mercoledì, Aprile 2, 2025
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I giovani stanno sviluppando spine craniali anomale a causa di smartphone e tablet

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A quanto pare, il nostro apparato scheletrico sta tentando di adattarsi agli particolari stress cui è sottoposto dalla vita moderna. Per esempio, i ricercatori un gruppo di ricercatori australiani ha trovato prove che i giovani sembrano presentare sempre più spesso sporgenze ossee alla base del cranio, proprio sopra il collo.
Esaminando 1.200 immagini a raggi X di adulti australiani, i ricercatori hanno scoperto che il 41% di quelli tra i 18 ed i 30 anni ha sviluppato questi speroni ossei, ovvero l’8% in più rispetto alla media generale.

Alcune di queste sporgenze hanno lunghezze di soli 10 millimetri e sono appena percettibili, mentre altre arrivavano fino a 30 mm.

Sono medico da 20 anni, e negli ultimi dieci anni ho constatato che sono sempre più numerosi i miei pazienti che presentano questa crescita sul cranio“, ha dichiarato alla BBC l’autore dello studio David Shahar, che opera presso l’Università The Sunshine Coast.

eops scientifici ampliati(Shahar e Sayer, Scientific Reports, 2018)

Queste escrescenze appaiono e crescono in una zona molto particolare del cranio: nella parte bassa della nostra testa abbiamo una grande placca conosciuta come l’osso occipitale, e verso il suo centro c’è una piccola protuberanza chiamata protuberanza occipitale esterna (EOP), dove sono attaccati alcuni legamenti e muscoli del collo.

La posizione dell’EOP è tecnicamente un’entesi. Questi punti dei nostri scheletri possono essere soggetti allo sviluppo di crescite spinose chiamate entesofiti, tipicamente in risposta a stress meccanici – ad esempio, eccessivo affaticamento muscolare. Come indicano Shahar e il suo collega Mark Sayers, c’è una prevalenza di EOP che crescono più a lungo nei giovani.

Secondo gli autori queste ossa sono diventate più evidenti sin dagli albori della “rivoluzione tecnologica della mano” a causa della cattiva postura che questi dispositivi provocano.

Di solito, le caratteristiche degenerative dello scheletro si presentano come sintomi dell’invecchiamento, ma in questo caso l’EOP ingrandito si presenta in soggetti giovani, in correlazione con il sesso del soggetto e al grado di protrazione della testa in avanti.

I maschi hanno molte più probabilità di avere un EOP più lungo oltre cinque volte il normale; ciò si allinea con le evidenze storiche  sull’EOP più sviluppato nei maschi, e potrebbe essere spiegato da una maggiore massa della testa e del collo, insieme ad una maggiore forza muscolare.

E, mentre la protrazione media della testa in avanti registrata in questo studio era di 26 mm, gli autori dicono che è significativamente più grande di quanto registrato nel 1996. Riconosciamo che fattori come la predisposizione genetica e l’infiammazione influenzano la crescita degli entesofiti“, scrivono gli autori. Tuttavia, ipotizziamo che l’uso delle moderne tecnologie e di dispositivi portatili come gli smartphone, possa essere la causa principale delle posture scorrette e del successivo sviluppo di spine craniali più robuste come caratteristica adattativa nel nostro campione.

Si tratta di risultati affascinanti e preoccupanti allo stesso tempo, tanto più che si tratta di idee supportate da un’ampia ricerca su come i dispositivi mobili possono alterare il nostro sistema muscolo-scheletrico.

Tra gli utenti dei dispositivi portatili, ad esempio, una recente revisione sistematica ha rilevato che le patologie relative al collo sono oggi più comuni del 67% rispetto a qualsiasi altra regione della colonna vertebrale.

Altri studi hanno rilevato che il 68% del personale e degli studenti riporta dolore al collo dopo aver usato dispositivi mobili per, in media, 4,65 ore al giorno. La cattiva postura, ovviamente, non è una novità, ma questo è molto più tempo di quanto noi umani abbiamo mai speso su libri o a scrivere fino a solo pochi decenni fa.

Per essere chiari, questi EOP allungati non sono necessariamente dannosi di per sé, ma potrebbero essere un sintomo di un problema più grande. I modi in cui il nostro corpo compensa una cattiva postura potrebbero aggiungere ulteriore stress a certe articolazioni e muscoli, aumentando le nostre possibilità di infortuni o problemi muscoloscheletrici in futuro.

Sebbene la rivoluzione dei tablet e degli smartphone sia pienamente ed efficacemente radicata nelle nostre attività quotidiane, dobbiamo ricordare che questi dispositivi hanno solo un decennio e che i disturbi sintomatici correlati stanno emergendo solo ora“, concludono gli autori.

I nostri risultati suggeriscono che il gruppo di età più giovane nel nostro studio ha sperimentato carichi posturali che sono atipici in tutti gli altri gruppi di età testati“.

La ricerca è stata pubblicata in Scientific Reports.

L’agopuntura può causare il collasso del polmone

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Per un’anziana paziente, un sottile ago per agopuntura inserito nella parte posteriore del torace è stato la causa di fitte lancinanti per due giorni, finché in ospedale hanno scoperto che aveva con un polmone collassato. Anche se casi come questo capitano raramente, non si tratta di un evento senza precedenti.

L’agopuntura non è esente da rischi e gli operatori che praticano questo trattamento tradizionale cinese potrebbero non avere sempre la necessaria familiarità con l’anatomia. Questo è evidente nel caso sopra, quello di una donna portoghese di 79 anni, recentemente riportato dai medici del Centro Hospitalar Universitário de Lisboa Central.

La donna anziana si era presentata una prima volta in ospedale lamentando moderate difficoltà respiratorie. Una radiografia ne aveva rivelato la causa: il suo polmone destro era collassato in quello che tecnicamente viene definito pneumotorace.

I polmoni, semplicemente, non collassano da soli. Perché ciò avvenga, è necessario che entri aria cavità pleurica, lo spazio che separa il polmone dalla parete del torace. A volte l’aria può provenire da un polmone danneggiato o malato. In questo caso, la causa è risultata essere una sottile fessura provocata da un ago che era stato brevemente inserito nella schiena del paziente due giorni prima, nel tentativo di curare il suo mal di schiena cronico.

L’agopuntura è comunemente promossa come un’antico sistema di cura della medicina tradizionale cinese in grado di alleviare una serie di disagi, curare malattie o promuovere la salute e la fertilità.

L’età esatta e le origini della pratica sono poco conosciute, così come sono abbastanza discutibili la maggior parte dei benefici che porterebbe. Per quanto riguarda il trattamento del dolore e altri disagi personali, le prove della sua efficacia non sono schiaccianti, diciamo che “potrebbe essere qualcosa in alcuni casi“.

Nonostante tutti i dubbi sollevati dalla scienza ufficiale, però l’agopuntura resta un trattamento molto popolare. Insieme ad altre forme di medicina tradizionale cinese, l’agopuntura ha rapidamente preso piede in tutto il mondo.

Molto dell’interesse suscitato da questa pratica sta nel fatto che appare come un’alternativa a basso rischio all’assunzione di farmaci o altre forme di intervento medico. Per quanto riguarda il basso rischio, è abbastanza vero che nella maggior parte dei casi non si registrano effetti collaterali al di là di qualche sanguinamento e dolore localizzato, ma è anche vero che i problemi più seri non sono molto reclamizzati.

Uno studio effettuato in Germania su circa 230.000 pazienti sottoposti ad agopuntura nel 2009 ha rilevato solo due casi di pneumotorace, ma una revisione effettuata dall’OMS su articoli scientifici cinesi ha permesso di individuare 201 casi di questa patologia riportati in letteratura negli ultimi 30 anni.

Nel caso in esame, l’ago era stato inserito in uno spazio vicino alla scapola del paziente dove il polmone può arrivare a pochi centimetri dalla pelle. In quel punto, un ago inserito con l’angolo e la profondità sbagliati può facilmente bucare la cavità pleurica e provocare uno pneumotorace che fa collassare il polmone.

La buona notizia è che la donna è sopravvissuta alla prova. Essendo anche la sua prima esperienza con l’agopuntura, non sarebbe sorprendente se non tornasse agli aghi. Anche quando si tratta di qualcosa di così raro come questo evento, i pazienti hanno il diritto di sapere quali rischi corrono. La signora, in questo caso,  non aveva idea che uno pneumotorace era uno dei possibili effetti collaterali indesiderati del trattamento a base di agopuntura. È anche possibile che non ne fosse al corrente nemmeno il suo agopuntore.

Gli operatori che eseguono qualsiasi tipo di trattamento medico hanno la responsabilità non solo di essere informati su tutto ciò che riguarda il trattamento che eseguono, ma anche di informare correttamente i loro pazienti. Gli agopuntori devono conoscere le strutture anatomiche e gli strati che si trovano sotto tutti i punti di agopuntura, specialmente per i punti di agopuntura ad alto rischio“.

Vorremmo tutti poter fruire di alternative a basso costo e basso rischio all’assistenza sanitaria canonica, ma, sfortunatamente, il meglio che possiamo fare è usare la scienza per sapere quali sono le probabilità di complicazioni e chiederci se siamo preparati al peggio.

Questo case study è stato pubblicato su BMJ Case Reports.

Proposta una nuova struttura per la tavola periodica

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La tavola periodica è un modo confortante di catalogare l’Universo, scomporlo nei suoi elementi e organizzarli in belle scatole ordinate. Ciò che potresti non sapere è che non è l’unico modo di organizzare gli elementi – e potrebbe anche non essere il modo migliore.

Nel tempo abbiamo visto diversi precedenti bizzarri e meravigliosi tentativi di riprogettazione, spesso con forme organiche fluide, come spirali e nastri arricciati e persino un “fiore” 3D.

Ora i matematici dell’Istituto Max Planck hanno stabilito dettagliati metodi matematici per catalogare gli elementi, creando una serie di ipergrafi complessi, piuttosto che la tavola periodica più basilare attualmente in uso universale.

In questo modo, dicono, la tavola periodica può essere adattata in molti modi, fornendo molte interpretazioni diverse della classificazione degli elementi a seconda di come sono ordinati – senza che un modo sia più corretto di altri.

Puoi vedere un’immagine di questa nuova organizzazione della Tavola periodica in fondo a questo articolo.

La tavola periodica che usiamo è stata ideata nel 1869, dal chimico russo Dmitri MendeleevOrdinò i 63 elementi conosciuti in quel momento in base al loro peso atomico.

Oggi sono assortiti per numero atomico, cioè il numero di protoni all’interno del nucleo, da uno per l’idrogeno fino a 118 per l’oganesson.

Sono inclusi anche il peso atomico dell’elemento, il simbolo atomico e un colore che simboleggia il gruppo con particolari proprietà chimiche e fisiche in comune a cui un elemento appartiene. E gli elementi nella stessa colonna tendono ad avere lo stesso numero di elettroni nel loro guscio esterno.

Ma la realtà non si adatta sempre a scatole belle e ordinate. Ad esempio, osserva il team di matematici, gli scienziati non sono sempre d’accordo su collocare il lantanio e l’attinio.

Ma la soluzione con gli ipergrafi consente configurazioni più flessibili. Secondo il team, anche se organizzati per numero atomico, gli elementi possono essere raggruppati secondo un numero di modi diversi all’interno di un ipergrafo organizzato: la loro solubilità in acqua, per esempio, oppure i tipi di depositi geologici in cui si trovano.

Il matematico Guillermo Restrepo ha confrontato la soluzione del team con una scultura. L’ombra che proietta dipende da dove viene la luce.

Le varie ombre che la figura proietta sono le tavole periodiche“, ha detto. “Ecco perché ci sono tanti modi per creare queste tabelle: in un certo senso, le tabelle dei periodi sono proiezioni della struttura interna della tavola periodica“.

Le tre condizioni definite necessarie per stabilire una tavola periodica sia tale: deve essere ordinata, cioè, con elementi di catalogazione; deve essere organizzato secondo una particolare proprietà, come il numero atomico o la massa atomica; e i raggruppamenti devono avere un criterio, come la somiglianza chimica.

Se queste tre condizioni sono soddisfatte, possono essere create tavole periodiche per altri oggetti chimici e anche per oggetti al di fuori della chimica“, ha detto Restrepo .

Abbiamo esaminato circa 5.000 sostanze costituite da due elementi in proporzioni diverse, quindi abbiamo cercato delle somiglianze all’interno di questi dati: ad esempio, sodio e litio sono simili perché si combinano con gli stessi elementi nelle stesse proporzioni (ad esempio con ossigeno o cloro, bromo e iodio). Abbiamo quindi trovato i modelli che possiamo usare per classificare gli elementi“.

Questo sistema, basato sui legami chimici, riorganizza gli elementi in un modo nuovo. Alcuni elementi rimangono raggruppati insieme, come gli alogeni, perché si uniscono allo stesso modo; ma altri sono separati, come il silicio e il carbonio, che, una volta uniti, formano composti molto diversi.

Si tratta di un sistema flessibile, hanno affermato i ricercatori, che può essere personalizzato in più discipline, non solo in chimica, ma anche in ingegneria, scienze ambientali e idrologia.

I nostri risultati contribuiscono alla generalizzazione in atto della teoria della rete verso gli ipergrafi, dove la tradizionale descrizione della rete come un grafico viene sottratta a quella degli ipergrafi come mezzo per modellare relazioni complesse tra più entità“, hanno scritto i matematici nel loro articolo.

Dimostriamo che gli ipergrafi possono essere ordinati e che la struttura risultante è stata al centro della chimica per oltre 150 anni“.

immagine 4(Guillermo Restrepo, MPI for Mathematics in the Sciences)

Il documento è stato pubblicato in Proceedings of the Royal Society A: Mathematical, Physical and Engineering Sciences

Nuovi esopianeti simili alla Terra scoperti intorno ad una nana rossa a 12,5 anni luce da noi

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Un team internazionale guidato dall’Università di Göttingen (Germania) con la partecipazione di ricercatori dell’Istituto di Astrofisica di Canaria (IAC) ha scoperto, utilizzando lo spettrografo ad alta risoluzione CARMENES presso l’Osservatorio di Calar Alto (Almería), due nuovi pianeti come la Terra intorno a una delle stelle più vicine nel nostro quartiere galattico.

La stella di Teegarden è a soli 12,5 anni luce di distanza. È una nana rossa che si trova in direzione della costellazione dell’Ariete. La sua temperatura superficiale è di 2.700 gradi C e la sua massa è solo di un decimo di quella del sole. Pur essendo così vicina, è stata scoperta solo nel 2003 per via della sua bassa luminosità.

Abbiamo osservato questa stella per tre anni per cercare variazioni periodiche della sua luminosità, spiega Mathias Zechmeister, ricercatore dell’Università di Göttingen, il primo autore del documento: le osservazioni hanno dimostrato che vi orbitano intorno due pianeti, entrambi sono simili ai pianeti nella parte interna del Sistema Solare: sono leggermente più grandi della Terra e si trovano nella ‘zona abitabile‘ dove l’acqua può esistere come allo stato liquido. “È possibile che i due pianeti siano parte di un sistema più ampio“, afferma Stefan Dreizler, un altro ricercatore dell’Università di Göttingen e coautore dell’articolo.

Le campagne fotometriche su questa stella sono state realizzate con strumenti come il Muscat2 del Telescopio Carlos Sánchez presso l’Osservatorio del Teide (Tenerife) e con la rete di telescopi dell’Osservatorio Las Cumbres, tra gli altri. “Questi studi dimostrano che i segnali dei due pianeti non possono essere dovuti all’attività della stella, anche se non siamo stati in grado di rilevare i transiti dei due nuovi pianeti“, afferma Victor Sánchez Béjar, ricercatore della IAC e altro autore dell’articolo che è stato pubblicato sulla rivista Astronomy and Astrophysics .

Nuove terre scoperte attorno a una stella molto piccola
Credito: Instituto de Astrofísica de Canarias

Affinché l’individuazione con il metodo del transito sia fattibile, i pianeti devono passare attraverso la faccia del disco stellare e bloccare per un certo tempo parte della luce della stella, il che significa che deve trovarsi su una linea diretta con il Sole e la Terra. Bisogna anche che i pianeti orbitino intorno alla stella (il loro “anno”) con tempi ragionevoli per l’osservazione. Questo fortunato allineamento si verifica solo per una piccola frazione di sistemi planetari.

Cacciatori di pianeti

Il tipo di stella a cui appartiene la stella di Teegarden è il più piccolo per il quale i ricercatori possono misurare le masse dei loro pianeti con la tecnologia attuale. “Questa scoperta è un grande successo per il progetto CARMENES, che è stato ideato per cercare pianeti attorno a stelle di bassa massa“, afferma Ignasi Ribas, ricercatore presso l’Institut d “Estudis Espacials (IEEC) della Catalogna e coautore del articolo.

Dal 2016, scienziati tedeschi e spagnoli hanno cercato i pianeti attorno alle stelle vicine usando CARMENES, che si trova sul telescopio da 3,5 metri dell’Osservatorio di Calar Alto (Almería). Questi nuovi pianeti sono il 10 e l’11 scoperti dal progetto.

Fonte: Phys.org

In vendita “The Cage”, un vecchio edificio medievale infestato dai fantasmi

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C’è un piccolo edificio, in Inghilterra, che durante il medioevo  era una prigione per le persone accusate di stregoneria, che ora è una casa accogliente che ha bisogno di un proprietario.

Ovviamente l’edificio ora è una casa moderna e accogliente, ma i potenziali compratori dovrebbero essere avvisati: la sordida storia dell’ex carcere, nota come “The Cage”, ha portato molti a sostenere che la casa è infestata da fantasmi, alcuni ritengono sia la casa più infestata d’Inghilterra, o almeno è quanto ha scritto in un annuncio su Facebook l’agenzia immobiliare britannica Home Domus 360.

Con una reputazione che attrae troupe televisive di tutto il mondo, questo cottage con 2 camere da letto è disponibile per la vendita con i suoi molti fantasmi residenti“, affermano i rappresentanti di Home Domus 360 su sul popolare social network.

Situato a St. Osyth, nell’Essex, nel Regno Unito, l’edificio è stato recentemente immesso sul mercato dalla proprietaria Vanessa Mitchell; questa è la terza volta che la Mitchell prova a vendere The Cage. Secondo i giornali locali The Clacton e Frinton Gazette, pare che la Mitchell sia fuggita dalla casa nel 2004 e si sia trasferita altrove dopo aver visto “misteriosi schizzi di sangue” ed essere stata “attaccata fisicamente” da fantasmi malevoli – uno dei quali era “una capra dall’aspetto satanico“, come avrebbe detto la Mitchell a The Gazette.

Durante i processi alle streghe di St. Osyth nel 1582, 14 donne furono accusate di crimini legati alla stregoneria, di cui tre furono giustiziate, secondo quanto riportato dall’East Anglian Times. Durante il processo, le donne furono alloggiate in The Cage. Una delle accusate, Ursula Kemp, era una guaritrice locale che fu condannata a morte per impiccagione; viene commemorata in una lapide appesa a una delle pareti dell’ex carcere.

"The Cage" ha tenuto streghe accusate nel corso del 16 ° secolo, e ha fatto il carcere fino al 1908.
“The Cage” ha tenuto improgionate le presunte streghe accusate nel corso del 16 ° secolo, e ha fatto da carcere fino al 1908. – Credito: Shutterstock

La Kemp fu accusata di aver lanciato incantesimi che portarono alla morte del neonato di un vicino. Torturata, accusò altri di praticare la stregoneria, e loro, a loro volta, accusarono altre donne sfortunate, secondo il Times. L’Essex fu un focolaio di processi per stregoneria durante il XVI e XVII secolo; delle 112 streghe che furono giustiziate in Inghilterra negli anni 1640 da sole, 82 furono messe a morte nell’Essex, secondo il Times.

Nel 1921, due scheletri femminili che si pensa fossero i resti di streghe giustiziate furono dissotterrate in un giardino di St. Osyth durante degli scavi prospettici per una costruzione. Alcune delle ossa sembravano trafitte con le unghie, una pratica comune per le streghe morte per impedire ai loro spiriti di infestare i vivi, secondo il Times.

Il prezzo richiesto per l’ex carcere presunto infestato è di 240.000 sterline, secondo Wales Online.

Nuovo cratere su Marte. L’impatto dovrebbe essere avvenuto tra settembre 2016 e febbraio 2019

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Il nuovo cratere da impatto individuato ad aprile dal Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) è diverso da qualsiasi cosa gli astronomi abbiano visto prima.

Notevole sia per le dimensioni che per le onde d’impatto, il segno nero e blu spicca come un pollice dolente sulla superficie rossa e polverosa del pianeta.

La spettacolare scena a colori migliorati mostrata di seguito è stata catturata utilizzando la fotocamera della NASA HIRISE, ad alta risoluzione, in orbita a 255 chilometri.

Marte cratere da impatto(NASA / JPL / University of Arizona)

Ogni anno Marte viene bombardato da oltre 200 tra asteroidi e comete, e mentre alcuni di questi lasciano simili macchie scure o altre caratteristiche notevoli, la scienziata planetaria dell’Università dell’Arizona Veronica Bray ha dichiarato a Space.com che questo nuovo cratere è uno dei più impressionanti che abbia visto.

Nei tredici anni in cui l’MRO ha osservato Marte, si sono verificati pochi pochi eventi confrontabili con questo. Il frammento di roccia spaziale responsabile dell’impatto sembra essere largo circa 1,5 metri, ma il cratere prodotto è molto più grande, largo da 15 a 16 metri.

Nella densa atmosfera terrestre una roccia così piccola si sarebbe consumata bruciando prima di impattare il suolo. Su Marte, rocce di questo tipo, a volte si frantumano entrando in atmosfera, creando delle vere e proprie catene di crateri, come una mitragliatrice che picchia sulla superficie del pianeta.

In questo caso, tuttavia, la roccia doveva essere più solida del solito, perché non è esplosa all’ingresso in atmosfera ed è riuscita ad impattare la superficie marziana in un punto della regione Valles Marineris, nei pressi dell’equatore marziano.

Ciò che distingue questo è il materiale più scuro esposto sotto la polvere rossastra“, spiega l’annuncio sul sito di HiRISE.

In effetti, l’onda d’impatto si vede chiaramente. Questa è la zona scura nel mezzo dell’immagine, dove la polvere è stata spinta da parte per rivelare la superficie rocciosa sottostante.

La natura esatta della geografia in questa regione è ancora incerta, ma Bray sostiene che la superficie sottostante è probabilmente basale. E il blu nell’immagine, aggiunge, è probabilmente un po’ di ghiaccio precedentemente coperto dalla polvere marziana.

Non è chiaro quando è avvenuto l’impatto, ma confrontando immagini precedenti gli astronomi suppongono che sia avvenuto tra il settembre 2016 e il febbraio 2019.
Fonte: space.com

La bufala dei batteri del Surveyor

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di Oliver Melis

Il Surveyor 3 fu il terzo lander lunare lanciato dagli Stati Uniti verso la Luna. Lanciato il 17 aprile del 1967 tramite il razzo vettore Atlas-Centaur per raccogliere informazioni ambientali utili per le successive missioni Apollo, venne immesso direttamente in una traiettoria di impatto con la Luna.

Dopo un volo senza intoppi, toccò la superficie della Luna il 20 aprile nel Mare Cognitium. Il suo allunaggio fu molto movimentato, alcune rocce con un elevato potere riflettente confusero il radar di bordo e il razzo non si spense all’altezza corretta. la conseguenza portò la sonda a rimbalzare per due volte, raggiungendo i 10 metri di altezza con il primo rimbalzo e 3 metri con il secondo, successivamente allunò.

La sonda aveva a bordo un braccio robotico che utilizzò per scavare delle trincee nel suolo lunare allo scopo di fotografarlo e studiarne la consistenza e composizione. All’arrivo della notte lunare, il 3 maggio 1967, la sonda fu spenta per preservare la carica delle batterie; tuttavia, alla successiva alba lunare, dopo 14 giorni terrestri, la sonda non si riattivò più.

Il sito dove si trovava il Surveyor 3 fu visitato in seguito dagli astronauti dell’Apollo 12 che approdarono sul suolo Lunare il 19 Novembre 1969: Pete Conrad e Alan Bean raccolsero alcuni strumenti dalla sonda (fra cui la telecamera) e li riportarono a Terra.

Al rientro la scoperta: sulla fotocamera smontata dalla sonda lunare Surveyor vi era una colonia di batteri Streptococcus mitis, di origine terrestre. Da lì la deduzione che la fotocamera si fosse accidentalmente contaminata prima del lancio e che la colonia batterica fosse sopravvissuta per 2 anni e mezzo sulla Luna, resistendo al lancio, al vuoto dello spazio, alle temperature lunari glaciali, nonché alla scarsità, o forse alla totale assenza, di nutrimento.

Nel 2011, poi, un gruppo di ricerca guidato da John Rummel, presidente del Panel on Planetary Protection del Committee on Space Research (Cospar), l’organizzazione scientifica interdisciplinare dedicata al progresso internazionale in tutte le aree di ricerca scientifica effettuata con veicoli spaziali, ha svelato, in collaborazione con studiosi della Nasa stessa, il mistero della colonia di batteri: gli astronauti continuarono a contaminare la fotocamera al rientro a terra, quindi le analisi effettuate dopo la missione riscontrarono batteri che provenivano dagli astronauti stessi.

Lo stesso Rummel afferma infatti :”[Gli astronauti] trovarono solo la propria contaminazione”.

Questa scoperta tronca di netto la teoria di chi sostiene che i semi della vita sono sparsi nell’universo e che quindi non abbia senso cercare l’origine della vita, perché questa è antica quanto la materia stessa.

Il mistero è stato svelato analizzando cosa realmente è successo in quel periodo. Infatti si è capito che coloro che parteciparono alle analisi dell’epoca indossavano dei camici con le maniche corte, che lasciavano scoperte le braccia con la parte finale delle maniche al di sopra del misuratore che poteva fungere da sorgente di inquinamento batterico.

La scoperta della contaminazione serve da monito per le missioni future, soprattutto quelle che mirano a riportare campioni da Marte; Rummel infatti precisa: “Nel controllare le contaminazioni, dobbiamo essere estremamente più attenti di quanto fu fatto con la fotocamera di Surveyor 3, altrimenti i campioni che verranno da Marte potrebbero risultare ricoperti di ‘vita terrestre’ al loro rientro, impedendoci di scoprire se abbiamo portato sul nostro pianeta vita di Marte. Possiamo e abbiamo il dovere di fare un lavoro migliore con i campioni che rientreranno dalla missione su Marte”.

La presunta sopravvivenza sul suolo lunare di una colonia batterica terrestre trovata sulla fotocamera di Surveyor 3 è dunque un falso.

Gli scienziati lo hanno dimostrato ponendo fine a un mistero decennale, rivelando la loro scoperta al meeting ‘The Importance of Solar System Sample Return Missions to the Future of Planetary Science’, sponsorizzato dal Planetary Science Division and Lunar and Planetary Institute della Nasa, che si è tenuto nel Marzo 2011 in Texas (Usa).

Fonte: www.space.com; http://www.nextme.it; Wikipedia.

Un piano per riciclare i rottami spaziali ed utilizzarli sulla Luna

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Cosa si può fare con le migliaia di satelliti morti, parti di missili e frammenti vari di spazzatura spaziale in orbita attorno alla Terra? Finora, quando si è potuto li si è fatti bruciare in atmosfera, se abbastanza piccoli, o fatti sprofondare nell’oceano Indiano quando troppo grossi per consumarsi completamente con il rientro in atmosfera ma ora sono allo studio una serie di iniziative commerciali per liberarsene. Qualcuno ha anche proposto di… Riciclarli utilizzando il metallo ed altri componenti recuperabili sotto forma di materiale da costruzione … Per la Luna.

Per una tale finalità sembrerebbe che potrebbe avere un ruolo importante Blue Moon il grande lander lunare in fase di sviluppo di Blue Origin. “Blue Moon si inserirebbe perfettamente nel mio piano,” ha dichiarato Keith Volkert, CEO di Satellite Consulting Inc., con sede in California, la settimana scorsa alla conferenza di Amazon, MARS, tenutasi a Las Vegas.

Il fatto che Volkert abbia presentato il suo piano di riciclaggio satellitare non significa che Bezos appoggi l’idea ma Volkert ha certamente attirato l’attenzione.

Il piano di Volkert inizia con la considerazione che ci sono più di 3.000 satelliti non funzionanti alla deriva in orbita terrestre, mescolati con altri 1.950 satelliti attualmente attivi. Alcuni di questi satelliti morti sono abbastanza piccoli, ma altri sono grandi come furgoni e pesano diverse tonnellate.

Gli obiettivi principali del piano di Volkert sono i grandi satelliti morti che orbitano ad oltre 30 mila chilometri sopra le nostre teste.

Secondo Volkert, il costo di circa 20 miliardi di dollari per recuperare il materiale in orbita sarebbe significativamente inferiore al costo di lancio di altrettanto materiale dalla Terra.

Volkert propone una strategia in quattro parti per il recupero del materiale spaziale: raccoglierlo, parcheggiarlo, smontarlo e catalogarlo.

Quando si tratta di recuperare satelliti morti, Volkert presume che le imprese spaziali commerciali utilizzeranno i tipi di rimorchiatori spaziali che sono stati concepiti per trasportare carichi utili sulla Luna e altre destinazioni oltre l’orbita terrestre. La NASA e le imprese commerciali stanno già studiando lo sviluppo di sistemi di propulsione elettrica solare per tali rimorchiatori.

Quando avremo un po’ di rimorchiatori spaziali, tutta questa idea è fattibile“, ha detto Volkert. Il sistema di trasporto potrebbe funzionare come una specie di  “Uber dello spazio” per prelevare l’hardware dall’orbita terrestre e parcheggiarlo in ‘orbita lunare. “A quel punto, una volta catalogati, possono restare parcheggiati in orbita lunare fino al momento del bisogno“, ha spiegato.

Lo smantellamento del satellite verrebbe gestito dai soccorritori, operando da avamposti orbitanti intorno alla Luna dotati di attrezzature robotiche e di sistemi di hangar o ormeggi. Ogni satellite potrebbe essere suddiviso nei suoi componenti, che vanno da grandi pannelli solari e antenne a componenti elettronici leggeri ma di alto valore.

Catalogare le merci potrebbe essere una delle parti più difficili del lavoro. Le imprese di riciclaggio spaziale dovrebbero tenere registri di tutto l’hardware che hanno a disposizione e ci dovrebbero essere “codici a barre per tutto“, ha detto Volkert.

Keith Volkert
Keith Volkert è CEO di Satellite Consulting Inc. (Via Google+ / Radaris)

L’inventario includerebbe i pannelli solari per la produzione di energia, le batterie per l’immagazzinamento dell’energia, i serbatoi e l’impianto idraulico per la conservazione di liquidi e gas, chilometri di cavi in ​​rame e tonnellate di metallo.

Il lander di Blue Origin avrebbe le giuste dimensioni per trasportare le merci sulla superficie lunare quando è necessarie. Il lander Blue Moon è progettato per trasportare fino a 6,5 ​​tonnellate di carico utile.

Volkert ha notato che alcuni pianificatori di missioni hanno proposto di estrarre metalli dal suolo lunare, da utilizzare come materiali da costruzione. “Un’idea migliore è quella di utilizzare i metalli che abbiamo appena catturato e utilizzare quelli“, ha detto.

Anche le piccole parti dei satelliti potrebbero essere riciclate. “Facendolo, non avremo bisogno di spedire elementi [dalla Terra] alla Luna per molto, molto tempo“.

Volkert si aspetta che recupero e riciclaggio fatti con la massima efficienza diventino una caratteristica chiave degli insediamenti lunari. “Non ci saranno mai discariche sulla luna“, ha detto.

Ma ha riconosciuto che deve ancora riempire alcuni degli spazi vuoti nel suo piano. Ad esempio, dovrebbero esserci accordi internazionali sulla condotta delle operazioni di salvataggio spaziale e una chiara delineazione dei diritti di proprietà privata per l’hardware recuperabile. Le domande su tali questioni sono state oggetto di dibattito per oltre mezzo secolo. Ora si stanno rapidamente spostando dal regno puramente teorico al mondo reale.

La mia speranza è che potremo davvero affrontare questa questione su base internazionale“, ha detto Volkert. “Possiamo iniziare la discussione. Poi ci saranno dei recuperi nello spazio, credo“.

Il 24 giugno il Falcon Heavy lancerà una sonda NASA incaricata di studiare le radiazioni spaziali

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La missione della NASA Space Environment Testbeds (SET) sarà lanciata, salvo rinvii, il 24 giugno a bordo di un Falcon Heavy di SpaceX come parte di una missione di test della tecnologia soprannominata Space Test Program-2 (STP-2). SET ha lo scopo di studiare il clima spaziale, in riferimento alle condizioni meteorologiche all’interno del sistema solare, e in che modo le radiazioni colpiscono il veicolo spaziale, al fine di realizzare in futuro nuove sonde e nuovi satelliti meglio equipaggiati e protetti nei confronti delle radiazioni solari e cosmiche.

“Vogliamo arrivare a lanciare qualcosa in grado di resistere a lungo all’ambiente spaziale”, spiega Nicola Fox, direttore della Divisione Eliofisica della NASA. “Queste missioni particolari ci aiuteranno a capire quali siano i materiali giusti e quale tecnologia possiamo utilizzare nello spazio. ”

Le radiazioni sono uno dei principali pericoli che minacciano le missioni spaziali. Le particelle energetiche emesse dal Sole o quelle cosmiche che arrivano dallo spazio profondo a lungo andare danneggiano il software e l’hardware dei veicoli spaziali.
SET è uno dei tre esperimenti che verranno effettuati sulla navicella Demonstration and Science Experiments (DSX), una navicella spaziale della US Air Force che, a sua volta, è uno dei 24 payload che saranno lanciati con la missione STP-2 di SpaceX.
Questa missione esaminerà le fasce radioattive intorno alla Terra, le fasce di Van Allen. Si tratta di un’area che gli scienziati chiamano la regione delle fessure, satura di radiazioni intrappolate dal campo magnetico del nostro pianeta, in particolare durante le tempeste magnetiche scatenate dal Sole.
Ancora non sappiamo molto dei danni che potenzialmente possono subire le navicelle nella regione della fessura,” Ha scritto in un comunicato Michael Xapsos, scienziato del progetto SET. “È per questo che ci stiamo andando“.
Usando le informazioni raccolte da SET sul tempo spaziale in quella zona, la NASA spera di costruire non solo veicoli spaziali meglio protetti ma anche più efficienti.

Vogliamo assicurarci di avere il giusto margine di progettazione“, ha affermato Fox. “È molto costoso mandare dei chili sullo spazio… Vogliamo fare meno lanci possibili con satelliti che vivano più a lungo, per garantire servizi e ricerca“.

Alcuni scienziati pensano di essere sul punto di scoprire un universo dello specchio

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A prima vista, tutto sembra familiare. l’orologio sta ticchettando placidamente, le macchine si muovono fuori dalla tua finestra, le parole che leggi sullo schermo sembrano quelle di sempre… Ma qualcosa non va. Gli orologi camminano all’indietro. Le auto procedono dal lato sbagliato della strada. L’articolo che stai leggendo ha le parole scritte al contrario… All’improvviso, un clic. Stai guardando il tuo riflesso.

Il mondo misterioso dall’altra parte dello specchio potrebbe non sembrarti reale Ma Leah Broussard pensa che uno o più universi paralleli dove tutto è capovolto potrebbe essere davvero reale. Insieme ai suoi colleghi dell’Oak Ridge National Laboratory, nel Tennessee, è alla ricerca di un universo che sia identico al nostro, ma capovolto in modo che contenga atomi speculari, molecole speculari, stelle speculari e pianeti, e persino una vita speculare. Se esistesse, formerebbe una bolla di realtà che si annida nel tessuto dello spazio e del tempo accanto al nostro universo, con alcune particelle in grado di passare da uno all’altro.

Sembra assurdo, eppure i fisici hanno già trovato qualcosa che somiglia al concetto di nuovi mondi in passato.
Nel 1928, Paul Dirac si rese conto che le equazioni della meccanica quantistica consentivano l’esistenza di particelle fino ad allora insospettabili e, da allora, i fisici hanno iniziato l’esplorazione dell’infinitamente piccolo…
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capirci qualcosa:
  • La fantascienza ha lungamente ipotizzato l’esistenza di  universi paralleli e come questi potrebbero essere.
  • I ricercatori hanno escogitato nuovi esperimenti per scoprire come un universo speculare potrebbe influenzare il nostro.
  • Se si dovesse trovare la prova dell’esistenza di simili universi paralleli, tale prova potrebbe portare a risolvere molti dei misteri del nostro universo, come, per esempio, la natura della materia oscura.
Nell’episodio di Star TrekSpecchio, specchio“, l’equipaggio dell’Enterprise vengono trasportati accidentalmente in un universo parallelo, soprannominato l’Universo dello Specchio, i cui abitanti sono cattivi doppelganger dell’equipaggio della nave stellare della Federazione dei pianeti, completi di uniformi appariscenti, saluti nazisti e pizzetti da cattivo.

Come molti concetti originariamente immaginati dalla fantascienza, l’universo specchio potrebbe effettivamente esistere, anche se in una forma molto meno melodrammatica.

Come riportato da New Scientist, i fisici sono impegnati a speculare sull’esistenza di un universo speculare del nostro e attualmente sono in corso due esperimenti mirati a trovare prove empiriche della sua esistenza. L’eventuale prova della reale esistenza di un universo specchio potrebbe aiutare, come detto, a risolvere molte delle domande più ostiche proposte dalla fisica moderna.

Alla ricerca del nostro riflesso

Un apparato proietterà un raggio di neutroni su una parete con campi magnetici variabili su entrambi i lati. Questi neutroni non possono penetrare nel muro, tuttavia i ricercatori hanno posizionato un dispositivo dietro di esso che controllerà l’area interessata dal fascio per individuare eventuali particelle subatomiche.

Perché?

Se alcuni neutroni riuscissero ad apparire dietro il muro, verrebbero considerati una prova evidente che essi oscillano con i neutroni speculari e scavalcherebbero il muro perché esistenti in un universo diverso e oscillerebbero indietro nel tempo colpendo il dispositivo di rilevamento.

Solo i [neutroni] che possono oscillare dall’altra parte e poi tornare nel nostro universo possono essere rilevati“, ha spiegato Broussard a New Scientist . “Farli passare attraverso un campo magnetico, aumenterebbe le probabilità di oscillazione“.

Broussard e il suo team hanno scelto di osservare i neutroni per via di una particolarità nel loro decadimento.

All’interno di un nucleo, i neutroni sono perfettamente stabili, ma all’esterno decadono in un protone, un elettrone e un antineutrino del tipo elettrone. Ecco la stranezza: tutti i neutroni liberi dovrebbero decadere alla stessa velocità, ma la frequenza cambia a seconda di come gli scienziati la misurano.

Il primo modo per misurare la durata dei neutroni liberi è isolarli in una “trappola” e poi contare quanti ne rimangono dopo un certo periodo di tempo. Il secondo modo è contare i protoni che emergono da un fascio di neutroni generato da un reattore nucleare. Il problema è che gli scienziati ottengono tassi di decadimento diversi in funzione del metodo utilizzato, 14 minuti 39 secondi per il primo, 14 minuti 48 secondi per il secondo.

Una possibile spiegazione di questa discrepanza è l’esistenza di un universo speculare.

I neutroni possono avere la doppia cittadinanza in entrambi gli universi. Quando stanno nell’universo speculare, tutti i protoni che emettono non vengono rilevati e quindi non contati nelle misurazioni. Questo potrebbe spiegare perché si rileva un’attività di decadimento inferiore al previsto nel fascio di neutroni.

Il punto di vista dello sperimentatore è: se non sembra completamente folle, può essere testato?” Spiega Kirch. “Non credo davvero che troveremo segnali e abbiamo anche progettato un esperimento in grado di smentirli; vedremo cosa ne verrà fuori“.

Kirch e il suo team hanno completato il loro esperimento e stanno attualmente analizzando i dati.

Uno specchio oscuro

Come ha osservato Yuri Kamyshkov, ricercatore dell’università del Tennessee e collaboratore di Broussard: “La probabilità di trovare qualcosa è bassa, ma è un esperimento semplice e poco costoso“. Nonostante le probabilità, ha aggiunto, un risultato positivo introdurrà una rivoluzione della fisica.
Un universo speculare potrebbe spiegare molti misteri irrisolti della fisica, tra cui la questione della materia oscura. Come ha detto Michio Kaku a Big Think in un’intervista:

“La materia oscura è tantissima, ha gravità, ma è invisibile, non ha interazioni con la luce o con la forza elettromagnetica, quindi c’è una teoria che dice che forse la materia oscura non è altro che materia, materia ordinaria, che si trova in un’altra dimensione e che interagisce debolmente con il nostro universo.”

Naturalmente,” sottolinea Kaku, “questa è una delle molte teorie sulla materia oscura. I teorici delle stringhe pensano che la materia oscura possa essere un’ottava superiore della vibrazione delle stringhe“.

Una delle ragioni per cui l’idea dell’universo dello specchio è così attraente è la matematica.

Alcuni modelli suggeriscono che un universo a specchio avrebbe dovuto essere molto più semplice del nostro durante la prima fase della sua evoluzione. Questa differenza avrebbe reso più facile l’attraversamento delle particelle, risultando in cinque particelle speculari per ogni particella normale. Proprio quello che è, approssimativamente, il rapporto tra la materia oscura e quella normale.

I modelli scientifici, alla fine, devono essere supportati da prove empiriche. Dovremo aspettare i risultati di questi e altri esperimenti prima di determinare la probabilità che esista un universo specchio.

Fonte: bigthink.com