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Gli OOPArts: la batteria, o pila, di Baghdad

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OOPArt è l’acronimo inglese di Out Of Place ARTifacts, “manufatti, reperti fuori posto”. Il termine fu coniato dal naturalista e criptozoologo americano Ivan Sanderson per indicare una categoria di oggetti che sembrerebbero avere una difficile collocazione nella storia. Vengono classificati come OOPArt tutti quei reperti archeologici e paleontologici che, secondo comuni convinzioni riguardo al passato, si suppone non sarebbero potuti esistere nell’epoca a cui si riferiscono le stime iniziali. Questi ritrovamenti hanno dato vita a un filone complottista detto “archeologia misteriosa” e, nel tempo, gli OOPArts sono stati presi come prova per supportare bizzarre teorie ufologiche e/o creazioniste ma anche come prova di supposti viaggiatori temporali e quant’altro.

Alcuni “esperti” di OOPArt sostengono che alcuni di questi oggetti metterebbero in crisi le teorie scientifiche e le conoscenze storiche consolidate. Tuttavia, solo in rari casi, tali affermazioni hanno un qualche sostegno scientifico. Solitamente, alla luce di nuove scoperte, gli oggetti trovano, in un secondo momento, una corretta collocazione nell’epoca di fabbricazione e, molto spesso, molti finiscono per rivelarsi come mere contraffazioni senza che alcuna conoscenza dei fatti storici possa essere messa in discussione.

La Batteria, o pila, di Baghdad

foto della pila
Spaccato della pila di Baghdad

Cosi è chiamato un oggetto probabilmente scoperto nel 1936 nel villaggio di Khuyut Rabbou’a, nei pressi di Baghdad, in Iraq . Il manufatto venne poi rinvenuto, in un mucchio di reperti depositati in uno scantinato, nel 1938 da Wilhelm König, del Museo Nazionale dell’Iraq che scrisse un libretto ipotizzando potesse trattari di una cella galvanica primitiva, forse utilizzata per placcare con una sottile patina d’oro alcuni manufatti d’argento. Se questa ipotesi fosse corretta, la batteria di Baghdad anticiperebbe l’invenzione di Alessandro Volta della cella elettrochimica di circa 1800 anni. Ma i Parti avevano inventato la pila che König datò nel periodo tra il 250 aC e il 224 dC ? Siamo innanzi a un OOPArts?

E’ difficile capire se effettivamente ci troviamo davanti ad una batteria. Secondo St. John Simpson la pila avrebbe una datazione più recente essendo un esempio di ceramica Sassanide, riconducibile a un periodo di tempo tra il 224 e il 640 dC.
Molti esperimenti hanno provato a dimostrare le capacità elettriche di questo artefatto.

La batteria di Baghdad, come qualsiasi oggetto composto da due metalli differenti, può funzionare da rudimentale pila se immerso in una soluzione acidula, composta ad esempio da aceto o succo di limone, in questo modo la corrente generata è minima. Non è possibile ottenere una corrente di intensità ragionevole, e far sì che la pila funzioni più di qualche minuto quando i due metalli sono rame e ferro, a meno di non usare soluzioni acide sconosciute all’epoca.

In una pila, la corrente viene generata tramite due reazioni differenti che avvengono vicino ai due elettrodi, tra questi e opportune sostanze disciolte nel liquido in cui sono immersi. Sono stati proposti vari tipi di elettroliti, basati su sostanze conosciute al tempo della “pila”  ma, essendo l’oggetto trovato da König un cilindro chiuso ermeticamente, avrebbe potuto funzionare al massimo per pochi minuti. Candidati più promettenti sono alcuni oggetti simili trovati in Seleucia. W.F.M. Gray ha provato ad utilizzarli con solfato di rame e la pila, in questo modo, riesce a funzionare per un breve tempo, finché l’elettrodo di ferro non viene ricoperto da uno strato di rame. Jansen e altri ricercatori hanno usato benzochinone, una sostanza che si trova nelle secrezioni di alcuni centopiedi, mescolato con aceto. Tutti questi processi non funzionano granché in quanto manca nella batteria di Baghdad qualcosa che separi gli elettroliti che reagiscono con i due elettrodi. Comunque la possibilità, lontana, che l’oggetto fosse una rudimentale batteria esiste e non è al di fuori delle possibilità tecniche del tempo.

pila di baghdad
Gli elementi della batteria

Sono stati provati altri esperimenti per capire se il manufatto possa essere utilizzato come batteria. Nel 1980 nella serie televisiva “il misterioso mondo di Arthur C. Clarke”, l’egittologo Arne Eggebrecht creò una cella voltaica utilizzando un vaso riempito di succo d’uva, ottenendo la produzione di mezzo volt di energia elettrica e dimostrando di poter placcare d’argento una statuetta in due ore, utilizzando una soluzione di oro e cianuro. Tuttavia, molti dubbi sono recentemente nati sulla validità di questi esperimenti.
In Discovery Channel, nel programma MythBusters, sono state costruite repliche delle giare per capire se era possibile utilizzarle per la galvanotecnica; dieci vasi di terracotta sono stati usati come delle batterie e del succo di limone è stato scelto come elettrolita per attivare la reazione elettrochimica tra il rame e il ferro. Collegati in serie, hanno agito da batterie producendo 4 volt di energia elettrica.

La teoria della pila galvanica per placcare gli oggetti non gode di particolare stima oggi, infatti, come asserisce Paul Craddock del British Museum, “Gli esempi che vediamo da questa regione e periodo sono doratura convenzionali e doratura a mercurio. Non c’è mai stata alcuna prova a sostegno della teoria galvanica“.

Anche la prova citata da König nel suo testo, ovvero che ancora oggi gli artigiani di Baghdad usino una particolare tecnica di doratura galvanica, è stata esclusa in quanto la tecnica usata in Iraq è molto simile a quella utilizzata nel secolo scorso in Inghilterra, paese colonizzatore, ed è comunque molto differente dall’elettrochimica presente nella pila in quanto contiene zinco, molto più ossidabile del ferro, e sali di cianuro, sconosciuti in epoca antica.

L’asfalto che copre il “vaso” lo isola totalmente tanto che bisogna modificare l’oggetto per far si che gli elettroni possano circolare; inoltre avrebbe bisogno anche di una manutenzione costante per funzionare. L’ archeologo Ken Feder fa notare come il manufatto non possieda fili esterni conduttori che possano indicare collegamenti tra i vasi per il loro uso.

In molti hanno notato la somiglianza tra il manufatto ed i contenitori usati per trasportare i rotoli sacri nella vicina Seleucisa presso il fiume Tigri.

Insomma, l’oggetto potrebbe essere una pila solo nel caso in cui venisse forzato a esserlo. I soli metalli chiusi in una giara non bastano e non abbiamo nessun altro indizio che ci indichi che in quel tempo conoscessero l’elettricità, magari per usarla a scopi mistico – rituali o per impressionare il popolo.

Fosse stato cosi avremo certamente avuto qualche indizio in più.

Oliver Melis è owner su facebook dela pagine NWO Italia, Perle complottare e le scie chimiche sono una cazzata.

The Philadelphia experiment

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Il Progetto Arcobaleno (Rainbow Project) sarebbe stato un esperimento scientifico che avrebbe visto il coinvolgimento di Albert Einstein. L’esperimento, secondo alcuni, doveva deformare tramite un campo elettromagnetico il flusso della luce nell’area attorno a una nave, tanto da renderla invisibile. I sostenitori del progetto (smentito dalle fonti ufficiali degli enti che lo avrebbero portato a termine) attribuiscono al progetto stesso anche numerosi altri scopi irrealizzabili dal punto di vista scientifico.

L’Esperimento di Philadelphia sarebbe avvenuto il 28 ottobre del 1943 sotto la guida di Franklin Reno, indicato anche come “Dott. Rinehart”, insieme al quale avrebbero partecipato anche scienziati di fama mondiale come Albert Einstein e Nikolas Tesla. Secondo i sostenitori della teoria dell’esperimento, alle ore 17.15 il cacciatorpediniere USS Eldridge (DE-173) ormeggiato nei pressi del molo di Philadelphia, sarebbe scomparso, ricomparendo, dopo pochi minuti, a Norfolkm in Virginiam per poi rimaterializzarsi nuovamente presso lo stesso molo di Philadelphia. L’Esperimento di Philadelphia è un presunto test condotto nel corso del Progetto Arcobaleno dalla United States Navy.

Secondo i sostenitori del progetto, installando nello scafo cavi elettrici lungo tutto il perimetro si sarebbe creato un campo magnetico funzionante in maniera simile al processo di degauss o demagnetizzazione, il procedimento con il quale si elimina la carica magnetica da un oggetto, sia di natura metallica ferrosa o di altra natura; Il procedimento è effettivamente usato, ad esempio, per la creazione di acciaio amagnetico, come anche sullo scafo di una nave, per renderla meno individuabile da mine magnetiche.

L’esperimento sarebbe fondato sulla teoria del campo unificato di Einstein, che presuppone una relazione tra le radiazioni elettromagnetiche e la forza gravitazionale, sfruttando per la generazione del campo magnetico delle bobine progettate da Tesla. Secondo i sostenitori della teoria, l’invisibilità sarebbe dovuta al campo magnetico, che avrebbe curvato la luce attorno all’oggetto, facendola passare oltre lo stesso senza rifletterla.

Altre ipotesi danno assegnano all’esperimento lo scopo di misurare le distorsioni magnetiche e gravitazionali, anche se non se ne capisce il fine. Un’ultima e fantasiosa ipotesi, che non ha nessun riscontro scientifico, ma in passato ampiamente divulgata, è quella secondo la quale il Progetto Arcobaleno sarebbe stato in grado di teletrasportare oggetti a grandi distanze.

Sulla base di questo ipotetico esperimento, adottando alcune delle tesi complottiste, sono stati, in passato, realizzati diversi film di fantascienza.

L’esperimento

La nascita della leggendaChi sostiene la teoria che vorrebbe che la USS Eldridge sia stata coinvolta in un esperimento di teletrasporto, afferma che l’imbarcazione ormeggiata nel porto di Philadelphia sarebbe scomparsa dopo aver emesso un lampo di luce azzurra, materializzandosi istantaneamente in Virginia per poi riapparire, dopo qualche minuto, nuovamente nel molo di Philadelphia. Al termine dell’esperimento alcuni marinai scomparvero nel nulla, mentre cinque furono ritrovati fusi con il metallo della struttura della nave come se le molecole dello scafo e quelle dei loro corpi si fossero compenetrate. Ancora oggi non è stato possibile trovare nessun documento che confermi l’esperimento e, tanto meno, è stato possibile rintracciare i testimoni dell’evento. Svariate ricerche hanno portato a identificare l’origine della leggenda in una serie di pubblicazioni su giornali sensazionalistici, unite alle esperienze di personale di marina che avrebbe assistito all’uso di bobine elettromagnetiche nei porti dove si stavano costruendo le installazioni necessarie alla nascente pratica della demagnetizzazione degli scafi navali in modo da renderli quasi inattaccabili dalle mine magnetiche.

Nel 1957 Morris K, Jessup disse di essere stato contattato dall’Office of Naval Research di Washington. L’ente aveva ricevuto una copia del suo libro: The Case for the UFO (1955), con diverse annotazioni da parte di tre persone che trattavano di due tipi di creature che avrebbero vissuto nello spazio. Tra queste vi sarebbero state anche annotazioni che alludevano all’esperimento di Philadelphia, come se chi scrivesse ne fosse a conoscenza. Le affermazioni di Jessup riportarono all’attenzione dell’opinione pubblica l’esperimento Philadelphia, facendo circolare anche l’ ipotesi che alcune delle di queste annotazioni potessero essere state scritte da esseri extraterrestri. Un confronto calligrafico sembrò, comunque, dimostrare che uno degli autori delle note risultasse essere Allende/Allen, e anche le altre sarebbero state scritte dalla stessa persona, ma con penne diverse. L’indirizzo del mittente corrispondeva ad una fattoria abbandonata.Nel 1955, Morris K. Jessup, un astronomo dilettante, avanzò un’ipotesi sull’uso delle forze elettromagnetiche nella propulsione spaziale dei dischi volanti che, dichiarò, aveva osservato egli stesso. Morris sosteneva che l’utilizzo dei razzi avrebbe sottratto ingenti risorse ad altri settori della ricerca. Durante lo stesso anno, Jessup affermò di aver ricevuto tre missive firmate da un certo “Carlos Miguel Allende”, nelle lettere l’autore avrebbe citato l’esperimento di Philadelphia, riferendosi ad una serie di articoli di giornali scandalistici senza citare nesusuna fonte verificabile. Secondo Jessup, Allende avrebbe raccontato nelle lettere di essere uno dei testimoni oculari dell’esperimento, avvenuto mentre si trovava a bordo della SS Andrew Furuseth. Riferì inoltre che Allende sarebbe stato a conoscenza della scomparsa e del destino di alcuni membri dell’equipaggio della Eldrige. Allende, a una richiesta di approfondimento da parte di Jessup, avrebbe risposto solo dopo mesi, questa volta col nome di Carl M. Allen, dichiarando di non poter fornire ulteriori prove, ma che le stesse sarebbero emerse tramite ipnosi regressiva di altre persone coinvolte, se si fosse provato a scavare nella storia.

Jessup fu trovato morto nel 1959 nella sua macchina. La sera prima aveva organizzato un appuntamento nel quale si proponeva di divulgare nuove scoperte sul fantomatico esperimento navale ma all’appuntamento non arrivò mai. Gli investigatori sostennero l’ipotesi del suicidio dovuto al crollo di notorietà, mentre per i sostenitori della teoria del complotto Jessup fu assassinato per metterlo a tacere.

Su questa storia scrissero ni parecchi, spesso manipolandola riportando notizie imprecise e artefatte. La notorietà assunta dalla vicenda portò alla realizzazione anche di un film ma nessuna delle tesi proposte nell’esperimento trovarono conferma e nessuno dei supposti testimoni si fece vivo.

La storia dell’esperimento di Philadelphia entra, quind,i a pieno titolo nel regno delle leggende metropolitane, una delle tante che verrà, in seguito alla morte di Jessup, accostata a grandi scienziati, agli alieni e al triangolo delle Bermuda in un libro di Berlitz, nonostante il luogo dell’esperimento si trovi a centinaia di chilometri di distanza. L’apparato teorico del presunto esperimento sarebbe pura fantascienza e nessuna prova dimostra che Albert Einstein avrebbe partecipato. Il grande scienziato collaborò negli anni ’40 collaborò effettivamente con la Marina statunitense ma solo per delle ricerche sulle esplosioni. Il secondo, ma non meno importante, scienziato coinvolto, Tesla, all’epoca dei fatti narrati era già morto. Nel 1990, in una conferenza, un certo Alfred Bielek, raccontò di essere un sopravvissuto all’esperimento e disse di essere stato catapultato nel futuro per salvare la nave e di essere poi riuscito a tornare nel suo tempo. Quanto narrato da lui è simile alla trama del film del 1983, The Philadelphia experiment, quindi poco credibile, tanto più che la sua versione dei fatti cambiò diverse volte, ed è quindi poco attendibile.

L’equipaggio della Eldridge e la SS Andrew Furuseth

Nel 1999, durante un incontro tra veterani, l’equipaggio della USS Eldridge venne intervistato dal giornale Philadelphia Inquirer. La nave, varata il 27 agosto 1943, era rimasta in porto a New York fino a metà settembre, e nell’ottobre dello stesso anno parti per il suo viaggio inaugurale alle Bahamas, tornando a Long island il 18 ottobre. Secondo il giornale di bordo la Eldridge non è mai stata a Philadelphia. La nave prestò regolare servizio sino al 1951 per la US Navy. In seguito fu venduta alla marina civile per la quale operò fino al 1977. I diari di bordo della a SS Andrew Furuseth ci dicono che fu in navigazione nel mare mediterraneo fino al ’44. Nemmeno questa nave fu, all’epoca, ormeggiata al molo di Philadelphia.

Alieni: George Adamski, il primo contattista

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Alieni: George Adamski, il primo contattista

George Adamski fu il primo contattista a diventare noto alle cronache.

Americano di origini polacche, raccontò di essere stato avvicinato da extraterresti fin dagli anni 50 e raccontò le sue avventure su Venere, la Luna, Saturno in alcuni libri diventati famosissimi.

La sua storia ha dato il via al filone ufologico contattista, rivisitato negli anni da altri contattisti diventati famosi e seguiti dal grande pubblico, ma spesso criticati da molti ufologi. Le storie di Adamski risultarono in breve tempo poco credibili nel giro perché erano fondate su conoscenze scientifiche che di lì a poco sarebbero mutarono radicalmente. Prima degli anni 60 non avevamo conoscenze dirette sulla Luna e su Venere, luoghi utilizzati dal contattista, dove sviluppò straordinari racconti poi sbugiardati anche davanti ai seguaci più ferventi. Nonostante le evidenti bufale raccontate c’è ancora chi difende la genuinità dei suoi racconti. Adamski scattò molte foto e girò diversi video ampiamente spiegati dagli scettici che li analizzarono.

Adamski raccontava le sue storie affermando di essere in contatto con gli abitanti di Venere e Saturno e di viaggiare spesso sulle loro immense astronavi. Nei suoi racconti spiegava che la Terra era stata abitata in passato da coloni provenienti da altri mondi e che era stata l’ultimo pianeta del sistema solare a diventare abitabile. La Terra subi un cataclisma e divenne un pianeta morto. Quando la Terra tornò a essere un pianeta abitabile, venne usato come una specie di pianeta prigione dove i criminali di altri mondi venivano deportati e confinati.

Adamski fece affermazioni anche sul nostro satellite anni prima che il primo uomo vi mettesse piede. Durante un viaggio con i suoi amici extraterrestri disse di aver visitato la faccia nascosta della Luna e di avere visto laghi, fiumi, vegetazione e grandi città. Pochi anni dopo, nel 1959 la sonda sovietica “Luna 3” mandò le prime immagini della faccia nascosta ma non trovo nulla di quanto affermato dal contattista, le prime bugie vennero quindi a galla. Adamski tentò una difesa dichiarando che l’ente spaziale sovietico aveva alterato le immagini per nascondere un fatto di portata mondiale.

Secondo Adamski i pianeti dell’universo sono delle scuole nelle quali gli individui imparano determinate lezioni. Per il contattista la Terra era come un asilo infantile e chi nasce sulla Terra si reincarna in livelli molto bassi dell’evoluzione spiritiuale. Adamski fu il primo a legare l’ufologia alla religione chiamando gli alieni “fratelli dello spazio”, esseri viventi più evoluti oltre che tecnologicamente anche spiritualmente. I messaggi dei fratelli del cosmo provenienti dai vari pianeti del sistema solare avevano contenuti ecologisti e pacifisti, erano soprattutto messaggi che mettevano in guardia l’umanità dai pericoli delle armi atomiche da poco inventate.

Adamski, prima di diventare un contattista, aveva manifestato un grande interesse per le dottrine Teosofiche. Prima dei presunti incontri con gli alieni, infatti, fondò il Royal Order of Tibet, dove egli insegnava dottrine riguardanti la perfetta padronanza sugli eventi della propria vita. A supportare le storie di Adamski, però, circolarono diverse bufale, come il racconto delle lucciole nello spazio, fenomeno in seguito raccontato dai primi astronauti in orbita terrestre. I due fenomeni in realtà non c’entravano nulla l’uno con l’altro, infatti Adamski descriveva un fenomeno naturale, mentre quello descritto dai primi astronauti era causato dalle loro navicelle. Lo stesso discorso vale per le affermazioni sulla fascia di radiazioni di Van Allen: Adamski raccontò della presenza di una fascia di radiazioni create da esplosioni, mentre anni dopo si dimostrò che esiste una zona di radiazioni ma di origine naturale, una fascia che circonda la Terra causata dall’intenso campo magnetico del Pianeta.

Adamski copia Adamski

Adamski prima di raccontare in un libro le sue presunte avventure scrisse un racconto di fantascienza dal titolo “Pioneers of space” (1949) e solo in seguito raccontò le sue incredibili avventure con i fratelli dello spazio nel libro del 1955, il famoso “Inside the spache ships”. Nel libro del 1949 Adamski descrisse, come poi fece nel libro del 1955, gli stessi fenomeni da lui osservati, le lucciole dello spazio, la Luna e i suoi hangar artificiali, le montagne innevate, laghi, foreste, fiumi e piccoli animali che scorrazzavano sul suolo del nostro satellite. Descrisse, come nel racconto fantastico, anche il ricognitore con la lente di osservazione e la nave madre, ogni dettaglio tratto dalle sue avventure lo ritroviamo nel libro di fantascienza del 1949. Come mai? Semplice, eravamo in un periodo particolare, all’inizio della guerra fredda, con i media neonati che si buttavano a capofitto su qualsiasi notizia e con il fenomeno UFO in grande evidenza, con casi discussi in Tv, nei programmi radiofonici e sulle riviste, la gente aveva bisogno di credere in qualcosa, visti i tempi aveva bisogno di qualcuno che la proteggesse, forse anche Adamski sentiva il bisogno di sicurezza o forse aveva semplicemente fiutato l’affare che lo avrebbe reso ricco e famoso.

Nel settembre 1940, Science Fiction Storie pubblica una storia di Oscar J. Friend dal titolo “Kid from Mars”. l’autore descrive una bella astronauta aliena bionda, con un vestito che la ricopriva fino al collo, ai polsi ed alla caviglia, con una larga cintura alla vita, abbigliamento simile a quello indossato dai fratelli del cosmo di Adamskiana memoria. Anche i Venusiani paiono gradire il nostro pianeta come meta turistica, nel 1935 Guy Ballard affermò di aver incontrato più volte 12 venusiani in una caverna, da cui ricevette molte informazioni. Adamski non poteva essere all’oscuro di Guy Ballard e della sua storia, perché il signore in questione era molto noto negli ambienti Teosofici tanto cari ad Adamski. Adamski con i suoi racconti dimostrò tutta la sua ingenuità e finì per essere ingannato da uno lettera-scherzo fatta da un ufologo famoso, la Straith letter , una presunta commissione che avrebbe appoggiato l’operato del contattista.

Le famose foto di Adamski

Adamski non si limitò a raccontare i suoi incontri con gli alieni ma cercò di documentarli con foto, filmati e prove fisiche.

Le foto scattate da Adamski e, a detta sua, dagli alieni, sono però dei falsi clamorosi, con errori di falsificazione molto evidenti e grossolani. Adamski affermò di aver scattato delle foto mentre era a bordo dell’astronave, da dietro un finestrino, dove furono fotografate altre astronavi e perfino figure dietro a degli oblò. Tutte le foto sono state scattate con il flash, ma manca incredibilmente il riflesso del flash del finestrino davanti alla macchina fotografica. Anche una famosa foto fatta, a suo dire da un ricognitore, che lo ritrae davanti a un oblò, probabilmente realizzata fotografando uno sfondo con dei buchi. Adamski produsse foto telescopiche troppo nitide per essere vere, scattate, peraltro, in un breve lasso di tempo. Per fare quelle foto, Adamski avrebbe dovuto fare ben nove passaggi macchinosi, ognuno dei quali avrebbe prodotto vibrazioni tali da rendere poco chiare le foto e spostare l’oggetto dalla visuale. Addirittura sono necessari ben 35 passaggi per fare 4 foto il tutto utilizzando una macchina fotografica collegata al suo telescopio.

Nel libro Flying Saucers Have Landed, Adamski cercò di mostrare delle foto dei suoi dischi volanti attribuendoli a terzi, per conferire alle sue foto e alle sue storie più solidità, ma in realtà era sempre lui a fare le foto perché anni dopo la persona a cui erano state attribuite, il Sgt. Jerrold E. Baker, dichiarò di non averle mai scattate. Viene spesso citato il caso di una foto che mostra una sagoma di disco volante simile a quello di Adamski fotografato da Stephen Darbishire, la quale corrisponderebbe a quello di Adamski secondo quanto afferma un ingegnere di nome Cramp secondo una proiezione ortogonale: è stato dimostrato non solo che la foto era un falso, ma anche che il metodo di proiezione ortogonale era sbagliato, in quanto funzionava anche con finti UFO. Molte persone hanno dimostrato che la messa a fuoco che si vede nelle foto di Adamski è totalmente incompatibile con quella che sarebbe dovuto esserci in caso di foto telescopiche di un disco volante ma è invece compatibile solo con foto di modellini fatte a distanza ravvicinata, in un caso, è stato dimostrato che l’oggetto fotografato da Adamski doveva trovarsi all’interno del telescopio.

Gia dal 1954 molti si accorsero delle palesi falsità e menzogne raccontate da Adamski, ovviamente nessuno si meravigliò che Adamski si rifiutò sempre di consegnare i negativi delle sue “foto”. Ci sono foto scattate da Admaski a modellini che egli non si sforzò nemmeno di costruire, infatti alcuni oggetti erano semplici lampade da vivaio con tre palline da ping pong come carrello di atterraggio e un esperto in un caso ravvisò la presenza del marchio familiare della General Electric su un oggetto fotografato. Altri ispirati dai dischi volanti di Adamski produssero foto simili di dischi che sarebbero appartenuti ai Nazisti, una bufala nella bufala.

La medaglia del Vaticano ed il filmato Rodeffer

Adamski raccontò di aver ricevuto, nel 1963, una medaglia dal Papa per il suo operato, cosa raccontata a due donne al di fuori del Vaticano. Adamski fu visto entrare ed uscirne in Vaticano in una zona dove c’erano dei turisti, e certamente il Papa non avrebbe condiviso l’operato di Adamski e i suoi insegnamenti che prevedevano la reincarnazione e altri concetti totalmente discordi dai concetti del Cristianesimo. La famosa medaglia dono del Papa, era fatta di oro puro, almeno a detta del contattista, ma, sottoposta ad analisi si è rivelata essere nient’altro che un comune souvenir per turisti fabbricato da una azienda di Milano.

In conclusione:

Nonostante le palesi bugie raccontate da Adamski, in molti hanno ritenuto le sue storie sincere e genuine. Questo è dovuto alla mancanza in tante persone di senso critico e di scarsa capacità di comprensione della realtà che porta ad accettare storie di comodo, che entusiasmano e fanno sognare a occhi aperti. Adamski approfitò del fatto che il grande pubblico non aveva adeguate conoscenze e che anche il mondo scientifico di allora doveva ancora compiere i primi passi nell’osservazione dei pianeti vicini. Per qualche anno Adamski ebbe gioco facile perché ancora in tanti reputavano possibile la vita nei pianeti vicini, Marte e Venere in primis. Ci volle pochissimo per sbugiardarlo, già con le prime missioni robotiche sulla Luna le sue storie presero a vacillare. L’ufologia ha avuto poca credibilità da subito e il contattismo, avvallato da tanti ufologi, spesso per motivi di cassetta, non ha fatto altro che screditarla ulteriormente.

Charlie, ci siamo: il Great Ormond Street chiede una nuova udienza all’alta corte inglese

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Siamo giunti ad una svolta sul caso del piccolo Charlie, il neonato di dieci mesi affetto da una malattia incurabile, sindrome da deplezione mitocondriale che, a causa della legge inglese sull’accanimento terapeutico, potrebbe essere lasciato morire staccandolo dalla macchine che lo tengono in vita.

Dopo gli interventi degli ultimi giorni da Parte del presidente statunitense Trump e, soprattutto da parte dell’Ospedale romano Bambino Gesù, qualcosa è cambiato. Che sia una conseguenza di un incontro diretto di Trump con la premier inglese Theresa May o per quello della diplomazia vaticana non è dato, per ora, saperlo. Anche il ministro degli esteri italiano Angelino Alfano si era attivato presso il suo omologo inglese Boris Jhonson ricevendo, però, un secco diniego. La legge inglese non può concedere deroghe.

La vicenda è balzata all’onore della cronaca internazionale dopo che l’alta corte per i diritti umani di Strasburgo si era rifiutata di pronunciarsi sul caso dando ragione alla giustizia inglese che, su richiesta dei medici dove è ricoverato il bambino, aveva sentenziato la necessità di dovere staccare le macchine al piccolo paziente, giudicato ormai incurabile e terminale.

La scorsa notte un numeroso gruppo di manifestanti ha marciato su Downing Street, invitando Theresa May a intervenire per consentire a Charlie di lasciare Londra.

Quest’oggi lo stesso Papa Francesco si era attivato di persona offrendo il passaporto della Città del Vaticano al piccolo Charlie nella speranza di poter eludere la sentenza inglese nei confronti di un cittadino del Vaticano.

Quest’oggi il Great Ormond Street ha richiesto una nuova udienza all’alta corte inglese per riesaminare il caso alla luce di nuove prove. Secondo il comunicato emesso dall’ospedale, due grandi strutture sanitarie estere, il Bambin Gesù ed un ospedale americano, hanno presentato dossier illustrativi di una terapia sperimentale che potrebbe avere successo nel caso del piccolo Charlie.

L’udienza è stata fissata per lunedì.

Di seguito, il comunicato integrale dell’ospedale inglese:

Great Ormond Street Hospital’s full statement

Great Ormond Street Hospital for Children has today applied to the High Court for a fresh hearing in the case of Charlie Gard in light of claims of new evidence relating to potential treatment for his condition.

We have just met with Charlie’s parents to inform them of this decision and will continue to keep them fully appraised of the situation.

Two international hospitals and their researchers have communicated to us as late as the last 24 hours that they have fresh evidence about their proposed experimental treatment.

And we believe, in common with Charlie’s parents, it is right to explore this evidence.

Great Ormond Street Hospital is bound by the ruling of the High Court which expressly forbids us from transferring Charlie for nucleoside therapy anywhere.

This ruling has been upheld by the Court of Appeal, the Supreme Court and the European Court of Human Rights.

It has also been supported unequivocally by some of the world’s most distinguished clinicians and scientists.

The ruling also states that it is in Charlie’s best interests for artificial ventilation to be withdrawn, and for his clinicians to provide him with palliative care only.

The ruling of Mr Justice Francis states: “It is lawful, and in Charlie’s best interests not to undergo nucleoside therapy, provided always that the measures and treatments adopted are the most compatible with maintaining Charlie’s dignity.”

Great Ormond Street Hospital is therefore giving the High Court the opportunity to objectively assess the claims of fresh evidence.

It will be for the High Court to make its judgment on the facts.

Charlie’s condition is exceptionally rare, with catastrophic and irreversible brain damage.

Our doctors have explored every medical treatment, including experimental nucleoside therapies. Independent medical experts agreed with our clinical team that this treatment would be unjustified.

Not only that, but they said it would be futile and would prolong Charlie’s suffering. This is not an issue about money or resources, but absolutely about what is right for Charlie.

Our view has not changed. We believe it is right to seek the High Court’s view in light of the claimed new evidence.

Our priority has always been, and will always be, the best interests of Charlie Gard.

But our care and compassion also goes to the loving families of each and every one of the children we look after. We strive to ensure we give them limitless support at these most difficult of times.

We will always, under all circumstances, respect the confidentiality of our patients and their families.

At Great Ormond Street Hospital, we endeavour to provide the best possible medical care for every single child we treat.

It is why we are recognised as one of the world’s leading children’s hospitals, employing the most skilled and caring doctors and nurses who are absolutely dedicated to their patients.

We are proud of our colleagues, and proud of the work that they do.

We are also immensely proud of the public support we have earned over the generations. We respect it greatly and know how precious it is.

The very last thing we want is for a patient to suffer, and our devoted medical teams do their very best day in, day out, for the children under their care.

We respectfully acknowledge the offers of help from the White House, the Vatican and our colleagues in Italy, the United States and beyond.

We would like to reassure everyone that Great Ormond Hospital will continue to care for Charlie and his family with the utmost respect and dignity through this very difficult time.

In sostanza, la direzione sanitaria del Great Ormond Street Hospital’s, pur affermando di non avere cambiato idea circa la necessità di sospendere l’accanimento terapeutico sul piccolo Charlie Gard, afferma di ritenere giusto che il caso vada riesaminato alla luce dei protocolli terapeutici proposti dai sanitari del Bambin gesù e di un ospedale americano. Senza un pronunciamento della corte inglese che annulli la precedente sentenza, l’ospedale dovrebbe staccare il sostentamento artificiale che tiene in vita il bambino.

Nel comunicato si ringraziano esplicitamente la casa Bianca ed il vaticano, oltre ai colleghi italiani ed americani, per l’interesse manifestato nel caso in oggetto.

La Sacra Sindone

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

La sacra Sindone è una delle principali reliquie della cristianità ed una delle più note. Basti pensare alla quantità di fedeli e turisti che partecipano alle periodiche ostensioni di questo sacro reperto.

L’esistenza della Sindone, il lenzuolo di lino che avrebbe avvolto il corpo esanime di Gesù, è nota in occidente già dal 1353, da quando, cioè, a Lirey in Francia, il cavaliere Goffredo di Charny annunciò di essere in possesso del telo che avvolse il corpo del Salvatore nel sepolcro. Nel 1453 Margherita di Charny, discendente di Goffredo, vendette la Sindone ai duchi di Savoia, che la portarono a Chambéry, loro capitale. La Sindone venne riconosciuta come autentica con la benedizione di papa Giulio II nel 1506, in un momento storico delicatissimo per la Chiesa: era in corso lo scisma di Lutero.

Cosa si sa della Sindone in epoche precedenti il 1353?

Qualche leggenda e alcune citazioni dei Vangeli che raccontano di Gesù avvolto in un lenzuolo (sindon in greco) da Giuseppe di Arimatea, una citazione in un vangelo apocrifo e leggende con nessuna valenza storica. Gesù secondo i vari miti e le varie leggende e secondo alcuni riferimenti che troviamo nei vangeli, anche apocrifi, cioè non ritenuti validi, venne avvolto in un lenzuolo ma non ci sono certezze dopo 2000 anni che il lenzuolo sia lo stesso esposto a Torino.

Nel IV secolo dopo Cristo, Elena, madre di Costantino che la Chiesa fece santa, iniziò a raccogliere reliquie di Gesù e degli apostoli. Con tutta probabilità molte di queste reliquie erano artefatte e comunque utilizzata dalla nascente chiesa per attirare le persone. Fu, però, con le crociate che si inaugurò la massiccia importazione di reliquie in occidente, chiodi e i legni della croce non mancano certamente.

Con le Crociate in Palestina, dopo che Costantinopoli era stata saccheggiata, arriviamo al 1353 e Goffredo di Charny dice di avere il telo sepolcrale di Gesù che viene poi venduto ai Duchi di Torino e passa in mano della Chiesa Cattolica. Quel lenzuolo ha 2000 anni? ha avvolto veramente un uomo morto in croce e poi risorto?

Secoli fa, soprattutto quando si creavano reliquie non erano a conoscenza di nessun metodo per datare l’età dei reperti ma oggi con il metodo del radio carbonio 14 possiamo facilmente datare sostanze di origine organica (ossa, legno, fibre tessili, semi, carboni di legno…) con una certa precisione. Il metodo fu ideato e messo a punto tra il 1945 e il 1955 dal chimico statunitense Willard Frank Libby, che per questa scoperta vinse il Premio Nobel nel 1960. Il metodo del C14 può essere utilizzato per materiali di età compresa tra i 50.000 e i 100 anni e viene utilizzato in paleontologia, archeologia ed in ogni disciplina in cui sia necessario risalire all’età di un qualsiasi reperto.

Negli anni ’80 del ventesimo secolo la Chiesa accettò di far esaminare la Sindone attraverso metodi scientifici. Per determinare l’età del telo furono tagliati tre piccoli quadratini che furono distribuiti ai tre più accreditati istituti di ricerca del mondo perché scoprissero l’età dei campioni. La datazione ottenuta dai tre laboratori dette gli stessi risultati: la Sindone risaliva all’Alto Medioevo, in un’epoca tra il 1260 ed il 1390, date compatibili con il ritrovamento, avvenuto nel 1353, del cavaliere Goffredo di Charny.

La sindone, durante la sua esistenza nota, ha subito parecchie traversia. Fu danneggiata in un incendio ed è stata sottoposta a molteplici analisi i cui risultati sono spesso stati interpretati in maniera contrastante. C’è anche molto da dire sull’immagine impressa sul telo che rappresenterebbe Gesù anteriormente e posteriormente, immagine che ha sollevato parecchi interrogativi non ancora del tutto svelati.

Dopo questo articolo introduttivo, torneremo presto ad esaminare quella che viene considerata una delle reliquie più importanti della cristianità e a provare a chiarirne alcuni degli aspetti più controversi.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata

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Presto le nostre auto saranno guidate da un’Intelligenza Artificiale in grado di prendere decisioni morali

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Nel suo libro ” La discesa dell’uomo” e la selezione in relazione al sesso , Darwin ha orgogliosamente sostenuto che il senso della moralità è un tratto univocamente umano. Anche se questa affermazione è stata contestata negli ultimi anni, è giusto dire che gli esseri umani sono ancora al top dei grafici quando si tratta di espressione della morale.

Presto, però, in questo senso, avremo concorrenza, sotto forma di auto senza conducente, guidate da un’Intelligenza Artificiale in grado di prendere decisioni autonome.

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Behavioral Neuroscience ha analizzato il comportamento umano e le valutazioni morali per capire come potrebbero essere applicate ai computer.

Proprio come un essere umano al volante, un’Intelligenza Artificiale che guidi un’auto potrebbe trovarsi a dover prendere delle in un’auto, un’auto senza conducente potrebbe dover prendere importanti decisioni di carattere morale. Immaginiamo uno scenario del genere: un bambino attraversa improvvisamente la strada mentre l’auto controllata dall’ AI sta sopraggiungendo. A questo punto l’AI deve esaminare le alternative che le si presentano e decidere se investire il bambino, scartare di lato e rischiare di investire altri passanti o scartare e schiantarsi copntro un muro con il rischio di danneggiare il suo passeggero.

In precedenza si è sempre pensato che questo tipo di decisioni di carattere morale, che dipendono esclusivamente dal contesto e dalla reazione umana individuale in funzione del contesto, non potesse essere descritte in un software.

“Noi abbiamo scoperto che, invece, è possibile farlo” Ha affermato Leon Sütfeld, autore dello studio, in una dichiarazione .

“Il comportamento umano in situazioni critiche che presentano un dilemma è regolato da un modello piuttosto semplice basato sul valore che ogni individuo attribuisce agli oggetti coinvolti, siano esseri umani, animali od oggetti inanimati”.

lo studio è stato realizzato attraverso una simulazione di realtà virtuale in cui i partecipanti guidavano un’auto in un tipico quartiere suburbano in una giornata nebbiosa, quindi con scarsa visibilità. Durante la simulazione, sono stati affrontati situazioni che presentavano inevitabili incidenti con oggetti inanimati, animali, persone, ecc. Le persone sottoposte al test dovevano decidere, di volta in volta, come reagire.

I risultati dei test sono stati inseriti in un data base alimentante una serie di modelli statistici atti a stabilire le regole per elaborare come e perché un essere umano prende una data decisione. Una volta alimentata a sufficienza la base di dati i modelli sono emersi.

Il risultato è che sono state elaborate e comprese, almeno in apparenza, le leggi e le meccaniche che portano un essere umano a prendere una certa decisione di carattere morale con la conseguenza che ora potremo insegnare all’Intelligenza Artificiale a condividere il nostro codice morale.

Si tratta di una cosa che avrà implicazioni enormi nello sviluppo delle autovetture automatiche guidate dall’AI.

Sono numerosi i grandi produttori di auto e le software house impegnati nello sviluppo di automobili guidate dall’Intelligenza Artificiale e si prevede che il trasporto di cose e persone automatizzato diventerà presto uno dei principali business. Avremo automobili e TIR in grado di andare da un posto all’altro senza essere controllate manualmente da un essere umano, evitando ostacoli, scegliendo il percorso migliore in base ai dati sul traffico e sul meteo comunicati da una centrale di coordinamento, tenendo la velocità più adatta per ogni circostanza.

Un’intelligenza Artificiale che sarà in grado di decidere, proprio come un essere umano, come comportarsi in caso di imprevisti.

Ma voi, la comprereste un’automobile che, in caso di un’emergenza improvvisa, potrebbe decidere che rischiare la vostra vita schiantandosi contro un muro sia la scelta che porta il male minore?

L’astrologia

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

L’astrologia ha origini antichissime, i popoli primitivi iniziarono da subito a interrogarsi sul moto dei corpi celesti, dove i principali punti di riferimento erano il Sole, la Luna, Venere, Sirio e costellazioni come i due Carri, Orione e le Pleiadi, corpi e formazioni di stelle ben visibili. Tutte le civiltà del passato hanno studiato con attenzione i fenomeni celesti, creando una propria astrologia.

Storia e nascita dell’astrologia

Lo studio della volta celeste e dei corpi che vi si osservano e di tutti i fenomeni annessi, ha da sempre attirato l’interesse delle persone, e forse nel passato l’interesse nella conoscenza dei moti degli astri era ancora più forte. Tutte le società antiche hanno diretto i loro sforzi nello studio delle stelle, delle loro posizioni e dei loro movimenti.

Ogni civiltà antica ha sviluppato una propria astrologia, dando vita alle proprie interpretazioni e tradizioni che nel corso dei secoli, grazie allo scambio interculturale, si sono amalgamate e differenziate, portando a distinguere tre grandi branche: l’astrologia occidentale, l’astrologia cinese e l’astrologia indiana.

Astrologia e i Maya

I Maya osservavano scrupolosamente i corpi celesti ed erano in grado di prevedere i movimenti dei pianeti con estrema precisione ed è grazie ai loro studi astronomici, da cui derivò la loro astrologia, che essi erano in grado di prevedere l’inizio della stagione delle piogge, fondamentale per la loro agricoltura. Grazie allo studio degli astri individuarono i quattro punti cardinali, creando un calendario per le celebrazioni religiose e per la prosperità della loro economia.

I loro templi avevano 365 scalini, uno per ogni giorno dell’anno e costruirono le loro città seguendo il moto dei pianeti e delle stagioni.

Babilonesi ed Egiziani

L’astrologia babilonese e quella egiziana sono le antenate dell’astrologia occidentale moderna, quella che realizza gli oroscopi, basata sulla posizione dei corpi celesti del nostro sistema solare. Greci ed egizi associarono le divinità ai corpi celesti, e solo dal 1500 in poi fu possibile scoprire ed aggiungere le costellazioni dell’emisfero australe che sino ad da allora era rimasto nascosto.

Persiani e Arabi

Durante l’Alto Medioevo i Persiani e gli Arabi, svilupparono ulteriormente l’astrologia e l’astronomia con l’introduzione dell’astrolabio, uno strumento che permetteva di localizzare e calcolare la posizione dei corpi celesti, di determinare l’ora locale conoscendo la latitudine e viceversa. Esso per molti secoli fu il principale strumento utilizzato nella navigazione.

Astrologia e astronomia per lungo tempo sono state profondamente interconnesse, ma dopo l’introduzione del metodo scientifico hanno preso strade diametralmente opposte. Oggi l’astrologia è considerata dalla comunità scientifica una superstizione basata su una pseudoscienza.

La validità dell’astrologia

L’astrologia moderna e gli oroscopi si basano su 12 costellazioni ma i segni non sono 12 ma 13. Se si volessero essere precisi bisognerebbe infatti tenere conto della costellazione delll’Ofiuco, la costellazione che rappresenta forse il dio Apollo oppure Laocoonte, per i romani Esculapio che tiene con le mani un grosso serpente.

Chi, alcuni millenni fa, ha posto le basi dell’astrologia non era a conoscenza di un altro movimento, che avviene con una periodicità molto più lunga di quello che impiega la Terra a compiere una rivoluzione attorno al Sole.

Il movimento è quello dell’asse terrestre, quello cioè attorno a cui la terra ruota quotidianamente in poco meno di 24 ore. L’asse è inclinato, e l’inclinazione cambia cioè descrive una curva nel cielo, tornando al punto di partenza all’incirca ogni 26mila anni: un fenomeno chiamato precessione. Questo fatto non era noto nell’antichità,

Tenendo conto della precessione il percorso apparente del Sole lungo la volta celeste nel nostro 2015 cambia rispetto a quello che avrebbe osservato un babilonese o un greco antico. E questo ci fa capire che bisognarebbe cambiare anche le costellazioni o segni dello zodiaco.

Dalla creazione dell’astrologia a oggi sono cambiate molte cose e dopo millenni abbiamo una visione diversa dell’universo che ci ospita. Oggi sappiamo che la Terra ruota intorno al Sole e che le stelle non sono dei semplici punti fissi sulla volta celeste ma altrettanti Soli sparsi a diverse distanze dal nostro sistema solare e che insieme formano una gigantesca galassia chiamata Via Lattea, e che tutte le stelle, Sole compreso cambiano posizione in continuazione in tempi molto lunghi rispetto alla vita umana.

Le costellazioni, per la moderna astronomia non ricoprono nessun interesse, al massimo vengono considerate come dei punti di riferimento che si usano più per comodità che per tradizione, non avendo nessuna esistenza reale, sono solo formazioni immaginarie ottenute unendo gruppi di stelle solo apparentemente vicine.

Oggi noi vediamo l’universo con occhi diversi ma, nonostante le scoperte scientifiche di questi ultimi 100 anni, ancora molti si affidano alla superstizione credendo che pianeti e stelle influiscano sulla vita di tutti i giorni segnandone addirittura il destino D’altra parte la scienza si nutre di dubbi e di domande sempre nuove andando continuamente a ricercare risposte sempre più complesse e soddisfacenti mentre l’astrologia resta ferma, immutabile malgrado le evidenti falle messe a nudo proprio dal metodo scientifico.

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Mangiare regolarmente cacao ha effetti positivi sul cervello

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Secondo un nuovo studio, il consumo di flavanoli del cacao – antiossidanti presenti nelle fave di cacao – non solo aumenta la memoria e le funzioni cognitive, nel breve termine, ma il consumo regolare potrebbe aiutare a proteggere contro il declino cognitivo con l’età.

Che il cioccolato abbia effetti positivi non è un’idea nuova e sono molti gli studi che ne hanno delineato gli effetti positivi. Tuttavia, un gruppo di ricercatori italiani ha condotto una meta-analisi degli studi disponibili, analizzando in particolare gli effetti del cioccolato sul cervello, relativo agli effetti immediati e quelli a lungo termine.

Lo studio, pubblicato su Frontiers in Nutrition , ha determinato che mangiare flavanoli del cacao aumenta il flusso di sangue in sezioni chiave del cervello, migliorando la memoria, la capacità di attenzione e  la velocità di elaborazione degli stimoli visivi. C’è, però, da rilevare che, in adulti giovani e sani, questi effetti sono rilevabili solo con approfonditi test cognitivi.

Gli effetti più rilevanti sono stati accertati nelle persone anziane: il consumo regolare e prolungato di cioccolato ha effetti positivi sulle prestazioni cognitive degli anziani, proteggendo il cervello dal declino cognitivo.

“Questo risultato suggerisce che il potenziale dei flavanoli del cacao, consumati continuativamente, a lungo termine protegge la parte vulnerabile della popolazione dal declino delle facoltà cognitive” affermano gli autori dello studio Valentina Socci e Michele Ferrara, dell’Università dell’Aquila, in un comunicato . “Se si guarda il meccanismo di base, i flavanoli del cacao hanno effetti benefici per la salute cardiovascolare e possono umentare il volume ematico cerebrale nel giro dentato dell’ippocampo. Questa struttura è particolarmente influenzata dall’invecchiamento e quindi potenziale fonte di declino della memoria correlata all’età nell’uomo.”

E se, secondo voi, questa non è una ragione sufficiente per andare al negozio più vicino a comprare cioccolata, si è scoperto anche che, soprattutto tra le donne, mangiare cacao dopo una notte di privazione del sonno permette di riequilibrare gli effetti negativi dell’insonnia e migliora ancora le funzioni cognitive (grande notizia per le neo mamme).

Gli autori suggeriscono nel loro articolo che la somministrazione di flavanoli del cacao potrebbe essere utilizzata come “un nuovo strumento nutraceutico, utile per proteggere le facoltà cognitive e contrastare diversi tipi di declino cognitivo” se dipende dalla privazione del sonno o dal naturale declino dovuto all’età.

A controbilanciare gli effetti positivi del cioccolato vi sono però le conseguenze dovute all’assunzione di latte e zucchero, troppo spesso associati al consumo di cioccolato.

Per evitare gli effetti negativi sarebbe opportuno consumare sempre cioccolato del tipo fondente.

“Il cioccolato fondente è una fonte ricca di flavanoli. Quindi dobbiamo consumare un po’ di cioccolato fondente. Ogni giorno.”

Guarda le api in slow motion: La raccolta del polline e l’impollinazione

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httpss://www.youtube.com/watch?v=3fCvkNuUBiQ

In questo suggestivo filmato è possibile vedere in slow motion come operano le api. È da ricordare che le api, nella loro opera di raccolta per la produzione del miele, sono il principale veicolo di impollinazione, e quindi di riproduzione, per le piante che producono fiori e la loro opera è fondamentale per gli equilibri ambientali.

Purtroppo, le api si stanno estinguendo in molte zone del mondo a causa dell’inquinamento e dei veleni utilizzati in agricoltura e gli scienziati sono all’opera per salvarle e trovare validi sostituti per l’impollinazione, ad esempio dei minuscoli droni. Senza le api, probabilmente, la vita sulla Terra sarebbe molto più difficile.

Dal 2018 la Francia renderà obbligatorie 11 vaccinazioni

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Dall’anno prossimo anche la Francia renderà obbligatorie 11 vaccinazioni.

Attualmente, sono solo tre i vaccini  obbligatori in Francia e, precisamente, quelli relativi a difterite, tetano e poliomielite ma la nuova legge in materia di prevenzione voluta dal governo Macron estenderà l’obbligo della vaccinazione anche per morbillo, l’epatite B, l’influenza, la pertosse, parotite, rosolia, la polmonite, la meningite ed epatite C.

La nuova legge, riporta Le Figaro, è stata annunciata dal nuovo primo ministro francese Edouard Philippe martedì scorso.

Parlando al giornale francese Le Parisien il mese scorso, il ministro della Salute Agnès Buzyn aveva preannunciato l’intenzione di rendere obbligatori undici vaccini, alla luce dell’epidemia di morbillo in corso in Francia. Tra il 2008 e il 2016, più di 24.000 casi di morbillo (con 10 morti correlate) sono stati segnalati in Francia tra le persone non vaccinate, nonostante la disponibilità del vaccino.

“Oggi, in Francia, abbiamo un problema di salute pubblica, ” ha detto il ministro, “è riapparso il morbillo e non è tollerabile che vi siano bambini che muoiono a causa di esso: 10 sono morti dal 2008. Dal momento che questo vaccino è solo consigliato e non obbligatorio, il tasso di copertura è del 75 per cento, mentre dovrebbe essere il 95 per cento per evitare questa epidemia. Abbiamo lo stesso problema con la meningite “.

Nel mese di maggio, il governo italiano ha stabilito che i bambini devono essere vaccinati contro 12 malattie comuni prima di poter frequentare le scuole statali anche se una recente delibera ha ridotto questo numero a 10.

In uno studio effettuato su 65,819 individui in tutto 67 Paesi lo scorso anno, la Francia è risultato il paese con la maggiore diffidenza verso i vaccini in tutto il mondo. Oltre il 41% dei francesi intervistati ha espresso dubbi circa la sicurezza dei vaccini, rispetto alla media mondiale che è del 13%.

I timori sulla la sicurezza dei vaccini derivano, in gran parte, da una studio fraudolento da Andrew Wakefield. Lo studio, realizzato come perizia medica di parte nel corso di una causa intentata da una famiglia contro lo stato inglese, fupubblicato sulla rivista medica The Lancet nel 1998, sosteneva un legame tra i vaccini contro il morbillo, la parotite e la rosolia e la comparsa di autismo e malattie intestinali.

Alla fine si dimostrò che lo studio era stato realizzato con dati falsi ed inventati e Wakefield fu radiato dall’albo dei medici. Lo studio fu ritirato dalla rivista.