non abbia funzionato molto bene…

Indiscrezioni

Eisenhower avrebbe assistito all’atterraggio della nave spaziale il cui equipaggio, pare, abbia chiesto al Presidente di rendere pubblica la notizia della loro presenza sulla Terra. Evidentemente Eisenhower ignorò tale consiglio ma ci hanno pensato altri a raccontarci tutto alla faccia della segretezza, sembra proprio che i responsabili dell’occultamento di questi fatti eclatanti non riescano mai a fare bene il loro lavoro, o secondo alcuni ufologi, sarebbero parte di un progetto di “rilascio controllato di informazioni” per far si che la popolazione mondiale si abitui alla presenza aliena, mentre per altri, sarebbero notizie create ad arte per gettare discredito sul fenomeno. In un modo o nell’altro gli ufologi riescono comunque a scrivere sull’argomento, la fantasia non manca e le gole profonde, seppure dopo decenni e di seconda o terza mano, non mancano di certo.

Pericoli per la Terra

Perché gli alieni hanno voluto incontrare il Presidente Eisenhower? Pare, ma non si sa con certezza, che gli alieni grigi siano a conoscenza di un fenomeno che interessa la Terra ogni 25.000 anni, gli alieni sarebbero a conoscenza di molte cose del nostro futuro e vorrebbero aiutarci. I grigi avrebbero detto ad Eisenhower che il pianeta sarebbe in pericolo, e che potrebbe essere colpito ciclicamente da meteoriti, loro non possono proteggerci ma consigliarono al Presidente di costruire uno scudo difensivo.

Queste rivelazioni vennero fatte da Good in un’intervista televisiva, grazie al suo curriculum e alle collaborazioni con importanti musicisti chi meglio di lui, può illuminarci su sconosciuti segreti dello spazio? Dotarsi di titoli altisonanti, come ex collaboratore del Pentagono fa certamente effetto anche se il Pentagono lo avrebbe solamente invitato.

Le sue non sono le uniche indiscrezioni, come detto, ci sono altri ufologi che raccontano del fantomatico incontro, Richard Boylan ad esempio su Edicolaweb, nell’articolo “Eisenhower disse ‘no'” sostiene che nel 54 il Presidente Eisenhower partì segretamente per Muroc field, oggi chiamata Edwards, base dell’USAF.

Dove?

Holloman air force base o Muroc field?

Gli alieni secondo gli ufologi non si mostrano perché non siamo pronti, ma continuano ad essere visti, filmati, fotografati e pare, continuino a rapire esseri umani, cosi almeno ci dicono caterve di libri e documentari su youtube.

No, decisamente non siamo pronti.

L’esopianeta Proxima b non dovrebbe poter sostenere la vita

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Un annetto fa si parlò di un esopianeta particolarmente, in termini relativi, vicino a noi, interessante sia per la distanza relativamente abbordabile sia per la possibilità che potesse avere le condizioni per ospitare la vita, tanto che si ipotizzò su come inviarci delle microsonde spinta da potenti fasci laser in grado di raggiungerlo in pochi decenni. Questo pianeta era Proxina b.

Ora uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters da parte del Goddard Space Flight Center della NASA, suggerisce che questo pianeta posto a soli 4,3 anni luce da noi non dovrebbe essere in grado di ospitare la vita.

In particolare, lo studio sostiene che il pianeta, probabilmente, non potrebbe sostenere un’atmosfera simile a quella della Terra a causa della sua vicinanza alla nana rossa Proxima Centauri. Una simulazione effettuata ponendo il nostro pianeta, la Terra, nella stessa orbita di Proxina b indicherebbe che l’attività della stella avrebbe spazzato via la nostra atmosfera in poco tempo.

Il tasso di perdita atmosferica di Proxima b, che orbita intorno al suo sole in 11.2 giorni terrestri, è risultato essere 10.000 volte più veloce di quello della Terra intorno al Sole. Se confermato, questo dato porterebbe ad escludere proxina b dai pianeti in grado di ospitare la vita perché, pur essendo nella zona abitabile, senza atmosfera non potrebbe avere acqua allo stato liquido..

Negli ultimi tempi le nane rosse sono sottoposte a studi particolarmente approfonditi perché  sono le stelle più numerose della nostra galassia. In particolare, il sistema di TRAPPIST e Proxima centauri presentano l’ulteriore vantaggio di essere piuttosto vicini alla Terra e possono essere osservati meglio.

Proxima Centauri e altre nane rosse, però, sono attive. Ciò significa che la quantità di radiazione ultravioletta che colpisce Proxima b è centinaia di volte superiore a quella che colpisce Terra.

Questo studio guarda ad un aspetto di solito poco valutato, la perdita atmosferica da parte dei pianeti nel contesto della fisica stellare“, ha detto Shawn Domagal-Goldman, uno scienziato del Goddard non coinvolto nello studio. “I pianeti hanno diversi sistemi interattivi e è importante assicurarsi di includere queste interazioni nei nostri modelli“.

la simulazione effettuata ha dimostrato che Proxima b, che dovrebbe avere sui 4 miliardi di anni, avrebbe perso la sua atmosfera in un periodo variabile tra 100 milioni e 2 miliardi di anni.

Questo studio segna una batuta d’arresto nelle speranze di trovare la vita, non solo su Proxima b ma anche, ad esempio, sui sette pianeti di Trappist, quasi tutti compresi nella zona abitabile dell’orbita della stella che, però, è una nana rossa, come Proxima Centauri

FETI UMANI NEI VACCINI? MA NEANCHE PER SOGNO!

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di Andrea Cossarizza

Reccom Magazine ringrazia il professor Guido Silvestri per averci autorizzato a condividere i testi informativi pubblicati sulla sua pagina facebook.

Un’altra delle bufale che girano recentemente nel web riguarda la presenza di feti umani nei vaccini. Se non proprio feti, la cui presenza sarebbe piuttosto evidente anche senza un microscopio di alcun tipo, almeno di tessuti e cellule fetali o loro frammenti. La storia nasce probabilmente dal fatto che a qualcuno un po’ troppo impressionabile è stato spiegato che per preparare alcuni tipi di vaccino servono cellule umane (assolutamente vero), e che in qualche caso si usano anche cellule di polmone di un feto (pure questo è vero). Cerchiamo quindi di fare chiarezza in merito.

1. Perché servono delle cellule per produrre vaccini contro alcuni virus? Semplicemente perché, a differenza dei batteri, i virus non crescono se non all’interno di cellule, di cui sfruttano tutti i possibili organelli. Per ottenerne in grandi quantità non c’è altro modo che coltivarli “in vitro” facendoli produrre a cellule di vario genere.

2. Perché cellule umane e non di altra specie? Alcuni tipi di virus hanno un tropismo molto selettivo per cellule umane. In altre parole, durante l’evoluzione si sono modificati in modo da poter infettare solamente esseri umani e non altri mammiferi. Questo vale anche all’opposto. Per fare un esempio, pensate che il virus dell’immunodeficienza felina (FIV, feline immunodeficiency virus, lontanissimo parente dell’HIV) infetta soltanto i gatti – e semmai altri felini meno frequenti nelle nostre zone. Il FIV è piuttosto diffuso, e in alcune parti della nostra amata penisola fino al 20% degli animali che ci difendono dai topi e/o si stravaccano sul nostro divano guardandoci con un certo disprezzo (il mio lo fa regolarmente, tranne quando rientra dalle scorribande notturne e ha fame) ne sono infetti. Ma il FIV non infetta cellule umane, perché i recettori che lega sono fatti un po’ diversamente dai nostri. Quindi, se un gattino di cui non conoscete lo stato sierologico vi graffia, nessun problema, non vi verrà l’AIDS. Così come non viene l’AIDS ai gatti che graffiano delle persone con HIV. Capito questo, torniamo ai vaccini. Se dobbiamo produrre una certa quantità di virus per poi inattivarli ed usarli come vaccini, non possiamo allestire colture usando cellule di un’altra specie, semplicemente perché non verrebbero infettate, i virus non si potrebbero riprodurre al loro interno e non sarebbero quindi rilasciati in coltura.

3. Da chi si prelevano queste cellule? Per ottenere le cellule necessarie allo scopo, uno scienziato non prende a caso dei volontari, estrae qualche tipo di cellula dal sangue o da altri tessuti, e poi la utilizza. Le cellule usate sono linee cellulari stabilizzate da decenni, hanno diversa origine, e si dividono velocemente “in vitro” senza bisogno di particolari stimoli se non un po’ di mezzo di coltura contenente siero, antibiotici e qualcosa per tamponare l’acidità che si crea durante la loro proliferazione. Il tutto oggi (ma non 50 anni fa!) è molto semplice, e funziona benissimo.

4. Perché cellule embrionali o fetali? Cellule di questa origine presentano diversi vantaggi. Il primo è che, anche se non sono di origine tumorale, spesso non necessitano di alcuno stimolo per dividersi, e possono crescere per decenni (vedi oltre). Un secondo vantaggio è che non sono mai state esposte ad alcun agente infettivo “in vivo”, cioe’ prima di vedere il virus che si usa per infettarle “in vitro”. Ricordiamo che, grazie alla mamma e al suo sistema immunitario, fino alla nascita ogni essere umano è ultra-protetto da infezioni e nasce praticamente sterile. Nelle prime ore di vita, ma non prima di nascere, viene a contatto con migliaia se non milioni di batteri o virus che deve riconoscere ed eventualmente combattere (questa è un’altra storia che racconteremo, che spiegherà bene perché non c’è nessun problema a usare molti vaccini insieme anche in tenera età). Le cellule fetali quindi non hanno avuto contatti con nessun tipo di patogeno, e non ne possono albergare, neanche integrati e nascosti nel loro genoma. Il terzo vantaggio è che alcune di queste cellule hanno esattamente la stessa origine di quelle che il virus infetta “in vivo”, e quindi possono produrre una grande quantità di particelle virali con le stesse caratteristiche antigeniche di quelle da combattere.

5. Da dove vengono le cellule fetali e si producono ancora? Alcune delle cellule usate per allestire colture umane su cui coltivare virus provengono da aborti terapeutici fatti negli anni ’60. In quel periodo, mantenere colture cellulari non era proprio una cosa banale e richiedeva una grandissima competenza. In particolare, nel 1962 alcune cellule derivate da tessuto polmonare sono state coltivate al Wistar Institute di Filadelfia e lì denominate WI-38. In Inghilterra, nel 1966, cellule polmonari provenienti da un altro feto sono state coltivate presso il Medical Reseach Council di Wiltshire e chiamate MRC-5. In entrambi i casi le cellule coltivate erano quelle che formano il tessuto connettivo, cioè i fibroblasti. Questi fibroblasti sono quindi diventati due linee cellulari “continue”, capaci di moltiplicarsi indefinitamente, e lo fanno benissimo anche oggi, a oltre 50 anni di distanza. Ci sono poche altre linee prodotte negli anni seguenti allo stesso modo, ma queste due sono le più usate. “In vitro” le linee non formano alcun tessuto, ma crescono semplicemente l’una vicino all’altra finché c’è spazio e nutrimento (entrambi forniti dal ricercatore) per tutti.

6. Quali sono i vaccini che si producono in questo modo? Abbiamo due categorie di vaccini, quelli usati per le immunizzazioni di routine (i primi quattro del seguente elenco) e quelli che si usano in altre circostanze (gli ultimi due):
– Rosolia (MERUVAX II/Merck, parte del MMR II/Merck, e ProQuad/Merck)
– Epatite A (VAQTA/Merck, Havrix/GlaxoSmithKline, e parte del Twinrix/GlaxoSmithKline)
– Varicella (Varivax/Merck, e parte del ProQuad/Merck)
– Herpes Zoster (Zostavax/Merck)
– Adenovirus di tipo 4 e tipo 7 (Barr Labs)
– Rabbia (IMOVAX/Sanofi Pasteur)

7. Chi ne ha tratto beneficio e quali problemi morali si pongono? Ne hanno tratto beneficio miliardi di persone, come facilmente immaginabile. Bisogna considerare che non esiste in questo caso alcun tipo di manipolazione genetica o altro: si è presa una parte di un tessuto, sono state isolate le cellule diploidi che sono quindi cresciute spontaneamente senza formare tessuti, e quindi usate per produrre vaccini. Cellule “diploidi” non è un termine terribile come alcuni pensano: tutte le cellule del nostro organismo che hanno due set di cromosomi (uno ereditato dalla mamma, l’altro dal padre) sono definite diploidi. Milioni di miliardi. Le cellule della linea germinale (oocita e spermatozoo), che quando si fondono danno origine a un nuovo individuo, hanno invece un solo set di geni. Per inciso, la tecnologia basata sull’uso di linee cellulari fetali per la produzione di vaccini ha avuto la PIENA APPROVAZIONE della Chiesa Cattolica al punto che, parlandone a riguardo, papa Benedetto XVI nel 2003 ha dichiarato che: “La vaccinazione universale ha causato una considerevole caduta della rosolia congenita, portandola all’incidenza di meno di 5 casi per 100.000 bambini nati vivi”.

8. Nelle preparazioni di vaccini possono essere presenti cellule? Senza entrare troppo in noiosi e complicati dettagli tecnici, la preparazione dei vaccini segue diversi passaggi ben codificati e standardizzati. A partire dal fatto che le cellule usate crescono aderenti alla base della piastra di coltura e non si staccano, entrano in gioco sofisticati processi di ultrafiltrazione, di ultracentrifugazione, di modificazioni del pH del mezzo ed altro ancora. Si arriva quindi alla completa sicurezza, e nei vaccini c’è soltanto quello che serve. I controlli di qualità imposti dalle regolamentazioni internazionali sono talmente stretti che è impensabile ci siano anche solamente tracce di cellule.

9. Chi ha recentemente dimostrato che i vaccini non contengono cellule fetali? Che i vaccini non contengano cellule fetali o parti di tali cellule lo dimostrano paradossalmente e senza ombra di dubbio gli studi dei “nanopatologi”, che non hanno mai visto nient’altro che fantomatiche nanoparticelle, delle quali abbiamo già parlato fin troppo. Con i potenti mezzi a disposizione (microscopio elettronico in primis) in tutti i vaccini analizzati finora non sono mai state viste cellule, pezzi di membrana plasmatica, mitocondri o altri organelli. Rispetto a una eventuale nanoparticella, il volume di un organello intracellulare è maggiore di qualche milione di volte, quello di una cellula intera di qualche miliardo. Non possiamo quindi pensare che se nei vaccini ci fosse qualcosa di tutto ciò gli occhi esperti dei sopraccitati “scienziati” non lo avrebbero prontamente individuato, immediatamente descritto nei dettagli, e portato all’attenzione generale. Ergo, il rumorosissimo silenzio sulla presenza di cellule fetali o di loro frammenti nei vaccini ne dimostra indiscutibilmente l’assenza!

Il caso Travis Walton: rapito dagli alieni?

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Secondo tanti siti che ancora pubblicizzano la storia, il presunto rapimento del boscaiolo Travis Walton, che ha ispirato anche un film, è un caso di rapimento molto attendibile e particolare, attendibile perché agli eventi parteciparono diversi testimoni e particolare perché il rapimento è diverso da quelli classici narrati dall’ufologia.

La sera del 5 novembre del 1975, sette boscaioli, tra i quali il loro capo Mike Rogers, che effettuavano opera di disboscamento nella zona di Turkey Springs, stavano tornando a casa dopo aver finito il loro turno di lavoro.

Il 22 enne Travis Walton, assieme ai suoi compagni di lavoro, stava percorrendo la strada che li avrebbe riportati a Snowflake quando, all’improvviso, videro un grande disco metallico e luminoso che irradiava un’intensa luce che filtrava attraverso gli alberi della foresta. Il disco doveva avere un diametro di circa sei metri e due e mezzo di altezza. Rogers bloccò il mezzo e Travis nonostante le urla degli amici si precipitò fuori dal furgone nel tentativo di avvicinare lo strano oggetto. Travis fu colpito da un raggio di luce blu-verde che lo fece cadere al suolo apparentemente privo di sensi.

Rogers, forse spaventato ingranò la marcia e con il resto del gruppo corse via dal luogo dell’avviatamento. Poco dopo, riacquistata un pò di lucidità il gruppo decise di tornare sul luogo dell’avvistamento ma di Travis Walton non c’era nessun segno. Spaventati chiamarono lo sceriffo della contea Gillespie che, dopo un vano sopralluogo, non credette a quanto raccontatogli dai boscaioli, secondo lui o era successo un incidente o avevano essi stessi fatto qualcosa a Travis inventandosi poi la storia dell’UFO.

A questo punto con la scomparsa di Travis, gli amici rischiavano veramente grosso e potevano anche essere incriminati per omicidio, per le autorità una possibilità è che si fossero inventati tutto in combutta con lo stesso Walton per sfruttare economicamente la vicenda.

Ma dopo cinque giorni di buio totale Travis ricompare, effettuando una telefonata da un distributore di benzina della zona, dove viene ritrovato quasi svenuto, in condizioni fisiche precarie e fortemente disidratato, stato di salute confermato dopo un’accurata visita medica.

Il racconto di Travis Walton

Dentro una base aliena?

Travis Walton non ricordava nulla del momento in cui fu colpito dal fascio di luce ma raccontò di essersi risvegliato in un lettino circondato da tre esseri dalla testa grossa e senza capelli, dalla pelle grigia e con occhi e bocche piccolissimi, dita molto lunghe senza unghie e bassi di statura, forse non più di un metro e mezzo. Ancora sotto shock, Travis disse di essersi alzato e di aver impugnato un oggetto cilindrico che provò ad usare come arma.

Travis iniziò a urlare e puntò l’oggetto contro i tre che si limitarono ad uscire dalla stanza, anche Travis dopo poco decise di uscire e iniziò a vagare lungo strani corridoi per finire dentro una grande stanza circolare con al centro un sedile dotato di braccioli. Travis provò a sedersi e subito comparvero sulle pareti e sul soffitto astri e costellazioni che sembravano cambiare la propria disposizione forse grazie ai braccioli stessi. Travis allora si alzò e tutto tornò buio. A questo punto Travis decise di uscire dalla stanza e incontrò un essere simile a noi ma con gli occhi molto più grandi e di color oro. L’alieno dai grandi occhi sorrise a Walton e lo accompagnò in quello che sembrava un enorme hangar, una specie di parcheggio per dischi volanti simili a quello che lo aveva colpito e rapito. Walton venne poi avvicinato da tre individui, due maschi e una femmina, simili al suo ultimo accompagnatore. Gli alieni gli accostarono al viso una mascherina e lui cade di nuovo in un sonno profondo, svegliandosi all’interno di una cabina telefonica.

Dubbi, sospetti, stranezze

Il racconto ha aperto dibattiti infuocati, polemiche e molti sono i dubbi sulla veridicità della vicenda. Molto hanno fatto parlare, inoltre, le reazioni degli amici di Travis che nel vedere il loro compagno in difficoltà si sono dati alla fuga, una reazione che per alcuni potrebbe essere una normalissima reazione di sopravvivenza, la fuga davanti a un grave pericolo.

Sono strane le reazioni di Travis, un vero leone al cospetto dei suoi compagni boscaioli, si risveglia da uno stato di incoscienza e ingaggia con un cilindro tre esseri alieni che stranamente gli lasciano fare ciò che vuole dopo averlo catturato e stordito.

Walton fu sottoposto alla macchina della verità subito dopo l’incidente, fallendo il primo test. L’esaminatore si dichiarò convinto che Walton mentiva e lo scoprì mentre tratteneva il fiato nel tentativo di “battere la macchina”. I test successivi vennero dichiarati inconcludenti. La polizia come detto si dichiarò subito scettica del caso perché aveva scoperto che, pochi giorni prima del “rapimento”, Walton aveva avvisato la madre che “se fosse stato rapito da un UFO, non si doveva preoccupare perché sarebbe ritornato sano e salvo! Sul luogo del presunto avvistamento non venne, come al solito avviene nei casi UFO, ritrovato nessun segno, né bruciature, né tracce di sangue nonostante Travis fece un volo di dieci metri, nessuna ferita venne ritrovata su di lui. Walton aveva un passato torbido, furti, assegni a vuoto e uno dei testimoni aveva scontato tre anni di carcere per rapina a mano armata.

Interessi

Forse era solo una storia architettata per avere un ritorno economico, infatti Travis “vendette” la storiella a un giornale scandalistico, il National Enquirer per 5.000 dollari tentando poi di vincere un premio di 100.000 dollari per la storia più credibile di UFO messo in palio dallo stesso giornale. Vendette la storia ad altre riviste e a stazioni radiofoniche che potevano vantare cosi di avere il racconto di un giovane che era addirittura riuscito a sfuggire agli alieni.

Dalla sua storia è nato anche un film, bagliori nel buio, un film che non aggiunge nulla ai film sugli UFO ma magari va bene per i palati poco fini dei cultori dell’ufologia.

Il rapimento, dunque, è vero o Travis e i suoi amici si sono inventati tutto?

Come abbiamo detto, un certo ritorno economico e di immagine Travis lo ha avuto ma a parte i suoi fantasiosi racconti non c’è molto da esaminare per capire come stanno le cose, le solite dichiarazioni non verificabili che vanno ad arricchire un fenomeno che non finisce di creare illusioni nei tanti acritici seguaci e cultori del fenomeno UFO.

Una chicca finale che fa capire quanto di poco credibile ci sia nelle parole di Walton, dopo cinque giorni di carenza di nutrimento i livelli di chetoni nel sangue riscontrati nella visita medica avrebbero dovuto essere molto più alti, erano invece nella norma.

 Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata

Scoperti batteri che si nutrono di metano sotto la penisola antartica

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Nelle profondità dei ghiacciai del Polo Sud esiste una forma di vita che potrebbe aiutarci a gestire le emissioni di gas a effetto serra. I batteri che vivono là sopravvivono metabolizzando il metano, agendo come un biofiltro fenomenico tra l’ambiente congelato e il resto del pianeta.

Nel 2013, un team internazionale e interdisciplinare di scienziati ha forato per 800 metri lo strato di ghiaccio Antartico, raggiungendo il Lago Whillans. I ricercatori hanno raccolto campioni di acqua e sedimenti isolati dall’atmosfera per molte migliaia di anni. I risultati delle analisi sono stati sono pubblicati su Nature Geoscience .

“A parte l’importanza per il clima globale, è interessante che l’ossidazione del metano potrebbe essere un sistema di sostentamento diffuso tra i batteri che vivono nella biosfera sotto lo strato di ghiaccio antartico occidentale”, afferma Alexander Michaud, dell’Università di Stato del Montana. In un comunicato.

Il gruppo ha esaminato il genoma dei batteri e la concentrazione di metano nel campione. Gli scienziati sospettano che vi sia un grosso deposito di metano  in profondità e pensano che las presenza di questi batteri possa aiutare a prevenire il rilascio di grandi quantità dio questo metano in atmosfera.

Nell’atmosfera c’è meno metano rispetto all’anidride carbonica ma sappiamo che come gas serra il metano ha effetti molto più importanti di quelli dell’anidride carbonica. Negli ultimi 20 anni l’effetto del metano nel riscaldare il pianeta è stato 86 volte più forte di quello della CO2. Molti scienziati sospettano che, in passato, l’improvviso rilascio di grandi quantità di metano nell’atmosfera dalla tundra siberiana sia stato causa di almeno una estinzione di massa.

Questi batteri che vivono nel lago Whillans potrebbero essere la risposta per affrontare un problema del genere.

Per inciso, l’esistenza sulla Terra di batteri in grado di nutrirsi di metano apre delle possibilità interessanti anche per la ricerca della vita sulle lune ricche di metano di Giove e Saturno.

Intanto, per restare sulla Terra, capire dove vi siano grandi depositi sotterranei di metano potrebbe aiutarci a raffinare i nostri modelli climatici e forse anche a trovare modi per migliorare la cattura dei gas a effetto serra.