Ancora una volta ci troviamo a piangere le vittime di una tragedia prevedibile e, forse, prevista e, ancora una volta, dopo il disatro proliferano sui media ed i social i proclami dei politici, sempre pronti a dare la colpa a tutti tranne che a sè stessi, misti alle espressioni di rabbia della gente comune.
Eppure, per una volta, in qualche modo, le responsabilità di questo ennesimo disastro dovrebbero essere equamente ripartiti.
Solo negli ultimi cinque anni sono stati diversi i ponti ed i viadotti crollati, a cominciare dal crollo del ponte a Carasco sul torrente Sturla (guarda un po’, proprio in Liguria), nel 2013, in cui morirono due persone. Due mesi dopo, durante un nubifragio, crollò un ponte in Sardegna, sulla provinciale Oliena-Dorgali, provocando un morto e tre feriti mentre nel 2014 ci furono quattro feriti nel crollo di un tratto del viadotto Lauricella lungo la statale 626 tra Ravanusa e Licata, in provincia di Agrigento. Era stato inaugurato il 23 dicembre 2014 con tre mesi di anticipo sui tempi previsti.
Il 10 aprile 2015 crollò un pilone del Viadotto Himera sull’Autostrada A19 Palermo-Catania, seguito il 28 ottobre 2016 da un cavalcavia sulla provinciale 49 Molteno-Oggiono che crollò al passaggio di un Tir all’altezza del chilometro 41,9 della superstrada Milano-Lecco. Nell’occasione si registrano un morto e quattro feriti.
Il 18 aprile 2017 le cronache registrarono il crollo di un viadotto della tangenziale di Fossano che solo per miracolo non costò la vita ai Carabinieri che si trovavano sotto per controlli alla viabilità sulla strada provinciale. La struttura era stata realizzata negli anni ’90 e inaugurata nel 2000. Meno di un mese prima era crollato il ponte lungo l’autostrada A14 Adriatica all’altezza del chilometro 235 tra Camerano e Ancona Sud, nelle Marche: erano in corso lavori di ristrutturazione. Nell’occasione vi furono due morti e due feriti. A cedere fu un ponteggio provvisorio montato a sostegno nell’ambito dei lavori di ampliamento delle terza corsia dell’autostrada.
Dopo tanti casi così ravvicinati è impossibile parlare di fatalità. Qualcosa in quella parte del sistema Italia che dovrebbe gestire le infrastrutture non funziona (non solo in quella ma ora parliamo di infrastrutture).
La verità è che sono troppi anni che manutenzione e nuove opere sono ferme al palo o fatte al minimo per molteplici ragioni. Forze politiche e comitati di cittadini da almeno trent’anni si sono sistematicamente opposti ad ogni rinnovo e miglioramento delle infrastrutture nel nostro paese. Ricordiamo tutti, credo, il presidente della federazione dei verdi Pecoraro-Scanio che, da Ministro delle politiche agricole e forestali nel governo Amato II e Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nel governo Prodi II divenne noto con il soprannome di “signor no” per la sua decisa opposizione a qualsiasi grande opera che coinvolgesse territorio ed ambiente; tentò anche, e non fu il solo, di fermare la variante di valico della Firenze-Bologna, poi fortunatamente completata.
In tempi più recenti, tramontati i verdi, sono stati i comitati spontanei di cittadini, sostenuti in particolare dal Movimento 5 Stelle ad opporsi alla realizzazione di qualsiasi grande opera e sono famosi i comitati NO-TAV, NO-TAP, quelli schierati contro la variante terzo valico e la stessa fronda contro la variante delal Gronda che doveva alleggerire il traffico proprio su quel tratto dell’A-10 che passa sopra a Genova, proprio quel ponte Morandi che è crollato ieri provocando, sono ancora dati provvisori, 35 morti e 15 feriti.
Ma nessuno può attggiarsi a vergine in materia: dal governo Monti ai vari governi a guida PD che si sono succeduti negli ultimi anni, hanno di fatto rinunciato alla manutenzione e all’ammodernamento della rete viaria ed autostradale. Certo, si sono portati a compimento lavori appaltati da decenni, ad esempio sulla Salerno-Reggio Calabria ma in nome dell’austerità, del pareggio di bilancio immesso in costituzione con la scusa che ce lo chiedeva l’Europa (e non era vero) si sono tagliate spese fondamentali a tutti i compartimenti ed ai servizi e quando si è proposto qualcosa, è il caso della variante della Gronda, tutto è rimasto fermo, prigioniero di un iter burocratico complicatissimo e dell’opposizione feroce dei partiti non di governo.
L’Italia è servita da una rete viaria interamente ricostruita e ampliata quasi completamente tra gli anni ’50 e ’60, con tecnologie ormai superate e per necessità infinitamente inferiori a quelle attuali. In quell’epoca il traffico automobilistico era molto inferiore mentre quello commerciale si basava su camion e furgoni lontanissimi dal tonnellaggio degli attuali TIR. Nel frattempo il cemento armato con cui furono costruiti i piloni di sostegno dei viadotti è invecchiato, si è cominciato a sbriciolare mentre i tondini di ferro interni si sono arrugginiti.
Aggiungiamo che gli appalti incontrollati al ribasso in cui la malavita ha per anni primeggiato, insieme alla disonestà di molti costruttori, ha portato a realizzare molte nuove opere con materiali di bassa qualità incrementando il pericolo. Anche gli affidatari della gestione delle autostrade non sono esenti da colpe, dovrebbero fare manutenzione ordinaria e straordinaria ma è ormai evidente che la fanno investendo il minimo sindacale, preferendo investire nella realizzazione di opere all’estero, soprattutto nei paesi sudamericani, chissà perchè, contravvenendo così agli obblighi risultati dai contratti di appalto.
È ormai chiaro che con la politica dei NO e dell’austerità non si può andare avanti. Urge una revisione rapida e completa della nostra rete stradale ed autostradale per poi procedere ad una seria ristrutturazione e modernizzazione della stessa, portando avanti, e se ne parla da decenni, lo sviluppo della rete frroviaria in grado di trasportare le merci su ferro, alleviando così la pressione provocata dal trasporto su gomma.
Servono investimenti e servono le grandi opere, la decrescita auspicata dall’ideologia grillina non può essere felice perchè provocherà sempre disastri e morti mentre scienza e tecnologia vanno avanti mettendo a disposizione di geometri ed ingegneri materiali e strumenti sempre più efficienti e funzionali. Gli investimenti in tecnologia, ricerca e miglioramento delle infrastrutture hanno, storicamente, sempre portato ad un miglioramento della qualità della vita e dei servizi, contribuendo in maniera non secondaria alla crescita dell’economia e all’incremento degli investimenti sul nostro paese da parte delle imprese, italiane e straniere.
Se assistiamo sempre di più alla fuga delel imprese dal nostro paese è certamente colpa della pressione fiscale, di leggi spesso incomprensibili e della spaventosa burocratizzazione ma anche delle difficoltà della distribuzione logistica dovute alla rete viaria obsoleta ed insufficiente. Basti pensare allo scarso interesse che le imprese che importano in Europa hano dimostrato per il porto di Gioia Tauro, il più grande in Italia per il throughput container, il 9° in Europa ed il 6° nel Mediterraneo. Chi importa merci attraverso il canale di Suez preferisce fare giorni in più di mare ma attraccare in porti più funzionali dal punto di vista logistico. Per trasportare merci e container da Gioia Tauro bisogna ricorrere ad una ferrovia concettualmente ancora ottocentesca o alla Salerno-Reggio Calabria, da sempre caratterizzata da rallenamenti se non blocchi a causa degli onnipresenti cantieri.
Ora governano un movimento, il 5 Stelle, che dichiaratamente preferisce gestire l’esistente ed un partito che nella sua storia ha sempre sostenuto l’avvio delle grandi opere (anche se nei priodi cin cui ha governato insieme con il centrodestra nesono partite pochissime). È, purtroppo, lecito temere che questo provocherà uno stallo che aggraverà ulteriormente il ritardo nella modernizzazione delle nostre infrastrutture e della messa in sicurezza dell’esistente.
L’unica cosa che può salvarci dal tracollo tecnologico e logistico è la pressione dell’opinione pubblica. Limitarsi a fare propaganda e cercare di additare come colpevoli sempre gli altri alla lunga non pagherà, serve che i cittadini si ribellino finalmente a questo stato di cose, obbligando i politici a passare dalle parole ai fatti, a preoccuparsi di ciò che si può e deve fare e non di ciò che hanno fatto o non fatto coloro che li hanno preceduti.
Governare significa prendersi le responsabilità, obblighiamoli a farlo. Siamo stanchi di piangere morti che si potevano evitare.